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Autore: ninety nine    28/02/2018    6 recensioni
[Hunger Games, Gale Hawthorne, Song fic based on ''Coda di lupo'', Fabrizio de Andrè, 941 parole]
Crescere nel Distretto Dodici non è facile, soprattutto se sei il miglior amico, il ''cugino'' della Ghiandaia Imitatrice.
Rabbia e dolore hanno segnato l'infanzia, l'adolescenza e l'intera vita di Gale Hawthorne, dalla morte del padre in avanti. E prima ancora, la mancanza di libertà, la vita nei boschi, le miniere.
Sulle note di ''Coda di lupo'', questa storia vuole essere una raccolta di drabble che ripercorre alcuni dei momenti principali di Gale, attraverso i suoi occhi, o quelli del padre.
Frammenti di vita, immagini gioiosi o dolorosi, una crescita forzata, veloce, che sembra, irrimediabilmente, portare a dolorose cadute.
DAL TESTO:
La risposta era una,sempre la stessa.
A Capitol City, non credere mai.
[...] Al Distretto Tredici, non credere mai.
[...] Neppure a te stesso, non credere mai.
Genere: Angst, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne, Mr. Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando ero piccolo m'innamoravo di tutto correvo dietro ai cani
E da marzo a febbraio mio nonno vegliava
Sulla corrente di cavalli e di buoi
Sui fatti miei sui fatti tuoi
E al Dio degli inglesi non credere mai


-Papà!
Gli occhi grigi di Gale brillavano ogni volta che vedeva il padre tornare dai boschi, la domenica, con un coniglio appeso alla cintura e un sorriso stampato in viso.
-Ometto!
Il bambino aspettava, come ogni giorno, una nuova storia.
Una storia sugli animali dei boschi, sulle miniere o sui mille personaggi che frequentavano il Forno.
Ma, oltre a quel desiderio, l'uomo, nei suoi occhi, leggeva ogni giorno due domande.
Chiedeva, suo figlio, quando sarebbe potuto andare nei boschi con lui e quando, finalmente, quella libertà di cui tanto si parlava a casa sarebbe per tutti arrivata.
La risposta era una, sempre la stessa.
A Capitol City non credere mai.


 


E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo
Rubai il primo cavallo e mi fecero uomo
Cambiai il mio nome in "Coda di lupo"
Cambiai il mio pony con un cavallo muto
E al loro Dio perdente non credere mai


-Questa domenica verrai nei boschi con me, ometto.
Un lampo di gioia negli occhi grigio tempesta.
Oltrepassarono la recinzione fianco a fianco, padre e figlio.
Nelle piccole mani il bambino stringeva un portafortuna, uno spago color della sabbia, che cadde sul sentiero appena vide le trappole.
Guidato dall'uomo, le sue dita si mossero abili a creare un nodo che, portando morte, gli avrebbe assicurato la cena.
Stringendo tra le mani il suo primo coniglio, nascosto sotto un cespuglio per nascondersi da un hovercraft, sentì l'uomo scompigliargli i capelli.
-Sei diventato un uomo, ometto.
Il dito di Ian salì fino a puntare l'aereo.
-Capisci, ora?
A Capitol City non credere mai.

 


E fu nella notte della lunga stella con la coda
Che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa
Crocifisso con forchette che si usano a cena
Era sporco e pulito di sangue e di crema
E al loro Dio goloso non credere mai


Le stelle brillavano, quella sera.
Il ragazzo sentiva ancora il rumore dell'esplosione rimbombargli nelle orecchie.
Suo padre, polverizzato in miniera.
Morto per servire a uno Stato in cui non credeva, che si ingozzava di cibo mentre loro morivano di fame.
Morto per ipocrisia.
Nulla di lui era rimasto.
Solo la piastrina di riconoscimento da stringere fra le dita.
Niente più storie.
Niente più domeniche nei boschi.
Niente più hovercraft.
Niente di niente.
Una famiglia da sfamare, rabbia e dolore da gestire.
Sferrò un pugno al muro e contro di esso si accasciò, la fronte contro la pietra.
Un urlo prepotente gli nacque in gola.
A Capitol City non credere mai.

 


E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente
Possedevo una spranga un cappello e una fionda
E una notte di gala con un sasso a punta
Uccisi uno smoking e glielo rubai
E al Dio della scala non credere mai


Il pacificatore alza il braccio, tra le dita stringe un coltello.
Gale non pensa a quello che fa, solo alla rabbia che ha dentro da troppi anni.
Carica, come un animale ferito.
Colpisce il pacificatore.
Mentre viene trascinato in piazza e legato a un palo non pensa ad altro che alla sua numerosa famiglia.
Mentre sente la frusta aprire tagli sulla sua pelle non pensa ad altro che a tutto ciò che ha perso.
Mentre le gambe gli cedono, lancia un muto saluto a tutto quanto ha conosciuto.
Mentre gli occhi si chiudono e lui smette di lottare, una frase gli torna in mente.
A Capitol City non credere mai.

 


Poi tornammo in Brianza per l'apertura della caccia al bisonte
Ci fecero l'esame dell'alito e delle urine
Ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso
"Per la caccia al bisonte" disse "Il numero è chiuso"
E a un Dio a lieto fine non credere mai


Distretto Tredici.
Le cicatrici, vecchie e nuove, erano ormai tutte rimarginate.
Linee bianche sulla sua pelle olivastra, tanto tipica del Giacimento.
Il Giacimento, che non esisteva più.
Ma il dolore dentro di lui non si era mai attenuato.
Gli avevano detto che sì, sarebbe potuto diventare un soldato.
Un ribelle.
Accanto a Katniss, avrebbe guidato la rivoluzione.
Ma non sentiva soddisfazione, solo un profondo senso di vuoto.
Era di nuovo un burattino tra le mani di altri.
Un numero stampigliato in viola sul suo braccio.
Una frase, che risuonava nella sua testa.
A Capitol City non credere mai.
Ma un altra, nacque, nuova, inaspettata.
Al Distretto Tredici non credere mai.

 


E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
Che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
Che ho imparato a pescare con le bombe a mano
Che mi hanno scolpito in lacrime sull'arco di Traiano
Con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
Ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria
E a un Dio senza fiato non credere mai


Un lampo di fuoco sul bianco delle divise.
Bambini, medici, innocenti.
Un urlo lacerante.
Primrose.
Prim.
Occhi spalancati nella notte da tanti, troppi anni.
Incubi e lacrime gli fanno visita ogni notte, puntuali come nulla nella sua vita è mai stato.
Il suo nome è scritto sui libri di scuola, un eroe, inserito tra i principali artefici della rivoluzione, ma pochi sanno la sua vera storia.
Quei pochi, l'hanno allontanato.
O lui ha allontanato loro.
Che importa, in fondo?
Di lui, resta solo un guscio vuoto, scavato fino alle ossa dal rimorso, dalla rabbia e dal dolore.
A Capitol City non credere mai.
Neppure a te stesso, non credere mai.

 


 


Hola! I'm back with Gale. Sarò brevissima in queste note, perchè vorrei che la canzone e la storia palassero da sole. Ci tengo però a ringraziare la ragazza che mi ha lasciato il prompt ''Gale (eventualmente con altri personaggi o con Katniss), Coda di lupo, De Andrè'' durante un drabble event nel gruppo facebook ''We are out of prompt''. Sei stata davvero un oceano di ispirazione, e questo è quanto è risultato. Trovo la canzone davvero perfetta per il personaggio di Gale: parla di un percorso di crescita davvero simile al suo, tormentato, segnato da dolore e eventi non sempre facile. E la voce di Faber rende tutto più magico. <3
Annoto anche che Ian è il nome che ho scelto per il padre di Gale (che compare anche in altre mie storie).
Questa volta, concludo rapidamente. Solo, perdonatemi l'impaginazione, che so non essere delle migliori.
Come al solito, spero davvero che la storia possa piacervi!
Se vi va, lasciatemi una recensione, fa sempre piacere!
A presto, 99 ^^
  
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