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Autore: ALoserLikeMe    27/02/2018    0 recensioni
Gothel è una ragazzina timida e insicura, passa la maggior parte delle sue giornate in casa con la propria famiglia. Il mondo esterno quasi la spaventa. Tutto cambia quando, per la festa dei quindici anni suoi e di sua sorella gemella, incontra una ragazza, Talitha.
Quest'ultima è dotata di poteri magici, argomento completamente evitato in famiglia. I genitori di Gothel, la quale a sua volta è dotata di tali capacità, credono che sia la causa di ogni male della figlia.
Incuriosita, la ragazza vuole approfondire la conoscenza con Talitha, la quale ne modifica completamente sia il carattere che il modo di vedere le cose.
Gothel non sarà più la timida ragazzina di cui tutti si approfittano e che trattano male, imparerà a farsi valere.
Ma questo porterà delle conseguenze, perché una volta assaggiato il potere non riuscirà a tirarsi indietro...
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1

 
Non avrebbe voluto guardarsi nello specchio quella sera, ma sua sorella la costrinse. Nonostante sapesse il brutto rapporto che Gothel aveva con la propria immagine riflessa, la ragazza la convinse ad alzare lo sguardo e guardarsi. Più che convincere le aveva preso il mento di prepotenza e glielo aveva alzato in modo che potesse specchiarsi. Ci aveva impiegato due ore per sistemarla al meglio –di cui un’ora e mezzo solo per domare i suoi riccioli folti e crespi- e voleva che la sua opera venisse apprezzata.
Doveva ammetterlo, aveva fatto un ottimo lavoro. Il trucco, malgrado fosse decisamente eccessivo per una ragazza della sua età, la faceva sembrare una persona completamente diversa. Più elegante e sicura di sé, una giovane donna.
Fece un timido sorriso. << Mi piaccio. >>
La sorella mostrò un sorrisetto compiaciuto, e continuò a spazzolarle i capelli. Le prime spazzolate erano state dure, Gothel avrebbe potuto giurare di aver visto le stelle fluttuarle intorno. Non si era mai presa cura di se stessa, dei suoi capelli ancora meno, riteneva che fossero tutte energie sprecate. Non le servivano dei capelli splendenti e perfetti visto che se ne stava sempre in casa senza vedere nessuno all’infuori dei suoi familiari.
<< Stasera sarà una grande serata >> annunciò Annabella con aria sognante. << Hanno organizzato un sacco di giochi che potremo fare tutti insieme. Se saremo fortunate riusciremo pure a vincere qualche volta. >>
<< Sono certa troverai il modo di imbrogliare. >>
L’altra si fece d’un tratto seria. Abbassò la testa vicino a quella della sorella, in modo che potesse guardarla dritta negli occhi. << Non ti azzardare a chiuderti in un angolo come tuo solito. >>
<< Ma- >>
<< Niente “ma”, la devi smettere di restare sempre in disparte. Se non dai modo alle persone di conoscerti rischi di restare sola per sempre. >> Si girò verso lo specchio, sorridendo alla sorella attraverso il riflesso.
In quanto gemelle si assomigliavano talmente tanto che a volte nemmeno i loro amici riuscivano a distinguerle. Stessi ricci scuri, stessi occhi celesti come l’acqua al mattino, stesso naso a patata. All’apparenza identiche, eppure erano tanto simili nell’aspetto fisico quanto diverse nella personalità e nei modi di fare. Per questo Gothel non capiva come facessero a scambiarle per la stessa persona. Sua sorella teneva sempre il mento alto, l’espressione sicura in volto, un portamento eretto. Era una persona solare, ogni occasione era buona per ridere e scherzare. Lei tutto il contrario. Se ne stava sempre con le spalle richiuse e l’espressione da cane bastonato, impaurita dal resto del mondo.
Avrebbe voluto assomigliare di più ad Annabella, conoscere nuove persone e parlarci tranquillamente, senza farsi troppi problemi. Ma non ci riusciva. Istintivamente, quando qualcuno posava lo sguardo su di lei, abbassava la testa e non la rialzava più.
I suoi parenti la rimproveravano sempre per questo fatto, avrebbero voluto che la loro bambina fosse più espansiva, come tutte le altre sue coetanee. Sapeva che glielo dicevano solo per il suo bene, aveva i genitori migliori al mondo, ad ogni modo le loro parole la ferivano, la facevano sentire un’incapace. Per questo il più delle volte fingeva, per fare piacere a loro. Si mostrava felice quando dentro avrebbe solo voluto urlare di dolore. Non aveva senso trasmettere la sua tristezza agli altri, non avrebbe certo alleggerito la propria. Tanto valeva non far preoccupare ulteriormente le persone che le stavano vicine.
Ed è quello che stava facendo anche in quel momento. Sforzò un sorriso. << Meglio andare, non vorremo far tardi alla nostra festa. >>
L’altra sorrise, ed uscì dalla loro camera, diretta in cucina.
Non appena la gemella fu abbastanza lontana Gothel si spostò nuovamente i ricci sul viso, più riusciva a tapparne e meglio era. La sua autostima era estremamente fragile, bastava una parola sbagliata che tutta la confidenza acquisita con fatica svaniva. Si era sentita carina per un paio di ore, mentre veniva acconciata, ma la magia del momento era già svanita.
Scese a sua volta in cucina, e per poco non si ammazzò cadendo dalle scale. Bella le aveva prestato un paio delle sue scarpe da sera –lei ovviamente non ne aveva di eleganti- ed erano l’indumento più scomodo che avesse mai indossato.
Ad aspettarla c’erano i suoi genitori con aria commossa.
<< Le nostre bambine compiono quindi anni oggi! >> Suo padre le strinse in un abbraccio talmente forse che si sentì soffocare. << Sembra ieri che piangevate perché avevate paura del buio. >>
Erano i classici genitori imbarazzanti, i quali, per dimostrare il loro affetto nei confronti delle figlie, dicevano costantemente cose che le facevano desiderare di essere invisibili. Fortunatamente tutte quelle frasette sdolcinate venivano pronunciate in casa, dove nessuno all’infuori della sfera familiare poteva sentirle.
La ragazza, appena sciolto l’abbraccio, si sistemò le pieghe dell’abito. Non era suo, glielo aveva prestato Annabella. A Gothel non piaceva vestirsi alla moda, o in modo appariscente, le piaceva rimanere nell’anonimato. Ciò nonostante sua sorella aveva insistito tanto affinché almeno quella sera si vestisse bene, non voleva che si presentasse alla locanda con i suoi soliti abiti da vecchia megera. A condizioni normali non avrebbe mai acconsentito a vestirsi a quella maniera, ma tutto pur di vedere Bella felice.
Sentì le dita affusolate di sua madre sotto il mento, mentre lo spingeva verso l’alto. << Fatevi guardare, tutte e due. >> Era la più apprensiva nei suoi confronti. Quando aveva soli tredici anni, Gothel era stata ritrovata proprio dalla madre in lacrime e con le mani tagliate dalle schegge dei vetri rotti. Se chiudeva gli occhi poteva ancora vederla, la sua espressione terrorizzata, gli occhi di chi vorrebbe aiutare ma senza sapere come. Quella visione l’aveva cambiata nel profondo, impossibile negarlo. Da quel giorno l’aveva tenuta costantemente sotto controllo, avrebbe donato un rene purché non si ripetesse lo stesso evento.
Tutta quella accortezza non serviva: Gothel, anche lei spaventata da quello che aveva fatto, e da quanto il suo corpo si fosse spinto oltre perché sopraffatto dalle emozioni, aveva giurato a se stessa che non ne avrebbe più avute, che le avrebbe represse fino a farle scomparire.
<< Mi raccomando, stasera fate le brave. E tornate a casa ad un orario decente –ricordatevi, compiete quindici anni, non ventuno- e comportatevi a modo. >>
Quella sera sarebbero uscite, per festeggiare insieme agli amici di Bella il loro compleanno. Erano persone dalla simpatia discutibile, ma Gothel non aveva mai espresso ad alta voce giudizi al riguardo. Ci usciva spesso, sua sorella la trascinava fuori con lei ogni volta che usciva, altrimenti avrebbe passato tutta la sua vita a giocare a carte con i genitori in cucina. Il mondo esterno la spaventava, non credeva che ci fosse niente per lei. Metteva piede fuori casa solo per rendersi conto di quanto si sentisse al sicuro e protetta tra le mura domestiche. Bella sosteneva che degli amici avrebbero potuto aiutarla ad aprirsi di più, ma quelli non li considerava amici. La consideravano pochissimo (anche perché Gothel se ne stava sempre in disparte con i capelli sul viso e le mani incrociate davanti), erano prepotenti e la usavano come zerbino. Quando le rivolgevano la parola era sempre e solo per “chiederle” di fare qualcosa.
Come quella sera, quando Garrett si girò verso di lei e le disse: << Vammi a prendere una birra. >> E lei semplicemente annuì e si alzò dal tavolino in silenzio.
Non aveva la forza di controbattere, di dire di no. Sapeva che era sbagliato, si rendeva perfettamente conto del fatto che non era giusto che la sfruttassero così, eppure non le riusciva opporre resistenza. Ogni volta che era sul punto di aprire bocca poi ci ripensava e si ammutoliva. Aveva troppa paura delle conseguenze che avrebbero potuto comportare le sue azioni. Avrebbero potuto risponderle male, decidere di non voler più uscire con lei, o peggio, con Annabella. In più non era capace di imporsi, con la voce flebile che si ritrovava non sarebbe mai riuscita a far valere le proprie idee, non l’avrebbero nemmeno sentita.
Si avvicinò quindi al bancone. L’oste, un ragazzo alto e con la barba incolta, se ne stava in un angolo a pulire un bicchiere che di sporco non aveva niente. Forse lo stava facendo di proposito per ignorarla, ad ogni modo la ragazza rimase in silenzio, aspettando che finisse le sue faccende. Quando finalmente il ragazzo alzò lo sguardo su di lei, Gothel venne spintonata da una ragazza.
<< Levati, nido di rondine! >> le urlò. Non era sola, erano un gruppo di ragazzi e ragazze, una decina di persone al massimo. Avevano tutti l’aria prepotente, un sorriso sghembo in volto di chi si sente padrone del mondo. Dal modo in cui si atteggiavano sembrava che si aspettassero che gli altri si scansassero al loro passaggio, come se li spettasse di diritto.
<< Il solito, Carson >> continuò la ragazza. Era poco più alta di Gothel, con i capelli color mogano corti sotto le orecchie. A giudicare dalle condizioni in cui versavano sia lei che i suoi vestiti le cose erano due: o non si lavava da una settimana, oppure aveva passato l’ultima mezz’ora a rotolarsi nello sporco e nella polvere. Fortunatamente non puzzava. Teneva qualcosa in bocca, qualcosa che continuava a masticare e rigirarsi, forse per darsi un tono. << E se non ce lo fai decente domani pomeriggio dietro il mercato del pesce ti prenderemo a pedate fino a farti sanguinare. >>
L’altro rise, probabilmente erano amici e lei stava scherzando, anche se Gothel ne dubitava fortemente: lei non si sarebbe mai rivolta in quel modo ad un suo amico. Dopodiché il gruppetto di tamarri si allontanò, e si sedette ad un tavolo ben distante da quello degli amici di Annabella, per grandissimo sollievo di Gothel.
<< E tu? >> le chiese Carson. << Cosa vuoi? >>
La ragazza, che intanto istintivamente si era schiacciata con le mani il suo nido di rondini, sussurrò: << Una birra, per favore. >>


Ovviamente Garrett ebbe da ridire, Gothel ci aveva messo troppo per portargli semplicemente un boccale di birra. Non gliene fregava nulla se dei colossi le erano passati avanti, avrebbe dovuto tirare fuori i cosiddetti e farsi valere. Se tirassi fuori i cosiddetti poi non avresti più nessuno che ordina da bere al posto tuo, pensò, ma non lo disse. In realtà non stava proprio ascoltando quello che stava dicendo quel coso, era troppo concentrata ad osservare la ragazza che le aveva rubato il posto in fila poco prima. Nonostante sedesse dall’altro lato della locanda, Gothel riusciva a vederla bene. La fissava senza timore di essere vista a sua volta, nessuno si accorgeva mai di lei.
Non sapeva bene perché non riuscisse a toglierle gli occhi di dosso, forse per il modo in cui si comportava. Era così sicura di sé, ma era una sicurezza completamente diversa da quella di sua sorella. Annabella semplicemente se ne fregava delle opinioni altrui, viveva la sua vita normalmente, conoscendo il suo valore. Non si sentiva né meglio né peggio degli altri. Quella ragazza invece si credeva dio sceso in terra, si comportava come se non ci fosse nessuno meglio di lei, come se tutti dovessero sentirsi fortunati a parlarci.
Il suo filone di pensieri fu interrotto dalla sorella, la quale intervenne in suo soccorso, ordinando a Garret di lasciarla in pace, e accusandolo di essere un maleducato per non averle detto grazie.
<< Lo sai, è un cretino >> le disse sorridente, mettendole le mani sulle spalle. << Ma non farti rovinare l’umore che adesso c’è la torta! >>
Gothel rimase sorpresa di vedere che sulla torta c’era anche il suo nome, e non solo quello di Bella. Mentre gli altri si stavano adoperando per sistemare le candeline sulla glassa ed accenderle, la ragazza voltò lo sguardo più avanti, verso il tavolo dei ragazzi debosciati. Quella che prima l’aveva spinta stava discutendo animatamente con un ragazzo di fronte a lei, un armadio a due ante con un collo enorme. Teneva la mano stretta attorno al manico del boccale, il quale ad un certo punto esplose in mille pezzi. Gothel spalancò gli occhi, non era possibile che una ragazzina di quindici/sedici anni potesse frantumare un boccale di vetro così spesso. Aveva sicuramente utilizzato la magia. A Camelot –città in cui si era trasferita dopo “l’incidente”- non solo non era proibita, ma era pure praticata da moltissime persone tranquillamente. Ma Gothel non aveva fatto molte conoscenze, nonostante vivesse lì da quasi tre anni ormai, e non aveva ancora incontrato nessuno con le sue stesse capacità. E i suoi genitori non avevano mai incoraggiato queste conoscenze. La figlia li aveva raccontato che il motivo per cui aveva fatto determinate cose erano state le prese in giro su i suoi poteri magici –cosa tra l’altro non vera. Non le avrebbero mai negato di conoscere altri maghi o streghe, ad ogni modo preferivano che l’argomento “magia” fosse se non proibito quanto meno evitato in casa.
E Gothel non aveva mai avuto interesse a conoscere quell’aspetto di se stessa. Fino a quel momento.


Quella sera le due sorelle tornarono a casa ad un orario decente, come le era stato imposto dai genitori. Gothel l’ultimo tratto di strada lo aveva percorso scalza: le scarpe di Annabella, per quanto fossero bellissime da guardare, erano tremendamente scomode da indossare. Sentiva la terra umida sotto i piedi e la sensazione le faceva schifo, camminava con il terrore di pestare gli escrementi di qualche animale selvaggio. Sua sorella invece era allegra come sempre, si era divertita moltissimo quella sera, era stata proprio la sua festa. Per quanto a Gothel non stessero affatto simpatici i suoi amici, doveva riconoscerli il merito di tenere veramente a Bella, la trattavano come la principessa che era. Poco importava se lei veniva sbatacchiata a destra e a manca per servirli, ne valeva la pena per vedere quegli occhi azzurri brillare di felicità.
I genitori ovviamente le avevano aspettate alzati, e avevano controllato che non avessero bevuto alcool. Accertatisi delle condizioni delle loro figlie si erano diretti in camera, e così avevano fatto anche le gemelle.
Si tolsero i bellissimi vestiti che avevano indossato quella sera, si misero la vestaglia da notte, si tolsero il cerone dal viso e poi si fiondarono sotto le coperte.
Annabella, il cui letto distava la lunghezza di un braccio da quello della sorella, le diede una botta leggera sulla schiena. << Ehi, che desiderio hai espresso quando hai soffiato sulle candeline? >>
<< Non posso dirtelo, altrimenti non si avvera. >> Rispose l’altra.
<< Vero… peccato. >> Sembrava seriamente dispiaciuta. << Mi sarebbe piaciuto sapere di cosa si tratta. C’è qualcosa che posso fare per renderlo realtà? >>
<< No. Ma lascia stare, è una scemenza, nemmeno so perché l’ho espresso. È solo uno stupido desiderio. C’è invece qualcosa che posso fare io per rendere il tuo di desiderio realtà? >>
Annabella sorrise teneramente. << Direi che tu abbia fatto abbastanza finora. Buona notte. >> Si girò dall’altra parte e piombò il silenzio tra le due.
Gothel sistemò meglio la testa sul cuscino. Non riusciva a dormire. Anche se aveva passato l’ultima ora a camminare, quella non era stata una giornata pesante, l’aveva passata principalmente a sedere sullo sgabello a farsi sistemare.

 
La mente era perfettamente lucida, non ne voleva sapere di addormentarsi. Continuava a rimuginare sul desiderio espresso poche ore prima: rivedere la ragazza della locanda.
   
 
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