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Autore: Walpurgisnacht    25/02/2018    1 recensioni
Sono passati dieci anni da quando Hajime Hinata, con la gentile collaborazione di Nagito Komaeda, ha rovinato l'esame di Makoto Naegi.
Vi va di vedere cosa è successo nel frattempo, che coppie sono scoppiate e pettegolezzi vari? Ma sì che vi va, birbantelli.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Celestia Ludenberg era una brava persona.

Lo era per un semplice motivo: aveva accettato di partecipare alla riunione della sua classe delle superiori.

E questo bastava per l’epiteto di brava persona? Oh sì, mio ingenuo lettore. Bastava eccome.

Perché, ti potresti chiedere? È presto detto: Celestia Ludenberg odiava i mocciosi. Quei pestiferi, incontenibili barattolini alti un metro e dieci che corrono all’impazzata per la stanza, urlando e prendendosi a gomitate senza nessun reale motivo.

Ma i bambini non c’entrano con la riunione delle superiori? Ma davvero?

Dillo ai suoi ex compagni.

A parte la sua augusta persona e pochi altri elementi savi (tipo quel ciccione inesauribile di Yamada, che probabilmente non avrebbe potuto avere un figlio neanche se fosse stato ermafrodita), gli altri si erano dati alla pazza gioia in tutti i sensi e avevano sfornato fra l’uno e i tre pargoli per coppia.

Oh già, perché non era neanche che fossero andati ad accoppiarsi con elementi esterni. Era rimasto tutto in famiglia, avrebbe detto Jin Kirigiri con il suo esagerato spirito da volemose bbene. E anzi, per lui era davvero rimasto in famiglia. Letteralmente.

Stava finendo di sistemarsi i codini posticci di fronte allo specchio a muro di camera sua, sospirando al ripensare come normalmente i piccioncini fra i banchi di scuola non vedono durare il loro idillio oltre la cerimonia del diploma. Almeno questo dicono le statistiche e il buon senso. Ma la classe 78 della Kibougamine era sempre stata nemica del buon senso, vuoi perché i suoi membri facevano in un certo senso parte di una elite e vuoi perché erano un branco di personaggi veramente pittoreschi e privi di briglie.

“Davvero” sussurrò nella solitudine della grande stanza “è assurdo come siano rimasti attaccati per quasi dieci anni. Persino Enoshima e Oowada. Non ci avrei scommesso uno yen bucato, sembravano solo due adolescenti capaci di soddisfare i bisogni ormonali dell’altro e invece… bah, non è cosa davvero importante. Alla fine, tutto sommato, non mi dispiace rivederli…”.

Non mentiva. Pur non essendo cambiata quasi per nulla in tutto quel tempo, a Celes i suoi compagni di classe… come dire… sì dai, basta coi giri di parole. Si era affezionata a loro. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce perché doveva tenere alto il suo personale stendardo della donna aristocratica che non deve chiedere mai (anche se solo nella sua testa era pur sempre la contessa di qualche sperduto paesino rumeno, d’altro canto), ma il ricordo del periodo scolastico era di sicuro uno dei migliori di cui poteva vantarsi. Anche perché la sua vita privata, nel frattempo, non era migliorata poi chissà quanto.

Basta rimuginare su di me, si disse. Adesso è tempo che vada e faccia fruttare al meglio tutte le informazioni e i retroscena che mi sono guadagnata in dieci anni di stalkeraggio su Facebook.

Pertanto finì di sistemarsi capelli e vestito, pur conscia che facilmente ne avrebbe portato a casa solo dei brandelli quella sera dopo l’opera di distruzione fatta dai figli dei suoi compagni, e si fece accompagnare dal fido Jean-Claude alla sua limousine personale.

Sì, forse Celestia Ludenberg non poteva vantare un rapporto sentimentale decennale. Ma in compenso era schifosamente ricca e ciò avrebbe scatenato la giusta gelosia in certe persone.

A parte Togami, probabilmente. Ma lui non faceva testo.

E comunque non vedeva l’ora di ficcare il naso nella sua vita privata, e scoprire come mai Togami senior non l’aveva buttato fuori di casa a calci per non aver seguito le tradizioni di famiglia.

Ma sì, in fondo non potrà essere una serata così brutta. Dopo che perdi venti milioni di yen a poker tutto diventa banale e privo di significato. Per non parlare della faticaccia per recuperarli… non hai più diciotto anni, Celestia ridacchiò tra sé e sé, mentre in lontananza cominciava a scorgere la familiare cancellata dell’accademia Kibougamine.

Sembra quasi di tornare a casa pensò, mentre l’autista la aiutava a scendere dalla macchina. Anni fa non avrebbe mai detto o pensato qualcosa del genere, ma in fondo ricordava il periodo passato in quella scuola come il migliore della sua vita.

Si diede un’ultima sistemata all’abito e controllò che il trucco fosse ancora perfetto, poi si diresse a passo spedito verso l’ingresso, ancheggiando da vera vamp.

Non lo diede a vedere, ma quasi si commosse nel passare davanti ai trofei della scuola, ancora esposti in bella mostra davanti all’entrata della palestra.

Inspirò. Petto in fuori, spalle dritte, sorriso da vipera che l’aveva sempre contraddistinta.

Fatevi da parte, Celestia Ludenberg è arrivata.

Aprì la porta con un gesto teatrale.

“Oh, ma guarda chi c’è! Taeko Yasuhiro!”

La sua maschera impassibile crollò nel giro di due secondi.

...fottutissima Hiyoko Saionji.

Sarebbe stata una serata orribile.

*

“Maledetto Hinata…” borbottò Naegi, fissando in cagnesco il suo antico rivale (che ricambiava con altrettanto trasporto).

“Makoto-kun, tuo figlio...”
“Oh, s-scusa Kyouko.”

Sempre continuando a lanciare occhiatacce ad Hinata, l’ex Super Fortunello aggiustò la posizione del pargolo, che era fin troppo vicino a provare un doppio tuffo carpiato dalla spalla di papà. “Vieni qui, mostriciattolo, che non ho voglia di passare una serata al pronto soccorso” disse, guardando il faccino paffuto e sdentato di Jin, anni due, il suo primo (e al momento unico) figlio. Un suo piccolo clone, ad esclusione dei capelli più chiari ereditati da mamma Kirigiri. La quale scosse la testa: “Potresti prestare più attenzione a tuo figlio e meno a Hinata?”

“Lo sto facendo. E mi piace come Jin diventi solo figlio mio quando sta per lanciarsi di testa dalle mie braccia o dal seggiolino” sorrise sarcastico, sarcasmo che venne pienamente ricambiato dalla moglie. Gli anni in cui balbettava in sua presenza erano passati da un pezzo, e ormai il sarcasmo era diventato la lingua ufficiale di casa Naegi-Kirigiri.

Non che il loro rapporto si fosse inaridito o che, tutt’altro. Solo, Makoto Naegi aveva imparato finalmente a dire la sua (senza esagerare).

“Sempre a metterti in ridicolo, Naegi-kun? Non sei un po’ troppo vecchio per portare ancora l’ahoge?”

L’ex Fortunello sorrise, perché certe cose non sarebbero cambiate nemmeno dopo dieci anni.

“Fossi in te non parlerei, Togami-kun” rispose, facendo un cenno all’ex Super Erede. “Shinobu ti sta mangiucchiando la cravatta.”
“Cos-? Noooo nononono Shinobu, amore di papà noooooo! Non si mangia la cravatta di papà!” strillò, cercando di allontanare per quanto possibile Shinobu, anni uno e mezzo, dalla sua costosissima cravatta in seta da Gente di un Certo Livello. Al suo fianco Touko, sua moglie da ormai sei anni, lo osservava con lo sguardo di chi sta riconsiderando le proprie scelte di vita. “Sembrava tanto più intelligente, quando l’ho conosciuto” sospirò la (ancora) Super Scrittrice, sorseggiando un bicchiere di soda. Di alcol, neanche l’ombra. “Chissà se c’è ancora qualche vecchia Asahi di Oowada nascosta in giro” sorrise, seguita a ruota da Kyouko.

“Non me ne stupirei. E comunque prima ti ho sentita” si lamentò Togami, mentre Shinobu cercava di lanciarsi in una spericolata imitazione di Jin. “No Shinobu, papà non è un trampolino di lancio! Ma da quando ha imparato ad arrampicarsi come una scimmietta?”
“Non lo so, me lo chiedo anche io con Jin” annuì Naegi, mentre teneva fermo il piccolo e cercava il ciuccio di riserva in una delle tasche.

“È l’età dell’esplorazione e del oooooooooooooh, il mondo è il mio parco giochi” chiosò Kyouko ficcando la mano nella tasca sul retro dei pantaloni del marito e tirandone fuori il tesoro che lui si stava affannando a cercare nel posto sbagliato.

“Come… come lo sapevi?” le chiese, stupito.

“Ci conosciamo da un’eternità e ancora riesci a tirar fuori domande così idiote?”.

“Chiamasi I Kirigiri Spaccano, per dirla volgarmente” commentò una terza voce alle loro spalle. Voltandosi verso l’ingresso videro arrivare nell’ordine: Jin Kirigiri, uguale a come l’avevano lasciato il giorno del diploma; Koichi Kizakura, fida fiaschetta in mano e un ciuffo di capelli ingrigiti che spuntava maramaldo da sotto il fedora; Gentarou Hongou, lo sguardo torvo e… ossantabenedettaimmacolata, una benda sull’occhio.

Lo stesso occhio che Togami, all’epoca, aveva cercato di cavargli a pallonate.

L’ex Scion se ne avvide immediatamente e sbiancò come un cencio, a quanto pareva assai intimorito dallo spettacolo: “Hongou-san, ma… ma lei…”.

“Oh, non temere. Il tuo piede da mammoletta non avrebbe potuto fare danni così a lungo termine. E poi stai pur sicuro che, fosse stato questo il caso, avresti avuto notizie dai miei avvocati molto prima. Era solo un modo sbarazzino per ricordarci delle cose belle che abbiamo vissuto assieme”.

“Ah davvero? Perché sa, ricordo con maggior piacere l’ultimo attacco di colite che ho avuto qui a scuola…”.

“Sempre squisito. Non cambiare mai, che di strada ne farai tanta”.

“Se per fare strada intende avere soldi a sufficienza da poter comprare Tokyo e farne la propria zona relax… beh, le assicuro che di chilometri ne ho macinati”.

“Il signor Hongou intendeva dire qualcos’altro” si intromise Touko, tirandolo indietro di una decina di centimetri. Sembrava evidente sul suo volto l’intenzione di impedire che vecchie ruggini potessero guastare il clima di festa che si respirava in quella palestra.

“Suvvia Touko-chan, non esagerare” la rimproverò bonariamente Makoto avvicinandosi a lei. Passando accanto a Byakuya Jin junior ebbe l’idea del secolo: sporgendosi riuscì ad afferrare la spalla del padre di Shinobu, impedendo al suo di padre di avanzare.

“Che… che cavolo fai, si può sapere?”.

“Bi… bimba…”.

Oooooooooooooooooooooooooooooooooooh, che cosa carina!

Prestandole attenzione Togami chiese alla figlia: “E tu, principessina? Vuoi giocare con questo bimbo?”.

Il vigoroso cenno di lei fu sufficiente per far sì che i due adulti, sempre sotto lo sguardo vigile e severo delle mogli, poggiassero i bimbi per terra e li lasciassero a fare la reciproca conoscenza. Nonostante le due coppie fossero rimaste a stretto contatto in tutto quel tempo, difatti, per tutta una serie di coincidenze gli eredi non avevano mai avuto il piacere di vedersi prima di quel momento.

“No, ma il mio nipotino è un tesoro fantastico. E anche la sua amichetta è carinissima” commentò felice Kizakura dopo aver bevuto un sorso di quello che, a giudicare dall’odore, sembrava pessimo rum. “Non sei d’accordo, Jin caro?”.

Quando guardò verso il preside, Naegi lo vide mentre dei lacrimoni assurdamente larghi e uniformi gli solcavano il volto andando a formare una gigantesca pozzanghera per terra. La commozione di nonno Kirigiri sarebbe risultata persin ridicola se i presenti non fossero stati consapevoli dell’enorme amore che nutriva per il suo omonimo. Cercando di asciugarsi i lucciconi riuscì a farfugliare: “È proprio tutto sua madre…”.

In quel piccolo capannello calò il gelo. Va bene l’amore da nonno, va bene la miopia incipiente, va bene quello che vuoi. Ma Jin Naegi era la fotocopia sputata di suo padre e di come poteva essere alla sua età. Fu Kyouko, prendendolo sottobraccio, a farglielo presente mentre rimarcava con malcelato sarcasmo che era poco appropriato presentarsi con i mariti di fronte a dei minori.

Makoto sorrise vedendo che la sua adorata mogliettina riusciva ancora ad avere la stessa verve e la stessa faccia tosta con suo padre nonostante gli anni che passavano. Si accucciò vicino a Jin e Shinobu, venendo presto imitato dai genitori di lei, e tutti e tre si sciolsero come budini di fronte a quei due batuffolini che si cercavano e si accarezzavano con dolcezza infinita.

Quel quadretto idilliaco, che mancavano giusto i putti e i coretti angelici, venne spazzato via da un ciclone radioattivo che si palesò all’ingresso quasi sradicando la porta.

Era arrivata Junko Enoshima.

“ENOSHIMA JUNKO-CHAN È QUIIIIII! VI SONO MANCATA?”

“Onestamente no.”
“Nemmeno tu Raggio di Sole” replicò la ex Super Modella con la sua solita faccia di bronzo, dimostrando di non essere cambiata neanche di una virgola.
Eccetto per un non esattamente piccolo dettaglio.
“Enoshima-san...” sussurrò Makoto.

“Q-quello… quello è…” balbettò Touko, puntando il dito contro Junko.

“Sei decisamente incinta” confermò Kyouko, inarcando un sopracciglio e sgranando gli occhi. E quando sgranava gli occhi lei, voleva dire che era successo qualcosa che era assolutamente fuori dall’universo.

“Facciamolo senza preservativo, diceva. Sarà divertente, diceva.”

Alle spalle di Enoshima apparve l’inconfondibile pompadour di Mondo Oowada, e poco dopo anche il resto del suo proprietario. Junko sbuffò: “Beh divertente è stato divertente… certo, non mi aspettavo fossi tipo da one shot one kid.”

“Che posso farci, ho gli spermatozoi allegri.”
“...e dopo questo momento di TROPPE INFORMAZIONI TUTTE INSIEME posso confermare che, pancione a parte, non siete cambiati proprio per nulla” sorrise Makoto, che in fondo era ben contento di rivedere quei due caciaroni. “A giudicare dalla pancia mi sembri in dirittura d’arrivo, Enoshima-san. Il primo figlio è sempre una grande emozione!”
“In realtà questi sono il quarto e il quinto.”
Un coro di “COSA?!” investì la sgangherata coppia, coro che venne poi coperto dalle urla belluine di tre bambini di un’età compresa tra i sei e i due anni, che cominciarono a correre attorno ai genitori in una perfetta imitazione di quella che doveva essere Junko da bambina.

“Sono… sono tutti vostri?” chiese Togami, con lo sguardo di chi sapeva già la terribile risposta. Makoto, accanto a lui, non riusciva ancora a capacitarsi di ciò che l’ex Biker aveva contribuito a creare.

“Ovvio che sono tutti miei, Scion di ‘Sta Ceppa!” rispose quello con sguardo fiero (e pronunciando Scion di ‘Sta Ceppa con il tono di chi ricordava cose piacevoli e lontane nel tempo. Anche tu sei un po’ cuor di panna, eh Oowada-kun? sorrise Makoto tra sé e sé). “Ehi! Ehi, Rin RudolphVonStroheim Oowada! Quante volte ti ho detto di non rubare il ciuccio a tuo fratello, che poi piange?!”

Naegi non potè non osservare perplesso il suo ex-compagno di classe dopo aver udito quel nome assurdo: “...come hai detto che si chiama tuo figlio, Oowada-kun?”
Mondo si voltò a guardarlo e poi si diede una manata in fronte: “Hai ragione, come ho potuto essere così screanzato!” rise, e l’ex Fortunello dovette impedire a Togami di tirar fuori una delle sue solite battutacce. “Ecco, lasciate che vi presenti i miei ragazzi! Lui è Rin RudolphVonStroheim” disse, indicando un bambino di circa sei anni dai capelli ritti in testa come un soldato. Poi indicò un bimbo sui quattro anni, che indossava un cappello a tesa larga più grande di lui e stringeva in mano un cavallino giocattolo: “Lui è Hideo J.LoZeppeli, e… oh? Sì? Oh, scusate, ci tiene che vi presenti anche Valkyrie, il suo cavallo” si corresse, e il figlioletto annuì soddisfatto. “E lui è al momento il piccolino di casa” sorrise, sollevando il terzogenito, che poteva avere all’incirca l’età di Jin. “Da bravo, Toshiyuki JotaroKujo, saluta gli zii!”.

Il bimbo, che portava un cappello da teppista calato sugli occhi, fece un timido cenno con la manina.

Makoto ricambiò il saluto, poi si rivolse a Mondo: “Senti, Oowada-kun… ma questi nomi…”
“Sono idioti, eh?” si intromise Junko, che in quel breve lasso di tempo si era lanciata sul buffet e stava divorando gli antipasti con la grazia di un tritarifiuti. “E non hai ancora sentito come vuole chiamare i gemelli!”

“Porta rispetto a Jojo” ringhiò il… marito (compagno? Fidanzato? Scopamico? Non so come avete aggiornato la vostra relazione). “E comunque i prossimi si chiameranno Nabiki LisaLisa e Hiroshi DioBrando!” sorrise fiero.

L’unica cosa che a Makoto venne in mente fu “Perché?”, ma si trattenne dal dirlo.

“Perché.”
Ma c’era sempre Togami a cui mancavano i filtri cervello-bocca.

“Perché Oowada-sama-dono è evidentemente un grande fan di Jojo. Io non lo apprezzo particolarmente, ma d’altronde preferisco altri generi.”

Tutti si voltarono verso la riconoscibile voce di Hifumi Yamada, che… beh, non era cambiato di una virgola. Però, bisognava dirlo, aveva finalmente imparato a non andare alle feste addobbato come un cosplayer al risparmio.

“A me quei nomi piacciono” si intromise un’altra voce, e tutti si ritrovarono a guardare quella che, dieci anni prima, era stata la coppietta della classe 78 per antonomasia.

“Kuwata-kun! Maizono-san!” trillò Makoto, e tutti quanti si scambiarono saluti, abbracci e domande sui rispettivi pargoli, e cosa hai fatto in questi dieci anni e cavolo sei sempre uguale. “Oh, questo è vostro figlio?” chiese Touko, stringendo la manina a un bimbo di circa quattro anni dai capelli rosso fuoco come il papà. “Sì, è il mio orgoglio e la mia gioia” sorrise Sayaka, fiera del suo piccolo ometto (che stando alla magliettina degli X-Japan che indossava, stava sviluppando gli stessi interessi di mamma e papà). “Ma come sei carino!” trillò Touko. “Come ti chiami?”

“JEFF MARLONBRANDO KUWATA.”

“Come?!”

“Jeff MarlonBrando Kuwata” annuì Leon, soddisfatto. Scambiò persino un brofist con Oowada. La povera Maizono lanciò un lamento che doveva essere di fastidio e dolore, al quale il marito rispose: “Inutile che ti lamenti, tu eri d’accordissimo.”

“Ma che problemi avete tutti quanti, coi nomi?” chiese Togami, evidentemente sconcertato dai gusti orribili dei suoi ex compagni.

“Posso ricordarti che tua figlia porta il nome di quella squilibrata di tua sorella?” replicò Touko, pacata.

“...almeno il nome è normale, e carino. Preferivi la chiamassi Shinobu BlueInk Togami?”

“Anche Kasumi ZsaZsaGabor suonava bene” sorrise lei, sarcastica.

Makoto e Kyouko si scambiarono uno sguardo divertito, lieti di avere gusti pressoché normali in fatto di nomi. E al di là di tutto era davvero contento di rivedere i suoi vecchi compagni di classe, soprattutto quelli con cui aveva perso i contatti in quegli anni.
Certo, se solo la riunione di classe della 77 si fosse svolta altrove, magari in un’altra sera… in un altro universo…

*

“Maledetto Naegi…”
“Hajime-kun, ne abbiamo già parlato.”
“Non ho detto niente.”

“Ti ho sentito benissimo invece. Guai - e dico GUAI - a te se lo vai a cercare solo per litigare, chiaro? Ora, tieni un attimo Mai che devo andare in bagno, DI NUOVO” lo zittì Chiaki, mollando Mai (tre anni, un ahoge pericolosamente somigliante a quello di papà e un nome ovviamente scelto da mamma, pescato dal cast di Emperor of Fighters) in braccio a lui. L’ex Super Boh non riuscì a non ridere nel guardare la moglie dirigersi in bagno col passo ondeggiante tipico delle donne incinte: il loro secondogenito sarebbe arrivato tra qualche mese, e Hajime aveva tutta l’intenzione di impedire a Chiaki di scegliere un nome da un altro videogioco.

Potrebbe volerlo chiamare Rilento, se fosse un maschio. O se fosse una femmina… santo cielo, me la vedo mentre crede di avere un’idea geniale e decide di battezzare quella povera creatura come Ultimezia. Glielo impedirò, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia.

Hajime Hinata amava alla follia Chiaki Nanami, ancora di più dopo la nascita di Mai e la notizia che presto sarebbe arrivato un suo fratellino o una sua sorellina… ma il suo citazionismo era pericoloso, nocivo e gli faceva venire le rughe in posti dove non batte il sole.

“Papù! Papù!”.

Oh, eccola la sua piccola Mai e il difetto di pronuncia che la rendeva ancora più tenera di quanto non lo fosse già di suo: “Dimmi, papù ti ascolta”.

“Bimbo con capelli ppparati… io vojo tttare…”.

Un bimbo con i capelli tutti sparati? Di chi stava parlando?

Hinata si guardò attorno cercando di capire. Ebbe un brivido di terrore quando vide schizzargli a meno di due metri una sorta di tornado con le gambe che poteva corrispondere alla descrizione, impegnato nel correre dietro a un altro marmocchio un po’ più piccolo che faceva finta di fare il cavallerizzo con il suo quattrozampe giocattolo.

Oddio, forse brivido di terrore è una definizione un po’ esagerata. Però Mai era sempre stata una bambina placida, tranquilla. Aveva preso il meglio da entrambi i suoi genitori. Gli sembrava strano volesse andare a buttarsi in mezzo al casino che quei due teppistelli stavano creando.

Anche se non potè fare a meno di ridere quando il suddetto teppistello dai capelli ritti ebbe la brillante idea di sollevare la gonna di Celestia Ludenberg mentre le passava dietro. E l’altro, che poteva forse essere suo fratello (o un suo futuro compagno di galera), ebbe l’ancora più brillante idea di andare a mettersi sotto alla gonna che ritornava al suo posto, il tutto a insaputa della proprietaria che ci mise qualche secondo ad accorgersi della presenza molesta nelle sue sottane.

“Yaaaaaaaargh!” la sentì urlare “Maledetti mocciosi!”.

Era sempre divertente vedere l’ex Gambler dare in escandescenze. Per un distorto, anacronistico senso di appartenenza alla classe 77, e in memoria dei bei tempi della faida, gli faceva piacere vedere colei che aveva distrutto la vita di Hiyoko Saionji (...per una settimana, ok, ma è il pensiero che conta) subire la sacrosanta vendetta del karma sotto forma di due pestiferi nanetti incontrollabili.

Comunque questo non risolveva il suo dubbio: era lui il ragazzino a cui si riferiva Mai? La bambina, vedendo che suo padre non acconsentiva alla sua richiesta, prese a indicarlo.

E no, per fortuna di tutti non era lui.

Purtroppo la risposta, per Hinata, fu peggiore.

Stava parlando del bambino che poco prima era in braccio a…

A…

Oddio. No no no no no no. Non lui. Non lui.

In braccio a Makoto Naegi.

Era suo figlio.

Hajime Hinata fece del suo meglio per assomigliare a L’Urlo di Edvard Munch.

Traditrice! Vuoi fartela con il nemico, eh? Non hai un po’ di senso patriottico? Non hai un po’ di rispetto per le battaglie all’ultimo sangue che il tuo vecchio ha sostenuto contro il suo mini-me uscito male dalla fabbrica? Non hai considerazione dei miei sentimenti di povero derelitto ferito a morte da un destino ingiusto? Sangue del mio sangue, oh qual colpo la tua crudeltà mi ha appena inferto!

Il suo tragico monologo interiore venne interrotto quando sentì su di sé uno sguardo. Si voltò e, come sospettava, Chiaki lo guardava come se fosse un alieno verdastro: “Tutto bene, Hajime-kun?”.

Lui prese ad agitarsi, facendo ballonzolare pericolosamente la bambina e prendendosi una meritata lavata di capo dalla compagna: “No che non va bene! Mai… Mai…”.

“Cos’ha fatto Mai? È lì tranquilla, sempre che qualcuno non la faccia cadere di testa perché non riesce a reggerla come una persona normale” lo rimproverò prendendogliela.

“Vorrei vedere te al mio posto!”.

“Per la miseria, che hai? Cos’è successo di così tremendo in questi cinque minuti?”.

“Mai… vuole andare a giocare…”.

“Vuole andare a giocare… con chi?” lo incalzò lei, mimando con la mano il gesto che si fa quando si vuol far parlare qualcuno.

“Con… con il figlio di Naegi! È…”.

“...una buona idea”.

CHE. COSA. HAI. DETTO.

“Perché no?” proseguì ancora Chiaki “Sembra un bambino tanto carino. Guardalo, sta ridendo tantissimo mentre fa la lotta con quell’altra”.

“Ma è… è… è il figlio di Naegi!”.

“E con ciò?”.

“Tu sai come la penso su di lui”.

“Purtroppo sì, lo so. E ho un consiglio per te, caro mio: cresci. Quand’eri adolescente ci poteva stare che vi tiraste le trecce che non avete, ma ora sei un uomo adulto e vaccinato. Sei padre. Che esempio vuoi dare ai tuoi figli, a quella che ora ti sta implorando per lasciarle esaudire un desiderio innocente e a quello che dalla mia pancia ascolta e osserva suo papà… anzi, come dice Mai, suo papù che si intestardisce in una cosa più vecchia di loro due messi assieme? Ti devo forse ricordare quant’eravamo distanti in quel famoso mese di dieci anni fa, quanto eri sordo ai miei appelli al buon senso, quanto quella cagata di faida ha rischiato di non farci essere qui oggi come marito e moglie?”.

L’accorato appello di Chiaki non fu inascoltato da parte di lui. Gli balenò alla mente tutta la solitudine, l’amarezza e il rimpianto che il suo comportamento durante il periodo incriminato gli aveva provocato. Quella che all’epoca era la sua migliore amica, Chiaki appunto, gli aveva giustamente voltato le spalle perché nauseata dalla sua cecità in merito a una cosa che non rivestiva affatto tutta quella importanza. Era finito a piangere fra le braccia di Komaeda, per l’amor del cielo!

La stava per perdere. Solo un’illuminazione dell’ultima ora gli aveva permesso di salvare il salvabile.

Poteva davvero permettere che la storia si ripetesse, stavolta con conseguenze ancora più nefaste? Perché non erano più due ragazzini alle prese con la prima cotta, erano una famiglia di tre persone (presto quattro) e non aveva il diritto di mandare tutto a scatafascio per una vecchia ruggine ingiustificata.

Ah Chiaki, se non ci fossi tu io adesso sarei a fare il gattaro in una casa diroccata in periferia. Io, i gatti e quello stronzo di Kamukura che ogni tanto commenta acidamente.

“Hai… hai perfettamente ragione…” ammise a testa bassa.

“Oh, e finalmente forse l’hai capita. Allora, cosa vuoi fare? Vuoi accontentare questo dolcissimo fagottino che continua a indicare il suo nuovo amichetto?”.

“Papù, peffavore…”.

No, ok. Sentirla pregarlo con quella vocina annientava ogni sua possibile resistenza.

Acconsentì con la testa, ma decise di fare di più. La riprese gentilmente dalle braccia di Chiaki e si avviò con lei verso Naegi e suo figlio.

Quando fu a portata di tiro…

“Makoto-kun, c’è qualcuno che penso voglia parlarti” disse Kyouko, intuendo le intenzioni del nuovo arrivato. Lo dovette avvisare perché quello era ancora intento a fare il padre amorevole che osservava con grandi occhi da cerbiatto le prodezze della sua prole nel box della sabbia.

“Uh? Sei sicura sia per me?”.

“Sì”.

Naegi alzò la testa e il suo sguardo si incupì istantaneamente.

“Hinata”.

“Naegi, per favore. Vengo in pace. Non sono qui per attaccar briga”.

“E allora cosa vuoi, si può sapere? Mi piacerebbe divertirmi oggi”.

“Guarda, ti assicuro che se avessi potuto avrei lasciato volentieri più di tre metri di distanza fra me e te. Ma si dà il caso che questa piccolina che ho in braccio ci tenga a giocare un po’ con il tuo marmocchio”.

“Eh? Mi prendi in giro?”.

“Ti pare che sprecherei parte della mia riunione di classe, evitando di rivedere amici che non frequento di persona da anni, solo per venire a infastidire te? Diglielo Mai, diglielo tu se non ci crede”.

“Io… vojo giocare… bimbo carino…”. E di nuovo prese a indicare Jin, che beato non si era accorto di nulla.

Al che l’ex Fortunello cambiò totalmente espressione, forse piacevolmente colpito da quello che, pensò Hinata, era il buon gusto che sua figlia aveva e lui no. Sorrise col suo sorriso patentato a sessantaquattro denti e fece cenno a Hinata di appoggiare la figlia vicino a Shinobu e a Jin.

“Ciao… io Mai…”.

Ommioddioquantoseiteneramitimangereisepotessi.

Rialzandosi guardò dritto negli occhi Kyouko dicendole: “La affido a te”.

“Per tua fortuna non condivido l’antipatia di mio marito per te. È in buone mani”.

“Ti ringrazio, Kirigiri-san”.

L’ex Super Detective si limitò ad annuire, poi entrambi si voltarono nuovamente verso i tre bimbi, intenti a fare conoscenza e comunicare in una lingua che solo loro capivano.

Non importava, erano adorabili.

Sì, anche il minion di Naegi (ma è veramente il suo minion, sembra si sia riprodotto per mitosi).

“Visto che non è stata un’idea poi così terribile?”

Chiaki gli si avvicinò sorridendo (e faticando non poco nel mantenere un contegno guardando la sua piccola Mai fare amicizia con gli altri bimbi). Hinata non rispose, ma si limitò a un sorrisetto soddisfatto.

“Ma guarda che bel quadretto. Alla fine anche Hajime Hinata si è deciso a sotterrare l’antica ascia di guerra?”

Il sorriso di Hinata si allargò ancora di più.

“Byakuya Togami!”

“In carne ed ossa. Più carne che ossa” sorrise l’Impostore, sgranocchiando salatini. Al suo fianco… oh, wow.

“Ibuki Mioda… sei tu?”

“Ma certo che sì! Ibuki non è cambiata di una virgola!” trillò lei, ed in effetti era rimasta esattamente com’era quando aveva diciotto anni, ad esclusione dei suoi famosi capelli a forma di corna che sfidavano la gravità e la lacca per parrucchieri. Ma per il resto era esattamente come l’aveva lasciata il giorno del diploma. Anzi, se doveva essere onesto, sembrava una di quelle vocalist di gruppi metal bellissime e dalla voce inquietante.

“Wow, sei davvero la stessa di un tempo” disse, evitando di aggiungere che ricordava ancora quando si era spogliata durante la famosa serata in piscina della classe 77. Non aveva mai detto a Chiaki che Ibuki si era presentata totalmente nuda.

“Ibuki sa di essere ancora appetibile” rise lei, che apparentemente non aveva perso il vizio di parlare in terza persona. “O come avrei potuto accalappiare questo bel bocconcino?” sorrise sorniona, pizzicando una guancia paffuta di Togami.

Quest’ultimo stava per aggiungere qualcosa quando un urlo belluino interruppe il loro idillio.

“IMPOSTOREEEEEEH!!!”

...oh, già.

Dietro di sé Hinata sentiva già trambusto e altri versi animaleschi.

Chiaki sospirò, mentre Ibuki si limitò a guardarli senza aver capito cosa stava per accadere.

L’Impostore sorrise soddisfatto.

*

Non ci credo. NON. CI. CREDO.

Dieci anni erano passati, dieci.
E quel maledetto Impostore osava ancora andare in giro con la sua faccia?!
E diversi chili in più.

Byakuya inspirò, cercando di mantenere la calma e ignorare la maledetta vocina - che dopo tutti quegli anni aveva accettato senza più discutere, arrivando persino a soprannominarla Enrico VIII.

Alla voce - pardon, a Enrico VIII era ormai abituato, però. Ma quello…

“Dopo dieci anni osi ancora ANDARE IN GIRO CON LE MIE SEMBIANZE? MA IO TI DENUNCIO, TI SGUINZAGLIO CONTRO GLI AVVOCATI!”

“Suvvia Togami-kun, lascia perd-”
“No Naegi, non lascio perdere” ringhiò. “QUESTA È GUERRA.”
“...mi ricorda tanto il modo in cui iniziò la faida” commentò Mondo, sempre con l’espressione beata di chi rivive i bei tempi andati.

“Byakuya! Quanto tempo!”
...non ci credo.

Oltre il danno, la beffa.

Touko era corsa incontro all’Impostore e Mioda, scambiandosi baci e abbracci.

Traditrice, CREDEVO MI AMASSI. E INVECE SEI DALLA SUA PARTE?!

Mi mancava il Byakky Regina del Melodramma, dieci anni di quiete erano troppi persino per te.

Taci, non è il momento. MIA MOGLIE MI STA TRADENDO DAVANTI AI MIEI OCCHI.

Eeeh, che paroloni.

CONNIVENZA CON IL NEMICO.

Ma per favore! Non fosse stato per lui e Mioda Touko non ti avrebbe mai concesso la possibilità di farti perdonare per come l’avevi trattata. Ti ricordi, vero, che ti ha ignorato per un mese intero? Che tu fingevi indifferenza ma in realtà ti rodeva parecchio il didietro? E che ormai pranzavi a riso e Lucky Gastro?

...potrei averne bisogno adesso.

L’unica risposta di Enrico VIII fu uno sbuffo, prima di tacere. Byakuya si massaggiò lo stomaco, tornato in subbuglio dopo dieci anni dall’ultima gastrite, e si obbligò a voltarsi verso i bimbi, ancora intenti a giocare.

Almeno ho ancora la mia Shinobu… uh? Dov’è finita Shinobu?

La ritrovò ai piedi dell’Impostore, mentre lo guardava con un faccino perplesso.

...hai seriamente il dubbio che quello possa essere tuo padre? Persino il sangue del mio sangue mi si rivolta contro?

Suvvia, ha un anno e mezzo e c’è un uomo identico a suo padre davanti a lei, è normale sia confusa!

Guai a te se dici di nuovo che siamo identici.

Perché? Se no che fai, mi denunci per diffamazione?

Di nuovo silenzio, non prima di avergli riso in faccia.

“Da brava, Shinobu, lascia stare il signore” ringhiò, sollevando la piccina da terra e prendendola in braccio. Tuttavia sua figlia continuò a guardare lui e l’Impostore con aria incerta, e in tutto questo Touko lo osservava in silenzio con un’espressione che voleva dire “Fai una scenata e poi te la vedi tu con Syo.”

Byakuya decise saggiamente (seppur contro la sua volontà) di rimanere in silenzio.

Per ora.

A volte, ma solo a volte, rimpiangeva la Touko che non avrebbe mai e poi mai osato alzare la voce con il suo Byakuya-sama. Ma quei tempi erano ormai andati, e in fondo all’ex Scion non dispiaceva quel lato di lei…

Ma come sei carino, innamorato come il primo giorno anche dopo dieci anni e una bimba!

Piantala.

Solita risatina fastidiosa di commiato (che non era mai un vero commiato).

Si limitò a guardare sua moglie ciarlare con l’Impostore (il quale ogni tanto gli lanciava certi sguardi soddisfatti che Byakuya avrebbe cancellato volentieri a colpi di sedia), potendo solamente occuparsi di sua figlia. “Ma davvero hai pensato fossi io?” borbottò, lanciandole un’occhiata. La risposta di Shinobu fu un versetto senza senso e una manata sul naso, un maldestro tentativo di fare una carezza al suo papà.

E come poteva, lui, rimanere impassibile di fronte a quella bambolina con le treccine (perché Shinobu era un piccolo clone di sua madre, ad esclusione degli occhi azzurri tipici dei Togami)? Se la portò vicino, con la bocca quasi a contatto con l’orecchio di lei, e le sussurrò: “Devi volere bene solo a papà, altrimenti io ci sto tanto male”. Poi, immaginando che non avesse capito poi molto, le mostrò un viso esageratamente triste per rinforzare il concetto.

Shinobu ci riprovò e la seconda volta la carezza le riuscì molto più dolce.

Fu da degli anfratti ormai ben nascosti che Byakuya Togami trovò la forza di non commuoversi platealmente.

*

Mukuro Ikusaba era raggiante.

In occasione del decennale dal loro diploma aveva deciso di mettersi in tiro.

Vestito da gran gala? Nossignore.

Completo gessato? Ma manco per sogno.

Indossava la sua vecchia tuta mimetica usata ai tempi della brigata Fenrir. Era lisa, sdrucita e puzzava un pochino di stantio, ma tutti i reclami e i rimproveri di quella povera anima di Ishimaru non erano serviti a farle cambiare idea.

Era orgogliosa del suo passato e voleva mostrarlo fieramente a tutti.

Anzi, era persino stupita che ancora le andasse bene. Capiamoci, nel frattempo non era ingrassata di sei taglie. Però non si teneva più in allenamento come un tempo, sempre mantenendo comunque una buona forma.

Insomma, il pericolo che in qualche punto fosse un po’ troppo stretta c’era. Ma fortunatamente era andato tutto liscio.

Scendendo dalla macchina corse al lato del guidatore, da cui stava smontando Ishimaru, e si affrettò a prenderlo a braccetto.

La faccia un poco stupita di lui la prese in contropiede: “Mukuro-chan, non che non apprezzi ma… di solito non sei tipo da smancerie così evidenti”.

Sorrise nel rispondergli: “Oggi non mi importa. Finalmente rivediamo i nostri compagni di classe dopo un secolo, non ho intenzione di tenere in piedi la reputazione da Full Metal Bitch”.

“Vedendo come sei vestita non si direbbe, sai?”.

“Oh dai, ci tengo da matti. A parte Junko nessuno mi aveva mai vista con la mimetica. E poi così mi sento più calata nei miei diciotto anni”.

“Sento insoddisfazione per la tua vita attuale. Mi sbaglio?”.

“Sì, ti sbagli. Anche se ammetto che fare la guardia giurata in una banca non ti dà la stessa scarica di adrenalina di sparare a un gruppo di ribelli nigeriani mentre intorno a te tutto esplode”.

Vide distintamente un rivoletto di sudore, probabilmente freddo, colare lungo la tempia di lui: “Accidenti. Di aneddoti sulla tua vita militare me ne hai raccontati tanti, ma non ci si abitua mai se sei un civile come me”.

“Ho avuto un po’ di avventure spericolate, già”.

Fecero il tratto di strada che li separava dall’ingresso della palestra. Poco prima di entrare lui si fermò, finendo inevitabilmente con l’arrestare anche la sua marcia.

“Kiyotaka, qualcosa non va?” gli chiese, un velo di preoccupazione nella voce.

“No no, tutto ok. Pensavo solo… sarà un problema?”.

“Cosa?”.

Sospirò prima di risponderle: “Ho il presentimento che alcuni dei nostri compagni prenderanno male… le cose per come sono fra noi”.

Oh. Quando parlava così Mukuro sapeva bene a cosa si stava riferendo.

Si riferiva al fatto che probabilmente erano gli unici due a non essersi sposati.

La questione era stata lunga e penosa, per certi versi. Aveva creato un grosso divario fra loro, giungendo a farli litigare pesantemente e a rischiare di mandare tutto all’aria.

Ishimaru, da buon uomo vecchio stampo, era deciso a volerla impalmare con tutti i crismi. Cerimonia occidentale (per qualche strano motivo) con macchina a noleggio, buffet per cinquecento persone, l’orchestra a suonare mentre si pranzava e tutte quelle buffonate lì.

Lei era stata inamovibile. No. Non ci pensava neppure.

Non sapeva spiegarsi bene il motivo che la portava a un rifiuto così deciso, sapeva solo che c’era e non voleva andarsene. Si era trovata a pensare in certi momenti che magari era dovuto allo stile di vita che aveva condotto da mercenaria. In Fenrir non c’era la possibilità effettiva di un rapporto duraturo, semplicemente perché ogni giorno era quello buono per morire in battaglia. Si era pertanto abituata a non considerare i legami interpersonali come qualcosa di stabile, finendo con il traslare questo atteggiamento anche nella propria sfera privata.

Inoltre c’era stato un altro fattore che, sebbene per vie traverse, l’aveva spinta a impuntarsi con tutte le proprie forze. E quel fattore, per la meraviglia di assolutamente nessuno, rispondeva al nome di Junko Enoshima.

In che modo sua sorella gemella aveva influito su una scelta del genere? Semplice: Mukuro aveva dovuto sudare non le canoniche sette, non quattordici, non ventuno ma ventotto camicie per convincerla a fare il grande passo con Oowada.

Al primo figlio si era scatenato un cataclisma di poco inferiore al disastro nucleare di Fukushima.

Al secondo si era sfiorata la magnitudine del terremoto che ha fatto sprofondare Atlantide.

Al terzo, finalmente, quella testa dura aveva mollato la spugna e aveva acconsentito a usare un po’ di buon senso.

D’altronde è brutto da dire, ma con tre marmocchi a carico e magari la sfortuna di ritrovarsi sola (vuoi perché lui ti molla, vuoi perché gli succede qualcosa) le tue prospettive si fanno grame.

Forse, inconsapevolmente, Mukuro cercava di distinguersi da lei in questo. Non che ci fosse nulla di male nello sposarsi in sé, solo che… non voleva.

“Fammi capire. Credi che qualcuno di loro ci guarderà storto perché non abbiamo ufficializzato?”.

“Ma no! È solo un pensiero stupido che mi è balenato in testa”.

“Vedi di non farmi preoccupare, su. Oggi sono di ottimo umore”.

“La cosa non succede così raramente come stai cercando di far credere”.

“...touché”.

Ripresero a camminare. Mukuro sentì una vocina nel suo cervello che le diceva come quello fosse solo il modo di lui di esternare il disappunto per aver visto le proprie aspirazioni di vita assieme infrangersi contro il suo muro di testardaggine.

Dev’essere una cosa di famiglia, la testardaggine. Doveva decidere se le faceva piacere o no avere un lato in comune con Junko.

Dopo la vocina malefica una piccola fitta al petto le fece presente che forse il suo uomo non si meritava un trattamento del genere, soprattutto in virtù del fatto che lui teneva davvero molto al pro forma e a lei non costava realmente niente darglielo.

No, non adesso. Adesso voglio solo divertirmi.

Ci penserò più tardi.

Ishimaru, da perfetto gentleman quale era, le aprì la porta della palestra.

Fecero un passo. Uno.

“RIN RUDOLPHVONSTROHEIM OOWADA! SMETTILA DI NASCONDERTI SOTTO LA GONNA DELLA ZIA CELESTIA!”
“Oowada giuro che defenestro quel marmocchio, E COMUNQUE NON SONO SUA ZIA!”

“Paponeeee, Toshiyuki mi ha rubato Valkyrieeeee!”

“Lo sai che gli piace un sacco, sii paziente e lascialo giocare un po’! Ora scusa ma devo inseguire tuo fratello, che ha deciso di fare il giro delle sottane insieme al figlio di Kuwata. Ehi, Kuwata!”

“Ho visto, ho visto! JEFF MARLONBRANDO KUWATA, ESCI DA SOTTO LA GONNA DELLA ZIA CELESTIA!”
“IO. NON. SONO. LA. ZIA. DI. NESSUNO!”

Mukuro osservò la scena in silenzio. Ishimaru si limitò a sospirare: “A quanto pare sono arrivati prima di noi…”
“Già…”

“Che facciamo?”
“Io voglio solo divertirmi e rivedere i miei ex compagni di scuola. Che se la veda mia sorella, sono figli suoi.”

Fecero un altro passo. Uno.

“Ehi, bambini! Sono arrivati zia Mukuro e zio Ishimaru, ANDATE A SALUTARLI!”

E vennero assaliti dallo Squadrone Oowada.

Mentre cercava di non soccombere all’entusiasmo dei suoi nipoti, Mukuro Ikusaba si ritrovò a maledire mentalmente sua sorella come non faceva da anni.

*

“Oh, hanno già cominciato, visto?”
“Perdonami mia Oscura Regina, ma nutrire i miei Deva diventa più complesso ogni giorno che passa. La mia Armata delle Tenebre è in ascesa.”
“Sì, diciamo pure che se la smettessi di far accoppiare i tuoi criceti sarebbe gradito.”
“...sono un allevatore, non posso impedire gli accoppiamenti. Sai com’è, il mio business si basa su quello.”

Sonia Nevermind si limitò a ridere, prendendo Gundam Tanaka (suo marito da ormai dieci anni, nonché re consorte dello stato di Novoselic) a braccetto e dirigendosi verso la palestra della Kibougamine. Fecero solo pochi passi prima di fermarsi e guardarsi attorno.

“Courtney? Courtney, dove sei?”

Niente.

Gundam inspirò: “Mia Principessa delle Profonde Tenebre, palesati di fronte a me.”

Una testolina ricoperta da una cascata di boccoli neri fece capolino dall’angolo del corridoio.
“Sono qui…”
“Perché ti nascondi? Non c’è niente di cui aver paura” continuò Gundam, inginocchiandosi e facendo cenno a Courtney, anni sei, di avvicinarsi. La bimba trotterellò verso il padre, e Sonia non riuscì a non trattenere un sorriso pensando a quanto padre e figlia si somigliassero: non solo l’abbigliamento e i capelli (ciocca grigia compresa), ma anche l’atteggiamento un po’ da chuuni che aveva contraddistinto Tanaka per tutta la sua adolescenza, nonché la timidezza cronica.

“È che io non conosco nessuno” continuò la bimba, abbassando la testa. “Gli altri bambini si conosceranno già…”

“Non è detto sia così.”
“E se fosse così?”

Sospirò. L’unico lato negativo nell’essere gli attuali regnanti di Novoselic era, appunto, l’essersi trasferiti lì in pianta stabile. Certo, avevano una casa in Giappone dove a volte passavano l’estate e che usavano per eventi come quella riunione di classe, ma era comunque una situazione pesante per una bambina timida come Courtney. Lei e Gundam avevano pensato che farla studiare a scuola invece di avvalersi dei tutori privati (come fu per Sonia prima di trasferirsi alla Kibougamine) potesse giovarle e renderla più espansiva...

Non avevamo tenuto conto di quanto sarebbe stata simile a suo padre pensò tra sé e sé, ricordando come Gundam Tanaka a diciotto anni si atteggiasse a Signore delle Tenebre solo per nascondere la sua profonda insicurezza.

Insicurezza che aveva cominciato a svanire nel momento in cui aveva deciso di buttare giù la maschera da stregone oscuro e confessarle il suo amore.

“Beh, se non entri non saprai mai se è vero” si unì a loro, inginocchiandosi accanto al marito. “Magari sono simpatici e vorranno sicuramente giocare con te.”

Courtney le restituì uno sguardo dubbioso attraverso la frangia: “E se non vogliono? Se mi trovano strana?”

“Se non hanno mai trovato strano tuo padre non troveranno strana neanche te” sorrise, attirandosi un’occhiataccia da parte di Gundam.

La bambina continuava a non essere particolarmente entusiasta all’idea di entrare in palestra. Sonia decise quindi che c’era un’unica soluzione. Si voltò verso Gundam: “Credo sia il caso di ricorrere a rimedi estremi. Lei che ne dice, mio Oscuro Signore?”

Gundam le restituì il sorriso, e non se lo fece ripetere due volte. Si alzò e si diresse verso la palestra, facendo svolazzare la sciarpa viola, suo marchio di fabbrica da anni.

Aprì la porta con fare teatrale.

“TREMATE, SCIOCCHI UMANI! L’ARMATA DELLE TENEBRE DI GUNDAM TANAKA È QUI!”

Accanto a lui, Sonia sorrideva fiera con le braccia conserte, sempre entusiasta all’idea di atteggiarsi a chuuni come quando era ragazzina.

“INCHINATEVI AL COSPETTO DEL SIGNORE OSCURO!”

E per fortuna era un hobby che anche Courtney condivideva.

La osservò per qualche secondo, ferma a braccia conserte in un’imitazione in scala di suo padre.

Sì, se la sarebbe cavata egregiamente.

*

Fuyuhiko Kuzuryuu si era fermato a pochi passi dall’ingresso della palestra, esterrefatto.

Mezzo metro dietro di lui Peko Pekoyama si era evidentemente arrestata a sua volta, perché nessuno lo aveva urtato sulla schiena.

Si era fermato perché voleva godersi fino in fondo la scenata da imperatore dell’oltretomba di Gundam Tanaka. I Kuzuryuu erano infatti appena dietro ai Tanaka-Nevermind (d’altronde i quarti di nobiltà li mette lei nella loro coppia, il doppio cognome è d’obbligo).

E porca vacca se quello non era cambiato neanche per sbaglio: sempre lì ad atteggiarsi a stregone supremo di ‘stocazzo, con la posa fiera e le parole altisonanti che per metà erano di sicuro inventate perché non volevano dire nulla di sensato.

Ah, mi sento di nuovo un marmocchietto al primo giorno di superiori. Non è così male come sensazione.

“Tutto bene, bocchan?” chiese una voce dietro di lui.

Ancora, dopo tutto quel tempo, lei non riusciva a non chiamarlo così. Se n’era fatto una ragione oramai, anche perché si era stufato di riprenderla ogni volta. E poi era diventato una sorta di nomignolo affettuoso e aveva smesso di infastidirlo.

“Tutto bene. Volevo solo gustarmi Tanaka che dava fondo alle sue riserve da attore teatrale consumato”.

Peko si portò al suo fianco, un sorriso radioso stampato in faccia. Esattamente come lui, sembrava davvero molto felice di quella rimpatriata.

“Mi mancava sentirlo sproloquiare sui Deva e sulla fine del mondo” aggiunse, ricevendo un cenno d’assenso dalla moglie.

“Anche a me. Oh Fuyuhiko, non vedo l’ora di rivederli…”.

“Ti sono mancati, eh?”.

“Come sono mancati a te”.

“Non lo nego. Farò pressioni a Hinata per far sì che la prossima riunione di classe non sia fra altri dieci anni”.

Si scambiarono un altro sorriso, per poi entrare mano nella mano.

Per una casualità la prima faccia nota che incrociarono fu quella di Mondo Oowada, impegnato a inseguire un bambino di circa sei anni, forse sette, che correva a perdifiato: “RudolphVonStroheim, vieni qui! Maledetto ragazzino pest… ooooooh, guarda chi c’è! Il boss in miniatura e la sua sempre bella compagna! Ma che piacere!”.

Ma tu guarda se doveva proprio essere lui. Che sfiga atroce.

“È davvero un piacere, Oowada-san!” rispose Peko per lui. Non limitandosi a un semplice saluto gli si avvicinò e gli diede un vigoroso abbraccio, presto ricambiato dall’ex Biker.

Il velocissimo moto di gelosia che lo attraversò venne presto sostituito da un sentimento molto meno ostile. Aveva difatti raccontato a Peko di come fosse principalmente merito dell’uomo col pompadour se lui aveva trovato il coraggio necessario per dichiararsi. Entrambi gli erano grati per quel breve discorso di tanto tempo addietro e lo consideravano, a torto o a ragione che fosse, un po’ il loro Cupido personale.

“A te come va, venditore porta a porta di cravatte agghiaccianti? Stai sempre con quella spostata di Enoshima?”.

“Non solo ci sto sempre assieme” dichiarò quello con orgoglio “ma me la sono sposata e ci ho anche fatto tre figli. Di cui uno vi è sfrecciato davanti pochi istanti fa”.

“Che cosa? Hai procreato? Con lei? Porca puttana, dillo che vuoi distruggere il mondo!”.

“Mi chiamavano Inseminator. E per tua informazione tre sono stati sfornati e altri due sono in fase di lievitazione”.

“Le tue metafore culinarie mi fanno rabbrividire, lo sai?”.

“Per la miseria Oowada-san, vi siete dati davvero da fare…”.

“Lo puoi dir forte, Pekoyama. D’altronde sai, quando si ha il mio fascino e il mio attrezzo…”.

“Perfavorenontisonostatichiestiiparticolari”.

“Ma quanto sei suscettibile. E dimmi, sulla Kawasaki giocattolo ci hai messo il sidecar per la tua dolce metà o siete venuti su una macchinina di quelle dell’autoscontro?”.

I reiterati, odiosi riferimenti alla sua lillipuziana altezza (e, a detta di qualcuno, era persino riuscito a perdere qualche centimetro nel frattempo) guastarono un po’ il lieto umore di Kuzuryuu, ma non abbastanza da impedirgli di stare al gioco e passare i successivi minuti a scambiarsi carinerie con Oowada in ricordo dei bei tempi andati. Naturalmente si minacciarono a vicenda di pestarsi, ma era evidente come nessuno dei due lo intendesse seriamente.

Siamo troppo vecchi per queste cose. Ormai quant’è, tre anni… no, forse quattro che non prendo un pugno.

Poi i doveri di padre di Mondo lo condussero lontano da loro, che invece ripresero l’esplorazione e l’opera di tornare in contatto coi presenti.

Fecero un rapido giro. Salutarono Mioda e l’Impostore, Tanaka e Nevermind (e non mancò di fargli i complimenti per l’entrata in grande stile, come si confà a ogni buon Signore Oscuro), Hinata e quell’esserino adorabile di Nanami. E via via tutti i presenti, inclusi quelli della 78.

Certo che, fra dolci attese e pargoli già sgravati, i miei ex compagni non hanno di certo dormito sugli allori. E non solo loro, che Oowada ed Enoshima da soli fanno per cinque.

Fuyuhiko desiderava dei figli. Purtroppo con Peko c’era stata un po’ di sfortuna, compreso un tragico aborto spontaneo. Ma non si erano mai persi d’animo, erano ancora giovani e prima o poi il tanto voluto erede sarebbe arrivato.

Però cazzo, il clima da asilo nido che si respira qui dentro non mi è proprio di conforto…

Si impose di non pensarci, non voleva rischiare di rovinare tutto per sé e per la moglie. E poi quello era un giorno felice, poco delicato sporcarlo con simili pensieri fuori luogo. Lanciò uno sguardo fugace a Peko, intenta ad osservare quella mandria di bambini di ogni età con un sorriso dolce sulle labbra.

Ti prometto che arriverà anche il nostro momento, Peko. Fidati.

Stava per prenderle la mano e rassicurarla a voce alta, quando gli schiamazzi dei bambini richiamarono la sua attenzione. In particolare lo incuriosirono tre vocine che non aveva sentito fino a qualche minuto prima.

“Perché sei uguale a papà?”
“Veramente è LUI uguale A ME.”
“E perché?”

“Perché TUO PADRE È UN COPIONE!”
“E perché?”
“Veramente papà è più bello.”
“COME OSI PARLARE COSÌ A BYAKUYA TOGAMI?”
“Anche papà è Byakuya Togami!”

“Quindi sei anche tu nostro papà?”
“MA NEANCHE PER IDEA! IMPOSTORE RICHIAMA I TUOI MOSTRICIATTOLI!”

...ok magari aspettiamo un po’.

Un urlo dall’altro capo della palestra lo informò del fatto che lo Squadrone Oowada aveva attaccato le sottane di Saionji, con estremo godimento di Ludenberg (prima che tornassero ad invadere le sue).

...direi che fretta non ne abbiamo, se il rischio è di mettere al mondo simili satanassi.

Tornò a voltarsi verso Togami, ancora intento a strillare come una bertuccia contro tre ragazzini biondi che ad un’occhiata superficiale potevano passare per figli suoi, biondi com’erano; un’analisi più attenta però smentì la sua teoria, in quanto Togami teneva già in braccio una bimba molto più piccola (e che è un clone perfetto di Fukawa. Ragazza mia, ne hai avuto di coraggio per sposare quella diva mancata!), e perché i bambini biondi che lo stavano assaltando erano decisamente… rotondi, per così dire.

A guardarli così potrebbero essere figli del nostro Togami…

E neanche a farlo apposta, quest’ultimo si avvicinò ai ragazzini e li richiamò all’ordine: “Da bravi ragazzi, non date fastidio al signore” lo sentì dire, con un sorriso così divertito che poteva sentire l’ex Scion ringhiare da lì.

Mai capito perché avesse deciso di prenderlo di mira, ma le reazioni di Togami sono onestamente impagabili.

Osservò i tre bambini biondi, tre maschietti paffutelli e tutti e tre identici. Ah però, one shot three twins sorrise tra sé e sé, notando come, nonostante somigliassero al papà, caratterialmente avevano preso tutto da mamma.

Tre fotocopie dell’Impostore con il carattere di Ibuki? Dio, fa che non diventino amici della progenie Oowada…

Solo allora notò un quarto pargolo in braccio all’Impostore, una bimba minuta con i capelli lunghi e neri, identica a Mioda. In mano stringeva un libro di fiabe illustrate.

Kuzuryuu non riuscì a non ridere. “Questa sì che è buona!”

“Hm? Detto qualcosa, bocchan?” chiese Peko, incuriosita. Lui fece un cenno con la testa verso i quattro pargoli Mioda-Impostore: “Niente, è che la genetica ha avuto uno strano senso dell’umorismo con i figli di Ibuki.”
“Non credo di seguirti.”
“Come no? Guarda i tre gemelli, identici al padre e casinari come la madre” indicò i ragazzini, “e poi guarda la piccolina che lui tiene in braccio.”
“Potrebbe essere tranquillamente Ibuki da piccola” sorrise lei.

“Ma con il carattere e gli hobby di papà, a quanto pare” disse, riferendosi al libro e a quell’aria tranquilla e paciosa.

Peko rise. “Chissà come sarebbe nostro figlio… o nostra figlia…” sospirò, senza voltarsi a guardare Kuzuryuu.

Ahia. Ci risiamo…

“Chi lo sa, magari una bambina identica a me ma col tuo carattere” azzardò, sperando di non aver fatto una gaffe, ma la ex Super Spadaccina annuì: “O magari un bimbo simile a me, e attaccabrighe come te.”

“Ehi! Guarda che sono quasi quattro anni che non faccio risse.”
Peko rise di nuovo, una risata stranamente felice.

“Beh, immagino che tra qualche mese potremmo cominciare a fare ipotesi più concrete su questo bambino” disse lei, accarezzandosi la pancia.

Ci volle qualche minuto prima che Kuzuryuu recepisse il messaggio subliminale. Quando lo fece riuscì ad attirare l’attenzione dell’intera palestra, saltando sul tavolo più vicino e mettendosi ad urlare a squarciagola: “Statemi bene a sentire! Sono orgogliosissimo di annunciare che io e la mia signora diventeremo genitori per la prima volta fra qualche mese. Fateci gli applausi!”.

E in tanti gli fecero gli applausi. Tranne Jin Kirigiri che andò di persona ad estirparlo dalla sua sopraelevata posizione.

“Kuzuryuu!” tuonò “ti pare il modo di comportarti? Tre mesi di punizione!”.

Tutti i presenti lo guardarono a dir poco scioccati per l’uscita. Pareva essersi dimenticato che ormai non erano più suoi alunni da un decennio.

*

Kizakura non riusciva a trattenere le risate per l’ultima uscita di suo marito.

Quell’uomo era proprio preside dentro e non bastavano di certo quisquilie come quella a impedirgli di esercitare la professione.

Santo cielo, sarà una serata fantastica.

Aveva sempre adorato questo tipo di raduni. Poi è vero, per come era fatto adorava praticamente qualsiasi cosa e sapeva ridere anche di una colonia di cimici… ma in quel caso era ancora più vero.

Nonostante tutto, però, trovò appropriato avvicinarsi ai due e far presente che forse si era fuori tempo massimo: “Jin, caro. Io capisco che tu ami il tuo lavoro. Ma vorrei umilmente farti notare che non hai più l’autorità di mettere in castigo chicchessia in questa palestra. Tranne forse tua figlia Kyouko, se sei in vena di suicidarti”.

L’altro lo guardò come se avesse appena detto la peggior bestialità del mondo, mentre Kuzuryuu ripeteva a pappagallo l’appello dell’ubriacone per districarsi da quell’imbarazzante situazione.

Ci volle ancora un po’, ma alla fine Kizakura riuscì a farlo rinsavire e lo convinse a lasciar perdere.

Una volta allontanatosi l’ex Gangster, i due rimasero soli a guardarsi. Poi Jin disse: “Uff. Dovrei imparare a darmi una regolata, non è vero?”.

“Ma no, sei perfetto così”.

“Sì, ma hai ragione quando dici che esagero. Non so cosa mi abbia posseduto in quel momento, mi è scattato come…”.

“...come se non fossero passati dieci anni e lui fosse ancora un membro del corpo studentesco. Lo so, lo so. Me l’hai spiegato un milione di volte”.

“Che ti devo dire, Koichi? Sono fatto così e non riesco a farmela passare”.

“Guarda che non ti devi mica giustificare con me. Io ti trovo divertente quando pisci fuori dal vaso”.

“Tu troveresti divertente anche dell’intonaco scrostato, Kizakura-san”.

“Oooooooooooooooh. Se mi chiami per cognome vuol dire che sei arrabbiato con me. E va bene, vorrà dire che mi farò perdonare più tardi. Tanto so bene come fare”.

“Sì, ma stavolta sto sopra io”.

“Ok ok, come preferisci. Sei tu quello che deve sbollire”.

Grazie per reggermi il gioco, vecchio mio.

Si scambiarono ancora due parole, poi lo vide allontanarsi per una non meglio precisata causa.

Prese a guardarsi attorno, cercando una nuova fonte di ilarità. E la trovò quasi subito nella figura di Byakuya Togami che, figlia in braccio, si stava avvicinando.

“Guarda un po’ chi viene a trovarmi, l’erede della Togami Zaibatsu con prole al seguito. A cosa devo l’onore?”.

“Innanzitutto ci tenevo a salutarla formalmente, signor Kizakura. In seconda battuta ero curioso di porle una domanda”.

Indovina indovinello.

“Dimmi pure, ti ascolto” disse, estraendo la fidatissima fiaschetta dell’alcool e prendendone un generoso sorso. E così facendo si avvide di tutta una serie di persone, da Kuwata a Oowada passando per Tanaka e Mioda, che gli si erano messi attorno a portata d’orecchio. A quanto pareva il caro Togami si era fatto più o meno volontariamente portavoce di un gran bel gruppetto.

“Sin dai tempi in cui frequentavamo girava una voce… come definirla… intima riguardante lei e il preside Kirigiri. Vorrei far notare che io non vi ho mai dato peso, ma…”.

“Capito. Vuoi sapere se io e Jin abbiamo un rapporto che esula da quello professionale”.

La faccia sbiancata e il balbettare sconnesso del suo interlocutore lo fecero scoppiare a ridere platealmente.

‘Sto ragazzo è una fonte inesauribile di divertimento. Non cambiare mai, mi raccomando.

“Sì, in effetti… era ciò che volevo chiederle…”.

“Vedi Togami, mi limiterò a risponderti con uno stringato no comment. Confido che tu sappia cosa vuol dire, ti ho sentito usarlo spesso e volentieri nelle tue interviste quando ti si chiedeva se eri implicato in quel giro di escort d’alto bordo”.

Fu un attimo: alle spalle di Byakuya si alzò un’aura potentissima, che probabilmente veniva da sua moglie.

E adesso te la vedi tu con lei, ciccino.

Kizakura se ne andò fischiettando, sempre più soddisfatto dall’evolversi degli eventi.

*

“Avanti, lo sai che era solo uno stupido scandalo creato da quelli della Cradle Pharmaceutical!”

“Hmpf.”
“Dai, Touko…”
“...”
“Sigh.”

Magari ho un po’ esagerato…

In realtà Touko sapeva benissimo che la storia delle squillo era stata montata ad arte dalla Cradle per soffiare alla Togami Zaibatsu un grosso affare (tentativo ovviamente fallito), ma non riusciva a non provare un moto di gelosia ogniqualvolta qualcuno accoppiava il nome di Byakuya a quello di una donna che non era lei.

“Gli anni passano e mamma resta ancora una diciassettenne senza un briciolo di autostima” disse cullando invano Shinobu, che di dormire non voleva proprio saperne. “Sono proprio senza speranza, eh?”

La piccola si limitò a ridacchiare e accoccolarsi contro la spalla di Touko, continuando a sussurrare versi senza senso con una vocina che la mandava in brodo di giuggiole.

“Aaaw, meno male che ho te” squittì, anche se qualcosa - meglio, qualcuno nella sua testa continuava a ricordarle che stava solo facendo una scena madre degna di Byakuya-sama, e senza ragione.

Odiava dover dare ragione a Genocider Syo (aveva attribuito a lei la voce, sebbene non avessero mai potuto comunicare direttamente), ma era vero: stava ingigantendo una cosa che, in realtà, non esisteva.

Anche se la sua reazione all’arrivo dell’Impostore non ha sicuramente migliorato il mio umore…

Nonostante gli anni, erano rimasti una coppia di adolescenti che non sapeva come gestire la propria relazione, e i continui rimarchi di Shinobu (la sorella maggiore di Byakuya) sul chiedersi quanto mai avrebbero potuto far durare quel rapporto non avevano sicuramente aiutato. Persino Togami senior ci aveva impiegato quasi un anno prima di dare la sua benedizione a quel rapporto nato lontano dai riflettori della Zaibatsu.

Touko Fukawa aveva davvero dovuto sudarsi quel ragazzo (e non nel modo in cui speravo… non subito, ecco) e quel matrimonio, ma ci era riuscita, finendo per entrare a far parte della famiglia più ricca di tutto il Giappone. Poi che fossero degli squilibrati poco importava, dato che quella da cui proveniva era molto ma molto peggio.

Chissà se i miei sono ancora vivi si domandò distrattamente, mentre asciugava il nasino a Shinobu. “Certo che un nome migliore potevamo trovarlo” borbottò. “Sarà anche carino ma mi riesce difficile a non pensare a quella pazza di tua zia…”

I suoi pensieri vennero distratti proprio dalla bimba, che improvvisamente cominciò a sporgersi e indicare qualcuno o qualcosa dietro di lei balbettando parole a caso come pa o ba.

“Che c’è? Chi hai visto? Papà?”

E in effetti era proprio il papà che indicava… in compagnia di una presenza a Touko molto sgradita.

...Sonia Nevermind.

A quanto pare l’essere tornata a Novoselic per occuparsi del suo regno non le aveva impedito di presenziare alla riunione dei suoi ex compagni di classe.

E attaccare bottone con mio marito.

Soffocò un ringhio, ben sapendo che la Principessa aveva sempre avuto occhi solo per Gundam Tanaka (e a giudicare dalla plateale entrata in scena se l’è anche sposato)... ma la parte più insicura di lei, la Touko adolescente vessata da una famiglia abusiva, continuava a dirle che i tradimenti esistono, anche e soprattutto tra coppie sposate da anni e ne aveva spesso scritto nei suoi libri, e lei e Byakuya non avevano nemmeno raggiunto il traguardo dei dieci anni di matrimonio (di fidanzamento c’erano vicini)...

Afferrò un bicchiere di soda dal tavolo degli antipasti e lo sorseggiò, cercando di impedire a Shinobu di appropriarsene. Continuò a lanciare occhiate a Byakuya e Sonia, probabilmente immersi in discorsi per Gente di un Certo Livello (in teoria anche io e Tanaka ne facciamo parte, no? No…?), e vuoi perché si trovavano in palestra, vuoi per l’atmosfera, improvvisamente si ritrovò catapultata indietro di dieci anni durante quella dannata festa, quando aveva visto l’allora adorato Byakuya-sama ballare con la Super Principessa, e si era quasi sentita morire.

...sto proprio diventando melodrammatica come lui.

“Sembra proprio di essere tornati indietro di dieci anni, non è vero?”

Trasalì nel sentire la voce di Sayaka Maizono, ritrovandosela di fianco proprio come in quell’occasione.

Bevve un altro sorso di soda giusto per camuffare l’imbarazzo: “P-perché lo dici?” balbettò, maledicendosi. Erano anni che non balbettava quasi più.

“Che domande, sono una esper.”

Touko inarcò un sopracciglio. Non pensava avrebbe sentito di nuovo quella frase, non alla loro età almeno.

“Ovviamente scherzo” sorrise la ex Super Idol, “ma la scena sembra quella di tanti anni fa.”
“Pure troppo” si intromise Junko, facendosi largo col pancione e un vassoio di antipasti in mano. “Raggio di Sole non vorrà mica farmi intervenire di nuovo per rimetterlo in riga, vero?”

“Non ce ne sarà bisogno, Enoshima-san. Sono sicura che abbia imparato la lezione… ma posso sempre dirgliene quattro, se serve.”

Tutte e tre si voltarono a guardare la riconoscibilissima figura di Sakura Oogami, accompagnata come sempre da Aoi Asahina e quello che, a giudicare dalla stazza, doveva essere il famoso Kenichiro, storico fidanzato della Super Artista Marziale.

“Oogami! Asahina!”
Si scambiarono i soliti convenevoli, abbracci e domande di rito. Shinobu e Jin vollero persino andare in braccio a Sakura, apparentemente avendola presa in simpatia all’istante.

“Ma quanto sono carini!” chiosò Aoi, acchiappando le guancine paffute del pargolo Naegi. “Sono identici a voi! Meno male che Shinobu non somiglia a suo padre…”
“Aoi!”
“Avanti Sakura-chan, sai che scherzo!”

Touko per fortuna la prese sul ridere, dimenticando per un attimo la scena alle sue spalle.

“E tu, Asahina?” chiese Kyouko. “Non hai portato nessuno, stasera?”

La ragazza arrossì di colpo: “Ehm… ecco…”
“Ecco…?”
“Avanti, dicci tutto!” ficcanasò Junko, con la sua solita discrezione. “Nessun bel nuotatore su cui hai messo gli occhi… e le mani?”

“Beh...” arrossì ancora di più l’altra, “qualcuno ci sarebbe… solo che…”
“Solo che?” chiesero in coro le altre, curiose.

Oogami, il tuo sorrisetto di chi la sa lunga non aiuta per niente!

Aoi si voltò alla sua sinistra, facendo ciao con la mano a qualcuno. Subito Touko e le altre si voltarono, cercando con lo sguardo qualche aitante atleta olimpionico, ma senza successo. Appurato che sicuramente il misterioso accompagnatore non era Hanamura e nemmeno Komaeda (ommioddio, esiste ancora!), l’unica possibilità che rimaneva era una ragazza dai capelli lilla chiaro e una mascherina a coprirle il volto. Quest’ultima ricambiò il saluto arrossendo ancor più di Asahina, confermando la loro teoria.

“È… è lei?” chiese Touko, con occhi sgranati.

“È UNA LEI?” sottolineò Junko, con la solita delicatezza.

“Ci siamo conosciute durante i mondiali… lei era il medico di gara, io dovevo fare i controlli di rito e…” sorrise, distogliendo lo sguardo. “Sapete com’è, da cosa nasce cosa…”

“No che non lo sappiamo! Io non ho mai avuto un’esperienza lesbo, ho sempre preferito i maschioni sudati e pelosi! E credo anche loro. Devi raccontarci tutto tuttissimo!”.

Santa polenta Enoshima, non è possibile che più invecchi e più peggiori.

Saltarono fuori un po’ di dettagli: la fortunata si chiamava Seiko Kimura, aveva due anni più di loro ed era anche lei al suo primo tentativo omosessuale (non essendosi mai, pare, interessata al lato sentimentale della sua vita prima di conoscere Asahina). E soprattutto l’informazione più succulenta: era rimasta coinvolta nel famigerato incidente che aveva portato, l’anno prima della loro faida con la 77, all’esplosione della palestra. Aveva frequentato la Kibougamine col titolo di Super Farmacista, in quanto capace di creare le più assurde medicine dai più svariati effetti. Per questo Aoi aveva dovuto difenderla da insinuazioni poco carine, secondo le quali la sua ragazza le dava gli aiutini chimici prima delle gare.

“È una situazione… inaspettata” disse Sayaka, un poco imbarazzata “ma comunque è bello che tu ti sia trovata qualcuno. Da quanto state assieme, esattamente?”.

“Fra un paio di mesi sono ormai… uno, due, tre… quattro. Quattro anni”.

“Epperò. Un’avventura che sta diventando una storia vera? Speri tanto che sia sincera?”.

“Maizono cara, va bene che sei ancora sulla cresta dell’onda alla tua veneranda età in un mondo spietato come quello della musica. Ma se potessi evitare di fare le rime involontarie…”.

“Ops. Scusate, deformazione professionale”.

“Beh Maizono, per rispondere alla tua domanda… sì, immagino che ormai la si possa definire così” confermò Asahina grattandosi la nuca “Le voglio davvero un mondo di bene”.

“Allora perché non ce la presenti?”.

“Volentieri. Seiko-chan! Seiko-chan!”.

La poderosa voce della Nuotatrice riuscì a sovrastare il gran casino provocato da bambini vari (leggasi: principalmente lo Squadrone Oowada e i piccoli Mioda, in mancanza del cognome del padre). Quando le due furono fianco a fianco, Aoi non esitò a stringerla a sé per un braccio.

Ok, Asahina è sempre stata espansiva. Ma il modo in cui l’ha fatto mi suggerisce che diceva il vero, prima.

Le strappò un bacio sulla guancia per accoglierla, poi provvide a presentarla: “Ragazze, lei è Seiko Kimura. La mia fidanzata”.

La suddetta fidanzata si limitò a un nervoso saluto con la mano. Pareva davvero molto sul chi va là, sensazione confermata dal suo continuo guardarsi attorno guardinga.

...mi ricorda qualcuno.

Le ragazze cercarono ovviamente di metterla a proprio agio non mostrando il minimo segno di inquietudine di fronte alla novità (e Touko comunque non dubitava che non dovessero per nulla sforzarsi in tal senso). Purtroppo i loro tentativi vennero un po’ sviliti dalle sue reazioni, cortesi ma evidentemente non tranquille.

Dopo qualche veloce chiacchiera preferì allontanarsi, lasciando la povera Aoi a doversi scusare per conto suo con le ex compagne: “Vi prego di non prendervela a male, ha un carattere… difficile e si fa un sacco di problemi quando si trova in un ambiente che percepisce come ostile”.

“Confermo quanto dice” si inserì Sakura “Ho avuto il piacere di conoscerla in circostanze diverse e vi posso assicurare che la sua reazione è dettata solo da un’esagerata ansia”.

A Touko fece male sentirle parlare così. Ma ancora più male le fece vedere lo sguardo dispiaciuto di Aoi.

In questa palestra è successa forse la cosa più dolorosa della mia vita. Ma non devo dimenticarmi che, solo pochi giorni prima, le persone che ora mi circondano sono state gentilissime e carinissime con me e mi hanno aiutata a venir fuori dal mio stato di timidezza congenita. È ora di ricambiare il favore.

“Signore” prese parola Touko mettendosi al centro del loro piccolo capannello “vi va di rinverdire gli antichi fasti e di rimettervi alla prova come consolatrici di fanciulle bisognose?”.

*

“Porca miseria sono in mega ritardo mi sbranano mi sbranano Mondo-kun mi userà come tubo di scappamento della moto!” guaì Chihiro Fujisaki mentre afferrava al volo la giacca e chiudeva sbrigativamente la conversazione telefonica con suo padre Taichi.

Ecco, così imparo a fermarmi per provare a programmare il sistema di sicurezza della JAXA in mezza giornata. Stupide scadenze.

Si scapicollò giù per le scale del palazzo e in brevi istanti fu in strada. Per sua fortuna abitava a pochi isolati di distanza dalla scuola, il che gli facilitava un pochino il compito.

Procedette a passo spedito.

Credo sarò l’unico a presentarmi da solo. Sarò di nuovo usato come cavalluccio da quel piccolo barbaro di Rin RudolphVonStrunchaim o come stradiavolo si chiama…

Finalmente abbiamo la mosca bianca, colui che non aveva rispettato la tradizione della classe 78 e si sarebbe fatto vivo senza portarsi come dolce metà un ex compagno o compagna di classe. In realtà c’era anche Celes che figurati se quell’arpia si trova un fidanzato fisso con tutti i polli che ha da spennare al tavolo da gioco, ma questo Chihiro lo ignorava. Pensava di essere l’unico.

La cosa, gli scocciava ammetterlo mentre camminava, non lo faceva stare tranquillo. La parte più malfidente di sé lo portava a pensare che forse qualcuno gli avrebbe rivolto qualche sguardo strano, per un non ben precisato senso di superiorità. O perché non si era adattato come ogni buona persona normale alle esigenze della società che ti voleva sposato dopo una certa età.

Il fatto è che a Chihiro queste cose non interessavano. Non aveva mai avuto una reale occasione di fare chiarezza dentro di sé, specialmente sul versante A me chi piace? I maschi? Le femmine? I transistor? e quindi il problema era rimasto a macerare sul fondo dell’oceano. Ma più in generale era proprio una mancanza di passione nel merito da parte sua, che al contrario di apparentemente il resto del mondo si sentiva a posto anche senza una persona al suo fianco. E poi era sempre pieno di cose da fare, computer da non far esplodere, attacchi DoS da scongiurare. Chi si sarebbe preso la briga di sopportare orari degni di uno schiavo nero nell’America rurale del 1800?

Ecco, metti che si fosse trovato una fidanzata, o un fidanzato, o un cane. Coi ritmi folli a cui si sottoponeva a causa del suo lavoro, questo ipotetico essere vivente avrebbe finito col vederlo nei dieci minuti prima di coricarsi e nei dieci minuti post-sveglia. Il resto della giornata sarebbe stato off-limits. Che razza di rapporto sarebbe stato?

Quindi no, non se ne parlava almeno per il momento. Stava bene come stava e non intendeva dare una simile pena a un’altra persona.

A ben pensarci, dire che al momento non era interessato a trovare una persona per sé non era esatto. In realtà… Chihiro non riusciva ad immaginarsi in una relazione.

Aveva visto nascere tanti amori nella sua classe, persino nella 77, ma mai aveva avuto pensieri del tipo un giorno toccherà a me o chissà se anche io troverò qualcuno.
E più passava il tempo, più si rendeva conto che era una cosa che gli calzava a pennello.

Amava i suoi amici più di ogni altra cosa al mondo, ma non aveva mai provato attrazione o sentimenti romantici per nessuno. E a lui andava bene.

Il vero problema era spiegarlo agli altri.

Non aveva ancora affrontato l’argomento con i suoi genitori: erano due persone adorabili e aveva un rapporto molto stretto con suo padre, ma temeva non avrebbero capito.

Lavorare da casa gli risparmiava la fatica di dribblare eventuali colleghi ficcanaso (e di lavorare molto più tranquillo e molto più in fretta), mentre gli amici…

Stasera mi toccherà, temo.

A onor del vero, Ishimaru e Mondo ne erano al corrente da molti anni. Avevano continuato a frequentarsi anche dopo la scuola, e Chihiro aveva assistito alla nascita di tutto lo Squadrone Oowada e ai battibecchi sul matrimonio tra Mukuro e Junko. Chihiro sorrise ripensando al momento in cui aveva confessato ai suoi due migliori amici perché aveva sempre rifiutato ogni tentativo da parte dei due di presentargli una ragazza: aveva temuto reazioni esagitate e fuori dalla grazia dei Kami (vuoi perché Ishimaru è sempre stata una persona quadrata, vuoi perché Mondo e pacatezza non sono parole che possono stare nella stessa frase), ma con sua somma sorpresa (e un po’ di rammarico per averli sottovalutati così tanto) i due ragazzi avevano semplicemente accettato la cosa senza fare domande o insinuazioni. Certo, quando le Sorelle Disperazione lo vennero inevitabilmente a sapere ci fu un po’ di trambusto, perché anche Junko non faceva rima con tatto e discrezione, ma nulla che non potesse essere superato.

Ma gli altri? Cosa diranno?

Si sentì una persona orribile a pensare male dei suoi vecchi amici, quelli che in fondo non avevano mai fatto battute o insinuazioni sulla sua divisa femminile… anzi, il tiro mancino di Saionji ai suoi danni fu una delle ragioni che fecero partire la faida.

La parte razionale di sé gli disse di provare a dare più fiducia ai suoi amici, che non se ne sarebbe pentito; ma il Chihiro di dieci anni prima, spaventato e timoroso, lo pregava di non farlo. Mentre discuteva con se stesso si ritrovò di fronte alla porta della palestra, che anche se chiusa attutiva a malapena le urla belluine dei suoi nipotini acquisiti.

O la va o la spacca.

Aprì la porta e venne investito da un’ondata di ricordi della sua adolescenza, della famosa festa in cui Togami dichiarò involontariamente guerra alla quota femminile della classe…

“Zio Chihiro!”

“Zio Chihiro!”
“CHICHIHIRO!”

...per poi venire letteralmente investito da quei monelli dei figli di Mondo.

“Eccovi qui, ragazzacci che non siete altro!” chiosò, lasciando che i bambini gli saltassero addosso.

“Finalmente! Lo sai che sei in ritardo?”

“Scusa Ishimaru-kun, chiamata di lavoro dell’ultimo minuto” sorrise, e l’ex Prefetto gli concesse il perdono solo perché si era trattato di contrattempi importanti. Mondo, accanto a lui, scosse la testa: “Kyoudai, per favore, lascialo respirare! È appena arrivato e gli vuoi già snocciolare tutto il regolamento della Kibougamine?”
“Come ai vecchi tempi” osò Chihiro, scatenando l’inevitabile reazione piccata di Ishimaru. Mentre quest’ultimo sbolliva, l’ex Biker lo aiutò a rialzarsi: “Allora, pronto a rivedere la vecchia gang?”

Il significato nascosto di quella domanda non gli sfuggì.

“Non sarò mai pronto, credo” inspirò, “ma ormai sono in ballo…”
“...e ti tocca ballare” concluse Mondo dandogli una pacca sulla spalla. “Ma li conosci, non ti metterebbero mai a disagio”.

“Hai ragione anche tu” confermò lui con un breve sospiro.

Al diavolo, vada come vada.

Si fece accompagnare verso il capannello più vicino, quello composto dai Naegi e da Byakuya Togami. Quando li salutò fu grande festa, specialmente da parte di Makoto: “Fujisaki-kun! Che bello rivederti dopo tutto questo tempo!”. In preda alla foga lo abbracciò con vigore, scatenando tutta una serie di reazioni inconsulte (sia da parte di Chihiro stesso, sia da parte di sua moglie).

“Accidenti, Naegi-kun. Non con tutto questo entusiasmo, suvvia”.

“Ma dai, è un secolo che non ci vediamo! Un po’ di brio mi sembra il minimo!”.

“Sì, ma mi imbarazzi…” pigolò intimidito.

La rottura dell’abbraccio fu immediata: “Oh cavolo, mi dispiace. Non volevo metterti a disagio! Scusa, scusa!”.

“Tranquillo, tranquillo. Non c’è problema” cercò di smorzare, nascondendo malamente le guance arrossate.

Ci fu qualche secondo di silenzio, di quelli tesi e poco simpatici. Poi, per fortuna, l’atmosfera gioiosa della rimpatriata ebbe la meglio e portò Chihiro a chiedere aggiornamenti su di lui.

“Oh, non mi posso proprio lamentare. Sono felicemente sposato da…”.

“SEI SPOSATO? E CON CHI?”. L’ex Programmatore fu il primo a stupirsi di tutto questo impeto nella domanda, ma la notizia l’aveva genuinamente spiazzato. Per qualche imperscrutabile motivo lo scenario gli risultava… strano.

“Stavate parlando di me?” fece capolino la chioma lilla di Kyouko. Non seppe spiegarsi il perché, ma a Chihiro la sua entrata in scena parve quella di un venditore porta a porta vestito con delle cravatte brutte. Si pentì istantaneamente del pensiero.

“E comunque un’uscita del genere me la sarei aspettata da quel cavernicolo di Togami” rincarò la dose lei “e non di certo da te, Fujisaki. Mi deludi”. Il suo sguardo e il suo tono, però, tradivano una sana dose di ironia e nessun intento serio. Si rilassò nel constatare che non se l’era presa.

Poi ogni funzione vitale di Chihiro si azzerò: in braccio a Kyouko c’era il bambino più carino, tenero e spupazzabile che avesse mai visto in vita sua. Chiese timidamente di poterlo prendere e, una volta ottenuto il permesso, cominciò a coccolarlo neanche fosse figlio suo.

Naegi sembrò accorgersi di qualcosa, almeno a giudicare dal suo volto, ma preferì non dir nulla.

“Fujisaki, sei venuto da solo”.

Cattivo da parte mia pensarlo, ma ammetto che la delicatezza da bulldozer di Byakuya Togami non mi era mancata in questi ultimi dieci anni.

Ok, sapevo che questo momento prima o poi sarebbe arrivato. Togliamoci il dente.

“In effetti sì, Togami-san” rispose mentre faceva i grattini sotto il mento di Jin, tentando di mantenere il più possibile il sangue freddo.

“Nessuna dolce metà a riempire la tua vita, dunque?” raddoppiò il carico quell’altro campione di diplomazia di Kirigiri.

...vi siete messi d’accordo prima, per caso?

L’espressione di Naegi era a dir poco inorridita. Forse aveva intuito il peso dietro queste apparentemente innocue esternazioni, ma aveva troppo rispetto (o paura) della moglie per farsi sentire.

“Ammetto di no. Vedete, in questo tempo mi sono reso conto che…” cominciò, conscio che sarebbe stato un discorso lungo e complesso.

*

“Allora Nekomaru, ti ci vuole ancora molto?” sbuffò Akane, le braccia conserte e la schiena appoggiata alla porta del bagno.

“Un *grargh* secondo ancora… ci sono *urgh* quasi…” arrivò come risposta.

Bof. Più di dieci anni che lo frequento e quello lì non ha ancora imparato ad andare di corpo come un essere umano normale. Io faccio attività fisica almeno quanto lui, con le costole rotte e le spalle dislocate a testimoniarlo, e non devo fare tutte queste scenate.

Perlomeno l’esperienza le aveva portato un grosso vantaggio: aveva imparato a decifrare i suoi grugniti e ciò, unito al suo sempre invidiabile intuito, le permetteva puntualmente di evitare di prendersi l’esplosione in piena faccia.

“Eddai, sono tre ore che sei rinchiuso lì dentro! Ci stiamo perdendo tutta la festa!”.

“C’è in giro Ibuki *gnaaaark*, pensi che prima di domattina *guuuurgh* alle sei avremo finito?”.

Akane sapeva quando qualcuno la metteva nel sacco, e in quei casi si limitava a un colpevole silenzio.

Poi una vibrazione nell’aria le comunicò che il momento stava per giungere. Si grattò distrattamente un orecchio mentre si allontanava dall’epicentro.

BOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOM.

Dal cesso in fiamme emerse un ringalluzzito Nidai, sorriso smagliante e sua tipica risata roboante post-svuotamento. Dal lato opposto del disimpegno lei lo guardava scocciata: “Ti vuoi muovere o no? Stavo mettendo radici a furia di aspettarti”.

“Ma quanto la fai lunga! Lo sai che la prima regola dello stare bene…”.

“...è buon appetito, una buona notte di sonno e una buona cagata. Ma và? Su, alza le chiappe”.

Si diressero assieme verso la palestra.

Era anche ora, dannazione. Ho una fame ciclopica.

Caso volle che le prime persone che incrociassero fossero Ibuki e l’Impostore con marmocchi al seguito, tre maschietti che rombavano come missili attorno alla mamma e una bimba paciosa in braccio al papà.

Grandi baci e abbracci fra i quattro, che effettivamente non si erano più visti sin dal giorno del diploma.

“Ma sei stupenda, Ibuki! E nonostante le gravidanze non hai messo su neanche un filo di ciccia!”.

“Anche tu sei uno spettacolo, Akane-chan! Ibuki non può fare a meno di essere un po’ gelosa”.

“Fisicamente? Ma fammi il piacere, non dimostri neanche vent’anni”.

“Sì, ma non ho Serena e Venus a fare bella mostra di sé dalla tua camicetta aperta. Sarà contento il coach Nekomaru, della tua continuata generosità…”.

Lei si voltò verso il suo accompagnatore, cercando una risposta con lo sguardo. Lui si limitò a un sorriso allusivo.

...in effetti, dopo tutto questo tempo, sarebbe anche il caso di decidere cosa siamo l’uno per l’altra.

Per qualche strano motivo Akane si era sentita in un certo modo attaccata dalla frase di Ibuki. Stupidamente, se ne rendeva ben conto, ma non poteva fare a meno di considerarlo un affondo ai suoi danni. E quando Akane Oowari veniva attaccata, state pur certi che non si faceva problemi nel restituire il colpo.

Pertanto le venne naturale tirare fuori un episodio ormai sepolto sotto la marea del tempo (ma non più rosso dello stesso sangue): “Beh, forse sono più maggiorata di te ma non possiedo lo spirito da pazza che ti ha portata a fare il bagno nuda in piscina quella famosa domenica di tanti anni fa…”.

Al che la ex Musicista si mise a ridere sguaiatamente, rimarcando con forza che era stata solo una ragazzata e che poteva rifarla anche lì, sul momento. Ci vollero tre secondi perché suo marito la afferrasse da dietro implorandola di non darsi alla pazza gioia che c’erano dei bambini piccoli, non ultimi i suoi stessi figli.

Anche se Akane non poté fare a meno di notare un sorriso malvagio nello sguardo di lui, e il fatto che stava guardando in direzione di un certo Erede…

*

Ucci ucci, sento odor di peccatucci.

Kyouko odiava quel genere di battute, ma non potè fare a meno di riciclare mentalmente una delle uscite più celebri di Touko Fukawa visto quanto era appena accaduto.

Nell’ordine: Nidai aveva fatto la sua entrata in scena abbattendo i muri dopo una capatina al bagno, insieme ad Oowari; quest’ultima aveva fatto comunella con Mioda e, presumibilmente, tirato fuori discorsi vecchi di dieci anni, cosa che aveva portato la ex Super Musicista a ridere sguaiatamente e far sapere a quasi tutta la palestra che anni prima aveva fatto il bagno nuda in piscina.

Fin qui nulla di strano, Ibuki Mioda era sempre stata famosa per quel genere di bravate.

Nulla che potesse far venire alla Super Detective il dubbio che si riferisse alla famosa nuotata in piscina della classe 77 (notte gloriosa per la 78, dove uno sparuto ma combattivo gruppetto della classe si era introdotto negli spogliatoi per nascondere i loro vestiti e chiuderli in piscina. Lei c’era stata, e lo ricordava ancora con una certa soddisfazione).

Nulla, a parte l’improvviso colorito ceruleo di suo marito e di Togami.

E quindi quel biscottino che era Naegi-kun ha visto Ibuki Mioda nuda prima di me, eh? E per giunta quando stavamo già insieme?

In realtà non era una cosa che la infastidisse particolarmente, soprattutto dopo dieci anni. Ma quelle facce terrorizzate (in particolare quella di quell’allocco di Togami, lo ammetto) erano troppo ridicole… e quindi perché non divertirsi un po’ a loro spese?

Distolse lo sguardo da Jin, intento a giocare con gli altri bambini e prendersi le coccole dagli ex compagni di scuola di mamma, e si avvicinò a Makoto con la migliore delle sue poker face: “Qualcosa non va, Makoto-kun?”

“N-no? Perché le cose non dovrebbero andare?” chiese lui, quasi saltando sul posto per lo spavento. Togami, accanto a lui, fece esattamente lo stesso.

Oh, mi divertirò un sacco.

“Sei sicuro?” insistette. “Sei così pallido… anche Togami” aggiunse, notando come quell’altro stava sgranando gli occhi in maniera innaturale.

“Ma nooo, solo una tua impressione! Perché mai dovremmo essere pallidi?” fu la concitata risposta di suo marito, in un tono di voce così acuto che a momenti avrebbe fatto abbaiare tutti i cani del circondario.

Quei due erano pessimi quando si trattava di mentire e mantenere le apparenze, quindi Kyouko decise di premere un altro po’ l'acceleratore.

“A me non sembra proprio” disse, avvicinandosi a Makoto e toccandogli la fronte come a voler controllare un’ipotetica febbre. “Sei sbiancato improvvisamente mentre ascoltavi Mioda e Oowari…”

Naegi, se possibile, divenne ancora più bianco. Togami quasi si strozzò con la soda.

“Macosativaiimmaginandotiassicurocheèsolounatuaimpressioneh” rispose tutto d’un fiato, gesticolando. Lo Scion continuava a scolare soda e guardarsi attorno con fare circospetto, probabilmente chiedendosi se Touko fosse nei paraggi e avesse sentito.

Giuro, potrei andare avanti a torturarli tutta la sera.

“Eppure sembrava proprio così” proseguì, “neanche il loro discorso ti toccasse da vicino…”
Il povero Naegi sembrava ormai a un passo dallo scoppiare in lacrime. Togami lo afferrò per un braccio e strinse, probabilmente per impedirgli di cedere alla pressione.

“Siete proprio sicuri di stare bene?”
“Stiamo BENISSIMO” rispose Togami, credendosi più bravo a mentire dell’ex Fortunello.

“A me non sembra proprio, siete pallidi come cadaveri” replicò lei, pacata. “E io di cadaveri me ne intendo.”

La sua carriera di detective era costellata di milioni di casi risolti, ma anche di aneddoti bizzarri legati al suo modo di controllare i corpi delle vittime: più di una volta era stata ripresa dalla polizia per aver “assaggiato” e “tastato” i corpi in maniera inquietante.
Kyouko comunque non si pentiva di niente.

Ma le vittime di quella sera erano vive e vegete (più o meno), e soprattutto non aveva stupidi poliziotti a dirle come fare il suo lavoro.

“Io invece dico che, per qualche strana ragione, il chiacchiericcio di Mioda e Oowari vi riguarda per qualche motivo” decise infine di colpire dritto in faccia. “Non c’è proprio niente che dovete dirmi? Makoto-kun?”

Il quale Makoto rischiò il collasso, mentre Togami continuava a borbottare cose a denti stretti tipo “Non ti azzardare!” e “Ricordati che hai promesso! Quello che è successo nello spogliatoio rimane nello spogliatoio!”

Che inesauribile fonte di divertimento che siete!

...

Oddio oddio oddio. Starò suonando come Kizakura. Aiuto.

“Avanti Makoto-kun, te lo leggo negli occhi. Mi stai nascondendo qualcosa. E tu sai cosa ti succede quando mi nascondi qualcosa, vero?” chiese lei sorniona, pregustando la risposta impacciata di lui. Lui che, ovviamente, prese a fischiare tipo locomotiva e sul cui volto passarono via via tutti i colori dell’arcobaleno e anche qualcuno in più: “N-N-N-Non mi s-s-sembra il c-caso di dirlo di fronte a t-tutti, Kyouko-chan…”.

Un sospiro interiore (e una risata altrettanto interiore) non mancarono di far sentire la loro presenza nella testa della Detective: “Non la versione pepata, scemotto. Quella PG”.

“Oooooooooooh” fu l’intelligente commento del marito.

“Sì, insomma. Io so che tu sai che io so. Vogliamo proseguire questa manfrina ancora a lungo o confessi la tua colpa, qualunque essa sia, e la chiudiamo qui una volta per tutte?”. Già, Kyouko Kirigiri si era stufata delle finte di corpo e aveva portato il diretto proprio sulla mascella del suo disgraziato contendente.

Mannaggia a me e al mio carattere impaziente. Dovrei farmi dare lezioni da zio Koichi per situazioni del genere.

Lo prese sottobraccio e lo condusse lontano da orecchie indiscrete, non prima di aver obbligato Togami a tener d’occhio i tre bambini che, beati loro, stavano continuando a farsi i buffetti e le carezzine.

Quando finalmente lo ebbe tutto per sé…

“Dunque, Makoto-kun?”.

“Dannazione, ti arrabbierai da morire quando sentirai questa cosa…”.

“Tu provaci, magari sei fortunato e invece di tutte e due le gambe te ne spacco una sola”.

“Alla faccia della consolazione. Non mi stai invogliando, lo sai?”.

“Allora, fammi recuperare la spranga e…”.

“Nonononononononononotipregotipregoconfessotuttoanchelavoltachemisonopisciatoalettoaseianni!”.

“Yaurgh! Grazie per l’informazione non richiesta. Io sto aspettando, comunque”.

“Oh, e va bene. Hai forse sentito mentre Mioda e Oowari rimembravano i bei vecchi tempi…”.

“Sì, ci ho vagamente fatto caso. E…”.

“E… ti ricordi la sera del nostro raid in piscina, no? Beh, per una casualità del tutto fortuita e assolutamente involontaria… ecco, come dire…”.

“Hai visto Ibuki Mioda nuda. Prima di aver visto nuda me. Mi potrei offendere molto per questa cosa, ne sei consapevole?”. Lo sguardo sorridente e totalmente calmo di lei lasciavano intendere, senza la minima ombra di dubbio, che le sue ultime parole erano state dette in tono scherzoso.

Al che le parve che a Makoto fosse venuta in mente un’idea stramba: “Beh, se vuoi una sorta di risarcimento a dieci anni di distanza…”.

“Uh? Cosa stai sottintendendo, piccolo voyeur?”.

“Magari ci va di lusso e Nidai-san non ha polverizzato proprio tutti i bagni della palestra…”.

La non troppo velata proposta di una sveltina prese Kyouko in contropiede, ma in maniera tutto sommato piacevole. Non disprezzava affatto la verve che suo marito ogni tanto tirava fuori da chissà dove.

Ma sai cosa? Una piccola compensazione me la merito anche.

“E va bene” acconsentì con uno sguardo sensuale “ma non mettiamoci troppo, mi fido poco a lasciare Jin in mano a Togami”.

*

“Di nuovo…”
“Certo che per essere cagionevole di salute corre veloce…”
Aoi sospirò. Osservò le sue ex-compagne di classe borbottare e decidere la prossima mossa, mentre di Seiko neanche l’ombra. Sperò non si fosse rintanata nel vecchio laboratorio di chimica della scuola, l’idea di andarla a stanare da là non la sconfinferava poi così tanto.

“Mi spiace… ve l’avevo detto che era davvero, davvero molto insicura” si rivolse alle altre, tenendo lo sguardo basso. Per un attimo pensò addirittura di aver sbagliato a portarla con sé alla festa, perché lo sapeva che questo genere di eventi troppo sociali tendevano a metterla a disagio.

Pensiero cattivo da parte mia, ma non per questo meno vero.

Si voltò a guardare le sue amiche, riunite in circolo per discutere sul loro attuale problema e come affrontarlo.

Sorrise, ripensando agli anni che aveva trascorso in classe insieme a quelle ragazze: il primo anno non era stato sicuramente tutto rose e fiori, soprattutto con elementi come Togami (ancora nella sua fase Sono Gente di un Certo Livello e Voi No) a complicare le cose, ma tutto sommato erano diventati un gruppo coeso e affiatato; in particolare la quasi totalità della quota femminile della 78 era riuscita a creare un bel legame dopo aver aiutato Fukawa ad uscire dal suo guscio di traumi ed insicurezze.

Poi Togami le aveva dato il colpo di grazia proprio in questa palestra, ma a giudicare dal sorrisino sdentato della loro bimba, direi che le cose si sono sistemate nel migliore dei modi.

Ed era decisamente bello vedere come si erano prese a cuore la sua Seiko, pur conoscendola da nemmeno qualche ora, disposte a tutto pur di farla sentire a suo agio.

Peccato non stia funzionando.

“Forse è il caso di lasciar perdere” disse, ma subito venne interrotta da Touko: “Credo che assalirla in gruppo sia la strategia sbagliata. Kimura è già ansiosa perché si trova qui, alla rimpatriata di due classi che nemmeno conosce, inseguirla tutte insieme peggiora solo le cose.”

...oh.

Aoi si diede mentalmente della stupida per non averci pensato da sola. Era così impegnata ad apprezzare l’aiuto delle sue vecchie amiche da dimenticare che la sua ansiosa ragazza non poteva che scappare di fronte a tanta insistenza e soprattutto tanta gente tutta insieme.

“Fukawa-chan ha ragione” disse, “sono stata proprio stupida a non pensarci prima… a questo punto Seiko non vorrà più saperne…”

“Non angustiarti, mia piccola Aoi” le sorrise Sakura, che non aveva mai smesso di chiamarla con quel tenero vezzeggiativo, “stavi solo cercando di aiutarla. E a volte nel farlo si sbaglia, ma di certo il tuo non è un errore per cui fustigarsi.”

La Nuotatrice ricambiò il sorriso, anche se quel lieve senso di colpa continuava a tormentarla.

“Magari dovremmo lasciarla in pace, per adesso” suggerì Sakura, ricevendo il consenso di quasi tutto il resto del gruppo. Solo Fukawa, notò, rimase ferma dov’era ad osservare l’entrata della palestra. Le si avvicinò con cautela: “Tutto ok, Fukawa-chan?”

La Scrittrice trasalì, per poi rilassarsi quasi subito: “Oh n-nulla, è che…”
“Che…?” insistette.

“...Kimura mi ricorda molto me, tanti anni fa” rispose l’altra con un mezzo sorriso. In effetti, pensò Aoi, Touko e Seiko si somigliavano in molte cose, in particolare per quel perenne stato d’ansia, traumi ed insicurezze che si portavano dietro. Con la differenza che Touko Fukawa era riuscita, anche grazie all’aiuto del resto della classe, ad affrontare i suoi problemi ed uscirne tutto sommato vittoriosa.

“Senti…”
La voce della Scrittrice la destò dai suoi pensieri.

“So che avevamo deciso di non tartassare più Kimura e lasciarle prendere fiato, ma… pensavo di riprovarci.”
“Guarda, apprezzo lo sforzo, ma ho paura che se ci vedesse di nuovo tutte alla carica-”

“No no, non tutte quante. Intendevo farlo io.”

“Eh? Sei sicura?”

“Te l’ho detto, i suoi modi di fare mi ricordano la me diciassettenne, e so per certo che, nello stato in cui è adesso, non riuscirebbe nemmeno a concepire l’idea di rilassarsi in mezzo a tanti estranei” sorrise Touko. “Ma magari provando ad affrontarla da sola, non appena sarà più tranquilla, potrei riuscire a cavarne fuori qualcosa.”
Aoi sbatté le palpebre, sorpresa. In effetti quell’idea poteva funzionare.

“O-ovviamente non voglio causarle altro stress, quindi magari potresti venire con me per metterla a suo agio… che ne dici?”
“Dico che è un’ottima idea!” trillò, stritolando Fukawa in un abbraccio.
E al contrario di quel che aveva pensato, le proteste della Scrittrice furono poche e non troppo convinte.

*

Byakuya Togami non si era trovato in una situazione così poco piacevole poi troppo spesso, negli ultimi dieci anni.

“Paponeeeeeeeeeeeeeeee! Paponeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!”.

Una volta, per tutta una serie di circostanze esterne (“comodo incolpare la sfiga, eh?” lo rimbrottò Enrico VIII), la Zaibatsu si era pericolosamente avvicinata all’orlo della bancarotta. Un periodo tremendo costituito da notti insonni, thermos di caffè e il ritorno in pompa magna della gastrite.

Ma era passato e non sarebbe più tornato.

“Sì, continui a essere più brutto di papà anche se ci assomigli tanto. E le tue guance sono troppo magre, non sono belle da strizzare”.

Eppure, in quell’esatto istante, non lo rimpiangeva poi troppo.

Perché avere l’intera squadriglia Oowada e i mocciosi di Mioda e dell’Impostore che ti ronzano attorno tipo sciame di locuste mangiauomini… beh, è una cosa che non avrebbe augurato neanche al suo peggior nemico.

Torniamo indietro di qualche minuto.

“Togami, tieni d’occhio i bambini. Io e mio marito dobbiamo parlare” aveva tuonato Kyouko Kirigiri, prendendo quel povero derelitto di Naegi per il braccio e trascinandolo via. Probabilmente per sbudellarlo, dato l’argomento.

Stava per contestare quando, non si sa bene per quale congiunzione astrale, si era ritrovato improvvisamente il centro gravitazionale di una serie di delinquenti o futuri tali le cui età variavano dai tre ai sei anni… o quanti stracazzo erano.

Per un attimo, mentre quei pestiferi lillipuziani gli giravano intorno alle gambe e lo bombardavano di domande, si chiedeva se per caso non fosse diventato come la luce per le falene. Ma a ben guardare non poteva essere, non aveva fatto o detto nulla che potesse portare a questo risultato.

Il motivo gli era del tutto oscuro. Fatto sta, qualunque fosse la causa, che era diventato il loro nuovo zio preferito. Per la grande gioia del suo apparato digerente.

E quindi si trovava lì, piantato nel mezzo della palestra, con una serie variegata di mocciosi che lo infastidivano ognuno in mille modi diversi. Con l’aggravante di dover badare a Shinobu, a Jin e alla figlia di Hinata. Almeno loro tre non parevano volergli dar problemi e si limitavano a parlarsi nella loro lingua misteriosa (sì, persino Byakuya Togami conosceva Rugrats).

“Nostro papà ci fa da cavalluccio! Visto che sei lui ma più magro e meno strizzabile… fallo anche tu! Avanti! Avanti!”.

Touko, tuo marito rischia la vita qui. Verrai a salvarmi, non è vero? Non è vero? Aiuto…

*

“Oh mamma, quanto tempo Chiaki-san! Troppo, troppo tempo!”.

L’uscita nostalgica di Sonia la fece sorridere. Era vero, dieci anni erano un’infinità e a lei tutta quella gente allegra, chiassosa e pittoresca era mancata davvero molto. Non le faceva piacere il pensiero di essersi disabituata a Nekomaru Nidai che faceva esplodere i bagni con la sola imposizione delle chiappe, a Ibuki Mioda che continuava ad alzare l’asticella dell’umana follia, all’Impostore che ghignava divertito mentre Byakuya Togami minacciava di strozzarlo con i suoi stessi rotoli di grasso.

Erano tutti aspetti che avevano reso la sua adolescenza sì qualcosa di assolutamente fuori dalla norma, ma al contempo avevano riempito le sue giornate… e non era cosa da poco.

“Hai proprio ragione, Sonia-san. Davvero troppo. Ad esempio mi piacerebbe avere notizie sul regno di Novoselic da una fonte più diretta di un telegiornale”.

“Eh, perdonami ma” si interruppe un attimo per sorseggiare il suo calice di spumante “essere la regina mi occupa un sacco di tempo e di energie”.

“Ma lo so, lo so. Dicevo per dire”.

“Scusami, cercherò di essere più presente d’ora in avanti…”.

“Sonia, guarda che non sto cercando di farti sentire in colpa! Capisco che il tuo ruolo richieda attenzione costante e tutto quanto, ci mancherebbe. Dico solo che tu e il tuo caro maritino potreste organizzare le vacanze da queste parti più spesso, invece di rimanere rintanati nella vostra lussuosa dimora in mezzo alle montagne europee”. Sorrise per lasciar intendere che quello non voleva proprio essere un rimprovero, solo un’esortazione a farsi vivi ogni tanto nei limiti dei loro pur pressanti impegni di coppia regnante.

“In realtà ci stavo già pensando. Non appena siamo atterrati a Narita… non so spiegarmi, ma era come se stessi respirando aria di casa, la stessa cosa che mi era successa al ritorno in patria una volta finita la scuola qui in Giappone. Mi mancava tutto questo, davvero più di quanto potessi… ehi Courtney, smettila di minacciare gli altri bambini di trasformarli in rane! È maleducazione!”.

Di primo acchito Chiaki pensò che, più che maleducazione, quella fosse l’anticamera del ricovero in una casa di cura psichiatrica. Poi il suo cervello le ricordò sbuffando chi erano i genitori della bambina.

Oh già, scema io. Devo dire che l’imitazione di Elea di Definitive Fantasy VIII le riesce piuttosto bene.

Quasi si fosse sentito messo in disparte, il figlio che portava in grembo rese nota la propria presenza con un poderoso calcio che le causò una piccola fitta di dolore. L’intervento di Sonia fu rapido ma non necessario, non era stato davvero niente di che.

“Accidenti” si trovò a pensare ad alta voce “siamo madri. Chi l’avrebbe mai detto ai tempi delle superiori?”.

“Beh, se devo dire la verità io ero già pronta all’idea. Il peso del mio ruolo mi imponeva di avere una discendenza. Sai, per proseguire la stirpe reale…”.

Oh cavolo, cos’era quello sguardo mesto? Che avesse toccato un tasto dolente?

“Sonia, tutto bene?”.

“Oh sì, sì. Tranquilla. È solo che…”.

“Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?”.

“Ma no, figurati! Non è di certo colpa tua. Pensavo… che se non avessi avuto la fortuna di innamorarmi di Gundam…”. Un sospiro la fece interrompere a metà discorso, suscitando la preoccupazione (e, lo ammise con un pizzico di vergogna, la curiosità) di Chiaki. L’altra evidentemente colse queste sue emozioni, perché trovo opportuno riprendere quasi subito: “Ma stai tranquilla, Chiaki-san! Ti ho detto che non c’entri e non hai fatto nulla di male! È solo un pensiero un po’ triste che ogni tanto affiora, e che di riflesso mi mette in agitazione per Courtney…”.

Ok, a quel punto Chiaki Nanami voleva vederci chiaro. Cominciò a torchiarla per vincere la sua riluttanza, perché oltre alla rassicurazione sulla sua innocenza pareva non intenzionata a sbottonarsi più di un tot.

Alla fine tanta testardaggine ebbe il suo meritato premio: “Sei peggio di un mastino Chiaki-san, lo sai? Va bene, va bene, hai vinto. Di’ la verità, hai preso questa cosa come se fosse un videogioco e, in quanto tale, dovevi tenere fede al tuo titolo”. La battuta di Sonia, seguita da una veloce risata, contribuì a rilassare la Gamer e a farla sentire un poco meno in colpa.

La regina prese un respiro e si accinse a sputare il rospo: “Chiaki-san, non so quanto tu sia ferrata in tema di nobiltà. Nel caso non lo fossi devi sapere una cosa importante: la linea di sangue non si deve interrompere. Per nessun motivo. In passato Novoselic ha conosciuto gli orrori della guerra civile per colpa di una simile mancanza. Io sono stata fortunata e Gundam è entrato con la forza di un tornado oscuro nella mia vita, riempiendola come solo lui e i suoi deliri da chuuni sanno fare. Ma se non fosse andata così… mi sarei dovuta sposare con un perfetto sconosciuto, facilmente il nipote del granduca del Vaffanculistan, e al diavolo i sogni romantici di stare con la persona che ami. La ragion di stato è una gran brutta bestia in questi casi, e come ti dicevo prima ho un po’ di timore che la mia piccola Courtney potrebbe non essere baciata dalla buona sorte come lo sono stata io, quando sarà il suo turno…”.

Uh. Argomento spinoso. Ci sarei anche potuta arrivare da me.

Si era creato silenzio fra loro. Quanto detto da Sonia, sebbene non fosse nulla di così catastrofico, non faceva di certo piacere a nessuna delle due.

Poi Chiaki decise che non poteva lasciare la cosa in sospeso: “Sonia, non pensi che sia esagerato preoccuparsi in questo modo? Innanzitutto vostra figlia è ancora una bambina, ci vorrà un bel po’ di tempo prima che si cominci a parlare di matrimonio… a meno che questo genere di problema non si affronti in modo diverso in Europa rispetto a qui. In secondo luogo, perché mai Courtney non dovrebbe avere la tua stessa fortuna? Correggimi se sbaglio, ma tu e Gundam non mi date affatto l’idea di essere genitori particolarmente attaccati al protocollo e alle tradizioni, e se tanto mi dà tanto anche lei finirà con lo studiare all’estero o quantomeno in una scuola pubblica. A quel punto vuoi che non trovi il suo personale Signore Supremo del Ghiaccio? Con l’aura magica che si trascina dietro, visti suo padre e sua madre, mi stupirei del contrario. Anzi, probabilmente sarete lì a disperarvi perché di notte scappa da palazzo per andare a buttare rami di sedano e zampe di gallina in un calderone bollente in mezzo al bosco, non prima di averci fatto affogare dentro un makango dorato assieme al suo bel tenebroso”.

La risata cristallina di Sonia spazzò via ogni residuo spiacevole. Il successivo abbraccio la prese in contropiede, ma di certo non le diede il benché minimo fastidio.

“Hai ragione Chiaki-san, hai perfettamente ragione. Sto diventando proprio una vecchia brontolona che si lascia la testa prima di essersela rotta”.

Una parte di lei voleva farle presente che la testa te la fasci e non te la lasci, ma pensò che quello non fosse il momento più adatto. Forse.

*

“Uff.”

La stanchezza che Seiko si sentiva addosso sembrava quella di chi ha corso la maratona, quando in realtà aveva solo percorso tutto il corridoio e mezza rampa di scale prima di rendersi conto che gli altri piani erano chiusi, probabilmente per via della festa. Effettivamente avrebbero rischiato di ritrovarsi bambini intenti a cercare di annegarsi in piscina, in caso contrario.

Non potendo rifugiarsi nel suo amato laboratorio di chimica, Seiko si era dovuta accontentare della prima stanza aperta disponibile, l’infermeria.

Che non è troppo lontana dal mio campo di studi, dopotutto.

A dire il vero, quella era la seconda stanza aperta. La prima era stata il bagno ma… alcuni rumori peculiari le avevano suggerito che rimanere lì non era decisamente una buona idea.

Grazie, ma no grazie.

Si lasciò sfuggire un pesante sospiro.

La vita da introversa non era facile. Neanche per idea.

Già essere nata timida e cagionevole di salute non l’aveva agevolata, ma indubbiamente le amicizie (o quelle che aveva creduto tali) finite male avevano inciso pesantemente sui modi di fare di Seiko Kimura, che da allora aveva alzato muri su muri pur di non permettere a nessuno di avvicinarsi a lei… seppur desiderando ardentemente che qualcuno ci riuscisse, prima o poi.

Beh, a voler essere onesti, qualcuno ci è riuscito.

Sorrise ripensando a come quel mortaretto di voglia di vivere che era Aoi Asahina era entrata come un uragano nella sua vita, sconvolgendola fino al punto di farle mettere in discussione addirittura il suo orientamento sessuale.

E non me ne sono mai pentita, nemmeno una volta.

Certo, persino la Super Nuotatrice aveva dovuto faticare non poco per abbattere quella muraglia che separava la Farmacista dal resto del mondo, ma l’allegria e la testardaggine dell’altra avevano infine avuto la meglio, regalandole la gioia più grande.

Però...

Però c’era ancora una piccola, piccolissima vocina dentro di lei che gridava a gran voce di volere degli amici. Perché la vita con Aoi era bellissima, ma mentre la sua ragazza aveva un nutrito numero di amici, Seiko non aveva nessuno al di fuori di lei. E a nulla erano serviti i suoi tentativi di ignorare o zittire la vocina, la richiesta era sempre lì, un pensiero indesiderato che saltava fuori nei momenti meno opportuni.

Quella parte nascosta di sé avrebbe tanto voluto legare con gli ex compagni di scuola di Aoi, quando le era stata data l’opportunità, ma… qualcosa continuava a frenarla.

Come se Ruruka non mi avesse insegnato niente.

Quella che aveva creduto essere la sua migliore amica le aveva voltato le spalle nel momento in cui Seiko si era rifiutata di assaggiare i suoi dolci - scusa se la mia salute non me lo consente, sai - e a nulla erano serviti i suoi tentativi di farsi perdonare accettando di fare qualsiasi cosa per lei. Alla prima occasione le aveva puntato il dito contro, nella fattispecie durante l’incidente che causò la sua espulsione (e quella di Ruruka Andou e del di lei fidanzato, Sonosuke Izayoi) dalla Kibougamine.

Incidente mai chiarito tra l’altro, ma ai piani alti servivano dei capri espiatori, e figurarsi se Ruruka e quell’altro fesso sono mai stati capaci di guardare oltre il loro naso!

“Seiko-chan! Ti abbiamo trovata, finalmente!”

La voce di Aoi alle sue spalle la fece trasalire.

Aspetta… abbiamo?

Si voltò verso la porta e, alle spalle della Nuotatrice, vide apparire il viso serio di Touko Fukawa.

Pe… perché?!

“Come mai sei finita in infermeria? Ehi, stai bene? Non avrai mica avuto un attacco d’ansia, vero?” cominciò a sbracciarsi Aoi, evidentemente preoccupata per la sua salute.

La mano sulla fronte per provarle la febbre fu la goccia che fece traboccare il vaso. Per fortuna si trattenne dal cacciarla in malo modo, limitandosi a scostaglierla con un gesto un poco brusco ma non troppo: “N-No no, tranquilla. Sto bene. Volevo andare a rintanarmi nel laboratorio di chimica del quarto piano, m-ma le scale sono chiuse e così…”.

“Ti sei infilata nella prima porta disponibile, mh?” completò Touko per lei, la faccia di chi sapeva di cosa si stava parlando.

“Beh, s-sì…”.

“Mi ricorda qualcuno scappato con molto meno clamore e molti meno testimoni da quella stessa palestra dieci anni fa. A te no, Asahina?”. Il suo sorriso sornione le causò non poche domande in testa.

“Oh sì Fukawa-chan, eccome se lo fa. Una ragazza innamorata che aveva appena visto la cosa più brutta del mondo, cioè il suo bel fusto che ballava in mezzo alla pista con una principessa”.

Perdonatemi, ma se proprio volevate ricordare i bei vecchi tempi io che c’azzecco?

“E dimmi, dov’è adesso questa povera martire d’amore?”.

Una risatina di Aoi precedette la risposta: “Adesso? In questo preciso istante?”.

“Sì, in questo preciso istante”.

“È in questa stanza, al mio fianco”.

Lei? Fukawa?

“Ma… ma… cosa c’entra…” non potè esimersi dal chiedere, non comprendendo dove le due volessero andare a parare.

“Scusa, Kimura-san. La nostra piccola farsa serviva solo a dimostrarti che io ti capisco. So bene cosa significa non avere fiducia in se stessi, avere timore anche della propria ombra, non riuscire a essere vivaci e pieni d’ottimismo come una certa nuotatrice dalla testa vuota”. La quale nuotatrice, fintamente piccata, le diede uno scappellotto. O almeno Seiko pensava fosse fintamente piccata, ma non conosceva così bene il loro rapporto da poterlo dire con certezza.

“Ahio! Va bene, va bene. Ritiro la parte sulla testa vuota. Comunque, tornando a un discorso serio… credimi, ti capisco. Capisco sin troppo bene quel malefico impulso che ti spinge a scappare a gambe levate quando senti su di te troppi occhi voraci, quando temi cosa potrà uscire da quelle labbra più curate delle tue, quando credi di conoscere prima del tempo il verdetto su di te emanato da gente che ritieni a un livello più alto del tuo. Ma non è questione di livelli. Non è questione di chi è meglio e chi è peggio perché anche la idol più splendente, e meno male che Maizono non può sentirmi in questo momento, ha nell’armadio uno o più scheletri di cui si vergogna. Io e le altre ragazze non siamo tue nemiche e non ti giudichiamo. Persino gli elementi più scalmanati, come quella pazza in libertà di Enoshima, sono fondamentalmente delle brave persone. E siamo tutte ansiose di approfondire la conoscenza con lo straordinario esemplare di essere umano che è riuscito a domare il cuore di questa cavalla imbizzarrita” concluse, muovendo la testa verso la sua ex compagna. La quale non reagì alla mezza frecciata se non aggiungendo: “Abbi pazienza con lei, Seiko-chan. È una scrittrice, usa iperboli anche quando si lava i denti”.

Non riuscì a trattenere una risatina divertita di fronte al siparietto.

“Naturalmente” riprese poi Aoi “non ti stiamo imponendo nulla. Se proprio non ce la fai… beh, pazienza. Mi sentirò offesa a vita con te perché non hai voluto conoscere delle persone che per me sono state e sono ancora importanti, e temo che per un po’ non ci saranno banane per casa…”. Si interruppe di botto, mettendosi a fischiettare, e l’orrore si dipinse sulla faccia di Seiko.

Mi… mi manderesti in bianco per così poco? Brutta infame che non sei altro!

“No no no no no no no no! Scherzavo, per tutti i kami! Scherzavo! Non dicevo sul serio!”.

Il sospiro di sollievo che uscì dalla bocca della Farmacista fu epocale.

“Davvero, Seiko-chan. Non sentirti obbligata, e men che meno devi farlo solo perché lo vorrei io. Dev’essere una cosa che fai per te stessa, per riuscire a rompere quel guscio che ti avvolge sin da quando ti ho conosciuta. E immagino anche da prima, sapendo quel che so su di te…”.

Fukawa sembrava in procinto di intervenire, ma si trattenne. Probabilmente aveva intuito la delicatezza della questione e non voleva ficcare il naso dove non era di sua competenza.

Apprezzo il rispetto. Grazie.

“Bene Asahina, quel che dovevamo dire l’abbiamo detto. Adesso possiamo andare. E se volessi farci compagnia, Kimura-san, sarebbe davvero cosa gradita”.

Le vide girarsi verso la porta, Aoi più lentamente di Touko. Sembrava quasi che la sua fidanzata la stesse incoraggiando senza parole a buttarsi oltre l’ostacolo, come se le stesse dicendo “Avanti Seiko-chan, non ti mangiano. Fatti forza, vieni a fare due chiacchiere. Sarà bello”.

E lei voleva. Oh se voleva. Nonostante le apparenze era sempre stata piuttosto brava a cogliere l’essenza di chi aveva davanti, e in quel gruppetto tutte sembravano persone sufficientemente piacevoli (fosse anche solo per passare qualche oretta spensierata). Però le gambe pesanti non parevano condividere la sua opinione.

Come a voler dare maggior enfasi al suo non voler farle pressione, Aoi lasciò aperta la porta dell’infermeria.
Le metafore sono pane per Fukawa-san, non tuo rise fra sé e sé.

Ma in realtà apprezzò davvero quel piccolo gesto.

Rimase ancora un po’ ad osservare il vuoto e a riflettere sulle parole di Aoi, ma soprattutto su quelle di Fukawa.

Perché per la prima volta sentiva che qualcuno la capiva davvero.
Certo la Nuotatrice aveva fatto di tutto per comprenderla e mettersi nei suoi panni, ma lì stava la differenza tra cercare di capire e capire.
E Fukawa in quel breve discorso aveva lasciato intendere di saperne parecchio di ansia e sfiducia cronica verso il prossimo, forse persino più radicati e gravi dei suoi (stando a quel poco che Aoi le aveva raccontato negli anni).

Se pure Fukawa era riuscita ad aprirsi e a farsi degli amici, forse c’era speranza anche per lei?

...forse, se smetto di fare la melodrammatica.

Si alzò e si diresse verso la porta, lenta ma decisa a fare quel tentativo.

Lo doveva a se stessa, e al diavolo Ruruka.

Era ora di lasciarsi il liceo alle spalle.

*

Ishimaru era inquieto.

La festa era bella e divertente. Rivedere i suoi compagni dopo quella che era sembrata un’eternità… beh, non poteva proprio negare che gli aveva fatto un gran piacere. Il suo kyoudai era sempre rimasto il solito adorabile mezzo deficiente (anche se con lui aveva mantenuto rapporti decisamente più stretti) e anche gli altri, pur con tutto quanto era intercorso in quei dieci anni, avevano mantenuto tutti i migliori aspetti dei propri caratteri. Naegi e il suo insuperabile ottimismo, Fujisaki e la sua deliziosa timidezza, Ludenberg e il suo finto snobismo che celava abilmente il suo affetto per loro, Yamada e il suo non vergognarsi per nulla del suo otakuismo sfrenato, Oogami e la sua esemplare pacatezza d’animo, Asahina e la sua inesauribile voglia di vivere…

E poi c’erano la sua quasi cognata Enoshima e i suoi leggerissimi problemi comportamentali.

Perché lei era un caso a parte nel listone?

Eh, perché.

Perché persino Junko Enoshima, probabilmente l’esempio più plateale dei motivi per cui la castrazione chimica poteva non essere poi così male, si era accasata ufficialmente.

E lui, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, rosicava a morte per questo.

Perchè la sua signora doveva essere così testarda? Che cosa le costava dargli il contentino? Perché di quello si trattava, di un contentino. In cuor suo loro due erano a tutti gli effetti già sposati, perché mai avrebbe voluto qualcosa di diverso dal sogno dorato in cui stava vivendo. Chiese scusa mentalmente a Fukawa per aver rubato il passaggio migliore del suo ultimo libro.

Di sicuro la cosa valeva anche per lei, ne era certo. Mukuro Ikusaba era il tipo fedele per la vita, e a prescindere lui avrebbe preferito un proiettile nel cuore all’idea di sapersi tradito o sostituito con qualcun altro.

...sigh. Fukawa-san, esci dalla mia testa.

“Ishimaru, tutto bene? Quella soda ti sta facendo la muffa nella mano”.

La voce di Kuwata lo riscosse dai suoi pensieri. Era insieme a lui e a un paio di elementi della 77 che, a quanto pare, stavano chiacchierando del più del meno. Come ti va, sei soddisfatto del tuo lavoro, vai in palestra quante volte la settimana. Cose di quel genere. Il suo cervello aveva preferito estraniarsi, non volendo correre il rischio di portare a galla il suo cruccio più grande che, inevitabilmente, avrebbe sovrastato le mille cose belle che aveva.

“Oh, Kuwata-kun. Sì sì, tutto bene. Sto bene”.

“Sicuro? Sembravi… preoccupato”.

“Preoccupato? E per cosa dovrei essere preoccupato?”.

“Ah, questo non lo so. Dimmelo tu”.

“Stavo solo riflettendo su una cosa…”.

“Oh? E su cosa?”.

Non sapeva se e come rispondergli. Aveva appena preso a frullargli in testa una cosa abbastanza folle, non tanto nei modi e nei tempi quanto per le possibili conseguenze.

Vuoi davvero farlo? La conosci, è un rischio. Ma, anche se odi doverlo dire, la situazione attuale non ti sta affatto bene.

“Ishimaru…?”.

Potresti perderla per una mossa tanto audace.

“Toc toc, Tanegashima chiama Ishimaru”.

Sì, ok. Potresti perderla. Ma sai che non vuoi più andare avanti così, non senza almeno averci provato.

Infine si risolse a farlo. Il rischio valeva la candela, e se fosse andata come sperava nessuno dei presenti avrebbe mai potuto dirsi più felice e soddisfatto di lui. Se invece fosse andata male… oh beh, lo avrebbe affrontato. Finendo con lo sprofondare nelle sabbie mobili della disperazione, probabilmente.

“Reggimi questo” disse sbrigativamente a Kuwata rifilandogli il suo bicchiere. Ignorò gli sguardi perplessi dei suoi dirimpettai e cominciò a muoversi alla ricerca del suo bersaglio. Trovandolo mentre discuteva con Maizono di chissà che cosa.

“Speriamo che Fukawa-san e Asahina-san non facciano fiasco. Certo che vederti entrare qui vestita con una tuta mimetica mi ha fatto un certo effetto, Ikusaba-san”.

“Ho preso in prestito un colpo di testa da mia sorella e per una volta mi sono concessa… uh? Kiyotaka, che cavolo...”.

“Maizono-san, scusa se vi interrompo. Mukuro-chan, dobbiamo parlare”.

“Che hai per essere così trafelato?”.

Non le disse nulla. Si limitò a prenderle la mano nelle sue e a inginocchiarsi, sotto lo sguardo stupefatto delle due e forse di qualcun altro che si era avveduto della cosa.

“Mukuro-chan, ti chiederò questo una e una sola volta. Quindi la tua risposta sarà definitiva, che a te piaccia o no”.

“Che… che cosa combini?”.

“Gente, venite qua! Sta succedendo qualcosa di grosso!”. Sayaka si mise a strillare come una scimmia, attirando praticamente l’intera parte femminile della 78 e pure qualche altro intruso.

Mannaggia a te, Maizono-san. E io che volevo fosse una cosa il meno appariscente possibile!

Ma l’inaspettato pubblico non poteva farlo desistere. Aveva preso la sua decisione e l’avrebbe portata fino in fondo.

Si impose calma, cercandola e trovandone una discreta quantità in un lungo respiro.

“Ma… ma… Ishimaru, Ikusaba, che...”.

“Ssssh! Lasciali in pace! Non vedi che il momento è topico?”.

“Facciano quel che vogliono, l’importante è che mi siano serviti come scusa per fuggire dal quel branco di botoli che continuavano a infilarsi sotto la mia gonna”.

“Deh, non insultare i miei figli!”.

Prima di cominciare Ishimaru la guardò dritta negli occhi. Vi trovò comprensibile confusione per la mezza scenata, ma con suo gran dispiacere gli parve anche di cogliere una scintilla… di paura.

Feh. La sua fidanzata non era stupida, e comunque la sua gestualità non dava poi adito a molti dubbi sulle intenzioni che lo stavano muovendo in quegli attimi.

Non importa. Tira dritto e fai quel che devi.

“Kiyotaka… non… non t-ti sarai mica messo in testa… di…”.

Mosse la testa per risponderle affermativamente.

“Mukuro-chan, vuoi sposarmi?”.

Andata. Non era esplosa nessuna bomba, non stavano piovendo rane e non era venuto un infarto a nessuno dei due.

In compenso metà del capannello di gente che li circondava scoppiò in applausi, fischi e lazzi: “Yuhuuuuuuuuuuu! La mia sorellina si sposa! La mia sorellina si sposa!”.

“Sì, ma niente di serio…”

“Sniff, è stata una cosa bellissima…”.

“Bravi!”.

Ignorò. Non gli interessavano le fin troppo esagerate reazioni altrui, era una sola quella che voleva vedere.

E quanto vide non gli piacque granché.

Mukuro… non stava dicendo nulla. Si limitava a fissarlo, frastornata.

Capiva un po’ di stupore per la domanda improvvisa, ma non così tanto.

Per circa un minuto nessuna delle uniche due persone davvero importanti si mosse o fece nulla. Lui ancora in ginocchio, lei con ancora quello sguardo da baccalà.

Poi, nell’incredulità generale, Mukuro Ikusaba fece una cosa che lui sapeva non aveva mai fatto prima: scappò. Lasciando tutti di stucco.

L’atmosfera allegra da matrimonio lasciò spazio a quella lugubre da funerale, almeno per quanto lo riguardava.

*

“Uuh, questa sì che è stata una mazzata sui denti plateale… se Ishimaru riuscirà a riprendersi sarà un mezzo miracolo…”

Dall’angolo in cui si trovava Togami non riusciva a vedere benissimo la scena, ma aveva notato Oowada andare nel panico perché il suo bruddah aveva smesso di rispondere a qualunque tipo di stimolo esterno.

Avrebbe potuto avvicinarsi e sbirciare meglio (“Portinaia” aveva sussurrato Enrico VIII), ma aveva ancora il piccolo Naegi di cui occuparsi, insieme a Shinobu. Perlomeno i marmocchi Oowada e Mioda si erano sparpagliati in giro per far danni altrove, ma di quando in quando notava uno di quei mostri lanciargli ancora uno sguardo divertito.

Ma pensa te, scambiarmi per l’Impostore… ma con quale coraggio?

La somiglianza è innegabile, siete praticamente due gocce d’acqua!

Io sono una goccia d’acqua, lui è uno scaldabagno!

“Ehi, che sta succedendo? Mi assento venti minuti e trovo Ishimaru in catalessi?”

Il ritorno di Naegi interruppe il suo battibecco mentale con il suo omino del cervello.

“Ah, sei vivo allora!” disse, mentre l’ex Fortunello prendeva posto accanto a lui. “Credevo non ti avrei più rivisto, non intero almeno.”
L’altro inarcò un sopracciglio: “E perché mai?” chiese, riappropriandosi del suo pargolo.

“Perché dallo sguardo che aveva Kirigiri era ovvio volesse farti il cazziatone del secolo” ghignò Byakuya, concedendosi uno dei suoi rarissimi, volontari turpiloqui. Per tutta risposta, Naegi si limitò a sorridere. Un ghigno soddisfatto da gatto sornione, che Byakuya mai gli aveva visto in faccia in tanti anni che lo conosceva.
“Perché sorridi in quel modo inquietante?”
“Eddai che lo sai…”
“Sapere cosa?”
“...davvero devo spiegartelo? A quasi trent’anni e con una bambina a carico?”
“Naegi davvero io non ti segu-OOOOOOOH!”
Di colpo, l’epifania.

“Aspetta aspetta aspetta, ho fatto da babysitter a tuo figlio e alla progenie satanica di Oowada e Mioda solo perché tu” abbassò improvvisamente il tono di voce “volevi farti una sveltina con Kirigiri?!”
“Sei proprio il mio migliore amico, Togami-kun” continuò a sorridere sarcastico Makoto.

Non ci posso credere, l’universo mi prende per il culo!

E non nella maniera più piacevole.

Cercò una risposta ad effetto per il suo omino del cervello, ma decise di lasciar perdere. Si chiese invece se Hongou ordinasse ancora i Lucky Gastro, perché ne sentiva improvvisamente bisogno.

Regina del melodramma.

Il rutto che Togami si lasciò sfuggire attirò di nuovo l’attenzione dei bambini, che di nuovo lo trovarono la cosa più interessante nella storia delle cose interessanti.

VI ODIO TUTTI.

*

Mukuro stava correndo così veloce che vide appena Naegi e Kirigiri uscire dal bagno.

Non si chiese nemmeno perché erano usciti insieme da lì, semplicemente approfittò della porta aperta e si infilò nel primo cubicolo vuoto.

STUPIDO ISHIMARU STUPIDO ISHIMARU STUPIDO ISHIMARU STUPIDO ISHIMARU

Abbassò la tavoletta del water e si sedette, soffocando la tentazione di mettersi a urlare.

Ma cosa diamine ti è preso, Kiyotaka, eh? Che cos’era quella piazzata teatrale?!

Una proposta di matrimonio era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata da quella sera, specialmente davanti a tutta la classe e pure alla 77.

Tutte quelle coppie sposate ti hanno dato alla testa?! Non eravamo d’accordo sul non sposarci?

Certo che lo erano.

O meglio… lei lo era. Ishimaru invece aveva sempre esternato un parere diametralmente opposto al suo. Anzi, fosse stato per lui sarebbero convolati a giuste nozze anni prima.

Ma per lei non era giusto per niente. Non era quello che desiderava, non era la sua massima aspirazione nella vita, non-

“Muku-neeeeeeeeee! Sei qua? Dai dimmi che sei qua dentro ed evita di farmi andare a zonzo per il corridoio a cercarti in ogni stanza, che ho i piedi gonfi come spugne e la vescica che mi esplode!”

...giusto mia sorella ci mancava. Che si annuncia con il solito garbo che la contraddistingue.

Si affrettò a uscire dal gabinetto prima che Junko si mettesse di nuovo ad urlare come una pescivendola impazzita: “Piantala, non c’è bisogno di farlo sapere anche al dipartimento di neuroscienze!”
“Chissà se Matsuda lavora ancora lì” replicò Junko, cercando di accomodarsi al meglio contro il lavandino. “Allora sorellina, fai in modo che questo inseguimento con pancione annesso non sia stato vano e dimmi cosa ti passa per la testa. Perché hai lasciato il povero Ishimaru sconvolto?”

“Adoro come tu riesca a passare dalla delicatezza di ‘vescica che mi esplode’ a ‘pancione’ nel giro di un secondo.”

“Persino le nuove generazioni di studenti della Kibougamine conoscono la mia ineguagliabile eleganza, e comunque non cambiare argomento. Non sono così svampita e lo sai” ghignò, e Mukuro non potè fare a meno di sbuffare.

Lo sei solo quando ti fa comodo, nevvero?

“E sentiamo, cosa dovrei dirti?” disse, mani sui fianchi ed espressione visibilmente nervosa che avrebbe terrorizzato chiunque, ma non sua sorella.

“Te l’ho già chiesto, perché hai reagito così poco fa? Se ci fosse stata la moviola come nel calcio avremmo potuto riavvolgere il nastro e vedere a rallentatore l’esatto momento in cui gli hai spezzato il cuore!”

“Evita le citazioni ai Simpson, e comunque sai benissimo perché.”

“A voler essere precisi, so che non ti vuoi sposare ma non so il vero perché” replicò Junko senza neanche batter ciglio, abituata com’era ad averla vinta su tutto e tutti. “Quindi adesso fai la brava sorellona e spieghi alla tua gemellina-più-carina-e-adorata cosa ti spinge a rifiutare il povero Ishimaru. Dai su, che non ho tutta la sera e i gemelli vogliono farmi fare pipì.”

“Non… non c’è nessuna vera motivazione” rispose Mukuro, e si diede mentalmente dell’idiota per essersi messa subito sulla difensiva. “Non voglio sposarmi e basta!”

“A-ah…” annuì Junko, poco convinta.

“La trovo una cosa… stupida, ecco” continuò, camminando in tondo per la stanza.

“Eh dillo a me, fallo una volta senza preservativo e ti ritrovi fregata.”

“Io non… non sono una persona romantica!”
“Invece io sono una lady d’altri tempi, vero?”

“È che… che… AAAAAAAAAAAAAAAAAH!”

Urlò a pieni polmoni in faccia a Junko, che non fece una piega. “Ti suggerisco di mangiare meno antipasti alle cipolle, che ti è venuta la fiatella satanica” la schernì, per poi passarle una gomma da masticare.

“Sempre delicata” arrossì Mukuro, accettando l’offerta.

“A questo non rispondo neanche più, inutile sottolineare l’ovvio all’infinito. Invece devi rispondere alla mia, di domanda.”
“L’ho già fatto mi sembra.”
“No, sorellina, ci hai solo girato attorno” sbuffò Junko. Poi continuò a parlare, addolcendo sia il tono che l’espressione in una maniera mai vista in quasi trent’anni di esistenza: “Muku-nee, davvero… perché non vuoi sposare Ishimaru?”

La risposta finalmente venne fuori, semplice e diretta come avrebbe dovuto essere fin da subito.

“Perché… perché ho paura.”

Il sorriso furbo di Junko la irritò. La odiava quando sfoggiava quello sguardo da ah ah, ho capito tutto e non te lo dico perché sono stronza, anche se per fortuna del suo intestino non succedeva poi così tanto spesso.

“Lo immaginavo. E così la Full Metal Bitch ha paura. Oh beh, vorrei poter dire che è una cosa inaudita ma io conosco quella pollastra della mia sorella maggiore, quindi conterrò il mio finto stupore per non sembrare scortese. E dimmi, esattamente hai paura di cosa? Dell’abbandono? Del fallimento? Del buio? Di Byakuya-o-lantern?”.

Argh. Odiosa odiosa odiosa.

“Non… non lo so di cosa ho paura, va bene? So solo che sentire chiedermelo è stato… santo cielo, non mi sono mai sentita così instabile in vita mia. E non solo emotivamente, persino fisicamente. Dentro di me, e per fortuna solo dentro, è come se si fosse scatenato un terremoto. Te lo giuro. Non è una delle esagerazioni letterarie di Fukawa, mi sono sul serio sentita così”. Mukuro si era decisamente scaldata durante la spiegazione, tanto che Junko si mise a farsi aria con la mano come se la temperatura si fosse sensibilmente alzata.

Dio se sei proprio un pagliaccio.

“Ok, ok. È chiaro, non c’è bisogno di diventare aggressiva. Guardami” le disse prendendole le mani nelle sue “è uno di quei rari momenti in cui cerco di essere seria perché voglio che la mia cara sorella sia felice con il suo uomo. E se serve infilarvi un anello al dito perché lui ci tiene da matti… beh, cosa ti costa davvero farlo?”.

“Mi stai a sentire quando parlo, dannazione? Ho paura. Anzi no, sarò sincera: me la sto facendo addosso”.

“Mamma mia, non posso credere che basti la presenza di Raggio di Sole per renderti una regina del melodramma. Questa non è Mukuro Ikusaba, dai. È un donnino spaventato dal mostro sotto al letto. Non mi vorrai far credere che andavi in guerra tenendo sempre le chiappe strette”.

“È… è diverso, cazzo! Là dovevo semplicemente lasciare la plancia di comando all’istinto, sapeva lui cosa fare e come farlo. Qua… qua non posso risolvere la cosa sparandogli in fronte!”.

“Sì, è diverso. Ma non posso credere che il Terminator dei campi di battaglia si faccia fermare da così poco”.

“E invece credici, perché è come mi sto sentendo in questo momento”.

Fu un attimo. Mukuro si sentì cinta in un abbraccio. Presa in contropiede, ci mise qualche secondo per ricambiarlo.

“Junko…”.

“Mukuro, te li ricordi tutti i luuuuuuuuunghi discorsi che mi hai fatto per convincermi a impalmare quel grosso scemo di Mondo? Te li ricordi, vero? Non costringermi a ribaltarti la frittata sulla faccia e a scambiarci i ruoli, nessuna delle due lo vuole davvero”.

“Che cavolo stai dicendo? La situazione è completamente diversa. Tu stavi e stai tuttora sfornando figli come se fossero focaccine, io e lui non abbiamo prole a carico”.

“E questo vi rende forse meno famiglia di me, di mio marito e della nostra allegra squadra di baseball?”.

Oh.

Quell’ultima frase suonava… vera. Junko aveva perfettamente ragione a dirlo, lei e Ishimaru erano una famiglia di due persone e (a volerla guardare da un’ottica il più oggettiva possibile) li si poteva considerare fattualmente una coppia già sposata. Mukuro era difatti il tipo che si sistema per la vita, e di sicuro lo stesso valeva per il suo compagno. Quindi, a meno di cataclismi imprevedibili, nel loro futuro non ci sarebbero stati piatti che volano e litigi da far accapponare la pelle.

A quel punto…

...perché non ufficializzare?

E nonostante la realizzazione estemporanea, una parte del suo cuore era ancora combattuta. Temeva le conseguenze, sbraitava, tentava una subdola ribellione. Si sentiva lacerata, pur con la sempre maggiore convinzione che non c’era davvero nulla a giustificare un simile stato d’animo. Ma si sa, la paura è la cosa più irrazionale che un essere umano possa provare e porta a simili sconquassi, che ci piaccia o no.

Pertanto fu con questo conflitto interiore ancora in pieno svolgimento che sciolse dolcemente l’abbraccio, ringraziò Junko per averle allungato la mano e la lasciò lì in bagno. Prima di uscire ribadì il sentito ringraziamento, facendole però presente che aveva ancora bisogno di schiarirsi le idee per potergli dare una risposta definitiva.

“Non farlo aspettare troppo, birichina. Probabilmente sei l’unica persona capace di rompere l’incantesimo che lo imprigiona”.

“Uh? Cosa stai blaterando?”.

“Sin da quando l’hai crudelmente rimbalzato, quel poveretto è rimasto fisso nel bel mezzo della palestra tipo statua di sale”.

“Oh. Dici sul serio?”.

“No, per finta. Sì che dico sul serio. Vai, vai a farti un giro per riflettere. E quando torni fai in modo che la risposta sia affermativa, altrimenti…”.

“Altrimenti cosa? Mi sculacci?”.

“No, cretina. Se dovessi dirgli di no… temo che la vostra storia possa giungere al capolinea”.

E con questo nefasto auspicio, e lo sguardo più austero che avesse mai visto sulla faccia di sua sorella, Mukuro prese a girovagare per i corridoi della sua ex scuola.

*

“Sai, è bello rivederti dopo tanti anni…”
Taci.
“Mi sembri proprio in gran forma…”
Stai. Zitta.
“Oh, e questi marmocchi sembrano proprio adorarti…”

Non. Ci. Provare.

“...Taeko Yasuhiro.”

BAGASCIA.

“Chiudi quella bocca, n-n-n… MALEDETTA!”
Il ringhio di Celestia si perse nel bailamme di urla belluine dei marmocchi Oowada, ancora intenti a girarle attorno (con la partecipazione straordinaria del figlio di Kuwata e la cucciolata di gemelli dell’Impostore), e di risate di Hiyoko Saionji. Quelle purtroppo le sentiva bene, nonostante il rumore impossibile generato da quelle creature infernali.

“Ma come sei permalosa, Taeko!” rise Saionji, nascondendo il viso dietro la manica del kimono giallo. Celes si chiese se era esattamente lo stesso kimono in cui aveva letteralmente passato tre anni di scuola (e che le era valso voci di corridoio su un’igiene intima non proprio stellare); tuttavia la fu nana da giardino sembrava aver avuto uno sviluppo improvviso dopo il diploma, e quindi…

“Immagino tu abbia passato intere stagioni anche dentro questo nuovo kimono, vero Saionji? Sempre se quei pettegolezzi sul tuo conto erano veri…”

Il tic nervoso all’occhio della Super Ballerina, in combinazione con i poco efficaci tentativi di Koizumi di tenerla buona, le confermarono l’effettiva riuscita della sua frecciata. Stava per aggiungere qualcos’altro, ma l’improvvisa apparizione di un Oowada junior da sotto la gonna le impedirono di continuare.
“Beh, almeno quei mostri non stanno giocando sotto le mie sottane, nevvero Taeko?”

...grazie dell’idea, Saionji.

Celes smise di ringhiare e si voltò verso i ragazzini, sfoderando la più innocente e falsa delle sue espressioni: “Tesori della zia Celestia.”
I bambini subito le corsero attorno: “Siiii, ziaaaa?”
“So che vi divertite taaaanto con me, ma” disse, fingendosi dispiaciuta “sono sicura che la zia Hiyoko si stia sentendo sola e trascurata…”
“Co-cosa stai cercando di-”
“Perché da bravi non giocate un po’ con lei? Se lo fate poi vi do le caramelle.”

“Sììììììììììììììììììììììììì!”
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH!”

In tempo due secondi la Super Ballerina Tradizionale venne seppellita da una cucciolata di pargoli iperattivi, per la gioia di Celestia Ludenberg.

“Oh, ma che bravi tesorini che siete! Visto com’è contenta la zia Hiyoko?”
“MALEDETTA STRONZA! IO TI DISINTEGR-COSO ESCI DAL MIO KIMONO! MAHIRU PIANTALA DI SCATTARE FOTO!”
Celes continuò ad osservare la scena sorseggiando un bicchiere di soda come fosse pregiato vino rosso.

Celestia Ludenberg vince sempre.

*

Hagakure si stava bevendo un bicchiere d’acqua (le sue più recenti esperienze con l’alcool gli avevano saggiamente consigliato di starsene ben lontano dal tavolo su cui giacevano champagne, vino e compagnia), ridacchiando e vedendo le varie scenette che si stavano consumando.

Era felice di trovarsi lì. I suoi ex compagni gli erano mancati parecchio e rivederli dopo tutto quel tempo, per la stragrande parte realizzati e soddisfatti della loro vita, era un pensiero che gli scaldava il cuore.

Poi ok, erano successe una o due cose non esattamente allegre. In special modo Ishimaru che, ancora impietrito dal Grande Rifiuto, non si era nemmeno rialzato dalla sua posa inginocchiata. Essendo passato già un po’ di tempo dal fattaccio, il resto della palestra si stava abituando a trattarlo come se fosse un soprammobile… e la cosa non era il massimo della vita.

E se lo dico io, cavolo.

A onor del vero c’erano stati tantissimi tentativi di riportarlo nel novero degli essere umani, specialmente da parte di quei poveracci di Oowada e Fujisaki. E anzi, nonostante l’indifferenza ormai generalizzata, i due erano gli unici che ancora si stavano affannando nel cercare di scuoterlo dal suo immobilismo.

Stava per risolversi a intervenire quando il salone, all’improvviso, si svuotò completamente.

Non c’era più nessuno.

Così, da un momento all’altro. Era come se tutti i presenti, bambini pestiferi compresi, si fossero volatilizzati.

Uh? Ma non fumo da una settimana, non dovrei avere trip!

Non era neanche corretto dire che non ci fosse più nessuno. Perché, oltre a lui, si notavano altre due persone.

Ishimaru ancora nella stessa posizione.

E Ikusaba di fronte a lui.

Che… che diavolo sto vedendo?

Era estremamente spaventato dalla rapidità con cui era avvenuto questo cambiamento, ma nonostante ciò si avvicinò. Infatti gli parve di vedere lei che muoveva le labbra come a dirgli qualcosa e voleva sentire.

“Kiyotaka, la mia risposta è… no”.

Poi, istantanea come era stata la sua venuta, la visione (o il viaggio nel magico mondo degli allucinogeni) se ne andò e lo ripiombò, esattamente dov’era all’inizio, nell’affollatissima palestra della Kibougamine.

O porcaccia di quella miseriaccia ladra. Non ci posso credere, ho avuto un’esperienza extrasensoriale. Una VERA esperienza extrasensoriale. Da paura! Alieni, statemi lontano! Le vostre sonde anali tenetevele per voi!

No, ma seriamente. Roba strana a parte… perché ho visto Ikusaba mentre prendeva a martellate il cuore del povero Ishimaru? Succederà davvero questo?

Ok, di solito ci azzecco il 30% delle volte. Sì sì, sfottete pure. È una percentuale molto alta, oserei dire incomparabile. Ma stavolta… ho la forte e chiara sensazione di averci visto giusto.

Maledizione. In questi momenti mi odio.

Un dubbio lo assalì: lo avrebbe dovuto dire?

Guardò l’ex Prefetto, circondato dai suoi migliori amici che portavano avanti, nobilmente ma vanamente, l’opera di recupero. Si disse che dirglielo, pur con le migliori intenzioni del mondo, avrebbe significato il colpo definitivo.

Se non si riprendeva dopo un tentennamento da parte di Mukuro, magari dovuto solo alla paura o al fatto che non se lo aspettasse…

Un secco “no” come quello lo avrebbe ucciso.

Quindi non capì cosa lo spinse a dirigersi nella sua direzione e buttar fuori ad alta voce un “Ho visto Ikusabachi…”.

“NO.”

Venne fermato da uno stranamente risoluto Fujisaki.

“Ma Fujisakichi! Io devo-”
“No tu non devi” rispose il Programmatore, pacato ma sicuro di sé. “Ishimaru-kun è già abbastanza sconvolto, Mondo-kun sta davvero facendo i salti mortali per farlo rinsavire.”
“Ma è proprio per questo che devi lasciarmi parlare con Ishimaruchi! Voglio evitargli il colpo di grazia!”
Mentre discutevano, quasi tutta la ex 78 si era radunata attorno a loro.

“E perché dovresti?” insistette Chihiro.

“Perché ho avuto una visione!”
Un coro di sbuffi e “Ci risiamo…” accolse l’affermazione di Hagakure, che rispose piuttosto risentito: “Hey, che sono ‘ste facce? Sono o non sono il Super Veggente?!”

“Sì, con il 30% di riuscita per ogni predizione” commentò Togami, seguito da un non ben identificato versetto di Shinobu (che dalle braccia del papà cercava di acchiappare gli affascinanti rasta dello zio Hagakure).

“Ouch, questa è cattiva, Togamicchi!”

“Ma vera, e lo sai bene. E non ho bisogno di una sfera di cristallo per averne la certezza.”

Il loro battibecco proseguì per qualche altro secondo, finché Naegi non decise di mettersi in mezzo: “Ok ok basta, Togami-kun, lo stai distruggendo a parole e non ce n’è bisogno! Hagakure-kun” disse l’ex Fortunello, voltandosi verso di lui “perché non ci dici cosa hai visto nella tua… uh… visione?”

“Ho visto Ikusabachi… dire di no ad Ishimaruchi.”

Il gelo calò su tutti quanti, ma prima che potesse aggiungere altro venne trascinato di peso lontano dall’ex Prefetto e da Oowada.
“Allora, punto primo tu questa cosa davanti ad Ishimaru-kun non la dici” sussurrò Fujisaki, “punto secondo TU QUESTA COSA DAVANTI AD ISHIMARU-KUN NON LA DICI.”
“Wow, dove la tenevi nascosta tutta questa aggressività, Fujisakichi?”

“Ikusaba ha già fatto danni che spero voglia sistemare, non voglio che se ne aggiungano altri. Intesi?”
“Ma ma ma è giusto che sappia!”

“Ragazzi, lo lascio a voi” ordinò Chihiro, allontanandosi dal gruppo, “non fatelo avvicinare!”

Hagakure rimase in compagnia di Naegi, Togami e Kuwata, mentre le loro signore e il resto della classe cercavano di dare una mano al Super Programmatore.

“Davvero volevi dire una cosa del genere al povero Ishimaru? Ma che persona brutta sei?” borbottò Leon, scuotendo la testa.

“Vi giuro che è vero, ho avuto una premonizione!”
“Sì, come quella volta che ci hai detto che i nostri figli avrebbero avuto tutti la stessa madre” rispose Naegi, con un’espressione schifata in volto.
“Dio che orrore, ho ancora i brividi solo a ripensarci” aggiunse Togami.

“E che devo dire io, che nelle sue fantasie malate ero la madre-incubatrice?” commentò una seccata Asahina.

“Hey, era una visione, non una fantasia!” la corresse Hagakure. “Anche se i nostri bambini erano bellissimi, Asahinachi-HEY HEY HEY, PIANO CON QUEI CALCI!”

*

“Che situazione…”

Mentre Naegi, Kuwata, Asahina e Byakuya mettevano alla forca Hagakure, Touko scuoteva la testa sconsolata, osservando i vani tentativi di Oowada di far uscire Ishimaru dal suo coma autoindotto.

Nemmeno io avrei potuto scrivere una scena così assurda.

Anche se decise di tenerla a mente, dovesse mai giungere il momento di buttar giù una trama demenziale.

“Togami-san! Togami-san!”

...non di nuovo.

“Togami-san, ti ho mica aggiornato sul mio recente interesse per il Bohemian Grove?”

Fammi capire, tu vai fermando gente per strada solo per raccontargli qual è il gruppo filo-massonico-occultista con cui sei fissata questo mese?

Ok, questa era un po’ cattiva. Per quanto non lontanissima dalla verità.

“Ma dai, e io che credevo lo conoscessi già dieci anni fa. Mi deludi, Nevermind.”
“Fai poco lo spiritoso, Togami-san. La camicia ROSA della tua divisa scolastica ce la ricordiamo ancora tutti, sai…”

...e questa era divertente e altrettanto vera, doveva concederglielo. Ci era voluto un po’ prima che Byakuya capisse che capi colorati e capi bianchi vanno lavati separatamente e perché. Anche se non era di certo lui ad occuparsi del bucato.

Cosa diamine avrà da dirgli poi, non le basta suo marito per parlare di stregoneria e complotti?

“Ma guarda che faccino arrabbiato, Fukawa-chan!”

Si voltò di scatto per venire accolta dal sorrisetto beffardo di Aoi.

“T-tu!”
“Sì, io tu e le rose” la cantilenò la Nuotatrice. “Credevo avessi sotterrato la gelosia anni fa, e invece ti trovo qui a guardare Nevermind in cagnesco” rise, dando a Touko una gomitata giocosa, ma alla quale lei non rispose. Aoi sgranò gli occhi: “Fukawa-chan, non dirmi che…”
“Sì sì sì, sono ancora gelosa marcia, ok?” sbuffò. “Anche se l’ho sposato da anni non riuscirò mai a togliermi di dosso quel senso di… inadeguatezza che mi porto dietro da un’eternità!”

La risata dell’altra non fu esattamente la risposta che si aspettava.

“Grazie, il tuo supporto mi è davvero d’aiuto.”
Asahina cercò di riprendere fiato: “Scusami, scusami, è che… insomma, fino a mezz’ora fa eri lì a fare bellissimi discorsi di incoraggiamento a Seiko-chan” la indicò, poco più in là, mentre cercava di integrarsi in un gruppetto formato da Sakura e altre ragazze della loro classe, “e poi ti ritrovo qui a ringhiare e mangiarti le unghie come quando avevi diciassette anni?”

Allontanò il pollice dalla bocca, punta sul vivo.

“Fukawa-chan… davvero credi ancora di non essere all’altezza di Togami-kun?”

Sentirlo dire così ad alta voce fece un po’ male.

“Eppure credevo non fosse assolutamente una questione di livelli, o di chi è meglio o peggio…”

Touko inarcò un sopracciglio: “Stai forse usando il mio discorso di prima contro di me?”
“Oh certo che lo sto facendo, e con tutti gli omaggi. Valeva per Seiko-chan, ma vale anche per te” le sorrise la Nuotatrice, ma lei non riuscì a ricambiare: “Non credo sia così.”
“Ma per favore!” sbuffò l’altra. “Te lo ricordi com’era Togami-kun, sì? Con quel palo su per il sedere e una battuta acida per chiunque gli capitasse a tiro?”

A palo su per il sedere trattenne a stento una risata.

“Andava in giro millantando che l’amore era una roba per deboli e plebei” proseguì Aoi, abbassando il tono di voce ed esibendosi in una ridicola imitazione del Super Erede, “e che non voleva avere nulla a che fare con te.”
Ok, questa potevi risparmiartela.

“E invece ti ha sposata. E ha fatto una bellissima bambina, sempre con te.”

...vero.

“Ed è te che guarda con occhi innamorati quando tu non te ne accorgi, anche se non lo ammetterà mai. E, sempre per te, dieci anni fa ha svaligiato i fiorai di tutta Tokyo e riempito la caffetteria di mazzi di rose, nonché urlato il suo amore per te in corridoio, giusto perché voleva dichiararsi in maniera sobria e discreta.”
“Ok ok, p-penso di aver afferrato il punto” balbettò, seppur ancora dubbiosa. “È solo… difficile scrollarsi certe convinzioni di dosso, s-se te le senti ripetere per tutta la vita…”
Aoi inclinò la testa da un lato: “Immagino di sì… però” le sorrise di nuovo “ricordati che Togami-kun ha scelto te. E per come lo conosco sono abbastanza sicura non sia il tipo da andarsi a cercare una scappatella extra-coniugale.”
“Però… non potrò mai averne la certezza…”
“Vero, ma in fondo non c’è nulla di certo nella vita, a parte la morte. Non puoi mica vivere il tuo matrimonio nell’ansia che prima o poi lui ti tradisca! Più ti aspetti che succeda, più è facile che accada sul serio.”
Non poteva decisamente darle torto, soprattutto sul vivere nell’attesa di un ipotetico passo falso di Byakuya solo per poter puntare il dito e dire “LO SAPEVO!”.

“...mi sto rovinando con le mie mani, non è vero?”
“Non se qualcuno sveglio te lo fa notare in tempo” ghignò Aoi. “Goditi la tua meritatissima felicità.”

L’unica risposta che Touko riuscì a formulare fu una sequenza di versetti di gioia e sorrisetti sghembi.

“E a proposito di felicità, che fine ha fatto Syo?” chiese d’un tratto Aoi. “Sono anni che non si vede né si sente parlare di lei…”
Touko fece spallucce: “Oh, ha accettato di starsene buona e calma da quando io e Byakuya facciamo coppia fissa. È un risultato che la soddisfa pienamente, e di tanto in tanto la… lascio uscire fuori per farla divertire e infastidirlo un po’” sogghignò. “E si è stranamente affezionata a Shinobu, non l’avrei mai detto!”

“Stavate parlando di me?”

Touko si voltò lentamente, ritrovandosi faccia a faccia con un divertito Byakuya e un’ancora più divertita Shinobu, impegnata a tirare la cravatta del papà.

“...io vi lascio soli, sento Seiko-chan che mi chiama” mentì spudoratamente Aoi, mimando bacetti e scene romantiche mentre si allontanava.

Bell’amica che sei!

Non era per nulla vero, ma il melodramma era duro a morire.

“E quindi lasciavi uscire Syo volontariamente, eh?”

A quello non sapeva come rispondere, quindi si limitò a giocare con una ciocca di capelli in una perfetta imitazione di Enoshima.

“E soprattutto sei gelosa…”

Byakuya sapeva come riportare l’attenzione su un argomento con tatto e delicatezza.

“...forse” ammise con riluttanza, guardando ovunque tranne lui.
Byakuya si lasciò sfuggire un mezzo sorriso mentre si chinava verso di lei: “Non hai motivo di sentirti in imbarazzo, è una cosa… carina, a suo modo” sussurrò al suo orecchio, regalandole un brivido lungo la schiena. “P-pensavo trovassi infantili certe reazioni” balbettò, cercando di mantenere un minimo di contegno.

“Solo quando portano a comportamenti estremi” spiegò lui, “ma non è il tuo caso. Al contrario, ti sei tenuta tutto dentro per tanti anni… perché non me ne hai mai parlato?”
“Perché mi sentivo stupida” rispose Touko, continuando a rivolgere lo sguardo altrove “come quando avevo diciassette anni.”

Per qualche istante nessuno dei due parlò.

Magari non sa cosa dire. O preferisce non dire nulla perché è tutto incredibilmente ridicolo, me compresa.

I pensieri negativi vennero interrotti dalla mano di suo marito che le afferrava il polso e la trascinava da qualche parte.

“Bya… Byakuya? Che ti prende?”
“Ora lo vedrai.”

Si fermò davanti a Naegi, al quale porse Shinobu: “Naegi, vengo a riscuotere il mio favore.”
Eh? Che favore?

L’ex Fortunello dal canto suo non fece una piega, ma si limitò a prendere in braccio la bambina e sorridere sornione: “Va’ e divertiti, fratello.”

Byakuya annuì e poi la trascinò fuori dalla palestra.

“S-si può sapere che ti p-”

Venne zittita da un bacio. Un bacio decisamente passionale.

“Voglio dimostrarti che sei l’unica donna della mia vita” rispose lui, osservandola con uno sguardo che subito mise sull’attenti l’Amica V. “Shinobu starà bene con lo zio Naegi, mentre mamma e papà si concedono un momento tutto per loro come ai vecchi tempi…”

A quella frase fu lei a sogghignare.
“Come ai vecchi tempi, eh? Ma il secondo piano è chiuso, non possiamo nasconderci in biblioteca come facevamo durante la pausa pranzo” sussurrò, attirandolo verso di sé. Byakuya non oppose resistenza. “La sala audiovisivi andrà più che bene.”

*

Sigma Klim era nel panico. Era al primo anno di frequenza alla Kibougamine e poteva dire di aver visto già un sacco di cose strane (a partire dal vice-preside, che per qualche imperscrutabile motivo stava mortalmente sulle palle a un po’ tutti ma in special modo alla sua compagna di classe Akane Kurashiki).

Ma questa… oh, questa era una novità. E non una di quelle che racconti con piacere quando a fine giornata fai il riassunto di quel che ti è successo.

Perché, davanti ai suoi sbigottiti occhi, i bagni dei dormitori stavano letteralmente andando a fuoco.

Aveva percepito che qualcosa non andava quando una serie di vibrazioni gli avevano fatto ballare il letto mentre… ecco, come dire… si stava dando sollievo alle parti basse (quando ti porti dietro ventidue centimetri e mezzo di virilità è necessario darci dentro almeno una volta al giorno, o almeno così la pensava lui).

Uscendo per vedere a cosa fosse dovuto, si era accorto del casino. E non poteva essere altrimenti, le fiamme stavano divorando l’intero ambiente e rischiavano di espandersi per il resto del corridoio.

Del tutto fuori di sé, la sua prima reazione fu quella di andare a bussare furiosamente alla porta del suo migliore amico Carlos: “Apri porca puttana, apri!”.

“Che cavolo vuoi, Klim? È tardi” sbuffò quello mentre sbloccava la serratura.

“Va a fuoco il cesso!”.

“Che cosa? Mi prendi in giro?”.

“Prima dev’essere esploso, ho sentito tremare tutto. E adesso sta bruciando!”.

“Oh porca miseria! Dobbiamo chiamare qualcuno!”.

“Io sono venuto da te perché sei il Super Pompiere!”.

“Sì, ma non ho l’attrezzatura sottomano! E comunque non posso pensarci io da solo, è un incendio bello grosso!”.

Erano ancora lì, sulla soglia della camera di Carlos, a cercare di organizzarsi in qualche modo…

“Oh, Klim e… mannaggia, non mi ricordo il tuo nome. Cosa ci fate qui?”.

“Signor Kizakura! Non vede che sta bruciando tutto?”.

“Parli dei bagni? Non dovete preoccuparvi, è tutto sotto controllo”.

“Sotto controllo? Perdoni la franchezza, ma si droga?”.

“Siete troppo giovani per conoscere in prima persona le potenti chiappe di Nekomaru Nidai, ma vi assicuro che è tutto fumo e poco arrosto. Si spegneranno da sole”.

E mentre Koichi Kizakura si allontanava fischiettando e bevendo dalla sua fiaschetta, Sigma e Carlos rimasero a guardarsi negli occhi come due fessi chiedendosi in che razza di posto fossero finiti.

*

Junko era stranamente inquieta.

All’apparenza andava tutto bene: si faceva le fusa con Mondo, lanciava per aria i suoi figli (prendendosi insulti da praticamente chiunque), con una sola parola mandava Togami fuori di testa.

Tutto come dieci anni prima, come se quel tempo non fosse mai trascorso.

Ma una parte di sé la tormentava. Era la parte che voleva vedere come si sarebbero concluse le cose fra Mukuro e Ishimaru.

Sarò onesto. Junko Enoshima era una tipetta a dir poco scoppiettante, piena di idee strane e modi di fare ancora più strani. Ma questo non significava che non sapesse dare il giusto peso alle cose.

E quella era una cosa molto, molto pesante.

Non tanto per lei, ovviamente. Anzi, dal suo punto di vista era una situazione ottimale: la loro famiglia allargata (lei, suo marito, i loro figli, sua sorella e il suo fidanzato) stavano insieme spessissimo, andavano in vacanza come una grande comitiva felice, celebravano le feste seduti tutti assieme.

A lei stava bene così.

Peccato che lo stesso non si potesse dire di Ishimaru. Quella testa quadra teneva troppo alla formalità, alla firma in fondo al contratto. Voleva a tutti i costi un riconoscimento ufficiale alla relazione che lo legava a Mukuro. Ma lei era ostinata (vai tanto in giro a fare la galletta dicendo che io e te non potremmo essere più diverse, e poi dimostri tutto il contrario quando ti impunti come solo io so fare) e non era stata disposta a cedere il passo.

Ciò, unito alla scenata avvenuta circa venti minuti prima, aveva creato un enorme divario fra i due.

Questo sì che non le stava bene.

Porca di quella miseria. Sei veramente una deficiente, Mukuro. Che cazzo ti costa dirgli di sì? Vi conosco, siete quel tipo di coppia che finisce nella stessa casa di riposo e si scambia i pannoloni ritenendolo un gesto romantico. Lui vuole sposarti? E dagliela… ‘sta soddisfazione.

Era inquieta. Ma anche e soprattutto arrabbiata.

Arrabbiata con lei.

Ci vedeva tanta stupidità in quanto stava succedendo. Tanta stupidità e la concreta possibilità che l’idillio fra il Tuono Blu e la Full Metal Bitch andasse in mille pezzi, per la gioia di nessuna delle parti in causa.

Me lo vedo già Mondo che si trasferisce in pianta stabile da lui per cercare di tirarlo fuori dal pantano della depressione perenne che diventerebbe la sua migliore compagna di bevute. Non lascerebbe mai il suo kyoudai solo in tutto quel mare di merda. E chi ci rimette? Io e i marmocchi.

Ma, considerazioni egoistiche a parte, era anche e soprattutto l’affetto che provava per lei a spingerla a pensarla così. D’altronde Mukuro aveva vissuto per buona parte della sua vita in un campo di battaglia e aveva rischiato di morire su base giornaliera, oltre ad essere sempre stata timida e scostante nei rapporti interpersonali. Se la meritava un po’ di felicità.

E Ishimaru era forse l’unico che poteva dargliela. O quantomeno era il meglio attrezzato, quello che meglio la conosceva (dopo di lei, chiaramente) e che meglio la sopportava (sempre dopo di lei, ovvio).

Sì, insomma. Erano praticamente fatti l’uno per l’altra. E, stando a quel poco che era riuscita ad estorcere a Mondo, avevano pure un’eccellente intesa sessuale. Specie da quando lui si era ammorbidito nei confronti del suo kink e aveva imparato lo shibari.

L’anima del Prefetto è proprio parte della sua persona, nulla da dire. Si è messo in testa di soddisfarla e l’ha soddisfatta… parecchio, se ricordo bene quell’episodio d’infanzia in cui Mukuro era finita col legarsi da sola.

Mandare tutto a puttane solo perché sua sorella non sapeva dire di no all’orgoglio… lo avrebbe rimpianto fino alla fine dei suoi giorni, ne era sicura.

Era fortemente tentata di intervenire in prima persona. Non voleva, non poteva permettere un simile disastro.

Stai ferma, cogliona! Se ci metti il becco tu fai esplodere la palestra, fai precipitare un pullman pieno di bambini giù da una scogliera e, per chiudere in bellezza, dai il là alla terza guerra mondiale!

Ma sentitela, ‘sta cretina. Come ti permetti di giudicarci? Noi siamo Enoshima, perché noi valiamo!

Andrà tutto male… quei due si molleranno… Mondo si troverà una squinzia quindicenne a cui piace il fisting acrobatico e ti pianterà lasciandoti i ragazzi sul groppone…

Ipotesi poco probabili, mia ignorante amica. Specialmente quella che prevede il signor Oowada accasarsi con qualcun altro. Sapete tutte, care, che il nostro feeling da attori porno con quello stallone sfiora il 94%, roba da primato.

No no no, fate silenzio. Non è il momento.

Scosse la testa per cercare di farle stare zitte. Non aveva proprio bisogno del concerto per ottoni e trombone dentro il cranio. Per fortuna del mondo intero, in ultima istanza si risolse a starsene fuori. Nonostante tutto capiva quanto deleterio avrebbe potuto essere un suo intervento diretto.

Riprese a rimuginare, mandando maledizioni e rimproveri più o meno velati all’indirizzo della sorella.

Poi.

Lei, così come tutto il resto della palestra, si fermò.

Mukuro Ikusaba, inguaiata nella sua mimetica, era tornata alla ribalta.

Immediatamente tutti, e intendo davvero tutti, i presenti si fissarono sulla sua figura che camminava tranquilla e a testa alta, con un evidente obiettivo in faccia: Ishimaru.

La tensione si poteva tagliare… naaaaa, un grissino sarebbe già stato eccessivo. Sarebbe bastato un soffio d’aria.

Mutismo totale. Persino i bambini, pur non smettendo di prendersi a calci, avevano perso la maggior parte della loro carica combattiva. Come se fossero degli animali selvatici che avevano intuito l’importanza del momento e ci si adattavano.

Un passo. Due passi. Tre passi.

Già molto prima che lei gli fosse sotto, lui si era ridestato come per magia. Doveva aver percepito il cambiamento. Si era alzato e si era voltato nella sua direzione.

Junko ebbe un veloce ma velenoso attacco di bile: in ventotto anni di vita non era mai, mai, MAI riuscita ad attirare l’attenzione di un così grande numero di persone in maniera tanto totalizzante. In quel momento, ovviamente, scordava la Più Gigantesca, più Miliare, più Chiassosa Scenata nella Storia della Kibougamine… ma, va detto a onor del vero, in quell’occasione non proprio l’intera palestra si era girata verso di lei in questo modo.

Comunque, deliri da egocentrica a parte.

Il momento della verità era sempre più vicino.

A fianco dell’ex Prefetto, come fossero due scudieri con il loro signore, andarono a porsi Mondo e Fujisaki.

Che pensiero carino hanno avuto. Farei lo stesso con te, Mukuro, se non fosse che in questo momento sei la padrona del tuo destino e non devi temere colpi mancini alle spalle.

Finalmente il vis a vis.

Sembrava veramente la scena madre di un film anni ‘50, una di quelle mattonate insopportabili tipo Quo Vadis o Ben Hur. Il protagonista, con relativi attori secondari, e la sua bella erano finalmente giunti all’apogeo della loro vicenda, che chiaramente si sarebbe risolta a champagne e tarallucci e tutti sarebbero vissuti felici e contenti nei secoli dei secoli amen.

Mi si prenderà per una che vive fra le nuvole, e probabilmente avete anche ragione. Ma credetemi, darei parecchie delle cose di cui sono più gelosa per far sì che questa storia si possa concludere come una fiaba.

Non deludermi, sorella.

Non farlo.

Silenzio. Tombale.

Neanche un soffio di vento (e vorrei pure vedere, siamo al chiuso. Imbecille di un narratore).

Faccia a faccia. Sua sorella e il suo quasi-si-voleva-sperare cognato.

Porca vacca, l’atmosfera si era fatta elettrica. Sul serio.

“Kiyotaka…”.

Ooooooh, era partita.

“...la mia risposta…”.

Non fare minchiate non fare minchiate non fare minchiate.

“...è no”.

“Io ve l’avevo detto! Continuate a dubitare delle mie predizioni, mi raccomando!”.

Io. La. Ammazzo.

Ogni sua velleità omicida venne bruciata sul tempo da Fujisaki, il quale prese Mukuro per la collottola (e non le si chieda come ci fosse riuscito data la disparità d’altezza) urlandole in faccia che non doveva azzardarsi a dare un simile colpo a Ishimaru, lo avrebbe ucciso.

“IKUSABA! CHE CAZZO TI PASSA PER LA TESTA, SI PUÒ SAPERE? RITIRA QUELLO CHE HAI DETTO! RITIRALO! ORA!”.

Lei non fece un plissè e lo scostò con gentilezza, badando bene a non fargli male. Placcò a parole Oowada, che stava per fare lo stesso, e provvide a mettere una figurata museruola allo stuolo di persone che si stava muovendo per circondarla. E sbranarla, stabilì Junko nella sua testa.

“Statemi bene a sentire, branco di babbuini! Lasciatemi finire il discorso, per favore. Vi assicuro che la voglia di appendere la mia carcassa sopra al caminetto vi passerà istantaneamente, se sarete tanto compiacenti”.

Vi fu più di uno sguardo perplesso e/o inferocito, ma per fortuna della sua collottola nessuno mise in pratica le bellicose intenzioni generalizzate.

Tornò a dedicarsi al suo uomo, sulla faccia del quale era dipinto l’abisso più profondo e nero che infestava i peggiori incubi della razza umana.

Insomma Junko, smettila di darti al decadentismo che come poetessa fai cagare. E soprattutto dai un grammo di credito a quella sconsiderata di tua sorella, sembra sapere quel che fa.

Trovò, non sapeva dove, la forza per non saltarle al collo e strangolarla seduta stante.

“Kiyotaka, avevi detto che la mia risposta sarebbe stata definitiva”.

“S-S-S-S-S-S-S-Sì, avevo d-d-detto così…”.

“Bene. Perché così, chiusa questa questione, se ne può aprire immediatamente un’altra”.

“E s-s-s-sarebbe?”.

Non gli rispose.

Gli prese le mani fra le sue.

Si inginocchiò.

Lo guardò dritto nelle palle degli occhi.

“Kiyotaka, sono stata inutilmente crudele con te. Per dieci lunghi anni ti ho negato una cosa a cui tenevi tantissimo per… semplice, dannata, irrazionale paura. Paura dell’impegno. Paura del fare il passo più lungo della gamba. Paura e basta, più semplicemente. Te l’ho negata per ridicole paturnie mie e per questo, seppur con un colpevole ritardo, ti chiedo scusa. Mi sento un verme. L’unico modo che mi è venuto in mente per rimediare è questo”.

Prese un attimo di pausa, sotto lo sguardo sbigottito dell’intera popolazione della palestra.

Tirò un sospiro, quasi volesse raccogliere il coraggio.

La conosco, so che è così.

Vedi di dire quel che mi aspetto tu stia per dire.

“Kiyotaka Ishimaru, vuoi sposarmi?”.

Ecco, brava che… ohmioddiogliel’hachiestolei!

Improvvisamente fu il tripudio. Scoppiarono urla di gioia, volarono abbracci e a turno tutti si gettarono sui due fortunati per congratularsi.

Mondo Oowada diede un calcio in bocca alla sua immagine di duro e pianse, con i tipici lacrimoni caricaturali da manga.

Chihiro Fujisaki si attaccò alla vita di Mukuro e, in una lingua incomprensibile che però Junko identificò come klingon, la ringraziò per aver cambiato idea ed essersi rimangiata, seppur per vie traverse, quell’orrido rifiuto di pochi minuti prima.

Stava per aggregarsi anche lei all’ilarità generale quando al suo orecchio giunse il rumore di una porta che si apriva alle sue spalle.

Si voltò e vide lo stupore dipinto sulle facce di Togami e Fukawa, tornati in quel momento da chissà dove. Facilmente non si aspettavano tutto ‘sto casino.

Trovò corretto andare a comunicar loro la lieta novella.

“Ehi, dov’eravate finiti? Vi siete persi… sniff sniff. Un attimo, fermi tutti. Voi due… puzzate di sesso! Sporcaccioni, dove vi siete imboscati per farlo?”.

“Hai due bambini in pancia, Enoshima. Abbi il buon gusto di non parlare come uno scaricatore di porto rumeno”.

“Da dove pensi che vengano ‘sti due prodigi della natura, Raggio di Sole? Dall’omeopatia e da tanto ottimismo?”.

“...grrrrr”.

“Va beh, siete adulti e vaccinati e potete scopare con chi vi pare quando vi pare. Non è neanche affar mio. Piuttosto, non volete sapere perché entrambe le classi stanno stritolando mia sorella e Ishimaru?”.

“In effetti me lo stavo proprio chiedendo, lo devo ammettere”.

“È perché quella pazza isterica di Mukuro ha avuto il coraggio di rifiutare la proposta di matrimonio di Ishimaru…”.

“Eh? E allora perché non la stanno scuoiando?”.

“...lasciami finire, Fukawa-chan. Ha rifiutato la sua proposta, salvo poi essere lei a fargliela”.

“Oh. Ma davvero?”.

“Davvero davvero. Mi ha reso tanto orgogliosa di lei, ha mostrato le palle”.

“Che bella notizia! Vado a fare anch’io i complimenti ai futuri sposi!”. E così dicendo Touko si staccò dal loro gruppetto per andare a farsi inglobare da quell’enorme massa umana.

Fu a quel punto, però, che successe una cosa che ghiacciò il sangue nelle vene a tutti i presenti.

Ishimaru si divincolò da chi lo stava soffocando di abbracci, saltò sul più vicino tavolo (Junko giurò di aver sentito Kuzuryuu urlargli di non rubargli il momento di gloria) e disse a voce alta: “Fermi tutti, per la miseria! Non è un po’ prematuro festeggiare in questa maniera sconsiderata? Io non le ho mica detto di sì”.

Gelo.

Al che Mukuro, per nulla toccata da quanto appena sentito, lo raggiunse in cima al tavolo.

“Guardami negli occhi, Kiyotaka, e abbi il coraggio di respingermi di fronte a tutti allora”.

I trenta secondi più lunghi di tutta la loro vita.

“Mukuro Ikusaba, io ti… io ti…”.

“Tu cosa?”.

“Io ti…”.

“Avanti”.

“Io… oh, ma chi voglio prendere per il culo? Non riuscirei mai a rifiutare”. Così dicendo la baciò con una foga per lui tutta nuova, almeno agli occhi degli altri.

A quel punto Junko, lasciata qualsiasi possibile remora, andò a gettarsi a testa bassa in mezzo alla baraonda, sin troppo felice di aver assistito a un epilogo degno della miglior Cenerentola.

“Siete tutti invitati al matrimonio! E anzi, vi voglio tutti come miei testimoni! Tutti, nessuno escluso, anche la 77! Anche i pessimi elementi come Saionji-san! Sono ebbro di gioia, non m’importa di nulla!”.

   
 
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