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Autore: CthulhuIsMyMuse    01/03/2018    0 recensioni
"Giovanni aveva compreso che il tempo non le aveva cambiate, almeno non fisicamente, ma riusciva a vedere chiaramente i solchi che aveva lasciato nell'anima di ognuna di loro. L'unica cosa che era rimasta identica era la loro dipendenza l'una dall'altra, erano nate insieme, continuavano a vivere insieme e molto probabilmente sarebbero morte insieme e questa immagine azionava la leva della tristezza che era posta accanto al suo cuore."
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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11 agosto, mattina (ore 11.00)
 
Il caldo impregnava completamente l’aria di agosto, cercava di colmare il vuoto lasciato dagli abitanti di Milano che avevano abbandonato la cittadina in cerca di luoghi più accoglienti, ameni e meno roventi o quanto meno affiancati da una lunga battigia battuta dalle onde del mare. 
 
Era accompagnato dall’umidità presente in elevata percentuale. Questa s’insinuava nei pori della pelle sino a saturarli per poi risgorgare e impregnare le vesti o per scorrere in rivoli fino a terra dove sarebbe nuovamente evaporata in un ciclo infinito che sarebbe durato fino alla fine del mese – o almeno così speravano la maggior parte delle persone.

L’afa faceva vibrare sul terreno piccoli miraggi che si allungavano lungo tutta la strada polverosa che, all’interno del parco, conduceva sino al Museo Civico di Storia Naturale verso il quale, Giovanni, era diretto speranzoso di poter trovare conforto sia alle pene corporee – il museo era sempre condizionato – sia alle pene mentali scaturite da un’infelice nottata.

Aveva nuovamente fatto quello strano sogno.

Da che aveva memoria sapeva di averlo sempre sognato. Non aveva una ricorrenza precisa, poteva presentarsi ogni giorno oppure potevano passare mesi prima che si ripresentasse. C’era stato un anno che sembrava non dovesse tornare mai più e invece aveva sognato nuovamente.

Non ne ricordava mai il contenuto, se ci ripensava vedeva solo strascichi di immagini incoerenti che si susseguivano su uno sfondo brullo e desertico.

L’unica cosa certa di quel sogno era il mal di testa che lo seguiva. Prendeva vita a partire dalle tempie, s’insinuava sin nei recessi più profondi della sua materia grigia e la sua eco si perpetrava per almeno un paio di giorni che sembravano senza fine.

Nessun antidolorifico sembrava funzionare ma, aveva con il tempo scoperto che il silenzio riusciva a acquietare quel martellio incessante fino a quasi farlo scomparire.

Per quel motivo si stava dirigendo verso il museo che, nei periodi di ferie, riusciva ad essere più silenzioso di una biblioteca inoltre, avendo visitato il museo un elevato numero di volte, non doveva neanche concentrarsi troppo sul cosa stesse vedendo.

Si fermò all’angolo della costruzione sotto un piccolo raggruppamento di alberi la cui ombra offriva riparo dal sole cocente della mattinata già inoltrata. Guardò la facciata ingrigita dall’inquinamento cittadino, inspirò profondamente – felice dell’assenza del tipico traffico di porta Venezia – e iniziò, mentalmente, a godere della quiete che pareva traboccare direttamente dalle pareti.

Sorrise, soddisfatto, a se stesso e tornò ad avanzare verso gli scaloni che conducono verso l’entrata del museo.

In quel momento, quel suo stesso incedere fu in qualche modo coadiuvato, in modo poco aggraziato, da un colpo – neanche troppo leggero – ricevuto alle spalle.

Poco prima di essere leso nella sua persona sentì, alle sue spalle, una voce secca di donna gridare «Attenta!» ma il suo cervello, al momento stopposo, non riuscì ad installare nessun tipo di comunicazione tra le cellule nervose che si accesero solamente al momento dell’urto.

Il colpo lo fece barcollare in avanti ma ciò che lo fece cadere fu la fitta che si dipanò dal centro della testa fino ai confini del cranio.

Sentì il dolore diffondersi lungo tutti i nervi sostituendo qualsiasi altro input proveniente dall’ambiente esterno, per questo inizialmente non sentì il dolore dei sassolini che si infilavano nelle ginocchia scoperte  mentre cadeva in ginocchio sul posto.

Premette le mani sulle tempie, cercando inutilmente di limitare quel dilagare infinito di dolore ma fu inutile.

Le forze gli vennero meno ma, prima di toccare terra qualcosa lo afferrò da sotto le ascelle. Erano braccia sottili ma la presa era forte e decisa.

Lo trascinarono per pochi metri e lo posarono a terra con delicatezza, qualcosa di solido ma dalla forma non consona era alle sue spalle e lo teneva eretto. Pensò subito all’albero sotto il quale si era fermato pochi istanti prima.

Non sentiva più niente, dagli occhi semi chiusi riusciva ad intravedere due figure che si agitavano sotto l’ombra degli alberi. Voleva dirgli che se si fossero agitate così avrebbero sofferto ancora di più il caldo asfissiante, dovevano rilassarsi come lui, comodamente seduto sotto un albero del parco dei giardini pubblici di Indro Montanelli.
   
 
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