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Autore: Lela2606    04/03/2018    2 recensioni
La gente ha cicatrici in posti impensabili, sono come mappe segrete delle storie personali, diagrammi di tutte le vecchie ferite. La maggior parte delle nostre vecchie ferite guarisce, lasciando alcune cicatrici. Alcune non guariscono.
Ti colpiscono sbucando dal nulla. Quando le cose brutte arrivano, arrivano all'improvviso, senza avvertire. È raro vedere che la catastrofe si avvicina. Non importa quanto ci prepariamo ad affrontarla. Facciamo del nostro meglio, ma a volte non è abbastanza. Allacciamo le cinture, indossiamo il casco, scegliamo strade illuminate... cerchiamo di difenderci. Cerchiamo di proteggerci con tutte le forze, ma non fa alcuna differenza. Perché quando le cose brutte arrivano, sbucano dal nulla. Le cose brutte arrivano all'improvviso, senza avvertire. Ma dimentichiamo che, a volte, arrivano così anche le cose belle.
Il destino ti mette così tanto alla prova da renderti inerme dinanzi alla catena di eventi che ti travolge, lasciandoti senza fiato.
Allora, cosa si è disposti a fare pur di rimanere a galla, pur di riemergere e prendere fiato?
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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L’episodio che si era verificato sul marciapiedi di New York, accanto alla società dei miei defunti genitori, aveva lasciato un enorme vuoto nella mia testa. Sapevo di essermi risvegliata nell’ufficio di mio padre, da allora anche mio, e di aver chiesto cosa fosse successo. Ero certa di aver sentito le voci dei migliori amici dei miei chiamarmi mentre mi accasciavo al suolo, ed ero altrettanto certa di aver fissato per alcuni attimi quegli occhi azzurri tra le braccia di non so chi ancor prima che i miei si chiudessero. Purtroppo Burton e Cooper non era stati in grado di sciogliere i miei dubbi a riguardo ed avevano liquidato la situazione ritenendola di poca importanza. 

Da allora era passato qualche tempo ed io mi trascinavo malamente tra gli uffici della società cercando di amministrarla al meglio. Ma, nel frattempo, iniziavo ad infilarmi in qualcosa da cui difficilmente sarei riuscita ad uscirne. L’ufficio di mio padre era rimasto intatto come una sorta di tempio mentre io ci trascorrevo molto più tempo di quanto avessi mai fatto studiando all’università davanti ad una scrivania, sui libri. Le porte per me si aprivano all’alba e si chiudevano la sera tardi. Avevo bisogno di sapere quanto più possibile sulle condizioni della società e come mai ci fossero così tanti buchi nei bilanci. Ad attirarmi, però, non erano i libri contabili che coprivano l’enorme scrivania dell’ufficio. La lettera che mi era stata consegnata il giorno dell’apertura del testamento era ancora sigillata ed avevo paura di aprirla. “ Aprila quando sarai pronta ” mi aveva detto il notaio che rispettava le volontà dei miei e voleva che lo facessi anche io. A quel punto dei giochi non dovevo più temere nulla perché la cosa più brutta che mi sarebbe potuta capitare era avvenuta circa un mese prima quando i miei genitori erano morti.  

Chiusi a chiave la porta dell’ufficio e, anche se sapevo che non c’era più nessuno tra i corridoi, mi diressi verso la cassaforte nascosta dietro l’enorme ritratto di mia madre. Digitai la combinazione e presi la busta sottile. Con un enorme sospiro e con un tagliacarte aprii la busta ed estrassi il foglio. La cautela mi accompagnava mentre leggevo: quelle erano le ultime parole che i miei mi avrebbero rivolto prima di morire misteriosamente. 

 

La lettera iniziava così: << Emily Sophie, tesoro, se leggi questa lettera significa che abbiamo lasciato questo mondo. Non dubitare mai dell’amore che io e la mamma nutriamo e nutriremo per te. Per sempre. Fa che la giustizia trionfi. So che sarai in grado di assolvere a questo compito. Anzi, ne sono certo. Non dubitare mai delle tue capacità ma non essere troppo sicura da considerarti infallibile: questo ti renderà vulnerabile. Non avere paure nemmeno nelle condizioni più critiche, sarai in grado di affrontare tutto a testa alta. Abbi cura di te ma, soprattutto, sta attenta alla tua sicurezza: sono molti i nostri nemici e non esiteranno nemmeno per un istante ad eliminare ciò che ostacola il loro obiettivo. Siamo fieri di te, piccola Lily. >>

 

Con le lacrime che scorrevano sul mio viso e poi cadevano sul foglio immacolato, sporcato solo dall’inchiostro con cui i miei genitori mi rivolgevano quelle parole, mi diressi verso la scrivania e mi sedetti sulla poltrona. Non so quanto tempo passò prima che le lacrime si placassero e i singhiozzi cessassero, sono solo certa di essermi addormentata lì e di aver visto, il mattino successivo, il volto arrabbiato di Cooper che con un filippica interminabile mi diceva di darmi una rinfrescata prima che qualcuno potesse entrare e vedermi  con un volto che avrebbe fatto invidia alla terrificante Samara di The Ring. 

 

Dopo una rinfrescante doccia a casa decisi di ritornare in ufficio anche se la schiena mi doleva per la nottata che avevo passata china sulla scrivania a sonnecchiare. Dal momento che non potevo essere sicura dei pericoli cui sarei andata incontro, Cooper, sotto consiglio del suo fidato braccio destro e amico Burton, decise che mi sarebbe servita una guardia del corpo. Ero del tutto contrariata da questa scelta ma ormai non avevo più voce in capitolo riguardo questa decisione. Così iniziarono i colloqui e chi, se non loro, dovevano decidere chi sarebbe stato il più adatto ad assolvere a quel compito? La velocità con cui fu presa la decisione mi sorprese tanto quanto la discrezione e la delicatezza dell’uomo che mi seguiva fedelmente tra le fila degli uffici che si disperdevano lungo il piano del grande edifico della mia società. Ben presto venni a sapere che ci sarebbe stata una cerimonia per il passaggio di consegna e, in quanto amministratore delegato, ci sarei dovuta essere. Al solo pensiero di essere in compagnia di persone che avevano conosciuto i miei e che avrebbero potuto giudicare il mio lavoro le mie gambe iniziarono a tremare. A tranquillizzarmi fu il fatto che a quell’evento mancassero alcuni giorni e in quel lasso di tempo, seppur breve, avrei potuto rinforzare la mia corazza dimostrando che, anche se la direzione mi era stata gentilmente concessa  -  per non dire forzata -  dai miei genitori, avrei potuto fare qualsiasi cosa e affrontare chiunque incrociasse il mio sguardo. Nel frattempo, però, mi resi conto che avrei dovuto rispettare un dress code per quel tipo di evento. La tentazione di andarci in tuta era troppo forte. Erano a malapena passate alcune settimane da quando avevo assunto l’incarico e già non sopportavo di recarmi al lavoro in tacchi e tailleur. Appena spalancavo le porte dell’edificio le lanciavo accanto ad una poltrona e le rimettevo solo per recarmi a casa. 

Intanto, più scavavo nella storia e nelle condizioni della società e più mi rendevo conto che c’erano buchi di vario genere all’interno del bilancio. Mio zio non si era più visto da quando era stato aperto il testamento e non avevo la minima voglia di vederlo. Sapevo bene che l’avvertimento che mi era stato rivolto dai miei genitori era soprattutto riguardo il comportamento poco etico di mio zio e del suo “ entourage ”. 

Quando iniziai a capire in quale tipo di affari stavo iniziando ad entrare provai un misto tra paura e intraprendenza, ma non potevo comunque vedermela da sola ed allora invocai aiuto. Prima del consiglio d’amministrazione mio zio doveva sapere che io sapevo cosa avevo scoperto sui suoi loschi affari. E sapevo che moriva dalla voglia di venire ad intralciare il mio lavoro. 

Prima che terminasse la settimana avevo visto gran parte dei libri contabili con l’aiuto di un nutrito gruppo di esperti che erano già stati al servizio della società. Sapevo che il duro lavoro mi avrebbe ricompensata ma non quanto la faccia che avrei visto sul volto di mio zio quando avrei tirato dall’armadio tutti i suoi scheletri.  

Non temevo solo la serata di gala ma anche l’incontro d’affari che sarebbe seguito nei giorni successivi. Certo, potevo contare sull’aiuto di alcune persone fidate ma la sensazione di essere una principiante non avrebbe potuta togliermela nessuno di dosso. Così arrivò quella fatidica serie di giorni che più di tutti avrei dovuto temere. 

In ufficio c’era stata un gran confusione per i preparativi mentre io continuavo a lamentarmi per l’inutilità di quella serata di gala. Non era una giornata lavorativa, perciò ritornai a casa con la speranza di riuscire a concentrarmi sull’incontro di lavoro del lunedì successivo. Mentre il lavoro mi prosciugava le energie, la domestica decise di venire a disturbarmi nello studio ricordandomi che avrei dovuto iniziare a prepararmi. Non sapevo nemmeno da dove cominciare: i capelli erano una massa inestricabile di nodi, sul mio viso sembrava essere passato un carro armato e per di più mi sentivo alquanto stanca tanto da poter essere arruolata nella pubblicità di un ansiolitico. Fortunatamente un team per restaurare il mio viso era stato chiamato ed i miei capelli erano stati acconciati in modo da ricadere in morbide onde sulla schiena. L’abito che avevo deciso di indossare si era dimostrato una valida scelta: ricadeva in maniera incantevole sui miei fianchi tanto da sentirlo quasi come una seconda pelle; le maniche ad aletta contrastavano con il profondo scollo che arrivava sino allo stomaco. La mia guardia del corpo mi seguiva come un’ombra mentre lasciavo l’attico con vista sull’East River e il mio cellulare squillava incessantemente per comunicarmi che dovevo sbrigarmi. Fortunatamente il traffico scorrevole permetteva la libera circolazione così in men che non si dica ci eravamo ritrovati dinanzi all’edificio della società con tanto di tappeto rosso ad accoglierci. Prima di varcare la soglia, però, avevo trovato Cooper con un sacchetto di velluto in mano. << Sei favolosa, Emily ma hai bisogno di questa affinché tu possa essere completa. >> Aprii il sacchetto trovandoci dentro una maschera elegantemente decorata e impreziosita da dettagli che la rendevano semplicemente stupenda. << Come hai fatto a sapere cosa avrei indossato? >> chiesi poi. << La tua domestica è stata così gentile da dirmelo. >> disse e le risate mi travolsero. Prima di entrare mi porse il suo braccio domandandomi: << Pronta? >> 

<< Non lo sono mai stata così tanto. >>

Varcai la soglia dell’edificio e mi resi subito conto della perfezione di tutti i decori, dello sfarzo dell’ambiente. Il ricevimento ospitava un nutrito gruppo di persone, molte delle quali non sapevo nemmeno chi fossero. Sin da subito ero stata messa sotto la lente d’ingrandimento in azienda e allo stesso modo, quando percorrevo il corridoio centrale, mi sentivo osservata, sotto i riflettori, come una sorta di esperimento scientifico. 

Molte di quelle persone avevano collaborato con mio padre e mio zio e sapevo che avrei potuto conoscere da loro molti particolari dell’azienda, come era stata gestita e cosa era successo mentre io ero beatamente accoccolata sotto le coperte del mio appartamento da fuori sede per l’Università.

Mentre io ed i commensali ci gingillavamo come delle bomboniere nei nostri abiti da sera, il maestro di cerimonie guidava la serata in maniera piacevole e poco tediosa. Una musica soffusa aleggiava nell’ambiente sontuoso, riuscivo a riconoscere le note di Lost di Michael Bublé, un testo così calzante data la situazione in cui mi ritrovavo.

Mi sentivo scoperta, pur avendo una maschera, come se la morte dei miei genitori mi avesse tolto di dosso una corazza protettiva contro gli sguardi ed i giudizi degli altri. La serata procedeva speditamente e, dal mio posto, potevo vedere la gente divertirsi, delle coppie ballare e poche persone stare sedute sedute dritte su una sedia così come lo ero io. 

Burton, Cooper e le rispettive mogli si avvicinavano e sapevo già cosa mi avrebbero detto. L’ora di pronunciare un discorso era arrivata ed io non ero per niente in vena di farlo. Allora presi l’ultimo briciolo di fegato che mi era rimasto per chiedere ai due migliori amici dei miei di farlo al mio posto. << Per favore… >> chiedevo con la voce implorante ridotta ad un filo. << So che spetta a me, ma non ne ho la forza mentre dietro di me scorrono le loro ultime foto. Vi prego… >>

 

Forse la libertà non è  poter fare ciò che si vuole senza limiti, ma piuttosto saperseli dare. Non essere schiavi delle passioni, dei desideri. Essere padroni di se stessi. 

 

Queste furono le parole che presero forma dai miei pensieri poco dopo.

 

Uno sguardo di comprensione, e forse anche di compassione, attraversava i loro volti e l’unica cosa che fui capace di fare immediatamente dopo fu scappare via nell’aria fresca della sera. Mi tolsi i tacchi, che stavano uccidendo i piedi, varcai la soglia della sede della società e sul marciapiedi mi bloccai, o forse mi scontrai, contro il petto di un uomo alto e che per non farmi ricadere indietro mi afferrò per le braccia in un morsa da cui nessuno sarebbe riuscito a sfuggire. << Mi scusi. >> fu l’unica cosa che riuscii a dire. 

Lentamente alzai gli occhi per vedere di chi si trattasse e subito riconobbi gli occhi azzurri che avevo visto prima di schiantarmi al suolo. 

Il cuore mi batteva all’impazzata. 

Le mie gambe diventarono gelatina. 

Il mio cervello non era in grado di formulare una frase di senso compiuto.

Poi lui parlò, il suo sorriso mi folgorò ed ebbe inizio tutto. 

<< Non si preoccupi. Tutto bene? >> 

 
   
 
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