Crossover
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Autore: Bookmaker    01/03/2018    2 recensioni
– Lo so, – disse improvvisamente, anticipando una notizia che sapeva gli sarebbe stata riferita di lì a breve. – Il ragazzo laggiù si è svegliato, ed è appena entrato nella fase di sintesi, giusto?
– Il ragazzo? Di che cosa stai parlando?
Si girò con una certa sorpresa scoprendo di non essere solo, nel mare lunare macchiato di un sangue troppo antico per essere ricordato: un altro essere lo stava fissando.
Non era certamente umano: sembrava un gatto col pelo bianchissimo, con grandi ciuffi che sbucavano dalle orecchie e un anello sospeso attorno ad ognuno di essi.
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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XVII
Ripresa, secondo momento: All I could say
 
– Buongiorno, Madoka.
La sottile voce di Kyubey fece sobbalzare Madoka. La ragazza, ancora sepolta sotto le lenzuola nonostante fossero già passate le nove, emerse dal suo riparo con un’espressione atterrita impressa sul volto.
– Cosa… cosa vuoi? – mormorò, guardandosi intorno per cercare la sagoma bianca dell’alieno. – Non voglio parlare con te!
 – Proprio non vi capisco, – ribatté Kyubey senza mostrarsi. La sua voce sembrava provenire da un punto imprecisato, come se tutta la stanza risuonasse delle sue parole. – Questa tua reazione è completamente fuori luogo. È per ciò che è successo a Mami? O per quello che avete scoperto sulle Streghe? Ogni volta che voi umani scoprite questo dettaglio perdete ogni cenno di razionalità.
Gli occhi di Madoka si bagnarono di lacrime, ma la ragazza si sforzò di non piangere. Non voleva che Kyubey la vedesse mentre piangeva. – Un dettaglio? Ti sembra un dettaglio? Mami… Mami era diventata una Strega! E adesso anche Sayaka…
Madoka si fermò all’improvviso. Quel pensiero era arrivato alla sua coscienza senza preavviso, ma l’aveva terrorizzata: ora anche Sayaka era una maga, e questo voleva dire che prima o poi anche lei si sarebbe trasformata in una Strega. Era un’idea orribile, anche solo da immaginare.
– Voi esseri umani siete proprio di vedute ristrette, – sospirò l’alieno. – Siete convinti di poter soddisfare i vostri desideri, per quanto assurdi e contrari alle leggi fondamentali dell’universo, senza che ci sia alcuna conseguenza. Io non sono una divinità, non posso distorcere l’universo come se nulla fosse.
La presenza di Kyubey sembrò ingigantirsi, come se l’aria nella stanza fosse diventata improvvisamente pesante. – Quindi, – scandì la voce della creatura, – per ogni desiderio realizzato, qualcosa dev’essere sacrificato.
Madoka rimase immobile, paralizzata da un sentimento simile alla paura. – Cosa… cosa sei, tu?
Gli occhi di Kyubey comparvero come due diamanti rossi, splendendo in trasparenza da dietro la tenda della camera. – Dimmi, Madoka Kaname, – chiese l’alieno dopo un lungo silenzio. – Sai cos’è l’entropia?
***
– Basta… basta così. Maya, ferma la registrazione.
Maya annuì in silenzio, affrettandosi a premere il tasto di stop sulla console del registratore. Una volta che la macchina si fu fermata, la dottoressa Akagi prese ad armeggiare nervosamente con il contenuto delle proprie tasche, lottando con se stessa per non estrarre una sigaretta e fumarla lì per lì.
– Questo è tutto ciò che potevo dirle, – mormorò Homura, abbassando lo sguardo sul tavolo metallico della sala audiovisivi. – Ed è più di quanto abbia mai detto a chiunque altro.
Ritsuko non riuscì a trattenere un brivido, ed ebbe bisogno di alzarsi e camminare per calmarsi. Homura le aveva raccontato ogni cosa: il suo primo incontro con Madoka Kaname, il suo contratto con Kyubey, le oltre cento volte che il tempo si era riavvolto intorno a lei. Facendo un rapido conto, Homura aveva rivissuto le sei settimane trascorse con Madoka per un tempo equivalente a oltre dieci anni.
E per oltre dieci anni, la maga dai capelli corvini era rimasta da sola.
– Però c’è una cosa che non capisco, – intervenne Maya, sollevando timidamente una mano per richiamare l’attenzione su di sé. – Perché non l’hai detto a Madoka e alle altre?
– Ci ho provato, – rispose Homura, la voce piena di frustrazione. – Ci ho provato molte volte. Tuttavia, come può immaginare, non mi hanno creduto. E d’altra parte, perché dovrebbero? Ogni volta che il ciclo ricomincia io, per loro, torno ad essere solo un’estranea. Solo Madoka crede alle mie parole, ma lei… lei è un caso a parte.
C’era stato un attimo di esitazione, nella voce di Homura, e sia Ritsuko sia Maya se n’erano accorte. Nessuna delle due, però, fece domande a riguardo.
– Penso che nessuno crederebbe a una storia così convoluta, se non la stesse vivendo, – rifletté Ritsuko, cercando di apparire più distaccata possibile. – Piuttosto, c’è un’altra domanda che vorrei farti: a quanto ho capito, il tuo potere ti permette di spostarti nel tempo mantenendoti nel tuo piano temporale nativo. Come sei arrivata nel nostro piano? E come hanno fatto le altre a seguirti?
Homura distolse lo sguardo, stringendo le palpebre come se questo la potesse aiutare a raccogliere le idee. – Non lo so. Dopo l’ennesimo fallimento, io… io ho desiderato con tutta me stessa raggiungere un nuovo mondo, un mondo in cui potessi finalmente salvare Madoka. Quando sono arrivata qui ho pensato che tutto sarebbe andato bene, ma mi sbagliavo.
Ritsuko esitò, pensando per un attimo che ogni ulteriore domanda avrebbe solo ferito la ragazza che aveva di fronte. Poi, però, la dottoressa Akagi prese il sopravvento. – Vuoi dire che Madoka continua a morire?
– Sì, – mormorò Homura. Il suo volto si contrasse in una smorfia colma di dolore. Evidentemente, esistevano orrori contro cui l’abitudine non poteva nulla. – Ogni volta. E anche le altre, ovviamente. Speravo che in questo ciclo Mami Tomoe si salvasse, ma a quanto ho visto di lei è rimasto solo un guscio vuoto. Ho cercato di spararle, quando l’ho incontrata insieme alle altre, anche per evitare che commettesse imprudenze. Se il proiettile le avesse trapassato il cranio senza distruggere la Soul Gem, sarebbe bastata la magia di Kyubey per farla guarire, e nel frattempo io avrei potuto occuparmi dell’Angelo. Lei e le altre avrebbero anche potuto comprendere la vera natura del loro contratto con Kyubey senza che fossi io a rivelargliela.
– È per questo che hai affermato di aver già combattuto contro l’Angelo?
– Sì. Il tempo in cui mi reinserisco si ripete in maniera ciclica. Tuttavia, – aggiunse la ragazza in tono serissimo, – c’è una cosa che mi preoccupa.
Ritsuko sollevò un sopracciglio. – Cioè?
– Nel mondo da cui provengo, – spiegò Homura, – la linea temporale è sempre la stessa. Gli eventi si ripetono sempre uguali a loro stessi, e solo il mio intervento può modificarli. Il vostro universo, invece… non so come dire. È instabile.
Stavolta, anche Maya si irrigidì. – Dottoressa Akagi, – chiese, – devo far ripartire la registrazione?
– Credo che sarebbe inutile, a questo punto, – disse la donna. Sul suo volto era comparsa un’espressione indecifrabile, colma di tensione. – E non credo che si tratti di un’informazione di cui il comandante debba entrare a conoscenza. Per favore, Homura, continua.
La ragazza annuì. – Ogni volta che resetto la linea temporale, osservo dei dettagli che cambiano. Il cognome di Shikinami, il pilota dell’unità Evangelion 03, la presenza di Ryoji Kaji in Giappone…
– Tu conosci Ryo… Kaji? – esclamò Ritsuko, incredula. Nel farlo, tuttavia, non poté trattenere una nota d’imbarazzo.
– Più o meno, – rispose la maga, apparentemente senza dar peso alla cosa. – Ad ogni modo, tutte queste cose mostrano una tendenza al cambiamento che nel mio mondo non ho mai osservato. Non sono sicura del significato di questo fenomeno, ma non mi rende tranquilla.
Nemmeno Ritsuko era tranquilla, e la forzata astinenza dal fumo non aiutava. – E gli Angeli? – chiese. – Di loro che mi sai dire?
– Sono sempre uguali, se è questo che intende. Tuttavia, questa volta è cambiato qualcosa: quando ho parlato con lei, io ero convinta di trovarmi a combattere contro un Angelo che avevo già affrontato. Invece, questo Angelo non era quello che ho incontrato in tutte le altre linee temporali. Era del tutto diverso dagli altri.
Ritsuko sentì un brivido risalire lungo la propria schiena. – Quanti Angeli hai combattuto? – chiese dopo un lungo silenzio. – Fino a che punto sei arrivata, in questa linea temporale?
Homura chiuse gli occhi, riflettendo per un momento. – Sono arrivata fino al momento dell’arrivo del decimo Angelo, – disse alla fine. – Tuttavia, non ho mai assistito alla sua sconfitta.
La dottoressa Akagi deglutì a fatica. Il decimo Angelo sarebbe stato davvero così forte?
– Vorrei poterle fornire altri dati, – riprese la ragazza. – Tuttavia, visto che le mie informazioni potrebbero non corrispondere alla verità, penso che sia meglio non complicare la situazione con un carico così gravoso.
La donna annuì sovrappensiero, in maniera quasi automatica. – Già. Ora come ora, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare. Grazie mille per il tuo tempo, Homura. Maya, ti dispiace accompagnarla al suo alloggio? Io rimarrò qui a sistemare le registrazioni e a mettere tutto in ordine.
La giovane ufficiale si alzò prontamente in piedi, quasi scattando sull’attenti. – Sì, senpai.
Homura si alzò, sistemandosi l’uniforme scolastica del liceo di Mitakihara addosso. Si stava già dirigendo verso la porta insieme a Maya quando la dottoressa Akagi la fermò.
– Quante volte? – domandò la donna, formulando la peggiore domanda a cui Homura Akemi potesse rispondere. – Quante volte hai ripetuto questo ciclo?
La maga rimase immobile sulla soglia della stanza. Il suo sguardo gelido fu attraversato dalla traccia di un sentimento troppo terribile per essere confessato, troppo evidente per richiedere alcuna spiegazione. – Questa è la ventisettesima volta, – mormorò, la voce ridotta a un esile filo teso nel silenzio della sala audiovisivi. Per un momento, nessuno disse nulla. La dottoressa Akagi sembrò sul punto di intervenire, ma Homura uscì rapidamente dalla stanza prima che la donna potesse parlare. Maya scoccò alla senpai una rapida occhiata, per poi seguire la ragazza nel corridoio deserto. I loro passi risuonarono per un tempo che a Ritsuko parve lunghissimo, fino a diventare solo un’eco lontana.
La donna si sedette. Lo sguardo che Maya le aveva rivolto pochi momenti prima era indescrivibile, pieno di disapprovazione, e Ritsuko sapeva di averlo meritato. Quella domanda era stata del tutto fine a se stessa, mossa solo da un’insana curiosità. Avrebbe dovuto andare da Homura, scusarsi con lei per aver rivangato quei pensieri così dolorosi, ma in quel momento c’erano compiti più urgenti a cui doveva assolvere.
Ritsuko estrasse un cellulare dalla tasca del camice, un vecchio modello a conchiglia con un portachiavi a forma di gatto. Lo aprì, vi digitò un numero e rimase in attesa, e dopo qualche secondo le rispose un uomo.
– Pronto.
– Comandante Ikari, sono io.
– Buongiorno, dottoressa Akagi. Le serve qualcosa?
– Ho bisogno di parlarle. Il mio colloquio con Homura ha fatto emergere delle informazioni di grande importanza.
– Venga nel mio ufficio. Parleremo lì.
– Sì… sissignore.
La comunicazione si chiuse, e Ritsuko si lasciò scivolare ancora più a fondo sulla sedia. – Mi dispiace, Homura, – mormorò fra sé. – Temo di non poter tenere fede alla mia promessa.
***
– Madoka? Ci sei?
Sayaka bussò ancora una volta alla porta dell’appartamento occupato dall’amica, dando un’occhiata al proprio cellulare per controllare l’ora. Erano da poco passate le undici, e benché fosse un giorno festivo era piuttosto strano per Madoka svegliarsi così tardi.
– Forse è meglio lasciarla riposare, – disse Shinji, guardandosi attorno con circospezione. – Deve essere molto stanca, no?
Il ragazzo si era mostrato nervoso sin da quando erano entrati nel palazzo che ospitava il personale della Nerv, ma Sayaka non riusciva a spiegarsene il motivo. Forse aveva paura di incontrare Kyoko?
Per il momento, la maga decise di ignorarlo. Estrasse dalla tracolla un mazzo di chiavi ornato da un piccolo pendente azzurro a forma di nota musicale, ci armeggiò per qualche momento e alla fine trovò quello che stava cercando. Prima che Shinji potesse protestare ulteriormente Sayaka inserì una chiave nella serratura e la aprì con fare deciso.
– Madoka mi ha dato una copia delle chiavi, – sorrise la ragazza. – Abitiamo l’una accanto all’altra, dopotutto.
Shinji non rispose, ancora troppo impegnato a nascondere il proprio evidente disagio. Seguì con una certa esitazione Sayaka attraverso l’uscio ora spalancato, per poi chiuderlo con cautela in modo da non fare più rumore del necessario.
– Madoka? Ci sei?
Mentre Sayaka chiamava l’amica, Shinji osservò intimorito l’appartamento. Era identico a quello di Ayanami, che il ragazzo aveva visitato pochi mesi prima, ma al tempo stesso sembrava completamente diverso. Madoka aveva attaccato post-it con frasi d’incoraggiamento e promemoria sul frigo e su quasi tutti i mobili dell’angolo cucina, tutto era lucido e pulito, molte pareti erano ornate da piccoli e aggraziati disegni. Uno dei fogli, però, era stato strappato.
Shinji non ci fece caso, ma poi calpestò un pezzo di carta appallottolato e gettato per terra, l’unica nota stonata in quella casa così piena di allegria. Quando lo raccolse e vide il soggetto, il ragazzo sentì una fitta al cuore. Una piccola caricatura di Madoka lo salutava dolcemente, tutta agghindata in un fumettoso vestito da maga tutto pizzi e balze.
Solo allora si accorse del rumore proveniente dal bagno.
– Credo che si stia facendo la doccia, – bisbigliò Shinji alla volta di Sayaka. Quella circostanza gli ricordava la sua esperienza a casa di Ayanami, e non aveva alcuna voglia di fare il bis. – Forse è meglio se aspetto fuori…
– Ma no, che dici? – lo fermò Sayaka, placcandolo mentre cercava di uscire. – Vado a chiamarla, tu aspetta in… mmh…
La ragazza si guardò intorno. Era un monolocale, dopotutto. – Okay, in effetti è meglio se aspetti fuori.
***
– Ma salve, Fiammella.
Homura fu abbastanza sorpresa nell’udire la voce di Mari, soprattutto considerando che l’entrata del personale del Geo Front era appena dietro l’angolo. La ragazza era seduta a gambe incrociate su una panchina del parco pubblico situato a due isolati dalla stazione centrale di Neo-Tokyo 3, le braccia appese allo schienale con indifferenza. Se non fosse stato per l’uniforme scolastica palesemente fuori luogo, la si sarebbe potuta scambiare per una studentessa intenta a marinare la scuola.
Homura si passò una mano tra i capelli con malcelato fastidio.
– Devi proprio chiamarmi così?
– Perché no? – ribatté Mari con un sorriso sottile, quasi da gatto. – Ti si addice. O forse preferisci Fiamma? Fiammetta? Fermami quando ne trovi uno che ti piace, ne ho altri.
– Preferirei essere chiamata con il mio nome.
Il sorriso di Mari si capovolse in un broncio esagerato ed infantile. – Uffa… speravo che almeno con te ci si potesse divertire un po’.
– Che vuoi, Makinami?
Mari sospirò platealmente, alzando lo sguardo al cielo come se quella conversazione la riguardasse solo alla lontana. – Informazioni, Fiammella cara. Informazioni che solo tu puoi darmi.
Homura si guardò intorno con circospezione. Non c’era nessun altro oltre loro due, cosa abbastanza strana per un parco a quell’ora della mattina. Con ogni probabilità, la ragazza aveva organizzato quell’incontro in maniera più accurata di quanto non sembrasse. – Che genere di informazione?
Una scintilla brillò negli occhi di Mari. Il sorriso tornò sul suo volto, stavolta molto meno rassicurante. Si alzò dalla panchina, si sistemò gli occhiali sul naso ed estrasse un cellulare dalla tasca della camicetta. Lo passò ad Homura, che lo afferrò al volo e lo studiò per qualche momento. Era un vecchio modello di plastica nera, con una grossa antenna esterna di plastica. La maga ricordò di aver già visto telefoni come quello fra le mani di alcuni membri della yakuza, molto tempo prima; apparecchi non rintracciabili, roba che si vedeva solo nei film di spionaggio, in mano a criminali e agenti segreti. L’unica differenza, in questo caso, era la piccola fotocamera sul retro del dispositivo.
– Guarda tra le foto, – ridacchiò Mari. – Penso che ci troverai qualcosa di molto interessante.
Homura armeggiò con l’apparecchio per qualche momento, cercando il modo per aprire la galleria immagini di quel pezzo d’antiquariato. Quando finalmente trovò la foto che Mari voleva farle vedere, la sua schiena fu percorsa da un brivido.
– Vedo che quell’affare preoccupa anche te, – disse Mari.
– Dove l’hai trovato? – chiese Homura.
Mari fece spallucce. – In giro.
In un momento, Homura afferrò la ragazza per il colletto dell’uniforme, spingendola contro la panchina alle sue spalle e avvicinando il proprio volto al suo. – Makinami, questo non è un gioco. Dimmi dove hai trovato quell’oggetto.
L’espressione sorniona di Mari scomparve, cedendo alla soggezione per quel volto pieno di rabbia. Aveva già avuto la sensazione che Homura Akemi non fosse una persona con cui scherzare, ma in quel momento la sua voce lapidaria le fece venire un brivido.
– Okay, okay, – disse, deponendo l’umorismo e facendosi più seria. – È nel Geo-Front. Nell’ufficio del comandante Ikari.
– Come hai fatto a…
– Ah, puoi fare molte cose con un emettitore di onde elettromagnetiche miniaturizzato, una mimetica ottica e una mappa dell’impianto di areazione.
Homura la lasciò andare, e Mari ne approfittò per sistemarsi il colletto e il cravattino dell’uniforme. La maga la studiò per qualche momento, cercando di leggere qualcosa nei suoi movimenti. – Si può sapere chi diavolo sei?
Mari ammiccò, tornando al suo solito atteggiamento distaccato. – Una persona difficile da ricordare.
***
Sono tornato.
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