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Autore: Marra Superwholocked    02/03/2018    0 recensioni
Crossover tra P!ATD e Supernatural ("Il demone che voleva diventare cantante" e "Take a chance on me") nonché sequel delle mie ff citate in parentesi.
(Undicesima stagione)
Lucifero è alla ricerca di un nuovo tramite, presumibilmente per vendetta, ecco perché Crowley, il Re, deve temporaneamente lasciare il Trono. Chiederà dunque aiuto a due persone ...speciali, senza aspettarsi che dalla loro collaborazione possa nascere quel qualcosa che chiamiamo Amore.
Genere: Erotico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Brendon Urie
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Annabeth, la saga'
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Chapter Twelfth

The End


«Non vedo l'ora di tornare a casa per togliere dal pavimento quello schifo di roba nera appiccicosa!» Annabeth camminava stando attenta a osservare tutta la via; ormai avevano quasi ispezionato tutto il primo quartiere. Da quando erano scesi in strada, quello nel loro appartamento era l'unico cerbero che avevano incntrato. E ucciso. Non ci sono molte alternative con creature di quel calibro: esse rispondono solo ed esclusivamente ai loro padroni. Inoltre Annabeth detestava quegli animali invisibili anche ai suoi occhi.
Brendon, a pochi passi dalla nephilim, dietro di lei, sorrise senza dire una una parola. Si sitemò gli occhiali trattati con l'olio santo ricordando la notte appena passata, ma non le ore trascorse a letto con Annabeth. Una proposta allettante...
«Ehi!»
Brendon venne bruscamente risvegliato dalla voce di Annabeth. I suoi ricci scompigliati e i suoi occhi penetranti lo fecero sentire in colpa, ma per poco. Si scusò e lei ripeté: «Le due vie a questo bivio si ricongiungono a mezzo chilometro da qui. Ci diviamo e ci vediamo dove ricomincia il rettilineo. Capito?»
«Sì» disse Brendon ed egli annuì anche con la testa per enfatizzare la risposta. «Ricorda» aggiunse prima di prendere la sua parte di bivio, «non entrare in alcuna casa a meno che tu non senta urlare.»
Annabeth annuì poi gli voltò le spalle. Fece vorticare un poco a mezz'aria l'ascia e partì per la caccia.


Aveva ispezionato tre giardini e i loro cassonetti dell'immondizia, eppure di quei cagnoloni infernali nemmeno l'ombra; cominciava a stufarsi, voleva scaricare l'adrenalina. «Se neanche in questo giardino trovo tracce di un cerbero, raggiungo Brendon e me ne torno a cas-»
Una donna urlò.
Annabeth si voltò di scatto; proveniva da una villetta non ancora perlustrata. Prese a correre più veloce che poté, un po' rallentata dalla pesante arma a doppia lama. Attraversò la strada senza guardare se stesse arrivando un'auto; saltò sul marciapiede; calpestò il giardino ben curato. Sentì gridare ancora, questa volta la donna implorava pietà, ma dalla finestra non si poteva vedere assolutamente nulla. Sfondò la porta d'ingresso con un calcio ed entrò, pronta a fare a pezzi ciò che stava facendo a pezzi la povera donna che ancora urlava. Sentì ringhiare, erano in cucina, scattò nuovamente in avanti scavalcando un piccolo divano, girò l'angolo e trovò una donna di mezza età a terra, in una pozza di sangue, la bocca e gli occhi spalancati; essa esalò il suo ultimo respiro poco prima che il cerbero, grande quanto tre pitbull messi assieme, smise di azzannarle il petto già tempestato di morsi e zampate.
Annabeth si sorprese a boccheggiare. Era da sola e aveva paura. Il cerbero la vide. La vide e abbaiò così forte da farle tremare lo stomaco. Era pronta, seppur prossima a un attacco di panico, con la sua ascia ben salda tra le mani. La alzò e anche il cerbero si preparò all'attacco ed esso stava proprio per saltare per atterrare sulla sua prossima preda quando qualcuno fischiò e la creatura rabbiosa si placò, sedendosi.
L'uomo che aveva fischiato si mostrò agli occhi di Annabeth e rise, applaudendo. «Bravo ragazzo» si complimentò col suo cerbero.
«Asmodeus» disse Annabeth, più per rendersi conto lei stessa della realtà che per altro. Ansimava. Non capiva. Era terrorizzata dalle sue stesse ipotesi. Dov'era Brendon?
Annabeth indietreggiò di qualche passo, strisciando i piedi e tenendo d'occhio Asmodeus. Ahimè, andò a sbattere contro qualcosa. No, qualcuno. Col cuore in gola, ma ormai priva di speranze, non poteva immaginare quali occhi avrebbe incontrato.
«Ciao, tesoro.»
«Brendon» sussurrò la ragazza. «Cosa sta succedendo? Perché Asmodeus è qui?»
Brendon sorrise, le mani dietro la schiena. «Mi dispiace.»
«Ti dispiace? Per cosa, esattamente?» Annabeth abbassò la guardia e allentò la presa sull'ascia, la quale, spinta dai poteri dal demone con gli occhi gialli, volò in aria finendo a debita distanza. Disarmata, la nephilim si sentiva ancora più esposta, ragion per cui cercò riparo al fianco di Brendon. Tuttavia questi si scostò, lasciandola sola, indifesa. «Brendon...» sussurrò ancora. Cercò di afferrargli una mano, ma le sfuggì.
«Ti spiacerebbe?» Asmodeus mostrò a Brendon un paio di manette massicce e decorate con sigilli enochiani.
Brendon afferrò al volo la ferraglia, per nulla pentito della scelta che aveva fatto. Voltandosi di nuovo, vide Annabeth indietreggiare ancora per poi iniziare a correre verso l'uscio. «Eh, no, cara!» esclamò. Alzò una mano e Annabeth venne come afferrata dalla schiena e trascinata all'indietro per aria. La fece schiantare sul piano da lavoro della cucina e la bloccò tenendola giù per la gola. È facile avere a che fare con una preda che prova ancora amore nei tuoi confronti. Difatti Annabeth non lottava, si dimenava appena. Ma prima che potesse perdere effettivamente tutte le sue forze, Brendon le imprigionò prima un polso, poi l'altro nelle manette e finalmente si staccò dalla sua gola.
Asmodeus rise mentre Annabeth riprendeva fiato. La prese per un braccio e la tirò giù dal tavolo. «Ci si rivede, principessa.» Dallo sguardo iniettato di sangue della nephilim, intuì di aver vinto. «Dopo tutti questi secoli passati a darti la caccia, finalmente sarai parte della mia collezione. Il pezzo ultimo, quello più ambito, prestigioso.» Rise di nuovo. Le accarezzò una guancia, ma Annabeth non si ritrasse: lo sfidava.
«Direi che è andato tutto secondo i tuoi piani, amico!» esclamò Brendon, divertito.
Annabeth sentì le lacrime invaderle gli occhi, crollando emotivamente a quelle parole. «Perché?»
Brendon e Asmodeus si scambiarono un'occhiata. «Mi ha fatto un'offerta migliore, ecco tutto» spiegò il primo. «Voleva che ti consegnassi a lui, in cambio rimarrò per sempre fuori dagli affari dell'Inferno. Cosa che ho sempre voluto.»
«È uno scherzo, vero?» sorrise Annabeth. «Anzi, no: un test! Sì, un test messo in atto da mio padre! Be', ho perso, non sono forte quanto lui crede! Ora toglietemi queste manette.»
«Tuo padre!» rise Asmodeus e così anche Brendon. «Tuo padre non sa badare neanche a se stesso.»
«Che vuoi dire?»
«Tesoro» disse Brendon. «Il re è morto.»
Per Annabeth fu come ricevere la stessa pugnalata che l'aveva spedita in Paradiso. Sentì le gambe tremare, il suo respiro si fece irregolare. «No, non può essere!» Le crollò il mondo addosso, voleva solo scomparire, chiudere gli occhi e ritrovarsi in quel meraviglioso prato della famiglia Sheppard. È tutto un sogno, è solo un sogno, continuava a ripetersi ad occhi serrati.
«Suicidio» commentò Asmodeus. «Per la prima volta nella sua miserabile vita, ha fatto la cosa giusta.»
Annabeth si accasciò a terra. Si guardò i polsi e si diede della stupida. Quale fu la sua prima impressione su Brendon? Non si fidava. E ora sapeva perché: il suo istinto la stava avvertendo, come sempre, che non sarebbe finita bene.
«Bella l'idea della trappola!»
«Ho solo sfruttato gli eventi, Brendon» rispose Asmodeus. «Questo quartiere ha fatto un patto con uno dei miei dieci anni fa, sono solo venuto a riscuotere le loro anime di persona.»


Buio. Buio e silenzio. Un vuoto di pochi istanti o forse una manciata di giorni, il necessario per digerire lo shock del tradimento. Ora Annabeth si trovava dentro le quattro mura – tre di pietra, una di un metallo intriso di magia – che le toglievano sempre di più la speranza di vedere un'ultima volta la luce del sole. Seduta a gambe incrociate per terra, teneva lo sguardo basso. Sentì dei passi e qualcuno si fermò davanti alla sua cella.
«Annabeth.»
Era Brendon.
«Annabeth, alzati, per favore.» Aspettò qualche secondo, poi proseguì con lei ancora nella stessa posizione di prima. «Annabeth, sono venuto qui per dirti che mi dispiace, ma-»
«Ma cosa, Brendon?»
Il demone increspò le labbra e sospirò dalla bocca. «Sono fatto così.»
«Tutto qui?» Annabeth alzò lo sguardo. Quella cella aveva un odore famigliare, ma lontano, non riusciva a ricordare; era di un angelo conosciuto molto tempo prima. «Asmodeus mi ha detto tutto. Mio padre. Lucifero. I Winchester. Ora lui ha preso il Trono e ha imprigionato me, unica erede in grado di governare l'Inferno, sia per tenermi lontana dal Titolo sia per vantarsi di possedermi. Sono un trofeo e dopo tutto quello che abbiamo passato, che abbiamo condiviso, la sola cosa che hai da dire è che tu sei fatto così?»
«In realtà no» disse Brendon guardando l'orologio da polso nuovo di zecca. «Avrei un'altra cosa da dirti.»
«Sentiamo.»
Brendon si lisciò la giacca blu elettrico e si passò una mano tra i capelli. «Ho un concerto che mi attende.» Sorrise e ripercorse il corridoio verso l'uscio.
«Un giorno uscirò di qui, Brendon!» Annabeth urlò con tutta la forza che possedeva, alzandosi prima sui piedi scalzi e freddi, sporchi. «Ti darò la caccia e giuro che la pagherai! Sarai il primo a morire!»
Le urla di Annabeth echeggiarono fino alla sala del Trono, dove Asmodeus sedeva in attesa di notizie da parte di Arthur Ketch.
Questa, miei cari, fu la triste fine della nostra povera e amata Annabeth, principessa degli Inferi.

   
 
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