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Autore: evelyn80    01/03/2018    9 recensioni
Anthea è una maga, custode dei draghi. Il suo compito è proteggere Nyvgue, l'ultima dragonessa rimasta in vita dopo che tutti i suoi simili sono stati uccisi dagli Sterminatori di draghi. Per secoli si sono tenute nascoste in una piccola grotta sottomarina ma, durante una tempesta, decidono di uscire allo scoperto per salvare la vita di un giovane pescatore finito in acqua. La comparsa della dragonessa scatenerà la furia degli abitanti del villaggio di origine del pescatore, e toccherà alla maga, con il dialogo, convincere tutti che Nyvgue non è una creatura malvagia.
Prima classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP.
Pacchetto 3:
mistero: Loch Ness
obbligo: presenza di una tempesta
oggetto: abito da festa
Prompt: magia
BONUS: un bacio in un prato fiorito
 


 


 
L’ultima dragonessa
 
 
Capitolo Uno
 
 
     Il lampo esplose vivido nel cielo scuro, illuminando di una luce spettrale il ponte di legno della piccola imbarcazione da pesca. Il tuono che seguì fece vibrare sia il vecchio fasciame sia i pescatori a bordo, con il suo rimbombo cupo.
     La tempesta si era scatenata improvvisa e violenta sopra il lago, lasciando esterrefatti tutti i pescatori. Erano uomini di grande esperienza, e nessuno di loro aveva immaginato che potesse arrivare, quasi dal nulla, una burrasca di tali proporzioni.
     Le onde sferzavano il peschereccio da ogni direzione, sballottandolo come fosse stato un guscio di noce. I marinai tentavano di aggrapparsi alle murate per non essere sbalzati fuori bordo ma, ogni tanto, qualcuno di loro perdeva la presa e veniva scaraventato da una parte all’altra della coperta. Il vento fischiava tra le velature, gonfiate dalle forti raffiche che imperversavano a tratti da nord a tratti da est, facendo sbatacchiare la stoffa. La fune che tratteneva il boma perché la vela principale rimanesse stabile era tesa fino allo spasimo, e gemeva lugubre ogni volta che il vento cambiava direzione.
     Il capitano della piccola imbarcazione, Albrecht, urlò ai suoi marinai di ammainare le vele, per diminuire la loro resistenza al vento e scongiurare così il pericolo di scuffiare all’improvviso. La tempesta aveva sospinto il peschereccio proprio al centro del lago, dove le acque erano più profonde, e se fossero finiti in acqua avrebbero potuto dire addio alle loro vite. Le sponde erano troppo distanti e sarebbero state impossibili da raggiungere a nuoto, con quelle onde così violente.
     Myrcus e suo fratello minore Lyuk, figli del capitano, obbedirono immediatamente all’ordine del padre, mentre gli altri pescatori arrancavano a destra e a sinistra nel vano tentativo di rendersi utili, sferzati sia dalla pioggia che cadeva a scrosci, sia dalle onde del lago, talmente alte da superare le murate.
     All’improvviso, mentre Lyuk tentava di sciogliere i nodi delle cime che tenevano issate le vele, resi compatti dalla pioggia, la fune che tratteneva il boma si spezzò con uno schianto secco. L’albero ruotò su se stesso con un cigolio sinistro, colpendolo al fianco e sbalzandolo fuori bordo. Tutto avvenne talmente in fretta che né suo padre, né suo fratello riuscirono a trattenerlo. Il giovane pescatore cadde tra le acque agitate, con un grido che si perse nella furia del vento e della pioggia.
     «Lyuk!». Il capitano Albrecht si affacciò alla murata, subito seguito da Myrcus e dagli altri pescatori. Il ragazzo era già stato spinto lontano dall’imbarcazione dalle forti correnti lacustri, mentre invano tentava di tenersi a galla mulinando le braccia alla cieca. Un altro lampo squarciò il cielo plumbeo, illuminando le acque nere su cui contrastava il viso terreo del giovane pescatore, gli occhi spalancati per il terrore di essere ormai tra le braccia della morte.
     Myrcus fece l’atto di scavalcare la murata per buttarsi nel lago e tentare disperatamente di salvare il fratello, ma suo padre lo trattenne posandogli una mano sulla spalla. Il giovane uomo si voltò per protestare, ma le parole gli morirono in gola quando vide lo sguardo terrorizzato del genitore rivolto non al corpo di suo fratello, unica macchia di colore nel nero che lo circondava, ma ad un punto più lontano. Volse lo sguardo nella stessa direzione e imprecò. Gli altri marinai avevano già notato ciò che aveva attirato l’attenzione del loro capitano, e tutti avevano preso a gridare: alcuni bestemmie, altri preghiere, altri ancora frasi sconnesse e senza senso per la paura.
     Una creatura enorme, color dell’argento, stava nuotando, più veloce del vento che li sferzava, in direzione di Lyuk, il lungo collo flessuoso ed elegante proteso sopra la superficie dell’acqua. I suoi occhi rossi come le fiamme dell’inferno si posarono per un istante su Myrcus, paralizzandolo dal terrore con una gamba al di là del parapetto, prima di tornare a puntare sul naufrago.
     «Il mostro del lago!», gridò qualcuno alla sua destra, ma Myrcus non si voltò per vedere chi fosse stato, incapace di distogliere lo sguardo dalla scena che stava avvenendo di fronte a lui. Suo padre gli stringeva la spalla in una morsa ferrea mentre balbettava, pieno di paura, alcune preghiere.
     La creatura raggiunse Lyuk e si fermò, ondeggiando al suo fianco sulle acque scure. Chinò il lungo collo fino ad avvicinare il muso affusolato e serpentino al corpo del giovane, che pareva aver perduto i sensi. Lentamente spalancò la grande bocca, irta di denti aguzzi come lame e, altrettanto lentamente, con delicatezza quasi, avvolse la sua vittima con la lunga lingua biforcuta. Poi la serrò tra le fauci, facendola sparire alla vista dei marinai che fissavano la scena, impietriti, dalle murate del piccolo peschereccio.
     Myrcus, in quel momento, si sentì morire. Con uno strattone si liberò dalla presa del padre, urlando il nome del fratello e tentando ancora di buttarsi in acqua, nello stupido ed inutile tentativo di liberarlo dalle fauci della bestia immonda che aveva davanti. Il capitano fu colto alla sprovvista dal suo movimento repentino e, se non fosse stato per due dei suoi marinai più fedeli, che pescavano con lui da anni, non sarebbe più stato in grado di trattenere il figlio maggiore. I due uomini trassero Myrcus bruscamente all’indietro, facendolo cadere sul ponte bagnato.
      Il giovane uomo si rialzò in fretta, scivolando sulle assi di legno, e tornò alla murata appena in tempo per vedere la creatura inabissarsi con un elegante guizzo del lungo corpo affusolato. Per un istante, illuminata dalla luce azzurrina dell’ennesimo lampo, gli parve di vedere una fanciulla dai lunghi capelli castani seduta sul dorso della bestia, ma un attimo dopo il mostro era sparito tra le acque nere, che si richiusero rapide al suo passaggio.
      A quel punto Albrecht, che fino allora era stato pietrificato dal terrore, riuscì a riscuotersi e a lanciare un grido selvaggio carico di rabbia e frustrazione. «Hai divorato mio figlio, bestia immonda! Che tu sia maledetta! Che tu sia maledetta per l’eternità!».
      Myrcus fissò suo padre per alcuni attimi, poi tornò a volgere lo sguardo nel punto in cui la creatura era sparita.
     «Io ti troverò, mostro», disse, stringendo le mani a pugno, «dovessi scendere fino all’inferno! E allora, ti farò rimpiangere di essere nato!».
 
 
* * *
 
 
     La grotta era immersa nel buio più totale quando Anthea la raggiunse ma, per lei, l’oscurità non era un problema. Sussurrò alcune parole magiche e sul palmo della sua mano destra, rivolta all’insù e leggermente incavata a mo’ di coppa, si accese una piccola sfera di luce. Con agilità scese dal dorso della dragonessa e camminò leggera sulla riva sabbiosa, la sfera di luce rossastra ad illuminare il suo cammino. Giunta nel centro della piccola sala sotterranea si inginocchiò a terra e, mormorando un’altra formula magica, fece espandere il globo luminoso fino a che non ebbe illuminato tutto l’ambiente con una luce vivida e intensa. Le rocce nere in cui era scavata la caverna erano percorse da sottili venature di quarzo, che risplendettero come gemme preziose al tocco della luce magica. Anthea si voltò verso la dragonessa, ancora immobile nei pressi della riva: solo il lungo collo sinuoso spuntava dalle acque scure, il resto del suo corpo era ancora celato al di sotto.
     Anthea le fece un cenno e la dragonessa protese la grossa testa affusolata verso di lei, aprì lentamente le fauci e tirò fuori la lingua, facendo scivolare a terra il corpo del giovane pescatore che avevano salvato poco prima dalla furia del lago in tempesta. La maga impose entrambe le mani su di lui, mormorando parole in un’antica lingua. I suoi polpastrelli si illuminarono di un tenue chiarore rosato e subito gli abiti e la pelle del giovane, ancora bagnati dalle acque del lago e dalla saliva della dragonessa, si asciugarono.
     Anthea rimase immobile per alcuni istanti a fissare il giovane uomo che aveva di fronte, abbandonato nell’incoscienza. Un caschetto di capelli biondo scuro gli incorniciava il viso dall’ovale perfetto. La sua pelle lattea era appena adombrata, sulle guance, da un velo di barba dorata. Il suo collo taurino, forte e muscoloso, contrastava con la struttura gracile del resto del corpo.
     La maga si riscosse all’improvviso dalla sua contemplazione. Gli poggiò le mani sul petto e chiuse gli occhi, andando a sondare il corpo per capire se, a causa della caduta dal peschereccio, avesse subito fratture. Subito si accorse che aveva due costole rotte, là dove il boma l’aveva colpito. Sollevò i suoi abiti scoprendogli il fianco, già macchiato da un grosso livido violaceo. Tastò lentamente le ossa fratturate, facendo sobbalzare il giovane ancora svenuto, una smorfia di dolore a contrargli il volto.
     Anthea mosse le dita in modo più lieve, sfiorandogli la pelle e, allo stesso tempo, mormorando parole magiche. La maga avvertì distintamente il rumore delle costole che si risaldavano pian piano, ubbidendo al suo comando. La smorfia sul viso del giovane pescatore si trasformò lentamente in un lieve sorriso sereno.
     «Bene, ora non ha più alcun dolore», esalò la donna con un sospiro. La dragonessa allungò il muso e annusò il giovane, facendo fremere le grosse froge argentee, e Anthea continuò: «Ha bisogno di molto riposo. Lascerò che dorma per tutto il tempo necessario alla sua completa guarigione, prima di lasciarlo tornare dalla sua famiglia. Certo si saranno spaventati a morte, quando ti hanno visto afferrarlo tra le fauci».
     La dragonessa emise un basso brontolio sordo e scosse la grossa testa, facendo ondeggiare i lunghi barbigli argentei che la adornavano. La donna le poggiò una mano sulla pelle butterata della mascella. «Hai ragione, Nyvgue. Abbiamo corso un grosso rischio uscendo così allo scoperto. Ma gli abbiamo salvato la vita», e, con un gesto del braccio, indicò il giovane che giaceva sdraiato sulla sabbia, immerso in un sonno profondo. Lo guardò, lasciandosi sfuggire un sorriso. «Sarà bene accendere un fuoco, per non fargli prendere troppo freddo», disse, già pronta ad evocarne uno con la magia, ma la dragonessa la prevenne. Aprì la bocca e contrasse la lingua, comprimendo le due ghiandole piene di acido poste alla sua base. A contatto con le placche ossee di cui era rivestito l’interno delle sue mascelle il liquido prese subito fuoco, fuoriuscendo in un getto potente dalle sue fauci. Nyvgue lo diresse contro una roccia porosa, posta a poca distanza dal giovane svenuto, fino a farla diventare incandescente. Solo allora chiuse la bocca, smorzando le fiamme ed emettendo dalle narici due lunghe volute di fumo, che salirono fino al soffitto roccioso prima di disperdersi.
 
 
* * *
 
 
     Lyuk aprì lentamente gli occhi, convinto di risvegliarsi nel mondo dei morti. Ricordava vagamente di essere stato colpito dal boma dell’imbarcazione di suo padre e di essere stato sbalzato fuori bordo. Le acque gelide del lago gli erano subito finite in gola mentre lui annaspava, tentando di rimanere a galla contrastando le onde violente. Poi, tutto ad un tratto il mondo era diventato buio.
     Con le mani tastò il terreno sotto di sé, avvertendo un misto di sabbia fine e sassolini smussati. L’ambiente che lo circondava era illuminato da una vivida luce rossastra, e ciò che vide lo convinse maggiormente di aver raggiunto l’oltretomba. Si trovava all’interno di una piccola grotta dalle pareti di roccia nera, solcate da piccole venature argentee che brillavano al chiarore intenso. Un forte calore al suo fianco sinistro lo fece voltare in quella direzione e, per poco, non lanciò un grido alla vista di una grossa pietra nera, porosa come una spugna, dai cui fori emanava, oltre al calore, un bagliore rosso cupo.
     Deglutì a vuoto, la bocca asciutta per la paura. All’improvviso, alle sue spalle udì un basso ringhio cupo, una sorta di brontolio proveniente dalla gola di chissà quale creatura infernale. Serrò gli occhi di scatto, convinto che, se si fosse voltato, si sarebbe trovato davanti il demonio in persona. Trattenne il fiato, aspettando di sentire la sua mano bollente e dagli artigli affilati ghermirgli la spalla, ma non accadde nulla. Allora, racimolando l’ultimo briciolo di coraggio che gli restava nelle vene, si voltò nella direzione del rumore.
     La spiaggetta su cui si trovava disteso digradava lentamente verso il basso, fino a sparire inghiottita da un lago sotterraneo dalle acque azzurrine. Una donna, vestita di una lunga tunica verde scuro e dai lunghi capelli castani che le spiovevano fino al fondoschiena, gli dava le spalle. Davanti a lei si ergeva, emergendo dalle acque, il lungo collo argenteo di una creatura mostruosa. La sua testa serpentiforme, sormontata da un paio di corna attorcigliate su se stesse, era talmente grande da sfiorare il basso soffitto a volta. Lunghi barbigli le incorniciavano le grosse mascelle, e una cresta ossea, in cui le spine erano collegate le une alle altre da una sottile membrana traslucida, le percorreva il collo in tutta la sua lunghezza. Il suo occhio destro, rosso come il sangue, si fissò su di lui. Il mostro protese il collo nella sua direzione, emettendo un altro basso ringhio gutturale.
     Lyuk si portò le mani davanti al viso e si rannicchiò in posizione fetale.
     «Non mangiarmi! Ti prego, non mangiarmi!», esclamò con voce stridula, tremando come un fuscello per la paura.
     «Stai tranquillo, amico mio. Nyvgue non ha nessuna intenzione di mangiarti».
     La voce calma e pacata della donna lo raggiunse, facendolo placare all’improvviso. Il giovane uomo sentì tutta la paura fluire via dal suo corpo, quasi come se la donna lo avesse ipnotizzato.
     Tolse lentamente le mani dal volto e la fissò con curiosità, convinto di aver infine incontrato davvero il demonio. Il suo aspetto lo sorprese: aveva sempre creduto che il diavolo avesse fattezze mostruose, mentre quella che aveva davanti era semplicemente una giovane donna dai profondi occhi castani, che lo guardava con dolcezza.
      «Sei… Sei il diavolo?», le chiese, incassando al contempo la testa nelle spalle, aspettandosi di venire schiaffeggiato.
     La donna scoppiò in una risata argentina che lo lasciò di stucco. «No, non sono il demonio, puoi stare tranquillo», gli rispose, mettendosi in ginocchio accanto a lui.
     «Allora sei sua moglie?», chiese ancora Lyuk, convinto di ricordare qualche storia, narratagli da sua madre quando lui e suo fratello Myrcus erano piccoli, riguardante il diavolo e la sua consorte.
     Lei rise nuovamente, scuotendo il capo. L’enorme creatura avvicinò ancora di più la testa, volgendola di lato e fissandolo con il suo occhio rosso. «Non sei morto, se è questo che ti stai chiedendo», gli rispose infine la donna.
     Lyuk si guardò attorno, imbarazzato. «Ma, se io non sono morto, tu non sei la moglie del demonio e questo non è l’oltretomba, allora dove diavolo sono? E, soprattutto, cos’è quest’orrenda creatura?».
     La donna lo fissò con serietà. «Forse ho sbagliato a dirti che non sono il demonio. Quando ti dirò chi sono, di sicuro crederai che lo sia davvero».
     Si interruppe, forse aspettando una sua reazione che non venne. Lyuk rimase in silenzio, aspettando che continuasse a parlare.
     «Il mio nome è Anthea e sono una maga. Il mio maestro era il custode dei draghi, e da lui ho appreso sia le arti magiche sia a parlare con quelle splendide creature». Si interruppe per qualche istante mentre i suoi occhi si perdevano nei ricordi, prima di continuare. «Moltissimi anni fa, i draghi erano numerosi in queste terre, e vivevano in prosperità e in pace con gli uomini. Il mio maestro aveva il compito di custodirli e di fare in modo che la convivenza tra loro e gli uomini potesse continuare pacifica. Poi, un giorno, per errore un drago di nome Nyner uccise un bambino in un villaggio di pastori. Voleva salvarlo da un branco di lupi che stava per aggredire il suo gregge di pecore, ma nella foga e nella concitazione del momento non si accorse che il bambino si era nascosto sotto ad un cespuglio, che lui calpestò. Il mio maestro e io invano cercammo di far capire ai genitori del bambino che si era trattato di un incidente. Il padre giurò che si sarebbe vendicato e che avrebbe ucciso tutti i draghi viventi». La donna trasse un lungo respiro. «Di padre in figlio, da nonno a nipote, la rabbia cieca di quella famiglia si è tramandata di generazione in generazione, fino a che i draghi non sono stati quasi completamente sterminati. Il mio maestro avrebbe potuto usare le sue arti magiche per contrastare i cacciatori, ma aveva giurato davanti al Gran Consiglio dell’Ordine dei Maghi che non avrebbe mai usato i suoi poteri per nuocere ad alcun essere vivente. E per questo motivo non reagì quando venne pugnalato al cuore dall’ultimo discendente di quella famiglia. Da quando lui è venuto a mancare sono io a portare avanti il compito di proteggere e custodire i draghi. Nyvgue», con la mano, la donna indicò la creatura alle sue spalle, «è l’ultima dragonessa ancora in vita. L’unica ad essersi salvata da quella furia incontenibile».
     La donna si alzò in piedi, dandogli le spalle. «Fino ad ora ci siamo sempre tenute nascoste in questa grotta, uscendone solo di notte. E così avremmo continuato a fare, se non ci fossimo imbattute nel vostro peschereccio proprio nel momento in cui tu sei stato sbalzato in acqua. Non potevamo lasciarti morire senza tentare di salvarti. Ma temo che l’esserci rivelate di fronte ai tuoi compagni di pesca possa scatenare un’altra caccia inutile e terribile».
     Lyuk fissò la sua schiena, incapace di allontanare lo sguardo da lei, mentre la donna alzava il braccio a carezzare il muso della dragonessa. Quella sbuffò, facendo fremere le grosse froge.
     Il giovane pescatore aveva ascoltato con attenzione il suo breve racconto, ma c’era un particolare che proprio non riusciva a capire. «Hai parlato di fatti avvenuti moltissimi anni fa, dicendo che eri presente», attaccò a dire senza riuscire a celare il lieve tremito nella voce. «Eppure il tuo viso non dimostra molti più anni dei miei».
     «Eppure, mio giovane amico, anche se ciò non appare io sono molto più vecchia di te. I custodi dei draghi hanno, tra le altre capacità, quella di vivere molto, molto a lungo. Come i draghi stessi. Ed è proprio la mia esperienza a farmi temere il peggio. Credo proprio che i tuoi famigliari, credendoti morto, cercheranno vendetta».
 
 
* * *
 
 
     «Io dico che dobbiamo cercare quel mostro in lungo e in largo, e vendicare la morte di mio fratello!». Myrcus sbatté i pugni sul tavolo, facendo sobbalzare gli altri uomini presenti.
     Dopo essere riusciti a riguadagnare la riva del lago, con estrema fatica a causa della tempesta, e dopo aver narrato brevemente quanto era accaduto a sua madre, il giovane pescatore aveva chiamato l’adunata di tutti gli uomini validi del villaggio. Aveva lasciato suo padre a vegliare la povera donna, accasciata in lacrime dalla notizia, e aveva raggiunto la grande capanna circolare al centro del paese, dove si svolgevano le riunioni e si prendevano le decisioni più importanti.
     La pioggia tamburellava ancora sul tetto, con insistenza, facendo da sfondo alle parole concitate del giovane.
     «Se lasceremo impunita quella creatura, presto ce la vedremo piombare addosso, qui nel villaggio, a reclamare un altro pasto a base di carne umana! Chi sarà il prossimo? Tuo figlio, forse, Thomas? Oppure tua moglie, Edgard?». Con il dito, Myrcus indicò i vari presenti che, al sentirsi nominare, borbottarono scongiuri sottovoce. «No, non possiamo aspettare!», riprese il giovane. «Dobbiamo brandire le armi e scagliarci contro quella bestia immonda!».
     «E come pensi di riuscire a sconfiggerla? Noi che eravamo con te abbiamo visto le sue dimensioni. Quel mostro è enorme!». A parlare era stato Fahust, uno dei marinai del peschereccio di suo padre che aveva assistito, impotente, alla morte di Lyuk. Myrcus si voltò nella sua direzione.
     «L’unione fa la forza! Se andremo tutti insieme riusciremo a batterlo, in un modo o nell’altro».
     Gli uomini scossero la testa, sconsolati. Qualcuno mormorò frasi di scusa, blaterando qualcosa a proposito di figli piccoli che rischiavano di rimanere orfani di padre.
     «E se la bestia verrà a mangiarseli? Da qui in avanti non potremo più dormire sonni tranquilli! In questo momento quel mostro potrebbe essere proprio là fuori, nella bufera, pronto a scagliarsi sulle nostre case per divorarci tutti!».
Myrcus gridava, accalorato, scuotendo la testa dai folti ricci castani. Nei suoi occhi azzurri brillava una scintilla di determinazione tale da rasentare la pazzia.
     «Siete solo dei vigliacchi!», urlò infine, quando si rese conto che nessuno dei suoi compaesani aveva intenzione di seguirlo. «Andrò da solo, allora! Piuttosto che lasciare invendicata la morte di mio fratello preferisco morire io stesso!».
     Gordon, il più anziano e saggio del villaggio, in quel momento si alzò lentamente dal suo scranno, posto vicino al focolare, e raggiunse zoppicando il giovane, posandogli una mano sulla spalla.
     «Myrcus ha ragione», disse, sorprendendo tutti gli altri presenti. «Ora che quella bestia ha assaggiato la carne umana, non passerà molto tempo prima che abbia voglia di averne ancora. Troverà il nostro villaggio e ci ucciderà tutti. Dobbiamo ammazzarla se vogliamo sopravvivere».
     Myrcus ringraziò il vecchio per aver dato credito alle sue parole e Gordon riprese. «Quella creatura è di sicuro un drago. Dovete sapere che, secondo quanto ho sempre sentito raccontare da mio nonno, secoli fa i draghi vivevano numerosi in questa regione, facendo scempio dei suoi abitanti. Solo un’audace famiglia trovò il coraggio di ribellarsi, divenendo cacciatori di draghi. La storia dice che, di generazione in generazione, quegli uomini e quelle donne sterminarono tutta quella razza malvagia». Gordon si interruppe, assaporando il silenzio concentrato e attento che era calato nella stanza. «A quanto pare uno di essi è sopravvissuto allo sterminio, e ora tocca a noi liberarcene. Possiamo anche noi entrare a far parte della storia, come coloro che hanno ucciso l’ultima bestia immonda!».
     Grida concitate di acclamazione accolsero la fine del discorso del vecchio. Myrcus lo ringrazio ancora, sostenendolo mentre ritornava a sedere sul suo scranno. Una volta che Gordon fu di nuovo seduto il giovane si voltò verso gli astanti.
     «Avete udito le sagge parole di Gordon! Allora, chi è con me?», gridò, levando il pugno al soffitto.
     Tutti i presenti risposero ad una sola voce. «Io!».
 
 
* * *
 
 
     Nyvgue procurò loro la cena, immergendosi nelle acque calme del lago sotterraneo e riemergendone dopo un poco con una grossa anguilla stretta tra le fauci. Allungò il collo e la lasciò cadere ai piedi di Lyuk, che rabbrividì al pensiero di essere stato lui stesso trasportato, incosciente, tra quei denti aguzzi.
     Mentre attendevano il ritorno della dragonessa, Anthea gli aveva raccontato brevemente come lo avevano salvato.
    «Se i miei compagni mi hanno visto sparire nella sua bocca mostruosa, è naturale che mi credano morto», commentò fissandosi le mani. «Devo tornare al più presto da loro, per dimostrargli che sono ancora vivo. Così, forse, nessuno vorrà uccidere la tua dragonessa».
     La maga scosse la testa. «Dubito che rinunceranno così facilmente all’idea di ammazzarla, se è veramente ciò che avranno intenzione di fare».
     Cadde il silenzio, rotto dopo parecchi minuti dalla voce acuta e leggermente nasale del giovane pescatore. «Mi dispiace…».
     Anthea lo fece tacere posandogli una mano sulla spalla, come a volergli ricordare che non era colpa sua.
    Dopo aver mangiato, la dragonessa uscì dalle acque del lago intrufolandosi a fatica nel fondo della caverna, con le ali membranose strettamente ripiegate contro il corpo. La sua mole era tale da occuparne più della metà, così Lyuk e la maga dovettero spostarsi vicino alla riva. Nyvgue posò la grossa testa vicino ad Anthea, che subito insinuò una mano tra i suoi lunghi barbigli argentei, prendendo a grattarla teneramente. La dragonessa emise un basso ringhio soddisfatto, socchiudendo gli occhi rosso vermiglio.
     Nonostante l’iniziale timore, il giovane era affascinato da quella creatura così imponente e allo stesso tempo misteriosa. Aveva sentito parlare dei draghi nelle leggende che spesso sua nonna gli aveva raccontato da piccolo, ma non aveva mai creduto alla loro esistenza, fino ad allora. La paura e la ripugnanza avevano presto lasciato il posto ad una sincera curiosità.
     Osservò per qualche minuto la maga che coccolava la grossa bestia, come fosse stata un gattino, per poi raccogliere il coraggio e chiedere: «Posso provare anch’io?».
     Anthea alzò lo sguardo su di lui, un dolce sorriso che le incurvava le labbra sottili. «Veramente vorresti carezzarla? Non hai timore che possa morderti?», chiese senza sarcasmo.
     Lyuk scosse la testa. «Se avesse voluto divorarmi l’avrebbe già fatto».
    La maga rise e annuì. «Hai ragione. Ma prima dobbiamo chiederle se vuole essere toccata da te». La donna poggiò entrambe le mani sulla pelle verrucosa della dragonessa e quella subito aprì gli occhi di scatto. Anthea rimase immobile a fissarla nell’occhio destro per alcuni istanti, poi Nyvgue alzò la testa e rivolse la sua attenzione al giovane pescatore, annusandolo pesantemente. Le grosse froge fremettero mentre inalava il suo odore. Poi, con uno sbuffo secco dalle narici che scosse il caschetto biondo di Lyuk, poggiò nuovamente il capo a terra, questa volta a fianco del giovane, emettendo un brontolio cupo dal fondo della gola.
     «Direi che le piaci», disse Anthea con un sorriso.
     Lyuk allungò pian piano, con cautela, una mano, e iniziò a carezzarla lentamente tra i barbigli. La dragonessa gorgogliò soddisfatta tornando a socchiudere languidamente gli occhi.
     «Come fai a comunicare con lei?», chiese dopo un momento.
     «Il mio maestro mi ha insegnato a parlare non soltanto con i draghi, ma anche con tutti gli altri animali, tramite la magia che scorre nelle mie vene. Toccando qualsiasi creatura con entrambe le mani posso instaurare un legame mentale che mi permette di arrivare direttamente ai suoi pensieri».
     Lyuk la fissò meravigliato. «Che bello…», mormorò. «Mi piacerebbe molto poterlo fare».
    «Purtroppo, mio giovane amico, bisogna avere delle doti speciali per diventare un custode di draghi. E temo che, dopo di me, non ne saranno necessari altri». Il viso di Anthea si rabbuiò. «Quando Nyvgue morirà, non rimarranno altri draghi da proteggere. E allora, anche il mio compito sarà giunto a termine», disse in tono duro.
     Il giovane non seppe cos’altro dire e la conversazione cadde. Il silenzio era spezzato solo dal basso gorgoglio proveniente dalla gola della dragonessa che ancora si godeva le carezze che le venivano offerte.
     «Ora è meglio dormire un po’. Domani mattina ti riaccompagnerò in superficie, così potrai tornare al tuo villaggio, dai tuoi cari». Anthea evocò alcune coperte per i loro giacigli e si distese, smorzando la luce rossastra nella caverna con un semplice gesto delle dita.
     Lyuk sarebbe voluto rimanere ancora un po’ con lei, per apprendere altre cose interessanti sui draghi e anche sulla maga stessa, ma non ebbe il coraggio di esprimere a parole il suo pensiero, perciò, dopo un’ultima carezza alla dragonessa, anche lui si sdraiò e si preparò per dormire.
     Nyvgue mosse la lunga coda e il collo circondando i due dormienti con il suo corpo e, dopo un ultimo sbuffo, si addormentò.
  
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