Film > Sister Act
Segui la storia  |       
Autore: Slytherin Nikla    27/02/2018    1 recensioni
Con Sister Act ho un rapporto particolare, condensabile in "guardo il film, mi viene voglia di scrivere". E ogni occasione è buona per indagare sul mio personaggio preferito (la Madre Superiora), ma ancor più per speculare sul suo rapporto con l'unica persona in grado di farle cambiare opinione. Da qui, dunque, la domanda: e se O'Hara avesse deciso di aspettare notizie, invece che nel proprio ufficio, in quello di lei?
(sì, lo so, la ship è azzardata, don't like don't read, quelle cose lì)
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Madre Superiora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

E così, alla fine è nato un secondo capitolo. E sì, è assai probabile che ce ne sarà un terzo (non me la sento di garantire sulle tempistiche, oggettivamente, ma ce la possiamo fare). Buona lettura! ;)

Di tre cose George O’Hara si scoprì grato aprendo gli occhi: di avere preso un taxi per recarsi al Santa Caterina la sera precedente; di essere un uomo dal guardaroba inevitabilmente immutabile; e soprattutto, per la donna straordinaria che ancora dormiva fra le sue braccia.
Certo l’ampio ventaglio di intorpidimenti e fastidi articolari minacciava di ridimensionare almeno in parte tutta quella sua gratitudine, ma era pur vero che non ci sarebbe stato modo di aspettarsi qualcosa di diverso dopo avere dormito, e in due, su un divanetto striminzito e chiaramente disegnato per esser scomodo anche in posizione seduta. Era sempre stato scomodo, su quel divanetto, e aveva sempre sospettato che avesse come unico scopo quello di far terminare nel minor tempo possibile qualsiasi incontro al quale fosse richiesto d’essere amichevole e informale – Margaret era sempre stata un totale disastro, con gli incontri amichevoli e informali.
Senza nemmeno rendersene conto, le passò una mano fra i capelli.
Come avesse potuto pensare, anche solo lontanamente, che per lei il tempo non fosse passato andava al di là di ogni possibile ragionamento. Forse perché sotto tutti quei metri di stoffa, sotto quell’armatura di pesante lana nera e cotone inamidato, era riuscita a nascondersi così bene da diventare immutabile; forse perché per lui era stato più facile, alla fine, convincersi di essere l’unico a stare invecchiando, perché lei non sarebbe mai cambiata, perché lei era destinata a rimanere in eterno la magnifica, rigida, severa ragazza dai capelli rossi che aveva conosciuto una vita prima; di fatto, però, George O’Hara aveva registrato con un sussulto di autentica sorpresa la realizzazione che di quel rosso fiammeggiante ora, un  numero di anni più tardi così consistente che non voleva contarli, non fosse rimasta che qualche esile traccia fra la cenere. Era invecchiata, lei, così com’era invecchiato lui. Ma perché allora gli sembrava addirittura più bella?
Di nuovo le sue dita le scivolarono fra i capelli, delicate come un soffio.
E lei – lei, che era sempre stata, fra loro, la paladina del senso pratico; lei, che non perdeva mai la lucidità; lei, che pensava sempre due mosse avanti al resto del mondo e accusava lui di essere un inguaribile, insopportabile ottimista – si svegliò con un tremito. E una domanda che era così lei da far quasi male. «Avevo chiuso la porta, vero?»
O’Hara rise, rise così di cuore da rimediarne una gomitata al fianco e un’intimidazione stizzita e perentoria a non fare rumore. Rise e continuò a ridere – certo, più piano – e l’abbracciò stretta, il viso sepolto contro il collo di lei. «È la prima cosa che hai fatto,» mormorò contro la sua pelle. «Ma in fin dei conti, se anche entrasse qualcuno, non ci sarebbe niente da vedere…»
«Niente da vedere?» ripeté indignata. «Niente da vedere? Hai dormito con una donna e lo chiami niente da vedere
«Precisamente. La cosa cambierebbe se fossi tu ad aver dormito con un uomo, certo... Oh,» esclamò O’Hara, divertito ben oltre l’accettabile. Lei chiuse gli occhi, cercando di ignorare il richiamo ineluttabile della realtà, e lui non faticò a leggere in quell’improvviso, statico silenzio la direzione che i suoi pensieri avevano preso.  «Margaret…»
«Non voglio che finisca.» La guardò staccarsi da lui, sedersi sul bordo del divanetto – severa, rigida, magnifica – e sfuggire il suo sguardo. La guardò in silenzio, ancora una volta, con quella pazienza fedele e inattaccabile che da una vita intera riservava a lei sola. Sarebbe arrivata, lo sapeva. Aveva solo bisogno di tempo. Aveva sempre bisogno di tempo, e di tentativi a vuoto, e di una montagna di forza di volontà, quando lasciava che fosse il cuore a parlare invece della testa. L’istinto di Margaret non partiva mai dal cuore – il cuore era faticoso, il cuore era fragile: e lei lo aveva sempre protetto con quella monolitica fortezza mentale che era diventata la sua seconda natura. Aveva bisogno di tempo perché le parole si formassero, perché trovassero la strada. O’Hara lo sapeva – e aspettava, seduto accanto a lei. «E finirà tutto non appena girerò la chiave nella serratura.»
«Tutto?» domandò con gentilezza, non perché avesse bisogno di spiegazioni ma perché lei – lo sentiva – aveva bisogno di una mano cui aggrapparsi lungo il sentiero tortuoso che collegava il suo cuore al cervello.
«Questo sogno sciocco e vano, questo…calore. Aprirò la porta e rientreranno i nostri ruoli e noi usciremo per sempre, e io» esitò, così a lungo che perfino O’Hara dubitò di poterne quella volta vedere la conclusione, «e io non voglio,» la sentì dire invece, con un filo di voce. Allungò una mano a racchiudere le sue, senza voltarsi – aveva bisogno di coraggio, non di interruzioni, lo sentiva. A voler essere sinceri, doveva ammettere che anche lui aveva bisogno di coraggio. «Promettimi almeno che non torneremo a prima di ieri sera. Non la formalità, ti prego, non credo che ce la farei…» O’Hara si irrigidì. Quello era un epilogo. Gli stava costruendo una via di fuga. A dispetto dei gesti, delle parole, a dispetto di quella notte di sonno scomodo ma condiviso, a dispetto di tutto – gli stava aprendo una via di fuga. Mantenere lo status quo, ma con il compromesso di un po’ più di tenerezza: O’Hara non riuscì a determinare se quella fosse la strada più facile o la più difficile. Le strinse le mani, e questa volta cercò i suoi occhi.
«Possiamo trovare un modo, Margaret. Possiamo…» la frase rimase sospesa nel vuoto non appena lei si alzò, e morì agonizzando mentre lui si incantava a guardarla indossare il soggolo con la naturalezza di un gesto ripetuto migliaia di volte. «Margaret,» tentò, senza convinzione, un’ultima volta. Lei gli prese il volto fra le mani, con un sorriso triste che gli spezzò il cuore.
«Abbiamo un concerto importante di cui occuparci, e tu un ospite illustre da accogliere. Ci aspetta una giornata impegnativa…» Parole dette e ascoltate mille volte, commiati visti e rivisti. O’Hara sospirò, accarezzandole i polsi con la punta delle dita. Quel bacio improvviso e delicato lo sorprese come un acquazzone, troppo breve per reagire, troppo inaspettato per poterne godere appieno. Lo scatto della serratura, qualche istante più tardi, lo riscosse – e ancora una volta aveva avuto ragione lei, e i loro rispettivi ruoli erano entrati nella stanza e tutto era tornato com’era stato prima.
O’Hara raccolse il colletto romano dalla scrivania e l’abbottonò sulla nuca senza il minimo sforzo, esattamente come ogni altra mattina della sua vita. Non era cambiato niente, in fondo. Eppure non riusciva a liberarsi dalla sensazione che fosse cambiato tutto.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Sister Act / Vai alla pagina dell'autore: Slytherin Nikla