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Autore: EffyLou    25/02/2018    1 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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۲۲. Davaz-beest

 
 
Arrivarono alla piana di Hormuz che era il tramonto.
L’esercito si era rifocillato strada facendo, abbeverandosi in pozzi d’acqua buona e mangiando grazie al supporto di alcuni villaggi sulla via. I cavalli azzoppati e malandati dovettero essere abbattuti, così come le bestie da soma; in entrambi i casi, i popolani li rifornirono di tutto ciò di cui avessero bisogno. Persino di donne.
Eumene calcolò che le perdite subìte in Gedrosia erano pari a quattro quinti del contingente con cui Alessandro partì da Patala. Un terribile viaggio di ritorno, più tragico di quanto si sarebbe mai aspettato, umiliante e drammatico.
Ma ora, finalmente, sembrava terminato. Aveva inviato due esploratori in avanscoperta all’ora di pranzo, ed erano tornati poco dopo dicendo di aver incontrato l’accampamento con le truppe di Cratero.
Quando furono avvistati, le vedette suonarono le trombe e non ci volle molto perché Alessandro scorgesse la figura di Cratero al limitare del campo che li attendeva con un sorriso difficile da non notare.
Il re trovava il suo generale in ottima forma, pulito e ben vestito. Quando scese da cavallo, lo abbracciò mollandogli pacche sulla schiena.
«Puzzi di cavallo e sudore, maledizione!» esclamò Cratero, ridendo.
«E mi sono anche lavato un po’!»
«Ci sono proprio tutti. - fece un cenno di saluto anche ad Efestione, Eumene, Tolomeo, Lisimmaco e Seleuco. – Persino Durga!»
«Tutti? Quelli che vedi sono solo un quinto degli uomini con cui partii da Patala. Fame, sete e fatica ci hanno massacrati»
«Oh, per Zeus»
«E Brahmin si è fatto bruciare», non si dilungò oltre riferendogli le enigmatiche parole. Ci aveva già pensato Efestione a creargli una certa dose di ansia con le sue osservazioni e ipotesi drammatiche.
«Il santone? Perché mai?»
«Un male spirituale, ha detto… - sussurrò, ancora preda dei rimorsi. - Tu come te la sei cavata in Carmania?»
«Un male spirituale? Al punto da farsi bruciare? Mah! Comunque mi è andata molto meglio di te. – rispose con un sorriso incerto. – Abbiamo portato un po’ d’ordine nei paesi in sommossa, ma non abbiamo avuto tante perdite»
«Notizie da Nearco, invece?»
Cratero scosse la testa. «Niente. Ma senti che vento da est, se non sono ancora arrivati di certo lo faranno presto».
 
 
* * * *

 
«Nearco è qui, è arrivato! – esclamò il re. – Per Zeus, Eumene, cosa stai facendo lì? Sbrigati, fa’ preparare tutto il cibo che puoi. Voglio che scorrano fiumi di vino, cibo in abbondanza. Bisogna preparare tutto per il loro arrivo, dobbiamo festeggiare!»
«Ci vorrà tempo!» protestò il segretario.
«Beh, allora trovalo!»
Gli occhi del re brillavano come stelle, emozionati e febbrili, felici come quelli di un bambino a cui viene regalato un nuovo gioco. Persino il suo occhio sinistro, nero come la notte senza luna, sembrava brillare. Ed Eumene, davanti a quello sguardo, non seppe dire di no al suo re.
Dopo due giorni dal loro arrivo all’accampamento di Cratero, gli esploratori inviati sulle coste per chiedere notizie di Nearco riportarono la lieta novità: l’ammiraglio era fermo poco più a sud dello stretto di Hormuz, per far riposare e rifocillare i marinai della flotta, ma avrebbe presto ripreso il viaggio fino alla piana.
Ed ora le navi erano attraccate sulla costa, vicino alla loro posizione, tanto che dall’accampamento si potevano vedere gli alberi maestri e i vessilli con la stella argeade.
«Farò in fretta. – annuì Eumene. – Però, Alessandro, ora che siamo di nuovo entro i confini dell’impero ci sono alcune questioni riguardo i satrapi che andrebbero risolte»
Il re lo zittì con un gesto della mano. «Lasciami tutti i rapporti, missive e quant’altro sullo scrittoio. Immagino già di cosa si tratti, e non voglio avvelenarmi il sangue proprio oggi che è un giorno di festa. Leggerò ogni cosa a festeggiamenti conclusi».
Gli diede altre direttive per i giorni di festeggiamenti, come preparare gare atletiche, sacrifici agli dèi e spettacoli teatrali.
Fece sellare il suo cavallo e partì, con Cratero ed Efestione, verso l’accampamento di Nearco.
I marinai lo accolsero con grida euforiche e schiamazzi vari, e Alessandro li salutò tutti con grandi sorrisi. L’ammiraglio gli corse incontro e i due si abbracciarono dandosi pacche sulle spalle. Poi, quando si separarono tenendosi per le spalle, le loro espressioni erano incredule e felici, emozionate.
Il re scoppiò in una risata liberatoria: «Ce l’abbiamo fatta!» gridò, strattonandolo appena per le spalle, mentre a quel grido soldati e marinai esplodevano in urla trionfali.
«Ce l’abbiamo fatta davvero! Abbiamo tracciato una linea marittima con l’India! E tu, brutto pazzo, hai attraversato il deserto della Gedrosia!»
«Devi raccontarmi tutto! Stasera festeggeremo, e anche domani e dopodomani ancora! Ma dimmi – si avvicinò, abbassando la voce in un sussurro, – dov’è mia moglie?»
«Credo si stia riposando sulla nave, e poi avrà il suo bel da fare per sistemarsi adeguatamente. Puzzavamo tutti di pesce marcio, sai, compresa il fiore di Persia»
Alessandro sorrise divertito. «Dunque la vedrò solo stasera al banchetto. E Perdicca?»
«Sono tutto tuo» esordì la voce del generale in questione, scoppiando in una risata.
Alessandro incontrò gli occhi di quel vivace blu del suo amico, scoprendolo un po’ sciupato ma in forma. Era pulito, indossava un chitone militare e gli schinieri, come se fosse pronto a combattere.
Il re lo abbracciò forte, felice di rivederlo e ritrovarlo sano e salvo. «Ah, Perdicca, quanto mi è mancata la tua linguaccia biforcuta»
«E a me è mancata la tua testardaggine» ridacchiò, mentre il sovrano gli scompigliava i capelli scuri.



 
Nel tardo pomeriggio, Nearco si recò all’accampamento di Alessandro per mostrare al re le mappe che aveva tracciato e il suo diario di bordo.
Il macedone sembrò molto incuriosito dalla strana avventura su quell’isola spuntata dal nulla in mezzo al mare, ad un persiano domandò di più sulla leggenda di Zaratan e quello gli rispose come già gli aveva anticipato l’ammiraglio: «È un mostro-isola, alcuni dicono abbia l’aspetto di una gigantesca tartaruga. Non si riesce a distinguere dalle isole normali. Sale in superficie solo per dormire, meglio non farla svegliare».
Dopodiché il re lesse velocemente i rapporti trascritti sul diario di bordo di Nearco e scrutò la mappa da lui preparata. Fece scorrere le dita sulla carta, tracciando con la punta il percorso segnato e le coste.
Alzò gli occhi puntandoli in quelli grigi dell’amico: «È splendida. Hai fatto un ottimo lavoro. – la arrotolò, posandola sul suo scrittoio. – Amico mio, non sai quanto mi sono preoccupato quando non abbiamo più ricevuto vostre notizie»
«Anche noi. – annuì, grave. – Abbiamo affrontato una tempesta e la grave perdita subìta sulla presunta Zaratan, ma a parte gli stenti ce la siamo cavata bene»
«Stasera dimentichiamo gli affanni, Nearco, festeggiamo».
Al tramonto arrivarono carri con il vino e cibo delizioso appena preparato da cuochi persiani, che sprigionarono nell’aria un odore da acquolina in bocca.
La servitù si occupò di far trasportare letti da convito e mense sulla spiaggia, ma molti soldati restarono senza e dovettero sedersi sulla sabbia. A nessuno importò molto, visto che la fame era pur sempre fame, e l’importante non era dove mettersi seduti ma mangiare.
 
Rossane aveva appena finito di indossare gli orecchini, si guardava allo specchio e si compiacque nel vedersi di nuovo tirata a lucido. Quel pomeriggio si era finalmente concessa un bagno come si deve, Almas le aveva cosparso il corpo con la pasta depilatoria e poi le aveva massaggiato la pelle.  Aveva intrecciato i capelli della regina in una lunga treccia che cadeva morbida sulla spalla sinistra; indossava una semplice veste di un azzurro cupo tendente al blu, fissata con due spille tonde sulle spalle e una cintura d’oro attorno alla vita. Le gambe erano fasciate dai pantaloni di cuoio da scita, infilati in stivali bassi. Complessivamente era vestita comoda, non risultava affatto regale ma, d’altronde, non lo sembrava da quando aveva lasciato Al-Khanoum. Le circostanze di certo non lo permettevano. Gli unici ornamenti che indossava erano i sottili e rigidi bracciali d’oro, la collana regalatale da Alessandro prima della battaglia contro Poro, e gli orecchini a disco.
Si sentiva finalmente pulita, leggera, quasi i giorni della navigazione fossero un ricordo distante.
I profumi del banchetto e il leggero puzzo acre dei falò, le invase le narici non appena uscì dalla sua tenda. Era un miscuglio di odori che, tuttavia, non risultava spiacevole. C’era un calore confortante in quella serata d’inverno.
Vedeva la servitù aggirarsi tra le file dei soldati seduti a terra con vassoi colmi di pietanze, ma di qualche generale conosciuto neppure l’ombra, da laggiù. Uno dei servi persiani la vide, le fece un sorriso e la invitò a seguirlo verso la parte più centrale di quella grande mensa a cielo aperto. Tra le teste dei soldati festanti, gli occhi di Rossane furono catturati dal brillante arancione del manto della sua amata tigre. Lì vicino, sdraiato su un fianco sul letto da convito, il re.
Rossane si prese qualche attimo per ammirarlo da lontano, come poche volte si era concessa di fare e come da tanto tempo non faceva. Ammirò i suoi lineamenti così armoniosi, i capelli biondi e ondulati, gli occhi che custodivano il giorno e la notte. Gli zigomi erano leggermente arrossati, contrastavano piacevolmente sul candore della pelle. Era di una bellezza così naturale, così armoniosa, sembrava una statua greca scolpita da un artista dalle mani d’oro.
Alessandro alzò lo sguardo, incontrando gli occhi ambrati di Rossane come se attirati da una calamita. Come se sapesse esattamente che, alzando i suoi, si sarebbe subito imbattuto in quelli della regina senza la necessità di cercarla.
Il cuore di lei perse un battito e si ritrovò ad arrossire. Improvvisamente si chiese se lui la trovasse bella anche così, se fosse felice, se avesse cambiato idea durante il viaggio. Pensiero che sorpresero persino Rossane, sempre incurante di ciò che gli altri pensassero del suo aspetto fisico poiché effimero, ma che vennero subito smorzati dal sorriso che Alessandro le rivolse.
Non l’aveva mai visto sorridere così, come se avesse appena visto un tesoro meraviglioso di cui solo lui poteva disporre.
Si alzò in piedi, dicendo qualcosa ai generali lì con lui che si limitarono a sorridere e ammiccare.
Alessandro percorse a grandi falcate la distanza che lo separava da Rossane, i soldati lì vicino si scansarono appena ma non si preoccuparono di guardare la scena. Lei trattenne il fiato, finché il re non la raggiunse e l’attirò a sé, stringendola forte in un abbraccio.
L’avvolse completamente. Rossane riscoprì la solidità del suo corpo, la forza delle sue braccia e il calore della sua pelle.
Per Alessandro fu lo stesso: risentirla così piccola e minuta tra le sue braccia, il profumo dei suoi capelli, la dolcezza delle sue mani che si posavano sulla schiena ricambiando l’abbraccio. Quasi si commosse nel risentirla così materialmente, così reale, e non più un abbaglio quando chiudeva le palpebre.
Rossane si accoccolò con la testa sul suo petto, lui posò la guancia sul suo capo stringendola ancora un po’. Desiderarono che quel momento durasse per sempre. Senza fatiche, senza divergenze, senza niente e nessuno; solo loro stretti l’uno all’altra come se tutto il mondo stesse crollando, tranne quel pilastro che stringevano.
Alessandro l’allontanò appena, portando le mani al suo viso e accarezzandole gli zigomi con i pollici. Si guardarono per una manciata di secondi, poi si chinò per poggiarle un bacio sulle labbra. Un bacio anche più intenso di quello che le aveva dato prima di partire. Rossane sorrise contro le sue labbra, alzandosi sulla punta dei piedi per raggiungerlo meglio. Anche il re sorrise all’ennesima dimostrazione del suo essere minuta, le circondò i fianchi con le braccia e la tirò poco più su, facendole staccare i piedi da terra.
«Sono tentato di lasciare tutto e portarti nella mia tenda» le sussurrò con un sorriso divertito.
Lei scoppiò a ridere. «E da quando un re si fa tanti scrupoli?»
«Da quando sa che sua moglie ha fame e non vuole strapazzarla troppo sapendola digiuna» replicò facendola tornare con i piedi a terra.
«Molto premuroso»
«Non ti preoccupare, piccola sfacciata, abbiamo tutta la notte» le sorrise sornione e Rossane scoppiò di nuovo a ridere alla sua espressione. Le sembrava spensierato, senza preoccupazioni. Probabilmente erano complici i fumi del vino che, seppur lievi, contribuivano.
«Mi sei mancato» ammise, inclinando la testa.
Il suo sguardo si addolcì e le prese la mano per baciarne il dorso. «Anche tu, non sai quanto. E non hai idea di quanto io sia stato in pensiero dopo aver perso i contatti con la flotta»
«Hai avuto paura? Per me?»
«Molta. E gli dèi sanno quanto io ti sia grato per non aver mangiato quelle dannate bacche sull’isola!»
Rossane gli sorrise, stringendogli la mano, e poiché Alessandro non si decideva a tornare al centro del grande banchetto, ce lo condusse lei.

Cratero ed Efestione la salutarono calorosamente, le bocche piene di carne speziata alla maniera persiana, e la regina si sedette sul letto da convito del re. Durga le si avvicinò subito, strofinandole il grosso muso sul grembo; lei non poté far a meno di accarezzarla, abbracciarla.
Per il resto della serata s’intrattenne con Alessandro e i generali ascoltando i loro racconti, compresi quelli che lei stessa aveva vissuto tra i marinai di Nearco.
Ad un certo punto, per giocare e scherzare, alcuni soldati gettarono sulla testa del re una corona di frasche d’alloro, tranci di vite e pampini. Lui non s’infuriò, anzi: domandò ad un servitore di portargli una delle sue pellicce di animali selvatici. L’ordine fu compiuto immediatamente, e Alessandro si denudò per coprirsi solamente della pelliccia di leopardo.
Brillo e ai l’imiti dell’ubriachezza, si fece portare un’altra coppa di vino, improvvisandosi il dio Dioniso. Scatenò l’ilarità generale, e tutti lo seguirono in un traballante corteo sulla spiaggia fredda.
Qualcuno andò a gettarsi in mare, giocando; altri continuarono a bere; qualcuno iniziò a danzare; altri ancora si avvicinarono alle concubine sparse per tutta la mensa a cielo aperto.
«Per Zeus, breviamo!» gridò Alessandro, scoppiando subito in una fragorosa risata contagiosa che coinvolse tutti indistintamente.
Rossane lo guardò destreggiarsi nei panni del dio Dioniso, esortando l’euforia dei festeggiamenti, l’ebrezza del vino e del sesso, trasformando quel banchetto in una festa orgiastica.

All’inizio aveva riso anche lei, tenendosi addirittura la pancia per le risate, ma quando cominciò a notare i primi grovigli di corpi intenti ad accoppiarsi, si defilò al limitare del banchetto, dove Alessandro finiva di bere la sua grossa coppa di vino tenendola con entrambe le mani.
«Io torno in tenda, qui la situazione comincia a mettermi a disagio» sorrise, incerta, sperando che lui non fosse troppo ubriaco per non capirla.
Invece il re scosse velocemente e forte la testa, come per cercare di riprendersi, e si portò le dita alla tempia. «Giusto, non ti piace assistere a certe cose»
«Scusa»
«Di che ti scusi? Io sono avvezzo, ma rispetto il tuo pudore»
Rossane sorrise, riconoscente e felice di non sentirlo ubriaco, ma piuttosto brillo. «Ti lascio ai festeggiamenti allora. – abbassò lo sguardo. – Se… se vuoi, quando hai finito, puoi raggiungermi»
Lui sorrise nel vederla così impacciata, e si chinò per darle un bacio sulla guancia. «Io qui ho già finito» le sussurrò all’orecchio, facendola avvampare. Prima che potesse rispondergli, la prese in braccio e lei dovette aggrapparsi al suo collo.
Alessandro non barcollava, giusto ogni tanto sbandava e urtava contro alcuni soldati intenti ad accoppiarsi, ma Rossane non temette mai di cadere. Piuttosto scoppiava a ridere di quella strana e spassosa situazione, facendo sghignazzare anche il re. Come due bambini che trovavano divertente una situazione che, apparentemente, non aveva nulla di comico.
Entrò nella tenda della regina, la adagiò sul letto un po’ goffamente ma con delicatezza. La fece ridacchiare ancora. Anche se lei non aveva bevuto, si sentiva pervasa da una leggerezza d’animo, da una tale euforia, che aveva solo voglia di ridere e divertirsi. Era come ubriaca anche lei.
Alessandro strofinò il viso nell’incavo del suo collo. Il profumo di lei. In quel periodo nel deserto aveva temuto di non poterlo più sentire o di dimenticarlo. Miele, oli e fiori. Delicato, irresistibile, la goccia che faceva traboccare il vaso del suo autocontrollo. Fuoco dei suoi lombi.
«Doset daram, cheshmam» le sussurrò in un sospiro, la bocca premuta sulla pelle della spalla. Come se si fosse appena liberato da un peso e si sentisse più leggero, come se non si fosse neppure accorto d’averlo detto.
Rossane avvampò a quella dichiarazione e quel modo di chiamarla. Era la prima volta che glielo diceva così apertamente, in modo così spontaneo. Di certo no, non se lo aspettava. Era quasi rassegnata a passare la vita al suo fianco, senza aver udire neppure una volta quelle parole.
«Facciamo un gioco. – le disse, sembrando ora consapevole delle sue parole. – Io sono Dioniso, tu sei Arianna»
Rossane scoppiò a ridere, gettando indietro la testa. Il re si accanì sul collo esposto con baci e piccoli morsi, sorridendo contro la pelle liscia e profumata. «Non ridere di me, sono brillo» si giustificò.
«No, tu sei Alessandro e io sono Rossane!» gli disse ridendo.
Lui alzò gli occhi, le morse una guancia, giocoso e delicato come una piuma. «Che è anche meglio, Dioniso se la sogna una donna come te, invece io ne ho l’esclusiva. – la baciò sulle labbra, facendosi strada tra le sue gambe, e sorrise divertito. – Però questa corona non me la levo».





 


Nota:
Il verbo daram (persiano moderno, non antico) significa sia amare che "aver bisogno" e "volere". Dipende dal contesto in cui viene utilizzato!


Questo e il prossimo sono un po' di passaggio, perché poi riprenderanno la marcia verso Susa e ci sarà un crick anche stavolta, un po' come per la questione di Persepoli... ops. Senza contare che Alessandro si arrabbierà non poco con i vari satrapi... ma vedremo tutto, pian piano!
Questo capitolo è più romantico e leggero, toni giocosi e festaioli, niente di serioso e pesante. Ogni tanto ci vuole!
Alla prossima ♥


 
   
 
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