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Autore: Bethesda    03/03/2018    4 recensioni
Buttai un ciocco di legno nel caminetto, ravvivando la fiamma, e lentamente salii al piano di sopra, cercando di fare quanto meno rumore possibile.
Non so per quale ragione lo feci: mi sembrava di essere fuori luogo nel rovinare questo clima ovattato imposto dal tempo.
Uno scalino alla volta.
Quattordici, per la precisione.
Forse stare con Holmes tutti questi anni aveva acuito il mio spirito di osservazione.
Perlomeno nel contare i gradini.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non scrivo da tre anni. Questa mattina sono finita su EFP e ho riletto qualche capitolo di alcune mie vecchie storie e mi sono resa conto che quello delle fanfiction e quello di Holmes è un mondo che ho abbandonato. Per il primo non mi dispiace: non vi ero così attaccata. Ho sempre amato scrivere e continuo a farlo, ma per me stessa e per un'altra persona. E mi basta.
Ma loro mi mancano. 
Mi manca Londra, mi manca Baker Street, mi mancano i casi, gli irregolari, gli esperimenti di Holmes e il profumo del tabacco. 
Nonostante non siano veri, nonostante non lo siano mai stati, sono stati una presenza costante della mia vita per molti anni e ancora adesso li considero una delle cose più importanti, soprattutto nella mia formazione personale.
Non ho mai scirtto un loro finale.
Volevo dire loro addio, in modo semplice e magari anche un poco OOC, ma non mi improta. Lo faccio per me stessa e per loro, per come me li sono sempre immaginati.
Lascerò questo profilo aperto, ma non so se ci sia ancora qualcuno su EFP.
Ringrazio chi mi ha seguita durante tutti questi anni, chi recensiva e chi si limitava a leggere assiduamente.
Grazie.
E come diceva Jeremy Brett "Upward and Onward".




Un'ultima storia


Rientrai dalla mia passeggiata mattutina rinvigorito ma con le membra gelate.

Una mano bianca, morbida, aveva avvolto il paesaggio circostante, e l'unica nota diversa la dava il mare, argenteo come il cielo, increspato da onde placide date dalla mancanza di vento.

 

Mi scrollai di dosso la neve, tolsi cappello e guanti e mi sfilai le scarpe.

Diedi una spolverata anche al sacchetto di carta contenete la spesa quotidiana, che io stesso mi ero dovuto procurare a causa della temporanea influenza della nostra governante.

 

In casa regnava il silenzio e mi concessi di non romperlo.

Indossai le pantofole e mi diressi verso il cucinino.

Di Holmes nessuna traccia.

Lo avevo lasciato indaffarato con le proprie arnie, per essere al sicuro che fossero ben protette dalle intemperie, ma di lui in giardino non vi era traccia e ormai anche le orme che aveva lasciato stavano scomparendo sotto il nuovo strato di neve.

Era strano non sentirlo trafficare in alcun modo.

Durante giornate come questa cercava in ogni modo di trovare nuove cose da fare, “per non lasciare che la mente stagni, cosa deleteria, soprattutto alla nostra età”.

Ogni tanto si lasciava andare ad ammonimenti simili, perlopiù scherzosi, ma da qualche tempo sembrava sempre più serio.

Forse questa guerra, per quanto distante, lo aveva segnato più del previsto.*

Mi appoggiai al bancone della cucina, rilassato.

Durante giornate come questa Londra sarebbe stata comunque in subbuglio, mentre la placida campagna permetteva di godersi ogni singolo secondo di pace.

Troppa pace.

Per quanto assurda fosse la situazione, non sentire Holmes lamentarsi o lavorare mi riempiva di preoccupazione. Che fosse uscito?

Gettai una rapida occhiata allo studiolo e vidi la tuta da apicoltore malamente gettata a terra, dunque doveva aver per forza finito.

Le scarpe si trovavano accanto alle mie all'ingresso, il cappotto non presentava tracce di neve, e della pantofola persiana nessuna traccia.

Doveva per forza essere in casa.

Buttai un ciocco di legno nel caminetto, ravvivando la fiamma, e lentamente salii al piano di sopra, cercando di fare quanto meno rumore possibile.

Non so per quale ragione lo feci: mi sembrava di essere fuori luogo nel rovinare questo clima ovattato imposto dal tempo.

Uno scalino alla volta.

Quattordici, per la precisione.

Forse stare con Holmes tutti questi anni aveva acuito il mio spirito di osservazione.

Perlomeno nel contare i gradini.

 

La mia camera da letto era vuota e intonsa.

L'essere senza governante per qualche giorno ci aveva permesso di piantarla temporaneamente con la nostra pantomima del dormire in camere separate.

Entrai in quella di Holmes, accolto da una luce morbida, proveniente dall'esterno. Le imposte erano state completamente aperte e le tende tirate: la campagna si dipanava di fronte ai miei occhi, interrotta unicamente dallo schienale della poltrona di Holmes, debitamente spostata di fronte alla vetrata.

E sopra di essa, addormentato, le labbra lievemente dischiuse e un libro appoggiato al petto, il mio amico.

 

Russava lievemente.

Mi misi lentamente accanto a lui, osservandolo.

Le tempie ormai erano striate d'argento da tempo, cosa che lo aveva reso ancora più affascinante ai miei occhi, nonostante all'inizio lui stesso non la pensasse così. Era sempre stato un poco vanesio nei confronti della propria chioma corvina, e vederla seguire i lenti passi del tempo lo aveva irritato.

Essendo un uomo di logica alla fine aveva ceduto, soprattutto di fronte ai miei motti di dileggio sul tingersi, come quelle anziane signore che non riescono ad accettare di non essere più nel fiore degli anni.

In questi giorni si era curato poco.

La barba era lievemente sfatta, la camicia aperta sul collo e il panciotto di lana era quello che usava per lavorare, macchiato dagli acidi.

Un mio regalo di compleanno di molti anni passati.

Avevo imparato a convivere con questa sua inclinazione.

Non so come ma mi ritrovai a poggiare le labbra sulla sua fronte rilassata.

Aveva sempre avuto il sonno leggero e non mi stupii di vederlo con gli occhi aperti quando mi allontanai, inginocchiandomi per essere alla sua stessa altezza, i gomiti appoggiati su uno dei braccioli per darmi stabilità.

 

«Per quale ragione, se posso?»

 

Scrollai le spalle.

 

«Non deve esserci sempre una ragione».

 

«Invece sì, e lo sai bene. Sia ben chiaro, non che mi dispiaccia essere svegliato in questo modo».

Sbuffai con le narici, per esprimere un lieve disappunto.

Non si poteva fare alcun gesto senza che questo venisse sviscerato.

«Stavo pensando al fatto che sei invecchiato».

 

«Prego?»

 

«Siamo invecchiati».

 

Sembrò rilassarsi un poco di più di fronte alla mia correzione, ma la cosa parve indispettirlo comunque.

 

«È la natura umana, Watson. Un lento decadimento strutturale che rischia di diventare anche mentale, se non vi si presta la debita attenzione. Ma a cosa debbo questo memento mori

Sbuffai nuovamente, questa volta per celare un sorriso.

«Non voleva essere un pensiero negativo. Non saprei neanche dirti cosa mi ha portato a questo pensiero. Forse il trovarti qui rilassato, senza far niente. Un tempo ti saresti dannato di fronte a una situazione del genere, avresti fatto saltare l'intero appartamento di Baker Street con i tuoi esperimenti pur di non lasciare la mente stagnare. Eppure adesso ti trovo qui, di fronte alla finestra, addormentato e con un libro in mano, a goderti la neve che permea tutto quanto. E per di più a mezzodì. Comprenderai che dopo anni di convivenza mi appare ancora strano».

 

«Mi hai già visto rilassato, addormentato, in posti strani e momenti impensabili della giornata. Non ti lasciavi andare a questi pensieri quando ci svegliavamo a pomeriggio inoltrato, soprattutto quando ci lasciavamo andare a intrattenimenti poco apprezzati dalla società benpensante».

 

«Se pensi di imbarazzarmi con ricordi simili ti sbagli di grosso».

 

«Un tempo funzionava».

 

«Oltre ad essere invecchiato, sono maturato».

Holmes alzò un sopracciglio.

«Certi ricordi servono unicamente a scaldarmi il cuore ormai. Sono passati i tempi in cui avevo titubanze sulla natura del nostro rapporto».

 

Mi sentii afferrare per il bavero della panciotto e la bocca di Holmes si avvicinò ad un mio orecchio, sussurrando.

 

Non riporterò quello che mi disse.

Basti sapere che mi sentii andare al fuoco le gote e ciò dipinse sul volto del mio amico un sorriso vittorioso.

 

«Non si direbbe».

 

«Sei a dir poco sconveniente», lo redarguii.

 

«E tu delizioso».

 

Lo fulminai con lo sguardo per quel non eccessivamente vano tentativo di adularmi, ma presto il poco spazio che vi era fra noi si colmò, e lo baciai.

 

Nessun suono, nessuna interruzione.

Dispersi in un mare bianco, naufraghi, salvi l'uno con la compagnia dell'altro.

Non avrei voluto interrompere quell'istante per nulla al mondo.

Quando ci separammo, una mia mano era a giocare con le sue ciocche, mentre la sua mi accarezzava il volto con tenerezza.

«Nonostante siano passati così tanti anni, nonostante i capelli bianchi, i reumatismi, le avventure ormai lontane; nonostante tutto ciò che comporta la vecchiaia, Watson, sono felice di essere invecchiato con te accanto».

Sorrisi, baciandolo rapidamente una seconda volta, senza dire nulla.

Non era necessario fra noi.

 

Durò poco.

 

Non era nella natura di Holmes lasciarsi andare a certi romanticismi, e di fronte a una frase pronunciata di tale portata, doveva esservi un'azione contrastante che gli permettesse di distrarsi e distrarmi.

Difatti si alzò di scatto, lasciandomi ancora in ginocchio, cosa della quale cominciavo a risentire.

 

«Bene! Non ha senso sprecare la giornata. Forza Watson, andiamo!»

 

«Andiamo?», domandai sollevandomi, accompagnato non da pochi scricchiolii.

 

«Ho un qual certo languorino e sappiamo entrambi che le nostre doti culinarie lasciano a desiderare. Nonostante il tempo, dovrebbe essere aperto il ristorante della stazione. Pare serva uno stufato eccellente».

 

«Ma è a tre miglia da qui!»

 

«Difatti. Meglio cominciare a camminare adesso se vogliamo arrivare prima che chiuda. Vista la condizione delle strade potrebbe volerci un po'».

 

«Ma--»

 

«Non vorremmo mica lasciarci andare all'incuria del tempo . Una passeggiata non farà altro che farci bene», e dicendo ciò uscì di corsa dalla stanza, pronto a partire.

 

Se era una qualche forma di vendetta, gli era riuscita alla perfezione.

 

Sospirai, lanciando un'occhiata fuori dalla finestra, dove a malapena la strada sterrata si distingueva dai campi circostanti.

La mia idea di passare il pomeriggio a crogiolarmi di fronte al fuoco andò in fumo ma non me la sentii di controbattere.

Seguii Holmes, ormai già sulla porta, e sorrisi nel vederlo così attivo.

Valeva la pena di invecchiare con lui.

 

 

*Immagino la storia ambientata nel 1918/1919, con un Holmes intorno ai 65 anni. La guerra è finita ma siamo ancora lontani dalle ultime avventure pubblicate da lui stesso nel 1926.

   
 
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