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Autore: Betta7    01/03/2018    5 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 23.
TOCCARE LA LUNA.


Pov Sana.

Dire che ero terrorizzata sarebbe stato riduttivo: ero nel panico più assoluto. Rei ci stava portando all'orfanotrofio, nonostante avesse più volte tentato di dissuadermi dall'idea di forzare Akito verso qualcosa che era un mio desiderio e mio soltanto.
Mi voltai a guardare l'espressione del biondino al mio fianco: fissava fuori dal finestrino con aria pensierosa e avrei dato qualsiasi cosa per sapere cosa gli stava passando per la testa. Akito invece era di tutt'altro avviso, aveva passato tutta la mattina in religioso silenzio e non mi aveva resa partecipe di nessuno dei suoi pensieri, stando ben attento a non sfiorarmi nemmeno per sbaglio.
Non volevo che il nostro rapporto mutasse ma ero ben consapevole che, usciti da quel posto, inevitabilmente qualcosa sarebbe cambiato. In bene, in male, quello ancora non potevo saperlo. Però ero stanca di sentire Akito così lontano, per cui mi avvicinai a lui, accovacciandomi sul suo petto, cercando sollievo da tutte quelle pesanti incertezze.
“Scusa… sono solo pensieroso.” sussurrò Akito stringendomi forte. Quello già servì a farmi sentire un po' meglio.
“Lo so… ma stai tranquillo, andrà tutto bene.” cercai di tranquillizzarlo come meglio potevo.
“Che ironia, dovrei essere io a dirti tutte queste cose, a cercare di calmarti… e invece eccoti qua, uno scricciolo a sostenere un uomo grande e grosso.”
Non l'avevo mai vista sotto quel punto di vista, Akito mi sembrava la persona più forte del pianeta e a volte dimenticavo quanto potessi essergli d'appoggio, anche se come diceva lui ero uno
scricciolo.
“Vorrà dire che da domani sarò io quella che comanda in famiglia.” lo canzonai, posandogli poi un leggero bacio all'angolo della bocca.
“Hai sempre avuto tu il comando, Kurata.” rise Akito, per poi baciarmi teneramente la fronte.
Guardai in basso e tirai con la mano libera l'orlo della t-shirt che avevo indossato. Ero così nervosa ma dovevo rimanere con i piedi per terra sia per me che per Akito.
Inspirai ed espirai profondamente, cercando di regolarizzare il battito del mio cuore.
“Siamo arrivati.”. La voce di Rei mi ridestò dai miei tentativi di calmarmi e mi riportò alla realtà.
Guardai l'edificio: oltre quella porta poteva esserci la mia occasione di essere madre o la distruzione di ogni mio desiderio.
Akito serrò lo sguardo e mi strinse forte, aprendo poi la portiera dell'auto e porgendomi poi la mano per aiutarmi a scendere vista la mia impareggiabile capacità di cadere ovunque.
Rei rimase in auto ma prima che uscissi dalla macchina mi trattenne. “Sana stai attenta. E' la decisione più importante che abbiate mai preso. Siate saggi, e prudenti.”
Annuii senza dire una parola, poi strinsi la mano di Akito e, dopo essere scesa, chiusi la portiera alle mie spalle.
Io e Akito rimanemmo in silenzio per qualche minuto prima che trovassi il coraggio di dire qualcosa.
“Sei pronto?” gli chiesi, profondamente spaventata da una sua risposta negativa.
“Sono nato pronto.” scherzò lui e io lo conoscevo abbastanza bene da sapere che ciò accadeva solo quando stava per andare in escandescenze.
Ci incamminammo verso l'entrata e, in un attimo, la signora Yatsuma venne ad aprirci con il solito sorriso sulle labbra.
“Sana, ma che bella sorpresa! Non pensavo saresti tornata così presto. E con tuo marito soprattutto.”
Akito le strinse la mano e io l'abbracciai, mentre un gruppo enorme di bambini arrivò correndo dal giardino esterno della struttura.
“Sana!” urlarono tutti, con i più bei sorrisi che avessi mai visto. Sorrisi che mi facevano morire l'anima all'idea che nessuno di loro fosse amato e voluto da nessuno.
Tantissime piccole braccia si attaccarono alle mie gambe e non potei trattenere una risata.
Mi piegai sulle ginocchia per poterli guardare negli occhi. Cercavo con lo sguardo Akane e Kanata ma non riuscivo a vederli, magari si stavano nascondendo come al solito.
“Oggi voglio presentarvi una persona molto speciale per me.”
Tirai il pantalone di Akito per farlo abbassare.
“Lui è mio marito.” dissi voltandomi a guardarlo. Quanto lo amavo… “Si chiama Akito ed è un vero musone.”
I bambini scoppiarono in una fragorosa risata. “Quindi cosa ne dite di farlo sorridere un po'? Io ci provo tutti i giorni ma sembra che la sua faccia sia incollata.”
Feci finta di muovere senza successo la bocca di Akito e lui stette al gioco per non deludere tutti quegli occhi speranzosi.
“Secondo voi ce la faremo?”
“Si!” urlarono tutti in coro, pronti a quella nuova sfida.
Quando mi alzai di nuovo in piedi e i bambini cominciarono a concentrarsi su Akito, li vidi.
Come la prima volta, mano nella mano.
Come la prima volta, in disparte di tutti.
Mi allontanai dal gruppo e incontrai immediatamente gli occhi protettivi di Kanata che mi accolse con un enorme sorriso. Fu tentato di lasciare la mano della sorellina ma poi rimase fermo. “Ciao!” squittì sorridendo. “Sei tornata!”
“Certo che sono tornata!”
Akane rimase in silenzio, lentamente tentai di avvicinarmi, ma il suo sguardo non si spostò dalla mia camicetta.
La frustrazione crebbe dentro di me come se quella sua reazione fosse colpa mia, nonostante sapessi che non era così.
“Ciao Akane… sai che sei proprio bella con questo vestitino a fiori?”. Lei si toccò nervosamente la gonna del vestito, come se la stessi guardando un po' troppo.
“Le è piaciuto subito, ha detto che si sentiva una principessa.” intervenne Kanata, tutto contento che sua sorella avesse finalmenrte apprezzato qualcosa che non provenisse da lui.
“Ma lei
è una principessa.” sussurrai io, immaginandola in una cameretta tutta sua, circondata da miliardi di abitini come quello che indossava.
Improvvisamente Akane si avvicinò al fratello, per bisbigliargli qualcosa all'orecchio. Parlava con una voce così flebile che, anche a quella ridottissima distanza, feci fatica a sentirla.
Nel frattempo dietro di me la signora Yatsuma e un'altra volontaria intrattenevano gli altri bambini per permettere ad Akito di avvicinarsi a me.
Lo sentii alle mie spalle, mentre in silenzio osservava tutta la scena, e finalmente un attimo dopo Kanata parlò.
“Akane mi ha detto che, se vuoi, può prestarti il suo vestito e così diventi una principessa anche tu.” riferì lui, facendo una smorfia disgustata, forse dalla voglia di sua sorella di essere una principessa.
Improvvisamente Akito fu accanto a me, in ginocchio, proprio davanti ad Akane che, come con tutti, lo fissava impaurita.
“Ciao Akane...” sussurrò lui, ma lei non rispose.
Sapevo di aver avuto il massimo quel giorno da lei, per cui tornai a rivolgermi a Kanata.
“E tu? Cosa vorresti diventare da grande?”
Lui mi guardò pensieroso, sbattendo quegli occhioni grandi, con quelle ciglia che quasi facevano vento.
“Mhm… il papà!”
Quella risposta mi lasciò esterrefatta: non avevo mai sentito nessun bambino dire una cosa del genere.
“E cosa fa un papà?”
Kanata ci riflettè prima di darmi una risposta. Akito ci ascoltava in silenzio, mentre rivolgeva delle occhiate furtive ad Akane che invece non gli staccava gli occhi di dosso.
“Un papà ti legge le favole, ehm… ti prepara la merenda, ti lascia l'ultimo boccone di sushi…”
Sorrisi insistintivamente e anche Akito fece lo stesso. Chissà chi mi ricordava!
“Ogni tanto la signora Yatstuma prepara il sushi ma...” Kanata si guardò attorno circospetto. “Non è per niente brava!”
Scoppiai a ridere cercando di non soffermarmi sulla parte triste di ciò che mi stava dicendo. Anche se, a differenza di Akane, non aveva
danni visibili, anche lui aveva disperato bisogno di amore.
“Posso abbracciarti piccolino?” gli chiesi trattenendo le lacrime, ma lui indicò la sua mano stretta in quella della sorella, come a giustificarsi di non potermi abbracciare bene e quel gesto mi intenerì ancora di più. Gli circondai la piccola vita con il mio braccio e poi gli stampai un fragoroso bacio sulla guancia, pregando nel mio cuore che Akito prendesse la decisione giusta.

Pov Akito.

Per i primi dieci minuti il mio unico desiderio era stato girare i tacchi e fuggire. Non perché fossi spaventato – terrorizzato sarebbe stato il termine più adatto – ma semplicemente perché temevo di poter turbare quei bambini più di quanto non lo fossero già. Ero terrorizzato all'idea che potessero crearsi delle speranze che avrei potuto non colmare.
Invece, quando poi i bambini avevano preso a stuzzicarmi sulla storiella che Sana aveva raccontato loro, mi ero sentito più a mio agio. Avevamo giocato per un po' tutti insieme, anche se Sana si era allontanata quasi subito.
L'avevo persa di vista per qualche minuto, poi notai che era in fondo al grande salone in cui ci trovavamo. Non l'avevo più vista perché i bambni mi avevano circondato e non avevo più prestato attenzione a niente che non fossero le loro domande.
Erano così tanti… e tutti così fottutamente meravigliosi.
“Akito puoi raggiungere Sana per adesso, i bambini staranno un po' con Maki che li aiuterà a preparare la merenda.” mi disse la signora Yatsuma. Vidi una ragazza avvicinarsi ai piccoli e, nonostante le loro lamentele, li convinsi che ci saremmo visti dopo qualche minuto, e mi allontanai per andare da Sana.
La trovai intenta a parlare con due bambini e capii immediatamente che si trattava di
loro.
Kanata e Akane.
Lui le stringeva la mano. Rimasi un attimo fermo, interdetto, non sapendo se avvicinarmi o meno. Li osservai molto: Kanata sembrava un bimbo spigliato, impegnato con la mente alla conversazione con Sana ma con il cuore in quel contatto impossibile da recidere, tra quelle mani strette per proteggere l'unica cosa preziosa.
“Akane mi ha detto che, se vuoi, può prestarti il suo vestito e così diventi una principessa anche tu.”
Pensavo che Akane non parlasse, eppure era riuscita a dirlo al fratellino per farlo arrivare a Sana. Era un grande passo avanti. Inspirai profondamente e, dopo un po', con tutto il coraggio che avevo in corpo, mi avvicinai a quella bambina, chinandomi davanti a lei.
“Ciao Akane.” dissi piano. Lei non rispose ma non tenne lo sguardo basso: lo alzò, fissandomi e studiandomi probabilmente perché aveva sempre dovuto essere attenta ai comportamenti dei suoi maledetti genitori.
Rimanemmo in silenzio per un po', semplicemente guardandoci, mentre cercavo di carpire le parole di Kanata che avevo sentito che amava il sushi e che da grande voleva essere un papà. Quella risposta mi fece sussultare il cuore.
Io e Akane continuavamo a guardarci, occhi negli occhi come mai mi era capitato prima con un bambino. Akane aveva gli occhi castani, con intorno delle minuscole pagliuzze dorate e marroni che, ad uno sguardo meno attento, sarebbero potute passare inosservate.
Non diceva nulla, non si muoveva, rimaneva incollata sul suo posto e io non sapevo cosa dire o cosa fare per scaldarle il cuore. Non era facile.
Poi, improvvisamente, fu lei a muoversi, avvicinandosi a me per toccare il ciondolo a forma di dinosauro che portavo al collo. Sentii Sana, a fianco a me, zittirsi di colpo, e la signora Yatsuma fissare la scena incredula. Anche Kanata era molto sorpreso.
“Ti piacciono i dinosauri?” le chiesi, portando le mani verso il gancetto della collana per toglierla, facendo molta attenzione a non toccarla, perché sapevo quanto la infastidisse.
Anche a quella domanda lei non rispose, ma non appena le porsi la collana, nonostante qualche tentennamento, la prese, stringendola forte in un minuscolo pugnetto.
“La vuoi tenere tu per me?”
Dissi quelle parole convinto che non avrei mai ricevuto una sua risposta, era stato già straordinario il fatto che avesse accettato il mio regalo, ma Akane fece qualcosa di meglio che parlare.
Lasciò di scatto la mano di suo fratello e, nel giro di un istante, mi abbracciò.
Ero incredulo. Non riuscivo a spiegarmi come fosse possibile che avesse trovato il coraggio di abbattere tutti i muri, o quasi, e per di più con me.
Un rivolo di calore straripò dentro di me. Ero stato
scelto con un piccolissimo gesto, che per lei significava tutto, e quello non poteva essere un caso.
Ricambiai prontamente l'abbraccio, mentre attorno a me tutto si fermò. Sentivo Sana singhiozzare ma non la stavo veramente ascoltando e la signora Yatsuma si era portata una mano alla bocca forse per non urlare dalla gioia.
Ero degno di tanta fiducia? Non ne ero sicuro… ma ero già rapito. Da lei, da Kanata, dal modo in cui Sana li guardava e anche e soprattutto dal modo in cui
io li guardavo.
Akane si spostò lentamente e, quando la guardai di nuovo in quelle iridi fuori dal comune, non ebbi dubbi.
Io li amavo già.
Dove dovevo firmare per portarli via da quel posto?

*

Doverli lasciare lì mi fece andare via con l'amaro in bocca ma, dopo aver parlato con la signora Yatsuma, avevamo concordato che avrebbe contattattato nei giorni successivi l'assistente sociale per fissare un incontro con noi e una serie di visite psicologiche sia per i bambini che per noi.
Nel caso in cui tutto fosse andato per il verso giusto, avremmo potuto iniziare con l'affidamente e, solamente dopo, se i bambini fossero stati felici, avremmo potuto stilare le carte dell'adozione.
Io e Sana avevamo cominciato a documentarci sul perché, ancora oggi, ci fossero così tanti bambini nelle maledette case d'accoglienza. La risposta? Il nostro paese del cavolo aveva la percentuale più elevata di adozioni di adulti, accolti solo per garantire l'avanzamento della stirpe e più velocemente possibile. Si preferiva lasciare quei bambini senza famiglia piuttosto che alzare il culo e battersi in prima persona.
Noi avevamo deciso che era ora che quell'assurdità finisse: avevamo tentato, grazie alla fama d'attrice di Sana, di mettere insieme un buon numero di partecipanti per iniziare un movimento, con l'intenzione di trasformarlo in seguito in una vera e propria associazione.
Nel giro di una settimana il movimento
HelpKids aveva raggiunto i personaggi più famosi dello stato e la loro solidarietà era stata massiccia.
Ormai la nostra vita passava nell'attesa della fatidica chiamata, ma era già passato un mese e non avevamo avuto alcuna notizia. Dopo le sedute con la psicologa eravamo stati dichiarati idonei all'adozione, per cui serviva solamente l'ok del giudice per arrivare almeno all'affidamento.
Sana era entusiasta e dovevo ammettere che lo ero anche io, anche se dopo la prima visita all'orfanotrofio non era stato tutto rose e fiori per me.

"Come fai a non vedere cosa ti ha messo tra le mani Akane? Si è fidata di te! E tu ancora pensi che possano esserci dubbi?"
Erano giorni che litigavamo ormai,
Il motivo era sempre lo stesso e io stavo cominciando a stancarmi.
“Sana io lo so, ne sono ben consapevole... ma è troppo difficile. Non siamo pronti!”
Lei mi guardò con espressione indecifrabile, forse cercando di trattenersi. Io facevo altrettanto, perché se avessi detto davvero quello che pensavo, forse la donna che più amavo al mondo mi avrebbe odiato per sempre.
Quello che avevo sentito per Akane era vero, quello che sentivo per Kanata lo era altrettanto, mi aveva raccontato tante di quelle cose che mi era sembrato un piccolo esemplare di Sana al maschile. Ma non potevo far loro da padre quando io ancora mi sentivo profondamente figlio.
“Perché con Kaori sarebbe stato diverso? Per lei saremmo stati pronti?”
Sana urlò ancora, mettendosi a muso duro davanti a me. E non potevo risponderle perché aveva ragione. Aveva fottutamente ragione.
“Ma cosa vuoi che ti dica? Cosa vuoi che faccia? Che ti dia il mio consenso anche se non me la sento? È questo che vuoi? Io sono tuo marito! E le decisioni vanno prese insieme!” Sbottai, sinceramente sfinito dal suo incalzare su di me.
“Voglio che tu mi dica perché hai tutti questi dubbi quando, non appena siamo usciti da lì, eri sicuro al cento per cento di volerli qui con noi. Perché, Akito? Spiegami!”
Le sue parole mi colpirono come una folata di vento freddo.
"Cosa posso rispondere? Che non so come fare il padre? Che con Kaori sarebbe stato diverso perché era solo una neonata, che non sarebbe rimasta delusa da me? Che loro possono amarmi e io posso distruggerli? Cosa vuoi che ti dica Sana? Non sei l’unica ad avere delle paure, qui. Non sei l’unica a desiderare un figlio. Ma in una situazione come questa sei certa di poter dare un futuro migliore a quei due bambini?”
Sana rimase spiazzata dalla mia risposta, si portò una mano alla bocca perché forse non aveva considerato che anch’io potessi provare certi sentimenti. Akito Hayama l’insensibile. Ma lei mi conosceva e sapeva perfettamente che non ero così.
Si avvicinò a me lentamente, quasi non me ne accorsi perché stavo massaggiandomi le tempie con gli occhi socchiusi. Era davanti a me, con le labbra leggermente umide dalle piccole lacrime che le avevano rigato il volto e che ultimamente vedevo troppo spesso sulle sue guance, e gli occhi piantati sui miei come due calamite.
Mi porto le braccia al collo e mi baciò teneramente il mento, alzandosi in punta di piedi.
“Tu sarai un ottimo padre, Akito. Ti prenderai cura dei tuoi figli, li amerai, li proteggerai, saprai insegnargli ciò che tu hai imparato da solo per tutta la tua infanzia. Tu sarai un ottimo padre.” Ripetè e, quando lo disse per la milionesima volta, mi convinsi anch’io che forse poteva essere vero.
“E tu un’ottima madre.”


*
 
Sana era distesa sul divano con in mano il copione della serie in cui era stata chiamata a fare un provino: volevano lei, a tutti i costi. L'onda del film che aveva girato la stava facendo diventare una delle attrici più richieste in Giappone.
Eppure, nonostante fossimo abbastanza benestanti, ogni volta che io aprivo il frigo non c'era mai nulla da mangiare dentro.
Sbuffai. "E' mai possibile che ogni volta che io ho fame, in questa casa non ci sia mai nulla?" chiesi prendendomi una bottiglia d'acqua. Grande cena, effettivamente.
Sana non mi dava ascolto, presa com'era a leggere la trama di quella serie. Mi piazzai davanti a lei e le sventolai le mani davanti alla faccia. "Terra chiama Sana!"
"Mhm? Cosa?" chiese come se stesse arrivando davvero da un altro pianeta.
"Il frigo è vuoto." dissi sarcastico.
"Ho appena ordinato la pizza."
Tornai al frigo e lo riaprii, cercando di trovare la minima briciola di cibo che potesse riempire il mio stomaco nell'attesa. Presi un involucro, mi sembrava formaggio.
"Quel formaggio è vecchio, Akito."
Sbuffai ancora, ma come era possibile?
"Ma io ho fame da morire!" dissi stizzito.
Sana mi rivolse un sorriso intenerito dalla mia reazione infantile e toccò il posto sul divano accanto a lei, invitandomi a raggiungerla.
"Vieni, aspetta la pizza come un bravo bambino." disse portandosi una penna in bocca.
"Potrei avere un'idea su come passare il tempo, sai Kurata?".
Le mie speranze maliziose furono subito bloccate dal suo ordine perentorio di non sfiorarla, perchè quelle battute doveva impararle entro il giorno successivo e non potevo distrarla. Poteva infliggermi tortura peggiore?
Sedendomi, mi limitai ad abbracciarla, facendole poggiare la schiena sul mio petto, e a guardarla leggere per un po'. Mi vennero in mente miliardi di cose, nel caso l'affidamento non fosse andato a buon fine. Quella sarebbe stata la nostra vita per sempre, noi due insieme, da soli.
Avremmo potuto resistere?
I miei sentimenti mi urlavano che era ovvio, che ci amavamo così tanto da poter superare anche quello, ma lei la pensava allo stesso modo?
Rimanemmo in silenzio per un po', poi però non riuscii più a trattenermi.
"Ce la caveremo... anche se saremo solo noi due."
Sana alzò il viso e mi sorrise. "Ti amo."
Le posai un bacio leggero sulla guancia, sorridendo, e tornai a guardare davanti a me.
Il suono del campanello ci spostò dai nostri pensieri. "Pizza!" squittì Sana, correndo verso la porta e afferrando la borsa per pagare il fattorino.
"Non cominciare a mangiarla senza di me!" la ammonii, alzandomi dal divano e cominciando a liberare l'isola della cucina.
Quando mi accorsi che Sana non tornava mi voltai indietro, pensando che forse stava progettando qualche scherzo idiota, ma di lei nessuna traccia.
"Sana?" urlai, mentre mi avviavo verso il corridoio.
"Akito! Akito corri!".
Mi preoccupai all'istante, e corsi verso la porta.
La trovai spalancata, Sana era in piedi, immobile, e fuori c'erano i bambini con la signora Yatsuma.
"Akito! Quelli non sono i nostri bambini?" sussurrò Sana, probabilmente in shock.
Quando la affiancai e vidi le espressioni di Kanata e Akane rimasi estasiato. Sembravano sereni, non spaventati, non in ansia, semplicemente sereni e pronti ad una nuova avventura.
Kanata mi corse incontro, e Akane entrò immediatamente in casa, senza esitazioni. La signora Yatsuma ci guardava estasiata.
"Ho chiesto all'assistente sociale se potevo portarveli io. I bambini erano felici."
Sana scoppiò a piangere e io mi avvicinai ad Akane. Nonostante la sua solita diffidenza sentivo che il legame che si era creato tra di noi era forte, perciò mi avvicinai a lei e la sfiorai piano, aspettando che fosse lei a buttarsi tra le mie braccia accanto a suo fratello. Immediatamente afferrai Sana e la unii a quell'abbraccio.
Era il momento più emozionante della mia vita.
E sapevo che era tutto merito di Sana, lei mi aveva convinto, lei mi aveva portato ad aprire il mio cuore a quella cosa meravigliosa che era l'adozione.
Non potevamo ancora cantare vittoria, ma il nostro avvocato ci aveva detto che vista l'esperienza perfetta avuta con Kaori, il giudice sarebbe stato abbastanza facile da convincere.
E quella speranza, quella meravigliosa speranza che cresceva dentro di me, bastò a riempirmi completamente.
Ed ero felice, dopo tanto tempo, finalmente profondamente felice.


Pov Sana.

Le settimane passarono in fretta. Dopo aver ricevuto i documenti che ci avrebbero portato all'adozione definitiva, aspettavamo solamente che gli psicologi del tribunale venissero a fare una nuova ispezione in casa nostra e, successivamente, la seduta con i bambini e l'udienza finale.
Le cose erano molto migliorate da quando la signora Yatsuma li aveva portati a casa quel pomeriggio.
Kanata aveva continuato ad essere il bambino spigliato e chiacchierone che era sempre stato e Akane aveva cominciato a dire qualche parola, anche se era sempre più a suo agio quando Akito era presente. Forse si sentiva protetta, avvertiva sicuramente la sua voglia di tenerla al sicuro. Nonostante mi dispiacesse non aver instaurato lo stesso rapporto con lei, sapevo che era solo questione di tempo, e che anche i nostri cuori sarebbero entrati in sintonia.
Il fatto che avesse già cominciato a parlare mi dava già tantissima forza per costruire quel rapporto. Immaginavo già di vederli crescere, di sentirli chiamarmi
mamma, anche se nessuno dei due aveva pronunciato la fatidica parola.
E non mi aspettavo che lo facessero, era ancora troppo presto per loro.
Avevamo iniziato le pratiche per l'iscrizione a scuola, ma non potevamo terminarle finchè non ci fosse stata la certezza, nel frattempo i bambini stavano in casa con me e passavamo tantissimo tempo insieme, tra giochi e piccoli aneddoti che mi facevano stringere il cuore. Anche Akito si era preso qualche giorno al museo, e aveva chiesto a Tsuyoshi di occuparsi dell'organizzazione della palestra per un po'. I nostri amici erano entusiasti della notizia, ma ancora non avevamo portato i bambini a conoscerli, pensavamo fosse uno stress temporaneamente evitabile. Non per i ragazzi, perchè non vedevano l'ora di incontrarli, ma non volevamo forzare le cose.
"Il pranzo è pronto!" dissi ai bambini che stavano disegnando nella loro camera.
Akane corse in cucina con in mano un foglio che mi porse non appena si piazzò davanti a me.
"E' per me?" chiesi, prendendolo. Lei annuì.
Era un disegno meraviglioso, un disegno che mi riempì il cuore perchè forse il legame che tanto
invidiavo ad Akito stava finalmente mettendo le sue radici anche tra di noi.
Aveva disegnato me, Akito, Kanata e lei, tutti mano nella mano, con in sfondo casa nostra. Accanto a me era disegnato un piccolissimo cuore. Eravamo tutti vestiti di blu, o comunque tutti su toni molto freddi, e lei si era rappresentata molto piccola. Dai meandri della mia memoria, quando avevo iniziato a frequentare l'università – che avrei ripreso da casa non appena le cose con i bambini si fossero sistemate – avevo frequentato un corso di psicologia infantile e una delle prima cose che ci avevano insegnato era che quando i bambini si autodisegnavano in dimensioni ridotte stava a significare che sentivano il bisogno di sentirsi protetti.
Mi piegai sulle ginocchia – mai parlare a un bambino dall'alto verso il basso – e le feci un sorriso, aprendo le mie braccia, sperando che decidesse finalmente di abbracciarmi.
Il suo sguardo era insicuro, ma si avvicinò a me e anche se non mi gettò le braccia al collo come aveva fatto con Akito, si lasciò abbracciare.
Avevamo fatto così tanti passi avanti in così poco tempo. "Ti voglio bene, piccolina." sussurrai al suo orecchio e sentii che il suo viso si allargava in un sorriso.
Ci staccammo quasi subito, perchè Akito e Kanata fecero la loro entrata in cucina. Akito si avvicinò a me e mi diede un bacio sulla fronte. "Hai visto? Vuole bene anche a te. Le serve solo più tempo."
Annuii, dividendo il pranzo per tutti e quattro, e quasi piansi per l'emozione.
Fino a due mesi prima ero convinta che non avrei mai avuto la famiglia che tanto desideravo e invece avevo avuto molto di più.

*

Nonostante il periodo di affidamento dovesse durare almeno sei mesi, venimmo chiamati prima grazie all'insistenza dell'avvocato che ci aveva seguito per l'affidamento di Kaori. Quella mattina dovevamo presentarci in tribunale a presenziare all'udienza per la totale adozione dei bambini.
La mia ansia cresceva enormemente. Come potevo essere sicura che un estraneo avrebbe visto la connessione che avevamo creato con i due gemellini?
Akito venne vicino a me, mentre aspettavamo fuori che iniziasse l'udienza.
I bambini tenevano le sue mani ed erano vestiti perfettamente, perchè sapevo quanto anche l'aspetto contasse in quelle cose. Anche Akito aveva abbandonato i suoi soliti jeans e aveva indossato un completo blu senza cravatta. Dovevano semplicemente guardare Akane e Kanata e pensare a com'erano prima dei quattro mesi trascorsi con noi.
Erano felici? Potevo metterci la mano sul fuoco, e anche loro.
"Stai tranquilla, Sana. Andrà tutto bene." mi rassicurò Akito, ma la mia ansia non poteva essere calmata da semplici parole. Sarei stata tranquilla solo nel momento in cui fossimo usciti da lì con i
nostri figli.
Annuii comunque, per non far preoccupare ulteriormente Akito, che sapevo essere già molto teso, nonostante tentasse di nasconderlo. "Signori Hayama, potete accomodarvi.". Una signora paffuta sulla cinquantina venne a chiamarci e fu come quando nei film utilizzano lo slow motion. Ogni mio passo mi sembrò pesante sul pavimento.
Quando arrivammo davanti al giudice il cuore mi si fermò nel petto. Non sapevo più come comportarmi, nonostante il nostro avvocato ci avesse istruito perfettamente su cosa fare e cosa non fare.
"Cominciamo." esordì la donna piazzata davanti a noi su un piano rialzato. "Signora Sana Kurata in Hayama e signor Akito Hayama. Vi dispiace alzare la mano destra dichiarando che la vostra testimonianza sarà la verità e nient'altro che la verità?"
Facemmo come ci disse la giudice che annuì subito dopo. "Desiderate adottare questi bambini legalmente come vostri figli?"
"Si, assolutamente." rispondemmo in coro io e Akito.
"Potrei parlare con i bambini?"
Facemmo avanzare Akane e Kanata, che rimasero in silenzio.
"Ho sentito che volete molto bene a questi due signori, non è vero?"
Entrambi annuirono, e Akane addirittura prese la mano di Akito stringendola forte. La giudice, probabilmente informata dell'iniziale problema di Akane, rimase molto sorpresa nel vedere quel gesto.
"Molto bene. E vi trovate bene in casa loro? Giocate abbastanza?"
Kanata fece una faccia un po' strana e poi cominciò a parlare, e io sperai che non dicesse qualcosa facilmente fraintendibile perchè avrebbe potuto far cadere il castello di carte che stavamo costruendo.
"Ogni tanto la mamma ci sgrida perchè le facciamo troppo solletico, però a me fa ridere quando lei fa quei rumorini strani mentre glielo facciamo. Quindi io e Akane le facciamo gli scherzetti e ci nascondiamo. E lei ci casca sempre!"
Pensai che il cuore mi fosse uscito fuori dal petto. Mi aveva chiamato mamma.
"Non è vero, Akane? La mamma non è troppo buffa quando ride?"
Akane sorrise. "Anche papà." fu tutto ciò che disse lei. Ma io e Akito eravamo completamente sopraffatti dalle migliaia di emozioni che stavamo vivendo.
Una lacrima mi rigò il viso e cercai di trattenermi senza successo.
"Prima volta, eh?" disse la donna che mi guardava con aria intenerita, capendo immediatamente per cosa ero scoppiata a piangere.
Annuii, sorridendo.
"Voi avete fatto il lavoro più arduo: avete scelto di amare. E io, d'altro canto, ho il piacere di metterlo su legge. Congratulazioni."
Io e Akito ci guardammo increduli, con il cuore che ci scoppiava.
"Grazie! Grazie mille!" furono le uniche cose che riuscimmo a dire.
Poi fu tutto un turbinio di emozioni. Akane e Kanata che correvano ad abbracciarci, noi che piangevamo, l'uscita dal tribunale, l'intera giornata a festeggiare insieme.
Era esattamente tutto quello che avevo sempre desiderato ed era successo così, senza avere certezze fino alla fine, ma l'amore che ci avevano regalato Akane e Kanata in quel pochissimo tempo mi aveva aiutato a capire ciò che mia madre aveva sempre provato per me.
Era qualcosa di viscerale, nonostante la mancanza del vincolo di sangue.
Erano i miei figli. I nostri figli.
Akito arrivò dietro di me ad abbracciarmi, prendendomi alla sprovvista, mentre guardavamo i bambini correre per tutta la spiaggia con i loro aquiloni in mano.
"Sei felice?" mi chiese. E non c'era domanda più
banale di quella.
"Come mai prima d'ora." sussurrai, mettendo la testa nell'incavo del suo collo, mentre il tramonto ci abbracciava con i suoi meravigliosi colori.
"Così felice da toccare il cielo con un dito?" mi chiese stuzzicandomi.
"Molto di più. Così felice da toccare la luna."






Intanto vi ringrazio infinitamente per le recensioni che ho ricevuto, mi avete riempita di complimenti, siete stati carinissimi, davvero.
Purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista) questo è il penultimo capitolo della storia, per cui il prossimo capitolo sarà l'ultimo e segnerà la fine della storia.
Spero che mi riempirete di opinioni, perchè è l'unica cosa che mi interessa!
Recensite, fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi amo,
Roberta.
   
 
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