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Autore: _Pulse_    26/02/2018    1 recensioni
«Ti sei svegliato finalmente. Addormentarsi a quel modo... sei proprio uno stupido, jinko».
Atsushi fece rapidamente due più due e si rese conto che non solo il suo acerrimo nemico si era seduto al suo fianco, senza fare nulla per ucciderlo nel sonno, ma che lo aveva addirittura coperto col proprio cappotto. Per lui, la cui abilità era quella di manipolare il tessuto per formare Rashomun, era come privarsi della propria forza. Che diavolo stava succedendo?
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«Ohi-ohi, che mi venga un colpo se non si tratta del membro più stiloso della Port Mafia!».
Chuuya respirò profondamente e si voltò verso l'albero alla sua destra, dal cui ramo più robusto penzolava un Dazai appeso per i piedi. Il suo volto era paonazzo per via del sangue che gli era andato alla testa, eppure vi era stampato il solito, stupido largo sorriso.
[Post capitolo 39 - AtsushiXAkutagawa - ChuuyaXDazai]
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rieccomiiii! :D
Adesso che sono in pari e ho letto tutto quello che ho trovato su internet o quasi (faccio un appello: se qualcuno ha trovato i link alle traduzioni in inglese complete delle quattro light novel me li inoltri in privato, perché non riesco a trovarle e sto impazzendo T__T) posso sbizzarrirmi su come il rapporto tra Atsushi e Akutagawa possa svilupparsi e questo è uno dei possibili risultati. E per gli amanti di Dazai e Chuuya, ci sono anche loro in tutta la loro figaggine ;)
L'ambientazione è successiva al capitolo 39 del manga, perciò sconsiglio la lettura a chi non l'ha letto... se volete procedere lo stesso per me va bene, io vi ho avvisati u_u
All'inizio questa one-shot doveva essere molto più corta, ma mentre scrivevo mi venivano in mente tante - troppe idee, quindi si è allungata parecchio! Ovviamente spero di non aver fatto disastri in merito IC... la mia paura più grande. Ma se anche fosse, fatemelo sapere così posso migliorarmi :)
Ah, è vagamente collegata all'altra FF che ho scritto, "Messaging", ma solo vagamente.
Vi auguro una buona lettura e ci vediamo alla prossima!

Vostra,
_Pulse_


Disclaimer: I personaggi non sono di mia proprietà e questa storia non è scritta a scopo di lucro.



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THE SECRET MEANING OF FLOWERS


Quando all'ora di pranzo aveva ricevuto l'SMS di Dazai, Akutagawa aveva lasciato il ristorante senza dire una parola né ad Higuchi, seduta davanti a lui, né alla cameriera che stava giusto portando al tavolo la fetta di cheesecake ai fichi che aveva ordinato, la sua preferita.
Ogni volta che si scopriva a correre come un cagnolino ad ogni suo ordine, nonostante non fosse più un suo sottoposto, il disgusto per se stesso aumentava, ma non aveva una vera e propria scelta.
Gli aveva chiesto di investigare su un presunto incidente avvenuto nel territorio della mafia e Akutagawa si era subito messo al lavoro, pronto a torturare chiunque pur di ottenere le informazioni che voleva, ma non era servito. Era stato talmente facile e il caso talmente poco esaltante - si trattava davvero di un banale incidente stradale - che aveva deciso di approfondire le ricerche per capire perché Dazai fosse tanto interessato.
Avrebbe dovuto immaginarlo che si trattava di quel maledetta tigre.
Una volta risalito all'identità dell'uomo, scoprendo che si trattava niente meno che del direttore dell'orfanatrofio in cui aveva vissuto Atsushi Nakajima, Akutagawa era stato sul punto di voler scatenare Rashomun nel bel mezzo della strada. Con un enorme sforzo si era trattenuto e aveva continuato la propria indagine, deciso a sfruttare ogni possibile informazione a suo vantaggio. Aveva rintracciato persino alcuni dei bambini, ormai giovani uomini e donne, che erano stati i compagni della tigre e con i metodi della Port Mafia era riuscito a farsi un quadro della situazione.
Quello che doveva essere un luogo sicuro per i bambini orfani o abbandonati dai propri genitori, era stato in realtà un inferno in cui gli abusi erano all'ordine del giorno. Contro ogni pronostico, Akutagawa si era ritrovato a pensare che quell'uomo aveva ottenuto ciò che meritava, almeno fino a quando non si era reso conto che c'erano diversi punti che non quadravano nella visione d'insieme.
Punto primo, le testimonianze che aveva ascoltato l'avevano dipinto come un uomo severo e crudele con tutti i bambini, ma le peggiori atrocità le aveva sempre e solo riservate ad Atsushi. Perché tutto quell'accanimento? Akutagawa stesso, nonostante lo trovasse detestabile, non avrebbe mai ignorato gli ordini del boss Mori se non avesse scoperto che Dazai l'aveva preso sotto la sua ala, sostituendolo.  
Punto secondo, perché si era recato fino a Yokohama per vendere quella vecchia pistola e che cosa aveva intenzione di fare con i soldi ottenuti?
A quel punto era troppo coinvolto ed incuriosito per lasciar perdere e si era recato nel modesto albergo in cui il direttore aveva affittato una camera. Non aveva trovato né la polizia né i membri dell'Agenzia a raccogliere prove. Probabilmente quello smidollato si stava ancora riprendendo dallo shock.
L'uomo si era portato dietro il minimo indispensabile, perciò l'ispezione non era durata molto. Alla reception Akutagawa aveva usato la reputazione del mastino della Port Mafia e aveva scoperto che subito dopo il suo arrivo il direttore aveva chiesto dove potesse trovare un fioraio. Gli era stato indicato quello all'angolo della strada, uno degli ultimi a Yokohama.

Appena entrato nel negozio, Akutagawa fu investito da un intenso profumo che lo fece tossire.
La signora anziana dietro il bancone alzò gli occhi su di lui, ma anziché spaventarsi, come faceva la maggior parte delle persone che semplicemente lo incrociava per strada, gli rivolse un ampio sorriso.
«Buon pomeriggio, giovanotto».
A passi lenti il corvino la raggiunse e rimase impressionato dalla quantità di rughe che le correvano lungo il viso. Istintivamente si portò le dita tra le sopracciglia, ricordando quello che sua sorella gli ripeteva ogni volta che si incontravano: "Se continui a fare quell'espressione, a trent'anni sembrerai un vecchio decrepito".
«Stai cercando qualcosa di particolare?», gli chiese ancora, ricambiando il suo sguardo senza paura. «Magari per una persona speciale?».
Reputare Atsushi Nakajima una persona speciale non sarebbe stato sbagliato, vista la difficoltà ad ucciderlo, ma il corvino scosse il capo ed estrasse dalla tasca interna del cappotto nero la foto del direttore dell'orfanatrofio.
«Oh, quell'uomo me lo ricordo bene. È venuto qui ieri e ha ordinato un bouquet di fiori. Te lo faccio vedere, aspetta qui».
Akutagawa avrebbe voluto dirle che non gli interessava, ma la signora sparì sul retro prima che potesse aprire bocca. Infastidito, attese il suo ritorno con le braccia incrociate al petto e la gola che gli prudeva ad ogni respiro, tanto da dover tossire frequentemente. Perché si era intestardito a quel modo?
Udendo i passi della donna, Akutagawa alzò gli occhi e li sgranò un poco notando le dimensioni del bouquet - le copriva interamente il volto - e la bellezza della composizione. Non che per lui avesse mai contato qualcosa, ma sapeva distinguere cosa fosse bello e cosa no.
«Non ricevo ordinazioni del genere tutti i giorni», gli spiegò posando i fiori sul bancone. «Un tempo era diverso, sai? Le persone che non riuscivano ad esprimersi a parole compravano dei fiori alla persona amata, ma adesso, con l'avvento della tecnologia, l'arte delle composizioni sta morendo. La gente pensa che non abbia senso spendere così tanto per qualcosa che appassirà nel giro di pochi giorni».
Akutagawa aprì la bocca per rispondere che anche lui la pensava così, ma un nuovo attacco di tosse gli fece cambiare idea. Non poteva perdere tempo a chiacchierare con quella vecchia.
La ringraziò per le informazioni e si avviò verso l'uscita senza salutare. Sulla porta, però, non riuscì a resistere e le domandò: «Qual è il significato di quei fiori?».
La donna sorrise dolcemente. «Beh, ne hanno diversi. Io credo che quell'uomo dovesse incontrare qualcuno a cui voleva bene profondamente, ma con cui non ha mai avuto un buon rapporto. È un bouquet di scuse e rimpianto per come sono andate le cose. Aveva qualcosa da farsi perdonare, poco ma sicuro».
Il corvino annuì, una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco.
«Giovanotto», lo chiamò la signora prima che se ne andasse. «Quell'uomo non verrà a ritirare l'ordinazione, vero?».
Akutagawa si voltò di tre quarti, stupito dall'intuito di quella donna. Tossì, coprendosi la bocca con la mano, poi tornò nei pressi del bancone per prendere una penna e un pezzo di carta.
L'anziana fissò con confusione il foglietto che le venne allungato.
«Più tardi verrà un ragazzo con i capelli grigi a farle le stesse mie domande. Non gli dica di me e quando sarà andato via mi chiami».
Akutagawa non attese la risposta della commerciante: le diede le spalle e senza più guardarsi indietro se ne andò.

*

«Quelli sono i tuoi sentimenti. Va bene fare qualsiasi espressione tu voglia. Io posso solo generalizzare. Quando il proprio padre muore, lo si piange».
Atsushi aveva pianto, seduto da solo su quella panchina davanti alla baia di Yokohama. Aveva pianto fino a non avere più lacrime, fino a quando il sole non era sparito dietro la linea del mare per fare spazio alle stelle, mai brillanti come le luci della città.
Kyouka, non vedendolo rientrare per cena, gli aveva mandato un messaggio chiedendogli dove fosse e il ragazzo-tigre le aveva risposto di mangiare e di non preoccuparsi per lui, nonostante sapesse benissimo che la nuova arrivata all'Agenzia gli avrebbe fatto trovare comunque un piatto caldo al suo rientro.
Atsushi non voleva tornare a casa in quello stato, non voleva che la sua aura, più scura che mai, contagiasse la piccola coinquilina.
Akutagawa aveva ragione: era un vero stupido. Lo era sempre stato. Perché non riusciva ad odiarlo e basta, quell'uomo che gli aveva fatto patire le pene dell'inferno? Perché, invece, sentiva un peso insostenibile all'altezza del petto?
Alla fine, nonostante avesse detto a Tanizaki di non voler sapere perché il direttore lo volesse incontrare, aveva seguito il consiglio di Ranpo ed era andato al negozio di fiori vicino all'hotel in cui aveva preso una stanza. Un bouquet di fiori. L'uomo che lo tormentava ancora nei suoi sogni voleva incontrarlo e regalargli un bouquet di fiori.
Le parole di Dazai continuavano a ripetersi nella sua mente, lasciandolo sempre più sgomento.
Il capo dell'orfanatrofio, a seguito delle sofferenze provate durante la sua vita, aveva cercato di aiutarlo preparandolo per ciò che lo attendeva nel mondo esterno, spezzandolo in ogni modo possibile solo per renderlo più forte, sia nel corpo quanto nello spirito.
Lo odiava per quello che gli aveva fatto, però... era grazie a lui che era diventato Atsushi Nakajima, membro dell'Agenzia dei Detective Armati.
Lo odiava per essere morto in quel modo così stupido proprio prima di incontrarlo. Non c'era alcun biglietto allegato al bouquet di fiori, perciò aveva intenzione di parlargli di persona. Avrebbe voluto sapere che cosa aveva da dirgli, se davvero voleva congratularsi con lui per come aveva salvato la città.
Non sapeva come avrebbe reagito in quel caso: forse la bestia avrebbe preso il sopravvento e l'avrebbe dilaniato, ma c'era anche la possibilità che sentendo le sue scuse sarebbe riuscito finalmente a chiudere col passato. Una possibilità su cento, in realtà. Quell'uno percento però lo avrebbe tormentato fino alla fine dei suoi giorni, almeno secondo il libro letto all'orfanatrofio e che, pezzo dopo pezzo, stava tornando in superficie dopo essere stato per così tanto tempo sepolto nello stesso pozzo dei brutti ricordi.
"Non una volta ho rimpianto le cose che ho fatto. Ho sempre solo rimpianto le cose che non ho fatto". Così diceva e Atsushi aveva deciso di rendere quelle parole un ideale da seguire: finché c'era la possibilità di migliorare la vita di qualcuno, di sfruttare una brutta situazione per ricavarne qualcosa di buono, di afferrare un raggio di luce dall'oscurità più profonda, lui ci avrebbe provato, senza tremare di fronte al pensiero del fallimento o della morte.
Adesso che però quell'uomo se n'era andato senza dargli la possibilità di ascoltarlo si sentiva stupido ed impotente. La sua a tratti folle determinazione non sarebbe bastata quella volta.
Akutagawa avrebbe riso di lui se l'avesse visto in quel momento, raggomitolato sulla panchina come un gatto e il volto arrossato per via del pianto.
Akutagawa...
Atsushi estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e cercò il suo numero nella rubrica. Ricordava la minaccia che gli aveva rivolto quando gliel'aveva lasciato e fino a quel momento il ragazzo-tigre non avrebbe mai immaginato che l'avrebbe usato per ringraziarlo, ma sentiva che era la cosa giusta da fare. Dopotutto senza di lui non avrebbe mai scoperto il passato del direttore.

So che l'hai fatto perché te l'ha chiesto Dazai-san, ma grazie per oggi.


Premette il tasto invio e, improvvisamente esausto a causa della valanga di emozioni della giornata, Atsushi chiuse gli occhi e si addormentò. 

*

La vecchia del negozio di fiori alla fine aveva mantenuto la parola data e l'aveva chiamato dopo aver ricevuto la visita di Atsushi Nakajima. Akutagawa le aveva chiesto un riassunto di ciò che si erano detti e prima di terminare la comunicazione le aveva posto un'unica domanda: «Che ne sarà del bouquet?».
Non sapeva di preciso perché, ma il pensiero che quei fiori fossero destinati a morire senza portare il messaggio per cui erano stati strappati alla terra lo disturbava. Per questo aveva lasciato il vicolo in cui lui e Higuchi stavano insegnando le buone maniere a degli spacciatori che avevano scortesemente deciso di espandere il loro giro senza l'autorizzazione della Port Mafia ed era tornato al negozio.
«Sapevo che saresti venuto», lo salutò l'anziana donna non appena lo sentì entrare.
Si stava preparando a chiudere e sul bancone, quella mattina pieno di gambi recisi, carta e nastrini, erano rimasti solo il bouquet di fiori e un pacchettino di carta marrone legato con dello spago.
Akutagawa non voleva perdersi in convenevoli e fece per estrarre il portafoglio per pagare il bouquet, ma la signora allungò una mano e gli toccò il braccio. Istintivamente il mastino della Port Mafia si ritrasse, lanciandole un'occhiata gelida, ma anziché tremare per il terrore la donna ridacchiò.
«Perdonami caro, questa vecchia dovrebbe imparare a tenere le mani a posto. È solo che mi ricordi tanto il mio amato nipote».
Stordito, Akutagawa la fissò in silenzio mentre gli porgeva il bouquet e aggiungeva: «Non voglio i tuoi soldi, ma la promessa che con questi fiori farai felice qualcuno».
Il corvino grugnì e prese il bouquet deviando lo sguardo della vecchia, la quale sollevò il pacchettino rimasto sul bancone e se lo fece dondolare davanti al volto.
«Anche questo è per te», esclamò. «Ho notato la tua brutta tosse e ti ho preparato un misto di fiori per degli infusi. Sono certa che ti faranno bene, caro».
Akutagawa, a cui il concetto di regalo era sconosciuto, decise di far capire alla vecchia con chi avesse a che fare e per prendere il pacchettino usò Rashomun. La signora sgranò un poco gli occhi, presa alla sprovvista, ma impiegò poco ad abituarsi all'idea che il giovane davanti a lei fosse un utilizzatore di abilità.
«Il ragazzo che è passato, quello coi capelli grigi, ha detto di essere dell'Agenzia dei Detective Armati. Tu sei un suo collega?».
Akutagawa mostrò un'eloquente espressione disgustata.
«Oh, capisco... Devi far parte della Port Mafia, allora».
L'aveva detto sorridendo, come se nulla fosse. Il corvino era allibito.
«Non ha... paura?», le domandò.
«Di te? Caro, se avessi voluto uccidermi l'avresti già fatto, no?».
Akutagawa dovette ammettere che il ragionamento non faceva una piega. Abbozzò un sorriso, iniziando ad apprezzare quella vecchietta, e soppesando il pacchetto coi fiori medicinali esclamò: «Se dovessero funzionare tornerò».
«Ti applicherò uno sconto speciale».
Il mastino della Port Mafia uscì dal negozio ed evitando la luce arancio-dorata del tramonto tornò alla base.
Ignorando gli sguardi incuriositi che attirò per via del grande mazzo di fiori, salì sull'ascensore e una volta al diciassettesimo piano trovò Higuchi appoggiata accanto alla porta del suo ufficio, gli occhiali da sole tirati sulla testa come se fossero un cerchietto per capelli.
«Akutagawa-senpai, dove siete...?!», esclamò, ma la voce le morì in gola quando i suoi occhi si posarono sul bouquet tra le sue mani.
«Tieni», le disse senza girarci intorno, spingendoglielo contro il petto. «Per averti lasciata da sola in quel vicolo. Sei felice?».
Higuchi lo guardò negli occhi, guardò i fiori e poi di nuovo i suoi occhi. Il suo volto diventò paonazzo nella frazione di un secondo e le sue spalle iniziarono a tremare.
Confuso, Akutagawa aggrottò le sopracciglia. «Se non ti piacciono posso darli a Elise-chan...».
«No!», gridò stringendosi il bouquet al petto. Poi starnutì. «Sono bellissimi, senpai!». Un altro starnuto. «La ringrazio mo-mo-etciù!».
«Sei allergica per caso?».
La ragazza si coprì il naso con una mano, scosse il capo e dopo essersi prostrata in un profondo inchino corse via.
Akutagawa, sempre più confuso dal comportamento della sua sottoposta, entrò nel proprio ufficio e si tolse il cappotto. Lo posò con cura sulla poltrona dietro la scrivania e decise di sfoltire la pila di scartoffie che quel giorno si erano accumulate per via della richiesta di Dazai. Ad un tratto sentì il bisogno di farsi una tazza di té.
Si alzò e andò al bollitore posato sul mobile in un angolo della stanza per scaldare dell'acqua. Nel frattempo aprì la scatoletta in cui conservava la propria riserva di foglie di té verde e la trovò vuota.
Dannazione, l'aveva finito e aveva dimenticato di comprarlo.
Pensò di chiamare Higuchi perché facesse un salto dal suo venditore di fiducia - per lui sempre aperto, - quando si ricordò del pacchettino che gli aveva regalato quella vecchietta.
Lo recuperò dalla tasca del cappotto e ne sciolse il fiocco fatto con lo spago. Immediatamente un intenso profumo di fiori gli solleticò le narici, ma rispetto a quello del negozio non gli infastidì i polmoni. In qualche modo fu in grado di buttare giù i muri di sospetto e diffidenza costruiti nel corso degli anni vissuti in strada.
Akutagawa riempì il filtro con una cucchiaiata di petali essiccati e vi versò sopra l'acqua calda, ma non bollente. Quindi lasciò riposare l'infuso per qualche minuto.
Si era appena bagnato le labbra, quando dei lievi colpi alla porta lo fecero voltare infastidito. Senza attendere il suo permesso, una figura vestita interamente di nero si infilò all'interno dell'ufficio e il corvino sospirò riconoscendo Gin.
«Mi sei mancata».
La ragazza, coi capelli legati nella solita acconciatura a porcospino e con la maschera sul viso, sgranò un poco gli occhi sentendo quelle parole e Akutagawa stesso ne fu sorpreso. Perché aveva detto una cosa del genere?
Sentendo il sangue salirgli a riscaldargli le guance, il corvino abbassò la tazza di té ed incrociando le braccia sugli sbuffi della camicia bianca domandò stizzito: «Che ci fai qui?».
«Abbiamo una missione ed è stata richiesta la tua presenza».
Akutagawa aggrottò le sopracciglia. «La Lucertola Nera non basta?».
Gin scrollò un poco le spalle e senza fornirgli ulteriori spiegazioni uscì dall'ufficio com'era entrata: silenziosa come un'ombra.
Il fratello maggiore si voltò verso l'infuso, domandandosi ancora che cosa gli fosse preso. Per carità, era vero che lui e sua sorella si vedevano poco e che ultimamente gli era mancata più del solito, però tra pensarlo e dirlo c'era una bella differenza.
Sospirando si portò la tazza alle labbra e la svuotò in fretta, sentendo il liquido dolce lenirgli le pareti infiammate della gola e riscaldargli le membra.
È davvero buono, pensò. Devo farlo provare a Gin.
Recuperò un thermos dal cassetto della scrivania, vi infilò una generosa quantità di fiori e poi l'acqua. Lo chiuse e lo infilò in una delle tasche interne del cappotto, pronto ad andare ovunque avessero bisogno della sua forza.

*

Atsushi aprì lentamente gli occhi, trovando le ciglia fastidiosamente incollate tra loro.
Il vento soffiava forte nella baia - e per le sue orecchie sensibili era una vera tortura - ma per qualche motivo non lo sentiva sferzargli i vestiti. Alzando un poco il capo, si accorse di avere un lungo cappotto nero steso addosso. Si stava domandando dove l'avesse già visto quando una voce fin troppo familiare lo fece sobbalzare seduto sulla panchina.
«Ti sei svegliato finalmente. Addormentarsi a quel modo... sei proprio uno stupido, jinko».
Atsushi fece rapidamente due più due e si rese conto che non solo il suo acerrimo nemico si era seduto al suo fianco, senza fare nulla per ucciderlo nel sonno, ma che lo aveva addirittura coperto col proprio cappotto. Per lui, la cui abilità era quella di manipolare il tessuto per formare Rashomun, era come privarsi della propria forza. Che diavolo stava succedendo?
Il ragazzo-tigre si allontanò un po', scivolando fino all'estremità opposta della panchina, e decise di tenere con sé il cappotto. Lo fece perché non voleva combattere con lui, non quella sera, ma anche perché il calore che gli stava fornendo era davvero piacevole. E anche l'odore non era male: un misto di sangue, té e... fiori?
Lentamente posò gli occhi su Akutagawa, intento a fissare il mare mentre il vento gli scompigliava i capelli. Anche volendo, non avrebbe mai indovinato che cosa gli stesse passando per la testa in quel momento.
Atsushi aveva così tante domande che non sapeva da dove incominciare. Alla fine optò per un banale: «Come hai fatto a trovarmi?».
Il corvino fece schioccare la lingua contro il palato. «I cellulari hanno il GPS. Nessuno te l'ha detto, all'Agenzia?».
Punto sul vivo, Atsushi strinse i pugni intorno al colletto del cappotto e quasi ringhiò: «Che cosa vuoi, Akutagawa? Se non ricordo male avevi detto che oggi mi avresti lasciato stare».
«Hai ragione», annuì piano. «Poi però mi hai inviato quel messaggio...».
Ecco, lo sapevo. Si attaccherebbe a qualsiasi cosa pur di combattere.
Atsushi si preparò a balzare via, ma Akutagawa non diede alcun segno di voler iniziare una battaglia all'ultimo sangue. Recuperò il thermos che aveva appoggiato ai suoi piedi e versò nel tappo tre dita di un liquido caldo e dal profumo floreale. Il più giovane, a causa anche dal vento che soffiava verso di lui, sentì l'acquolina in bocca. Bocca arida per via delle ore trascorse su quella panchina senza bere nemmeno un goccio d'acqua.
Notando il suo sguardo con la coda dell'occhio, Akutagawa serrò le labbra e gli porse la bevanda. Il ragazzo-tigre trasalì: non gli sarebbe mai passato per l'anticamera del cervello di chiederglielo, piuttosto sarebbe morto di sete.
«Non è avvelenato», disse il mastino della Port Mafia, infastidito. «I fiori per l'infuso me li ha dati la vecchietta del negozio in cui il direttore del tuo orfanatrofio è andato a prenotare quel bouquet».
Akutagawa si portò la mano libera sulla bocca, come se dovesse tossire. L'aveva fatto ancora. Aveva detto cose che non avrebbe dovuto dire.
Atsushi, gli occhi grandi in cui si riflettevano le luci dei lampioni e della luna, domandò piano: «Tu sei andato al negozio di fiori? Per quale motivo?».
Il corvino provò a resistere all'urgenza di dire la verità, arrivò persino a mordersi la lingua, ma nemmeno il sapore ferroso del sangue lo fermò. Gli spiegò allora di come si era sentito quando aveva scoperto che Dazai gli aveva chiesto di investigare, dell'invidia e della gelosia che aveva provato nei suoi confronti e della successiva curiosità. E poi, concludendo, disse ciò che non avrebbe mai voluto dire ad alta voce, il segreto che celava più gelosamente nell'organo che tutti dicevano fosse la fonte dei sentimenti umani: il cuore.
«Il motivo per cui ti odio tanto è che Dazai-san ha ragione: tu sei migliore di me, jinko. Sei tutto ciò che io non sono, che mai sarò. Piaci a tutti, vivi e sei circondato dalla luce e so che tu mi non guarderai mai come...».
Akutagawa si interruppe, sentendo le dita su Atsushi sfiorare le sue nell'accettare il coperchio del thermos. Lo guardò bere ad occhi chiusi, con così tanta foga che una goccia di infuso gli scivolò dall'angolo della bocca e gli corse sul mento.
Ormai l'aveva capito che quei fiori avevano qualcosa di strano. Che si trattasse di una semplice proprietà stupefacente o di un'abilità vera e propria non lo sapeva, ma era chiaro che berne un infuso costringeva chiunque ad essere onesto, con se stesso e con gli altri, con le parole e con le azioni. L'aveva fatto con Gin nel proprio ufficio, con Hirotsu e Tachihara durante l'incursione della Lucertola Nera a discapito di un'organizzazione criminale minore e lo stesso gli stava capitando con il ragazzo-tigre.
Sapeva che non se lo sarebbe mai perdonato quando l'effetto sarebbe svanito, ma non era una cosa che poteva combattere purtroppo.
La manica sinistra della sua camicia bianca si allungò intorno alla vita del più piccolo e con uno strattone lo attirò verso di lui.
Preso alla sprovvista - lo stolto pensava che potesse usare Rashomun solo col cappotto? - Atsushi non riuscì a difendersi o forse, anche lui sotto l'effetto dei fiori, in realtà non lo voleva fare.
Il mastino della Port Mafia si avvicinò al suo volto, evitando cautamente di incrociare i suoi occhi per non dovergli dire quanto li trovasse belli, e posò le labbra sul suo mento per leccare il rivolo che l'aveva bagnato poco prima.
«A-Akutagawa...», tremò Atsushi, né per il freddo né per la paura.
Il corvino gli impedì di dire altro raggiungendo la sua bocca per un bacio casto.
Immediatamente la rabbia che sentiva come un blocco di cemento nel petto si sgretolò e i suoi muscoli sempre in tensione si rilassarono; chiuse persino gli occhi posando le mani poco sotto le sue spalle.
Aveva sempre avuto la sensazione che per lui fosse troppo tardi, che anche un solo passo nella luce lo avrebbe lasciato ustionato, ma si sbagliava. Atsushi non era il sole, bensì la luna, in grado di rischiarare le tenebre più profonde senza far male.
Il ragazzo-tigre sollevò a sua volta le mani e le portò ai lati del suo viso, schiudendo un poco le labbra per approfondire il bacio.
Akutagawa a quel punto aprì di scatto gli occhi e si allontanò, il polso a nascondergli la bocca.
«Perché tu...?», iniziò a chiedere, confuso. Un terribile pensiero si affacciò alla sua mente e si ritrovò a stringere i pugni. «Non voglio la tua pietà, jinko».    
«Tu non mi fai pena, Akutagawa», rispose il ragazzo dai capelli grigi. «Non sapevo provassi questi sentimenti e anche io... anche io mi sento allo stesso modo. È solo grazie a Dazai-san che ci siamo ritrovati a combattere dallo stesso lato e so che tu non cambierai mai, ma ogni volta che ci incrociamo non posso fare a meno di pensare che è compito mio provarci. La tua forza è eccezionale e il sangue mi dice che spetta a me stendere una mano per portarti nella luce, come ho fatto con Kyouka, anche a rischio di essere trascinato nelle tenebre».
Atsushi si morse per un attimo le labbra mentre le sue guance prendevano colore. Stava cercando di resistere, ma Akutagawa sapeva che non ci sarebbe mai riuscito. Capitolò poco dopo, come aveva previsto.
«Non avevo mai baciato nessuno, prima. È stato... bello. Possiamo rifarlo?».
Il cuore di Akutagawa batté dolorosamente, tanto che il corvino si chiese se fosse quella la sensazione di cui aveva solo sentito parlare: il mal d'amore.
La sua mente gli urlò, chiaro e forte, di rifiutare e andarsene, ma il suo corpo agì senza prestarvi ascolto. Si avvicinò di nuovo al ragazzo-tigre e questi lo imitò, incastrando le loro labbra come se fossero state create apposta per quello. Come poco prima gli portò le mani coperte dai guanti senza dita ai lati del viso e gli ravvivò le ciocche dalle punte bianche dietro le orecchie.
«Sono morbidi», mugugnò senza potersi frenare, ma Akutagawa ignorò il commento e sfruttò l'occasione per accarezzargli la lingua con la propria.
Atsushi si irrigidì e la presa sui suoi capelli aumentò, facendo correre un brivido anche lungo la schiena del mastino, il quale non poté resistere ed esplorò il suo petto con le mani. La camicia che indossava era leggerissima, tanto da sentire la sua pelle calda sotto di essa.
Il ragazzo-tigre non si allontanò, anzi emise un verso simile a delle fusa e si fece più vicino, ricambiando le attenzioni del più grande con la mano sinistra, la destra ancora stretta intorno alle ciocche dei suoi capelli.
Akutagawa non seppe dire per quanto tempo rimasero su quella panchina a baciarsi ed accarezzarsi reciprocamente, né quando fu il momento esatto in cui sentì un intenso calore riempirgli lo stomaco rendendolo sonnolento.
«Jinko», sibilò semplicemente, abbandonando la fronte contro la sua. «Non riesco a tenere gli occhi aperti. Che cos'hai fatto?».
Atsushi sbadigliò e replicò stizzito: «Perché dovrei essere stato io? Anche a me è venuto... zzz».
Akutagawa non riuscì a sostenere il ragazzo dai capelli grigi, il quale si era addormentato all'istante addossato alla sua spalla, e cadde sdraiato sulla panchina. Il suo peso non lo infastidì, bensì gli donò uno strano senso di pace e calore. Il dolore che provò alla base della schiena, però, gli fece storcere la bocca. Con una mossa da contorsionista recuperò il tappo del thermos e il suo cervello assonnato ipotizzò che se si ritrovavano entrambi in quello stato la colpa doveva essere di quei maledetti fiori.
Non poteva addormentarsi in quel luogo: era troppo esposto e la sua salute ne avrebbe risentito.
Non poteva addormentarsi accanto al membro dell'Agenzia dei Detective Armati che avrebbe dovuto odiare con tutte le sue forze. La stanchezza però era troppa.
«Rashomun», mugugnò già ad occhi chiusi, comandando ad una delle sue maniche di recuperare il cappotto, caduto a terra durante il confuso scambio di baci. Una volta steso sui loro corpi rilassati, Akutagawa si lasciò inghiottire dal buio consapevole di star stringendo tra le braccia la luce.

*

«Ohi-ohi, che mi venga un colpo se non si tratta del membro più stiloso della Port Mafia!».
Chuuya respirò profondamente e si voltò verso l'albero alla sua destra, dal cui ramo più robusto penzolava un Dazai appeso per i piedi. Il suo volto era paonazzo per via del sangue che gli era andato alla testa, eppure vi era stampato il solito, stupido largo sorriso.
«Ho letto che si può morire in questo modo, ma sta richiedendo più tempo del previsto. Mi daresti una mano a scendere?».
Il rosso ebbe la forte tentazione di ignorarlo e lasciarlo lì a morire, come tanto desiderava, ma alla fine si avvicinò e col proprio pugnale tagliò la spessa fune con cui si era legato le caviglie. Dazai cadde a terra con un tonfo, piagnucolando per le brutte maniere dell'ex-partner.
«Mi vuoi spiegare che cosa sta succedendo?», lo interruppe Chuuya, portandosi una mano sul fianco mentre guardava con diffidenza la scena davanti ai suoi occhi: Akutagawa e il ragazzo-tigre addormentati abbracciati sulla stessa panchina.
«È stata Gin a chiamarti?», gli chiese Dazai, spolverandosi il cappotto beige. «In effetti ho avvertito la sua presenza...».
«Ha detto che Akutagawa si comportava in modo strano, perciò l'ha seguito. Quando mi ha chiesto di recuperarlo sembrava molto scossa».
L'uomo con le bende ridacchiò. «Oh, ti sei perso un bello spettacolo, chibi».
Fumante di rabbia per il nomignolo, Chuuya sbottò: «Facciamola finita, voglio andare a casa».
«Non lavori oggi?», gli chiese Dazai, seguendolo con le mani nelle tasche.
«Era la mia serata libera».
Giunti davanti alla panchina, il rosso rimase ancora più allibito notando le espressioni di pura pace e serenità dipinte sui volti dei due rivali.
«Dormono davvero come due angioletti», commentò Dazai, sorridendo.
Chuuya notò il thermos posato a terra, si chinò a raccoglierlo e ne annusò l'interno. Erano rimaste poche dita di un infuso dal profumo floreale, una fragranza tanto particolare che era impossibile da confondere con un'altra.
«Quella vecchia», sbuffò, allontanando subito il naso per non subire gli effetti dell'abilità conosciuta come "Il significato segreto dei fiori". «Che cosa le è passato per la testa?».
«Forse voleva divertirsi un po'. Dev'essere dura la vita da pensionata», scrollò le spalle Dazai, divertito.
«Ma se l'ha chiesto lei di lasciare la Port Mafia!».
«E lo sai il perché?».
Chuuya si voltò, stupito dall'improvviso cambio di voce dell'ex-partner: si era fatto serio, quasi malinconico.
«L'ultima volta che Mori le ha chiesto di usare la sua abilità su un nemico della mafia ha scoperto che il suo unico nipote era rimasto ucciso durante un conflitto a fuoco. Si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Lei, che aveva sempre odiato la violenza e ha salvato decine di membri della mafia dall'esecuzione istantanea costringendoli a mostrare ciò che si celava davvero nel loro cuore, non ha retto il peso di quella verità e se n'è andata».
Il rosso rimase in silenzio, gli occhi ancora fissi sul volto pallido di Akutagawa. Solo quando dormiva dimostrava la sua vera età e tutta la sua fragilità.
«Ti ricordi quando usò i fiori su di te?».
Quella sera Dazai aveva davvero voglia di parlare.
Chuuya strinse i pugni lungo i fianchi. «Che razza di domande sono? Lo sai benissimo che uno dei motivi principali per cui la mafia l'aveva reclutata è che, giunta la mezzanotte, chiunque beveva l'infuso si addormentava dimenticandosi qualsiasi segreto avesse rivelato. Anche grazie a lei Mori è riuscito a rimettere in piedi l'organizzazione e a controllare l'intera città».
Gli occhi di Dazai brillarono per un breve istante. «Certo, certo!». Gli diede una pacca sulla spalla e l'esecutivo avvertì un brivido corrergli lungo la spina dorsale. «Adesso sarà meglio fare ciò per cui siamo venuti».
Si chinò sui due ragazzi e strappò via dai loro corpi il cappotto nero di Akutagawa, scoprendo l'intreccio di gambe e braccia sotto di esso. Aveva giusto iniziato a disincastrarli, quando Chuuya lo afferrò per la spalla e lo fece voltare verso di sé bruscamente.
«Mi ricordo che mi portarono nei sotterranei e che dopo avermi fatto bere l'infuso mi ordinarono di attivare "Corruzione". Volevano sapere da dove venisse e perché non fosse possibile controllarla. Tu eri lì, vero? Dovevi esserci, perché altrimenti...».
«Sì, c'ero», rispose semplicemente Dazai, con un sorriso quasi triste sul volto. «Senza di me saresti morto».
Chuuya allontanò la mano, come scottato. Quindi si sistemò il cappello sulla testa e deviando il suo sguardo chiese piano: «Si è scoperto qualcosa?».
«Assolutamente nulla».
Il largo sorriso e il motivetto con cui aveva risposto fecero storcere il naso al rosso.
«Non mi credi? Potrei bere ciò che è rimasto dell'infuso, ma non so quanto ti converrebbe, Cappelliera. L'effetto durerebbe fino alla prossima mezzanotte e ci sono tante, tantissime cose di cui potrei parlare con il Presidente dell'Agenzia!».
Il rosso rabbrividì al solo pensiero. Sbuffò, sventolando una mano con tutte le intenzioni di lasciar cadere il discorso, ma quella stessa mano fu afferrata da quelle bendate di Dazai, il quale si piegò sul di lui perché i loro occhi fossero allo stesso livello. I loro volti erano così vicini che Chuuya poteva sentire il suo respiro caldo fondersi col proprio.
«E poi potrei anche rivelarti il vero motivo per cui tra noi non ha funzionato e tu hai voltato pagina, giusto?».
Chuuya deglutì rumorosamente. No, non ne voleva più sapere. Dazai era stata la sua salvezza e la sua rovina e avrebbe preferito essere ucciso da "Corruzione" piuttosto che ricadere nel vortice di alti e bassi che era sempre stata la loro relazione.  
Ricomponendosi, si liberò dalla sua stretta e ruotò la gamba per colpirlo, ma Dazai come sempre fu in grado di anticipare la sua mossa e lo evitò.
«Sbrighiamoci, non voglio sprecare la mia serata libera con te».
Akutagawa e Atsushi sembravano incollati l'uno all'altro ed ebbero qualche difficoltà a separarli, soprattutto quando Rashomun si mosse senza un preciso comando e una delle sue spirali si avvolse intorno al polso destro del ragazzo-tigre, già a cavalcioni della schiena di Dazai.
«Ma che diavolo...», sbottò Chuuya, trovando già difficile sostenere il mastino. Nonostante la magrezza, era comunque più alto di lui e non sarebbe stata una passeggiata portarlo fino alla base della mafia senza un mezzo di trasporto. Per fortuna la sua abilità gli consentiva di manipolare la gravità: con un po' di fortuna sarebbe riuscito a farlo volteggiare a qualche centimetro da terra senza che nessuno se ne accorgesse.
Dazai ridacchiò nuovamente, come se quella situazione gli facesse davvero piacere. «A quanto pare Akutagawa-kun nasconde i suoi veri sentimenti dietro l'istinto omicida. Mi ricorda qualcuno».
Chuuya dovette sforzarsi, e non poco, per non dargli la soddisfazione di vederlo arrossire. Quindi abbaiò: «Sbrigati a separarli!».
Con un semplice tocco, Dazai annullò il nastro di Rashomun e i Doppio Nero si scambiarono un ultimo sguardo prima di separarsi, i due ragazzi ancora addormentati caricati sulle spalle. 

*

La mattina seguente, Atsushi si era svegliato nel suo futon con un brutto mal di testa e per questo aveva impiegato più del necessario a rendersi conto di avere un inspiegabile vuoto di memoria.
Ricordava di essere rimasto su quella panchina fino ad addormentarsi, sfinito, e di essersi svegliato all'arrivo di Akutagawa, il quale...
Il suo cuore aveva preso a battere più forte all'improvviso, pensando alle gentilezze che il mastino della Port Mafia gli aveva riservato, prima offrendogli il suo cappotto e poi una tazza del suo infuso. Tuttavia i suoi ricordi si fermavano lì: non aveva idea se alla fine avessero parlato oppure combattuto e, soprattutto, come fosse tornato a casa.
Si era sforzato per tutta la mattina, risultando distratto al lavoro ed ottenendo più di una lavata di capo da Kunikida, e quando mancava ormai poco alla pausa pranzo Dazai lo aveva avvicinato per sussurrargli all'orecchio: «Forse dovresti tornare là ed investigare».
Come avesse fatto ad anticipare i suoi pensieri, Atsushi non l'avrebbe mai scoperto. Aveva dato comunque ascolto al suo consiglio ed era tornato a quella panchina che dava sulla baia di Yokohama, scoprendo che anche qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea: Akutagawa.

*

Per uno che era stato abituato, sin dalla più tenera età, a dormire alla ghiaccio nei vicoli bui del quartiere povero di Yokohama, il divano del suo ufficio sarebbe dovuto sembrare il giaciglio di un principe. Ciò nonostante, quella mattina Akutagawa si era svegliato per via di un violento attacco di tosse e si era scoperto tremante, rannicchiato in posizione fetale sotto il suo rassicurante e purtroppo non abbastanza caldo cappotto.
Confuso, si era tirato su seduto e aveva notato sul tavolino un pacchettino di carta con attaccato un bigliettino che diceva: "Non usare mai più fiori sconosciuti per gli infusi. Nakahara".
Solo in quel momento si era ricordato della missione affidatagli da Dazai, della vecchietta al negozio di fiori e del suo incontro con Atsushi Nakajima. O meglio, era certo di averlo incontrato, ma non ne aveva alcuna memoria. Che fosse a causa di quei fiori?
L'uomo fissato coi cappelli gli aveva lasciato delle foglie di té, come se sapesse che le aveva finite, e Akutagawa si era chiesto se fosse stato lui a portarlo alla base.
Infastidito da tutta quella carenza di risposte, si era alzato e mettendo da parte lo stordimento era andato a cercarle nell'ultimo posto in cui ricordava di essere stato, dove aveva scoperto che anche un'altra persona aveva preso la stessa decisione: Atsushi.

*

«Non voglio combattere», ruppe il silenzio il ragazzo dai capelli grigi, alzando le mani in segno di resa.
Akutagawa avrebbe voluto rispondergli che non gli importava, che se avesse voluto l'avrebbe attaccato comunque, ma non era né dell'umore né aveva le forze necessarie ad affrontare la tigre.
«Anche tu hai un vuoto di memoria?», gli domandò allora, infastidito al solo pensiero che avessero qualcosa in comune.
Atsushi annuì. Si guardò intorno e sospirò, esclamando: «Se ieri notte ci fossimo scontrati ci sarebbero dei segni di distruzione, perciò...».
«Abbiamo preso un té in amicizia?», rise sadico Akutagawa, ma quella specie di battuta sembrò rischiarargli le idee. Non avevano bevuto un té, bensì l'infuso ai fiori di cui parlava Nakahara.
Incrociò gli occhi bicolore del ragazzo-tigre e li trovò sperduti, mentre con una mano si raggiungeva le labbra.
Il corvino trasalì, sorprendendosi a desiderare di essere quelle dita e ricordando la morbidezza e il sapore di quelle labbra.
Atsushi fece improvvisamente un passo verso di lui, la mano stesa, e Akutagawa agì di riflesso scatenando Rashomun, le cui fauci gliel'avrebbero di sicuro mozzata se il più piccolo non avesse avuto i riflessi di un felino.
«Un'allucinazione, ecco cos'è. Qualsiasi cosa credi di ricordare, jinko, non è mai successa», affermò con la voce trasformata in un ringhio rauco. «Prova a parlarne con qualcuno e ti farò patire le pene dell'inferno».
«Come se io volessi sul serio far sapere a qualcuno che tu mi hai...».
«Fa' silenzio!», gridò ancora, mentre ben quattro teste nere sfrecciavano contro Atsushi, il quale trasformò i propri arti in quelli della tigre e saltò in aria fino a coprire col proprio corpo il sole allo zenit.
Akutagawa fissò rapito la luce intorno a lui e pensò che fosse bellissimo, con quell'espressione fiera e piena di rabbia. Se avesse potuto scegliere da chi farsi uccidere, avrebbe scelto Atsushi senza alcuna esitazione. Così come voleva essere lui a porre fine alla sua vita: quel piacere spettava a lui e a nessun altro.
Distratto e ancora intontito dall'infuso - doveva averne bevuto di più, oppure le capacità rigenerative della tigre avevano permesso al più piccolo di recuperare più in fretta - Akutagawa si ritrovò steso sul cemento caldo, immobilizzato sotto il peso del rivale.
Si guardarono per quelle che sembrarono ore, i respiri accelerati. All'improvviso Atsushi notò qualcosa sul suo collo e per la sorpresa cadde seduto al suo fianco, gli occhi sbarrati.
«Te ne pentirai di non avermi finito quando ne avevi la possibilità», ruppe il silenzio il mastino della Port Mafia, usando due estensioni di Rashomun per alzarsi.
Atsushi non rispose: si limitò a correre via a quattro zampe, sfruttando la velocità della bestia.
«Codardo», sputò Akutagawa tra un colpo di tosse e l'altro.
Quindi decise di tornare alla base, magari per stendersi ancora un po' sul divano, ma per strada ebbe la sfortuna di imbattersi in una ditta di traslochi. Due uomini stavano portando un grosso specchio all'interno di un palazzo e Akutagawa vide la propria immagine riflessa, trovando come al solito la sua carnagione tanto pallida da farlo sembrare un morto, tranne per un certo punto sul collo che...
Ad occhi sgranati, il corvino si avvicinò alla vetrina di un negozio ed osservò più da vicino il livido violaceo che gli portò a galla un ricordo che aveva dimenticato persino di avere.

«Nakahara-san, come si è fatto quel livido sul collo?».
Il rosso, il quale di solito veniva ignorato dal nuovo allievo di Dazai, fu tanto sorpreso ed imbarazzato dalla domanda che non riuscì a rispondere.
«Quello si chiama "succhiotto"».
Entrambi si voltarono verso la porta della sala dedicata ai poeti simbolisti, dove un Dazai malizioso si era addossato allo stipite.
«Gliel'ho fatto io», aggiunse, facendo sospirare pesantemente Chuuya.
«Voglio provarci anch'io», esclamò subito dopo Akutagawa, deciso ad apprendere quella nuova tecnica dal suo maestro.
Dazai scoppiò a ridere. «Mi piacerebbe tanto vederti provare, Akutagawa-kun, ma questa mossa segreta non funziona con chiunque».
Ormai si era avvicinato e si era chinato sul partner, rubandogli il cappello ed avvicinando le labbra al livido. Continuando a guardare l'allievo, aggiunse: «Un giorno troverai una persona che odierai a tal punto da non poterla uccidere in alcun modo e per distinguerla da tutte le altre gli farai questo segno». Lo sfiorò con la punta dell'indice e Chuuya fremette, poi serrò i denti e lo colpì in pieno volto col libro che stava leggendo.
Dazai cadde a terra, ma la sua risata risuonò in tutta la vasta biblioteca della Port Mafia.

Akutagawa si sfiorò il succhiotto e capì finalmente il motivo per cui Atsushi se l'era data a gambe levate.
«Una persona che odierai a tal punto da non poterla uccidere in alcun modo», ripeté le parole di Dazai, assaporandone il gusto sulla lingua.
Ad un tratto si tirò su il colletto del cappotto e riprese a camminare, borbottando stizzito: «Che assurdità». 


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N.d.A.
Allora, per l'abilità della nostra vecchietta (che idealmente è identica a quella presente in uno dei capitoli dello spin-off "Bungo Stray Dogs: Wan!") ho provato a cercare qualche famoso autore giapponese che avesse scritto libri sui fiori, ma la ricerca non è andata a buon fine. Ho trovato però un libro recente intitolato proprio "Il significato segreto dei fiori" e ho deciso di utilizzarlo. Perdonatemi la "licenza poetica" :)

   
 
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