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Autore: Michelena    03/03/2018    0 recensioni
I Guaritori sono quelle creature comunemente chiamati Angeli Custodi. Tutti quelli che sono nati ad Antalki alla fine vengono assegnati ad una qualunque creatura di qualunque Universo, tranne per i Guaritori Prescelti. Un guaritore prescelto è quello nato con abilità speciali come leggere nel pensiero, teletrasportarsi o, nel caso di Jane Hintk, riuscire a mostrare ricordi. Ma lei non è come gli altri guaritori prescelti, lei riesce anche a mostrare il futuro, anche se lei lo voglia o meno. Proprio per questo fatto sceglie il più velocemente il suo Protetto, ovvero il Dottore.
Genere: Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 12, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dietro un caffè.
 
Essere in tempo non era di certo il suo forte. Il tempo non era per niente il suo forte.

Erano due frasi che se le ripeteva come un mantra, ogni volta che sfrecciava nel traffico in sella alla sua Harley Davidson nera, cercando di arrivare alla Coal Hill, per iniziare le sue lezioni di scienze e fisica, in orario. Di certo decidere di lavorare in una scuola che distava dal suo appartamento minimo dieci chilometri, sempre strabordanti di traffico, non era stata proprio un’ottima idea.

Alla fine arrivò poco prima del suono della campana che segnava l’inizio delle lezioni. Corse dentro la scuola e, passando attraverso i giovani studenti, arrivò alla sua classe, in cui già qualche ragazzo era presente.

«Buongiorno signorina Hintk!»

Coma al solito, Penelope Sang, una delle ragazze che mirava a voti alti solo adulando i professori, le diede il solito benvenuto, e quello faceva parte della normalità, ma sentiva che c’era qualcosa che non andava, tra le cose che regolavano la sua normalità e le sue abitudini da ormai due anni.

Abbassò lo sguardo sulla cattedra, dopo che si fu seduta sulla sedia dietro essa. Sopra il piano di legno non c’era nient’altro che la sua borsa e un portapenne pieno di materiale scolastico. Tutto normale, per gli altri professori di quella scuola, ma non per lei. Sulla cattedra non c’era la solita tazza blu scuro, che, a suo parere, era sempre stato un blu raro, con dentro del caldo e fumante caffè, che ogni mattina trovava, normalmente. Non sapeva da chi le arrivasse quel grande regalo, ogni giorno da quando aveva iniziato a lavorare lì, e sembrava essere un trattamento speciale che ad altri colleghi non veniva effettuato.

Perché quella mattina non c’era? Cosa era successo al suo “cameriere” segreto, che ogni mattina si premurava di farle trovare un caldo buongiorno, che migliorava di certo quello della Sang, da non poterle potare quella gioia mattutina? Quello le sembrava un mistero, e lei adorava i misteri.

Sospirò, pensando che il suo risveglio avrebbe comunque dovuto aspettare alla prima ora buca che aveva, per poi rivolgersi agli studenti ed iniziare la sua lezione riguardante lo spaziotempo.

Non ci volle molto, affinché raggiungesse quella striminzita pausa. I suoi studenti non le avevano fatto pesare quelle tre ore di spiegazioni diverse, quindi, quando raccattò le sue cose e si alzò, uscendo dall’aula per dirigersi verso la sala professori, non si sentì come se finalmente avesse trovato un attimo di pace, ma il desiderio di scoprire cosa fosse successo al suo caffè quella mattina la rendeva ansiosa, curiosa e le sembrava come stesse per iniziare un giallo, dalla trama piuttosto sciocca, ma dal movente molto misterioso.

Posò, sospirando, la borsa sul divano e si avvicinò alla brocca che doveva contenere il caffè, ma quella mattina qualcuno aveva deciso di far estinguere dalla faccia della terra quel liquido afrodisiaco e di farla arrabbiare con il mondo, quindi, sbuffando, recuperò la borsa con uno scatto e a passo, abbastanza scocciato, andò verso la stanza del custode. Odiava chiedere favori troppo egoistici alle persone sotto di lei, ma aveva bisogno del suo caffè assolutamente, stava diventando quasi una questione di vita o di morte.

«Senta, ho un assoluto bisogno di un..»

Quando si rese conto che in quella stanza non c’era nessuno, si ammutolì e si guardò in giro, cercando il volto del vecchio custode, con scarsi risultati. Poi, nell’oscurità di quel vecchio e disordinato magazzino, vide una specie di cabina blu, più precisamente era una cabina della polizia, dalle finestre illuminate e dall’aspetto così nuovo da sembrare “lavata con Perlana”. Non l’aveva mai vista, non ne aveva mai vista una, né in giro per Londra, né in altre città che aveva visitato, ma sapeva di certo che il suo posto non era il magazzino di un custode di una scuola.

Si avvicinò lentamente, vedendo che la porta era aperta, pensando che forse era lì dentro, con la mano destra, alzata pronta per appoggiarsi alla superfice di legno e spingere la porta. Ma si bloccò, vedendo su uno scaffale due tazze blu, lo stesso blu di quella cabina, la stessa tazza che di solito vedeva sulla sua scrivania di prima mattina, illuminate dalla luce del sole che riusciva a passare attraverso le finestre sporche del magazzino. Cambiò rotta, girandosi verso quello scaffale, e avvicinando la mano a una di esse, la prese e, tremando non troppo vistosamente, la guardò con attenzione.

Non poteva essere lui, non poteva essere lui quel suo “cameriere” mattutino che le dava quel buongiorno così segreto e dolce. Come poteva essere lui? Perché un semplice custode avrebbe dovuto darle quel piacere mattutino? Era forse innamorato di lei?

«Oh, signorina Hintk!»

Si girò di scatto, tenendo stretta la tazza in mano, cercando di non lasciarla durante lo spavento che quello strano e misterioso custode le aveva causato. Stava chiudendo dietro di sé la porta con un cigolio, per poi sorriderle e avvicinarsi mentre si sfregava le nocche in un gesto forse ansioso, come se fosse stato catturato con le mani nel sacco.

«Non l’avevo sentita arrivare. Come posso aiutarla?»

«Uhm.. signor. Smith, prima di tutto.. cosa ci fa una cabina della polizia nel suo stanzino?»

Il custode voltò la testa verso la cabina alle sue spalle per poi voltarsi di nuovo verso Jane accennando una risata, quasi forzata ed imbarazzata.

«Questa è la mia.. cabina degli attrezzi.. ci tengo tutto quello che mi serve. È della polizia poiché sono un appassionato di questo genere di cose..»

La donna osservò con più attenzione quella cabina degli attrezzi alle sue spalle per poi fare un viso compiaciuto e sospirare. Ognuno ha le proprie passioni dopotutto. Non l’avrebbe di certo criticato e non avrebbe fatto domande.

«Beh.. non sono venuta qui solo per questo.. odio chiedere favori troppo grandi, ma ho davvero bisogno di un caffè..»

«Oh..» sospirò il custode, girandosi per un secondo verso la tazza rimasta sullo scaffale alla sua sinistra per poi tornare a guardare l’insegnante, mentre capiva che sì, era proprio lui.

Lui era il suo salvatore mattiniero, il cavaliere che ogni volta le dava una gioia alla mattina rendendo la giornata più dolce, ma amara allo stesso tempo, così come il caffè. Come era possibile? Perché lui? Perché lei? Come mai era così impossibilmente simpatico e gentile con lei? Cosa aveva fatto per meritarsi tutto quello?

«Non si preoccupi.. ora vado a prendere una tazza di caffè dal bar più vicino, dovrà essercene uno nelle vicinanze, no? Lei può tornare al suo lavoro..»

Anche se le aveva rassicurato che avrebbe recuperato quello che desiderava, Jane non sembrava intenzionata a muoversi, neanche un po’, neanche di un millimetro, venendo catturata dalla cabina dietro il custode. Era così strana, quelle luci che emanava, quel colore così profondo, quelle venature del legno, la rendevano come “attraente”.

«Potrei vedere cosa c’è dentro?..» chiese, avvicinandosi per superarlo e per entrare lì dentro, ma non fu possibile.

Il custode si spostò, rendendole impossibile avvicinarsi alla porta di quel fantastico pezzo da collezione. Era come se emanasse una specie di rumore che assomigliava al canto delle sirene, capace di attirarti e incantarti. Ma l’uomo davanti a lei non voleva proprio darle modo di passare e di farle dare un’occhiata, neanche un po’.

«Se c’è qualcosa da nascondere che potrebbe cacciarla nei guai, sarebbe meglio che lei lo dicesse prima di cacciarsi in faccende serie e rischiare di venire licenziato.»

Il custode la guardò con sguardo serio, senza muoversi e senza dire nulla, come se le parole di Jane non l’avessero per niente spaventato. Quindi, la donna sospirò facendo un passo indietro, e, dopo essersi lentamente allontanata, i muscoli del custode si rilassarono lentamente, guardandola andare via senza dire una parola. Aprì la porta, ma, prima di mettere piede fuori, si voltò di nuovo verso l’uomo, guardandolo con un leggero sorriso, un sorriso furbo e un’occhiata saccente.

«Lo sa.. lei non mi è mai piaciuto.»

«Oh, sarebbe davvero sconvolta se un giorno scoprisse che non è vero..»

«Dovrebbe dimostrarmelo, che ne dice di un caffè.. in orario?» disse la donna, indicando le due tazze blu, entrambe di nuovo al loro posto, sorridendo per poi girarsi e uscire, chiudendosi la porta alle spalle con un sospiro.

Quando tornò nella sua aula, felicemente, sulla cattedra, c’era quella tazza blu, fumante e piena di caffè, anche se aveva appena lasciato il custode e non l’aveva visto in giro. È incredibilmente veloce, pensò accennando un sorriso.

Ma il suo mistero rimaneva ancora irrisolto e pieno di domande, a cui non poteva rinunciare. Quella cabina era come se la richiamasse, come se aumentasse di sua volontà la sua curiosità.

Così, al termine delle lezioni, decise di provare ad andare in quello stanzino. Dopo averlo distratto, fingendo un’emergenza nella sala professori ed essersi accertata che era lì, a smanettare con quella stampante e quel computer fintamente difettosi.

Corse senza sembrare troppo di fretta e senza essere notata, entrò nello stanzino e guardò quella cabina, che continuava come a cantare per lei, ad attirarla sempre di più. Si avvicinò sempre di più, e poggiò la mano sulla superficie di legno blu scuro, accarezzandola lentamente, per poi cercare di spingerla, per aprirla, senza successo. Sospirò, era ovvio, dopo aver visto la curiosità della donna, era abbastanza ovvio che avesse chiuso la cabina. Così si girò, e riprese a camminare verso la porta d’uscita, iniziando a pensare di essere pazza e che in realtà quel “richiamo” era solo qualche giochetto della sua mente, ma qualcosa la fermò. Era la collana che portava, come ciondolo c’era una chiave, che in quel momento si riscaldò, facendole sentire il calore sul suo petto. Non ricordava precisamente da quando l’aveva, sapeva solo che da sempre teneva molto a essa, e quindi aveva deciso di non toglierla mai. Ma questa volta, finalmente dopo tanto tempo, la tirò fuori, sfilandosela dal collo, per poi girarsi di nuovo. Non si fece domande, camminò verso la cabina, di nuovo, e infilò la chiave, per poi girarla, e la porta si aprì inspiegabilmente.

Sospirò sorridendo, aspettando mezzo secondo per realizzare quello che era appena successo, iniziando a pensare, forse un po’ troppo. Si rese conto di temere, in un certo senso, cosa c’era realmente là dentro, aveva paura di rimanere delusa, quindi socchiuse la porta, tenendosi ancora alla maniglia argentata e fredda, sospirando e, guardandosi la punta di quelle scarpe lucide nere, continuò a pensare, ascoltando quel richiamo che sembrava essere lì solo per lei, che sembrava essere udibile solo alle sue orecchie.

«Allontanati.»

Alzò lo sguardò, spaventata a morte da quella voce autoritaria, prendendola nelle mani del sacco, appoggiandosi alla porta per il colpo improvviso e per l’instabilità, ma essa si aprì, facendola cadere di spalle. La malefatta era compiuta: era caduta di spalle, ma senza sbattere la testa contro attrezzi o altro, misteriosamente. Il custode corse vero di lei, aiutandola a rialzarsi e a portarla fuori dalla cabina il più velocemente possibile, ma, come già detto, ormai il pasticcio era fatto. Jane aveva visto l’interno di quella cabina, vedendo quello che era il rifugio e la casa del custode.

«Non dovevi vederlo..»

Si alzò grazie all’aiuto dell’uomo, che sussurrò quelle parole con rammarico e paura, mentre lei continuò a guardare sconvolta quello che era l’interno, quella che era un’enorme stanza circolare, con una cupola come soffitto, quella che sembrava una sala comandi di chissà cosa. Così entrò lentamente, facendo passi stentati, sconvolti, incantati.

«È più grande all’interno che è all’esterno! La mia intera comprensione dello spazio fisico è stata trasformata!»

Iniziò a girare attorno alla console dei comandi, toccando il bordo di essa, sorridendo sempre di più. Tutto quello la incantava, aumentava la sua curiosità in modo esponenziale, rendendola euforica, mentre il custode la guardava come preoccupato, inabile di parlare o fare altro, anche se sorpreso dalla scarica perfetta e attenta di parole dopo aver ammirato quel capolavoro di tecnologia dei Signori Del Tempo.

«Cosa può fare? Com’è possibile questo.. miracolo?»

Il custode decise di avvicinarsi, lentamente a lei, per poi allontanarla con cautela dalla console dei comandi, guardandola negli occhi, cercando qualcosa che però Jane non riusciva a decifrare, qualcosa che forse avrebbe scoperto in seguito, che di certo avrebbe scoperto. Dopotutto aveva svelato quel segreto, quindi non le sarebbe mancato molto al decifrare lo sguardo del custode.

«Magnifico, no?»

L’insegnante di fisica annuì guardandosi ancora in giro, facendo un giro su sé stessa, con il sorriso sulle labbra, con gli occhi pieni di gioia, per poi rivolgersi verso l’uomo, che continuava a guardarla con quello sguardo poco sicuro, incapace di leggere il suo sguardo incantato da tutti i minimi dettagli di quella che sembrava una nave.. spaziale.

«Si chiama TARDIS, Time And Relative Dimension In Space. Significa vita.»

«È suo?..»

Il custode sorrise, appoggiandosi alla console e guardando un attimo il tetto di quella fantastica stanza. Sembrava essersi calmato, o forse aveva trovato le risposte che cercava, ma continuava a guardarla come se notasse che qualcosa mancava, come se c’era ancora un tassello che non riusciva ad entrare nella sua perfetta costruzione. Però, forse, si era in un certo senso arreso, e aveva lasciato un attimo di pace alla sua ricerca di quel posto così nascosto per quel mattoncino lego in più, dandosi un momento per guardare il viso così rilassato, ma sconvolto, della donna.

«Facciamo che vado a mettermi qualcosa di più.. consono per poi spiegarti tutto!»

Così il custode si voltò, scendendo da una scaletta poco lontana e sparendo dietro una colonna, senza lasciarle un attimo per rispondere alla sua sentenza. Così sospirò, e si riavvicinò alla console, girandoci intorno e esaminando ogni pulsante, leva o manopola. Guardò i due display, per poi perdersi a guardare quello che c’era nel soppalco che delimitava la sala circolare. Ci salì e iniziò a buttare gli occhi su tutti i vari libri o oggetti che erano disposti in giro. La grande varietà di oggetti strani e mai visti prima rendevano quel posto migliore di quanto potesse pensare, e tutto le faceva pensare che sì, quella era una nave spaziale e che sì, c’erano delle altre forme di vita in giro per l’Universo, che avevano creato tutti quegli oggetti e che ora erano lì esposti.

«Eccomi qui! Allora..»

Si girò di scatto, trovando il signor. Smith completamente cambiato. Indossava un completo nero, molto elegante, con una camicia bianca perlata, che faceva risaltare i suoi occhi celesti tendenti al grigio. Il tutto era caratterizzato dalla giacca, che all’interno era ricoperta da una stoffa rossa accesa, forse raso. Jane sorrise, guardandolo ed ammirandolo, mentre faceva una giravolta su sé stesso, facendosi ammirare.

«Bel completo, signor. Smith.»

«Dottore, chiamami Dottore..»

Jane sorrise, scendendo le scale e tornando nel piano dove si trovava la console di comando e dove si trovava il Dottore. Lo guardò, mantenendo quel sorriso furbo, curioso e ispettore, come se si aspettasse qualcosa, una qualche risposta alle sue precedenti domande o viceversa. Le parole dell’uomo non le diedero nulla di particolare, o almeno questo era quello che credeva quest’ultimo, fino a quando non poggiò la mano sulla leva principale, che faceva partire il TARDIS, e così fu. Il solito rumore stridulo, ma pieno di speranza, che la nave causava, si sparpagliò in tutta la sala, mentre i tre cerchi sopra le loro teste si mossero, e con una leggera turbolenza, tutto si fermò.

La donna sorrise, mentre il Dottore la guardò contrariato. Come poteva aver solamente messo le mani sui comandi della sua nave? Com’era possibile solamente che Jane sapeva dove metter le mani per far partire quel fantastico marchingegno?

Così la mano ossuta dell’uomo si posò su quella leva, e, dopo aver smanettato con qualche comando, la riabbassò, andando chissà dove. La donna lo guardò di nuovo con quello sguardo che il Dottore iniziava ad odiare, quello sguardo che sapeva cosa fare e cosa stava per fare, uno sguardo che di certo non avrebbe lasciato il viso dell’intrusa molto rapidamente.

Così velocemente andò verso le porte e aprì quella di sinistra, per poi ritrovarsi non più nello sgabuzzino, ma nella camera da letto del suo appartamento. Uscì, mentre il Dottore si affacciava alla porta, e si guardò intorno, osservando ogni minimo dettaglio e pizzicandosi il braccio, assicurandosi che quello non era assolutamente un sogno, che tutto quello che stava vedendo era vero, senza “se” e senza “ma”.

«È inutile provare a capire se questo sia un sogno, visto che sei caduta poco meno di dieci minuti fa e, poco prima dell’impatto, ti saresti dovuta svegliare..»
Jane si girò di scatto sorridendo, facendo svolazzare i suoi capelli, mentre guardò il Dottore stupita, ammaliata, inaspettatamente interessata e non più annoiata da quella monotona vita. Poi l’uomo le porse la mano e sorrise, come a dirle di rientrare.

«Hai un viaggio gratis, poi potrai decidere se averne altre mille, al mio fianco, e tornare qui, senza perder tempo, o tornare e basta, ritornare a vivere la tua vita, senza me.»

Gli occhi di quello strano uomo, sicuramente non proveniente dal suo stesso pianeta, erano pieni di qualche strano sentimento che non riusciva a capire. Forse era speranza? Speranza di averla al suo fianco, e di tornare in giro per le galassie, salvando pianeti sconosciuti a lei, e forse, sperare ancora di farle riavere ciò che aveva perso sacrificandosi, anche se gli era stato espressamente vietato dalla ragazza di fronte a lui?

Lasciò perdere qualunque pensiero, sorrise ancora, con occhi ancor pieni di gioia e di aspettative, e prese la mano ruvida del Dottore, venendo tirata dentro quella fantastica macchina, che nascondeva storie, avventure, gioie, sacrifici, lacrime e tante, troppe altre cose che sono indescrivibili per noi umani; e sapendo che quel gesto non era qualcosa di sciocco, e che tutto sarebbe cambiato per lei, che la sua vita sarebbe migliorata, andando incontro ad ogni possibile pericolo.
   
 
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