Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Fatelfay    04/03/2018    3 recensioni
Quando Sherlock decide di tornare in vita, lo attende una sorpresa molto più spiacevole di quanto potesse immaginare. Nessuno è riuscito davvero a prendersi cura di John, che non è riuscito a cambiare vita, né ad andare avanti come se nulla fosse.
L'attesa è ancora lunga.
Scritta un paio di anni fa, tra la fine della seconda stagione e la messa in onda della terza (che equivale a moltissimo tempo)
Narrazione in seconda persona singolare.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer: Sherlock BBC e i suoi personaggi non sono miei, ma di Moffat, Gaytiss e Sir Arthur Conan Doyle. Questa è pura opera di fantasia e non ha alcuno scopo di lucro. Per qualsiasi problema, basta scrivere in messaggio privato e risponderò al più presto.

Doll!AU : in questo universo i personaggi sono bambole, che si possono rompere e riaggiustare. Esistono tuttavia danni irreparabili che portano a una morte irreversibile. (Ringraziate Koa ed Emerenziano per questa spiegazione aggiuntiva)


 



Ciò che Rimane nell'Assenza





Nessuno sa come sia successo. Nessuno ha saputo rispondere alle tue domande dettagliate e precise.
Idioti. È carico di rabbia questa volta. Non è il commento leggero, lo sbuffo spazientito che ogni tanto lascia le tue labbra. Lestrade abbassa il capo, sentendosi in colpa. Inutile sentimento umano che non serve a niente.

Anderson striscia lungo la parete, cercando di passare inosservato mentre cerca di uscire dalla stanza e fuggire da te. Per il prossimo mese né lui né Donovan oseranno dirti niente. Anzi, scapperanno il più possibile lontano da te, terrorizzati da quello che sei adesso.
Una macchina. No, non una macchina, Sherlock. Un essere umano con un’intelligenza superiore e iperattivo. È questo che ha spaventato Anderson e che terrà a bada Donovan. Forse non saranno più in grado di dirti niente.
Emozioni. Sì, Sherlock. Emozioni. Rabbia, principalmente, l’unica cosa che sa decodificare lo stupido cervello di Anderson.

Ma c’è molto di più.
Lestrade ti guarda affranto. Il suo volto è così espressivo che vedi esattamente quali emozioni lo stiano attraversando. Dolore. Senso di colpa. Dispiacere. Pena. Responsabilità nei tuoi confronti.
I tuoi occhi freddi gli fanno distogliere nuovamente lo sguardo, mentre tu esci dalla stanza e vai a sistemare i casini altrui.

Nessuno ti si avvicina. Tutti si spostano, lasciandoti tutto lo spazio che ti serve per muoverti. Attraversano la strada a caso, quasi senza guardare, pur di lasciarti il marciapiede.
L’avvertono tutti. Con i loro stupidi cervelli, colgono solo la superficie di ciò che provi. Rabbia, rabbia gelida, quella che porta ad azioni calcolate, perfette, precise, chirurgiche. Quella che si spiega con una scelta perfettamente logica, inarrestabile e terribile. Quella che porta ad ottenere tutto ciò che vuoi. Quella spietata e razionale. Temibile.
L’avvertono tutti e si tolgono dai piedi quando sei ancora a qualche metro di distanza, cercando di non dare nell’occhio, di non farti capire che scappano da te.
Hai…paura? Paura di ciò che sei? Di ciò che sei diventato?
No. No, non è di questo che hai paura. Sai gestire le emozioni. Non sarai più in grado di accenderle e spegnere a tuo piacere (non ne sei mai stato in grado), ma sai come rimanere lucido. Sai come usarle a tuo vantaggio per portarti oltre ciò che gli altri possono fare. Essere migliore, proprio grazie a quelle emozioni che hai imparato a nascondere accuratamente, ma che non sai non provare.

Entri nel soggiorno di casa tua, senza nemmeno ricordare come ci sei arrivato. Una parte del tuo cervello sta già eliminando il ricordo inutile, controllando che non ci sia niente che possa tornarti utile poi.
Mycroft si sposta dall’ingresso del soggiorno, facendosi da parte.
Fa per scusarti, ma il solo guardarti gli fa capire che non deve aprire bocca. Stringe l’ombrello in maniera ossessiva, ha le nocche bianche per lo sforzo. È sotto un forte stress. Sta vacillando. Solo perché tu sei entrato nella stanza.
Sei sempre stato il suo punto debole.
Sempre.

Non lo guardi. Una minima parte di te l’ha registrato e sta già mandando gli opportuni segnali per fargli capire di uscire e non disturbare. Ha fatto un lavoro pessimo. Se mai tu gli dovessi qualcosa, ora è lui ad essere in debito. Ci impiegherà molto ad estinguerlo. Forse non ci riuscirà mai.
Mycroft capisce dalla tua entrata che la sua presenza è inutile e di troppo. Esce silenziosamente, senza dire una parola. Chiude la porta per impedire ad altri di disturbare e per lasciarti la riservatezza e l’intimità che ti serve.
Riservatezza? Intimità? Non essere scettico. Mycroft ha sempre saputo di cosa avessi bisogno, ancora prima che tu lo sapessi. A volte non ha saputo provvedere adeguatamente, ma ha sempre saputo. Lo sa tutt’ora.

Il soggiorno è immobile, come la cucina e il resto della casa. La signora Hudson deve essere già uscita. Molto probabilmente è stato Mycroft ad allontanarla.

Sul divano il lenzuolo bianco e macchiato è chiuso.
Avvolge qualcosa di informe, irriconoscibile.
Ma tu sai cos’è.
Lo hai sempre saputo.

Da quando hai poggiato di nuovo piede qui, sapevi che le cose non erano andate come dovevano. Lo sentivi nell’aria, nei muri di Londra.
Lei non ti ha mai tradito. Non lo farà mai. Ti è sempre stata accanto, ti ha sempre seguito, ti ha sempre abbracciato, anche quando non c’era nessuno.
Adesso ti lascia spazio. Aspetta fuori dall’appartamento, non sbircia dalle finestre. Attende con pazienza. Sa che non può seguirti lì dentro come fa sempre, ma non ti sta lasciando. Appena uscirai, o la farai entrare, lei tornerà al tuo fianco, ti avvolgerà fra le sue intoccabili e invisibili braccia e ti seguirà di nuovo.
Ti avvicini al lenzuolo chiuso sul divano. Ti fermi a qualche millimetro di distanza e allunghi una mano.
Non lo sfiori.
Non ancora.
Ti prendi il tuo tempo. Lasci che la rabbia svanisca. È già sparita, si è dissolta non appena la casa si è svuotata e le porte si sono chiuse. Adesso, c’è tutto il resto, quello che gli altri non hanno visto.
Prendi un respiro profondo, prendi un lembo del lenzuolo e delicatamente lo scosti, rivelandone il contenuto.
Sta fermo. Immobile. Scivola leggermente verso di te, seguendo l’aprirsi dell’abbraccio del lenzuolo. È orribile. Sbatti le palpebre per rimetterlo a fuoco, mentre la gola ti si chiude e ti strozza il respiro. Se qualcuno ti guardasse adesso, non capirebbe niente di tutto ciò. Penserebbe che tu sia impassibile, freddo, una macchina.
Invece sei così emotivo.
Richiudi il lenzuolo, per tenerlo al sicuro. Ti inginocchi accanto al divano e riapri con cura il lenzuolo. Scopri lentamente il contenuto, osservandolo attentamente. La tua attenzione è completamente concentrata su ogni millimetro, su ogni dettaglio dei pezzi immobili nel lenzuolo. Alcuni sono stati tagliati di netto, una singola riga dritta, perfetta. Altri sono stati strappati malamente, le lacerazioni frastagliate, orribili.
Fa male vederli.
Fa male vederlo così.
Senti lo stomaco stringersi dolorosamente. La gola si chiude fino a non farti respirare. Vedere chiaramente è difficile e devi concentrarti per avere le mani ferme e precise.
Fa male.

Il lenzuolo bianco e macchiato è aperto. I pezzi sono disordinati al suo interno. È indecente che li abbiano avvolti in qualcosa di sporco. Rimani immobile a osservare tutto, senza dire una parola. Fa male, ma riesci a controllare il dolore e lo usi per concentrarti maggiormente ed essere più attento.
La cassetta bianca è ai piedi del divano, pronta all’uso. L’hanno avvolta nel lenzuolo, per fartela trovare insieme ai pezzi, a portata di mano. Sai che è lì, anche se non l’hai ancora guardata. Osservi attentamente i pezzi, richiamando ogni singolo dettaglio, ogni singola minuzia dalla tua memoria. Devi rimettere tutto a posto e non vuoi dimenticare niente, nemmeno un particolare.
Prendi la cassetta del pronto soccorso e la apri. Prendi l’ago e il rocchetto. Infili il filo nella cruna e ti prepari a metterti all’opera. Non l’hai mai dovuto fare su una così grande scala. Non sei sicuro di poter farlo abbastanza bene. Se fosse stato solo un graffio, un taglio, non avresti esitazioni. Ma adesso, qui, è molto più complicato.
Prendi la mano sinistra. È immobile tra le tue dita e parte del mignolo e dell’anulare sono stati mozzati. Si deve essere difeso. All’altezza del polso c’è invece una brutta lacerazione. Gliel’hanno strappata via.
Cerchi le parti mancanti delle dita, le accosti attentamente, cercando la combinazione perfetta e inizi a ricucire.
Mi dispiace. Non glielo dirai. Non ancora. Se aprissi bocca per parlare, non riusciresti a finire il lavoro che devi fare. Devi mantenere il controllo e per farlo, non puoi lasciare uscire niente. Non puoi farci niente.

Continui a cucire, con il massimo della cura e della precisione che hanno il tuo cervello e le tue mani.
Finisci e prendi l’avambraccio. Il contorno frastagliato ti creerà problemi. Rimarrà il segno. Osservi clinicamente lo strappo e riesci a incastrarlo alla perfezione, poi delicatamente lo ricuci.
Mi dispiace. Cuci per tutto il giorno, per tutta la notte e il giorno dopo, senza sosta, senza riposo. Hanno riaperto alcune cuciture. Hanno tagliato e strappato a caso, raramente seguendo le vecchie cuciture.

Resteranno i segni.

Resteranno i segni.

Non ti rimane molto da cucire. Devi attaccare la testa al tronco e rattoppare lo strappo sul cuore. Sembra che abbiano usato una pinza e abbiano provato ad estirpargli il cuore dal petto. È una brutta ferita. Oscena. Rimarrà il segno.
Ti rimetti a cucire.
Mi dispiace.

L’ago è tornato al suo posto. Il filo è stato fissato al rocchetto. Le forbici sono state inserite nella loro fodera. La cassetta bianca del pronto soccorso è chiusa. Non serve più.
Nessuno si muove.
Osservi attentamente il metro e sessantanove immobile sul divano. I capelli biondi sono sporchi, le ciglia sottili gettano ombre morte sugli zigomi. La cucitura si vede: parte da sopra l’orecchio sinistro e finisce in centro al labbro superiore, senza intaccare il naso. Fa male vedere quel volto rovinato, quelle labbra segnate. Speri di aver ricucito tutto al meglio e che sapranno ancora regalarti i sorrisi più luminosi che tu abbia mai visto. I sorrisi per cui vivevi e vivi ancora adesso.
Non si muove John Watson. Non dà alcun segno di star ritornando.
- Mi dispiace.- La tua voce è roca, secca. Non sai da quant’è che non la usi. Ti fanno male le gambe per tutto il tempo che hai trascorso in ginocchio sul tappeto del soggiorno. Ma non è niente in confronto a ciò che provi dentro.
- Mi dispiace. Per favore, torna.-
Non succede niente.

Non ti sei mosso dal tuo posto sul pavimento accanto al divano. John non ha ancora mosso un muscolo. Sai che non dovresti sperare. Sai chi ha fatto a pezzi il tuo John. Sai che dovresti alzarti e andare avanti. Hai scelto per entrambi e hai condannato entrambi, ora devi solo avere il coraggio di assumerti le tue responsabilità.
Ma è difficile.
Non è vero, Sherlock?
Passi le dita sul suo volto ripassando la cucitura sulla guancia. Gli sistemi i capelli sulla fronte per nasconderne un'altra. Non li ha tagliati per un bel po’.
Sei mesi. Poi non hanno più potuto crescere. È finito in pezzi. Pezzi di cui tu sei la causa. Pezzi che non hai ricucito in tempo. Pezzi che non hai saputo ricucire abbastanza bene.
Mi dispiace. Dispiace anche a lui, non credere di essere l’unico a soffrire.
Gli stringi la mano. È ancora morbida sotto la tua, ma è a temperatura ambiente. Immobile. Continui a sussurrare le tue scuse, consapevole di quanto siano inutili. Eppure non riesci a fermarti. Ora che hai finito il lavoro per cui dovevi essere preciso e accurato, non c’è niente che ti tenga insieme. Stai finendo in pezzi.
Mi dispiace.
Rimani immobile al suo fianco, cristallizzato nel tempo. Lasci che la polvere ti copra, ma non lasci la sua mano. Hai sempre saputo che era una strada a senso unico. Sapevi che non ci sarebbe stato ritorno. Dopo che l’hai lasciato entrare nella tua vita e che lui ti ha lasciato entrare nella sua, sapevi che non saresti più potuto tornare ad essere quello di prima.
Ma ne è valsa la pena?
Stringi la sua mano, aggrappandoti ad essa. Ti sei aggrappato a lui per tutto questo tempo, senza che nessuno lo sapesse. Riuscire a conquistare il suo sorriso, la sua risata, la sua approvazione, i suoi complimenti, i suoi occhi luccicanti, la sua meraviglia è il premio più grande a cui puoi pensare da quando l’hai incontrato. Essere uno dei motivi (il motivo) per cui sorride è il massimo a cui potresti ambire. La cosa incredibile è che non te ne sei accorto fino a quando non è stato troppo tardi per tornare indietro. Un giorno ti sei svegliato e l’hai notato: ti ha intrappolato in quello che chiameresti il suo incantesimo (se solo la magia esistesse) e ora ne sei una vittima felice, un sacrificio volontario, un tributo spontaneo. Non proveresti mai a liberarti da quel sortilegio. Non ci ha mai provato.
Mi dispiace. Non hai potuto evitarlo, ma sai che è colpa tua. Non hai avuto scelta. Qualsiasi cosa avessi fatto, avresti dovuto convivere con la colpa.
Sapevi che avresti pagato. Sapevi che non avresti avuto sconti.
Ma non ti aspettavi che il prezzo fosse così difficile da sopportare.
Pensavi che saresti stato forte abbastanza.
Pensavi di essere in grado di andare avanti lo stesso. Pensavi che lo avresti fatto.
Eppure non ti sei ancora mosso dal suo fianco. Gli tieni ancora la mano.

La polvere si sta accumulando su di voi. Eppure non ti muovi. Non la spazzi via. Non schiodi gli occhi chiari dal suo corpo immobile, segnato dalle tue cuciture non abbastanza perfette.
- Mi dispiace.- Hai la barba sfatta. Ti pizzica le guance. Sul volto di John non è ancora apparsa. Il suo petto non si muove. Aspetti ancora, aspetterai per tutto il tempo necessario. Anche per l’eternità.

- Mi dispiace.- Tieni ancora la sua mano. Hai le gambe insensibili per la posizione inginocchiata. Non le senti più. Forse non le hai. Non sarebbe una gran perdita, se potessi riaverlo. Le scambieresti volentieri per lui.
Ma sai di averle ancora.
Lui non si è ancora mosso.
Non sai da quanto sei immobile. Non sai quanto tempo sia passato. Non abbastanza, visto che non c’è ancora stato alcun cambiamento.
Forse non hai cucito abbastanza bene. Forse i punti non erano alla distanza giusta. Forse non hai accostato i pezzi bene. È da troppo tempo che non ricucivi qualcuno. Troppo tempo dall’ultima volta che hai ricucito John. Troppo tempo da quando controllava il tuo lavoro, senza mai fartelo pesare. Troppo tempo che i tuoi ricordi potrebbero non essere accurati. Sono dubbi stupidi e immotivati: se esiste qualcuno che possa ricucire John Watson e farlo tornare come nuovo, quello sei tu. Sei l’unico.
Eppure lui non si è ancora mosso.

- Mi dispiace.- Non hai smesso di ripetere quelle due semplici parole. Sebbene ti sia rimasto solo un filo di voce, la gola sia secca e dolorante, non smetti. Forse se lo dirai abbastanza volte, se aspetterai abbastanza a lungo, forse, tornerà da te.
Per favore. Mi dispiace. Accarezzi il dorso della sua mano con il pollice. È un piccolo gesto semplice, ma ti sembra qualcosa di strano. È da troppo tempo che non ti muovi.
Qualcosa ti sfiora il dorso della mano.
Rimani immobile.
Non osi respirare.
I tuoi occhi sono catalizzati sulle dita di John.

Si muovono leggermente.
Corrispondono la tua carezza.

Vedi sfuocato. Continui a sfiorargli il dorso della mano. Speri. Speri con ogni filo del tuo essere. Speri che lui apra gli occhi e torni da te esattamente com’era. Speri e sai che finirai in pezzi con le tue speranze se dovesse essere solo un’illusione. Non smetteresti di aspettarlo, ma finiresti in pezzi. Esattamente com’era lui quando l’hai trovato nel lenzuolo.

Lui stringe la presa sulla tua mano. È delicato. Il suo petto si alza. Si abbassa. Le narici si dilatano leggermente per far entrare l’aria e farla uscire.
Si muove.
Le palpebre provano ad alzarsi ma tremano soltanto. Fanno fatica a muoversi.
I suoi occhi sono bellissimi.
Ha gli occhi confusi. Non mette a fuoco subito. È intontito dal suo lungo sonno.
Nemmeno tu riesci a vederlo bene.
- John?- La tua voce è troppo secca e fioca per essere riconoscibile. Lui ti stringe la mano. Ti riconoscerebbe ovunque, senza la minima esitazione.
Ti ha riconosciuto non appena ha sentito la tua mano sulla sua.

Vi serve tempo per tornare a muovervi. Lui ce la fa prima di te.
Sei così felice che stai male. Hai il cuore strano, troppo leggero, batte dolorosamente. Eppure è un dolore che ti piace.
Felicità? Sollievo? Sì, Sherlock. John ti ha aiutato a ridare un nome a ciascuna di loro, dopo anni che le avevi chiuse a chiave e nascoste in un angolo di te, lontano dalle mani altrui. Lontano dalle ferite altrui.
Stai così bene che stai male. È l’overdose più bella e violenta della tua vita. Non sai se sia possibile, ma da come ti senti, potresti morire di gioia. E non ti sembrerebbe un gran peccato, se lui starà bene. Non sarebbe un sacrificio troppo grande.
John prova a mettersi seduto e tu provi ad aiutarlo.
Il tuo corpo ti tradisce. Sei rimasto in ginocchio troppo a lungo e le gambe non ti rispondono più. Cadi in avanti ma le mani di John ti afferrano in tempo. Ti ritrovi premuto contro il suo petto. Non siete mai stati così vicini. Respiri l’odore di John dal suo collo. È passato così tanto tempo da quando l’hai sentito l’ultima volta. Non ti è mai sembrato così forte.
- Sherlock.- Sorride John. Ha gli occhi lucidi di felicità.
- John.- L’ultima incertezza, l’ultimo dubbio, viene fugato in quell’attimo.
Siete entrambi a casa.























Angolo del Delirio:
Questa fanfiction è stata scritta un paio di anni fa, tra la fine della seconda stagione e la messa in onda della terza (ma non ricordo se è stata la messa in onda in lingua inglese o in lingua italiana). Un periodo molto ampio.
Sarebbe anche più lunga di così, ma la seconda parte non è stat un'aggiunta successiva che non mi soddisfa ancora, quindi non so se mai arriverà ad essere pubblicata.
Dovrei ringraziare mezzo mondo e buona parte del fandom, se questa primissima AU, o qualsiasi cosa sia, è nata, ma non saprei nemmeno da dove iniziare e dovrei fare un lunghissimo lavoro di ricerca.
Quindi, semplicemente e per il momento, grazie.
Infine, grazie a chiunque legga e spero vi sia piaciuta.

 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Fatelfay