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Autore: Akane92    05/03/2018    1 recensioni
[Sebastian Stan] “Something brought you here. Call it what you will - destiny, fate...”
“A horse.”
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Something brought you hereFlynn Rider. Call it what you will – fate, destiny …

 

horse.


 

 

Non avevo mai avuto alcuna intenzione, in tutta la mia vita, di finire in questa situazione. 

Non volevo assolutamente mai finire in questa situazione. Sebbene fossi abituata ormai a partecipare agli eventi organizzati per personaggi famosi come première, premiazioni o beneficienze,la mia partecipazione si limitava ad essere sempre “dietro le quinte”. 

Certo, dovevo comunque vestirmi secondo la moda e con degli abiti appropriati (ma che potevo tranquillamente trovare da H&M) ma non dovevo preoccuparmi di indossare capi firmati perché nessuno mai avrebbe chiesto a me cosa stessi indossando. Quello era il mio compito, il mio lavoro. Fin da piccola, o perlomeno da quando io e la mia famiglia ci eravamo trasferiti negli Stati Uniti d’America seguendo il grande sogno americano di mio padre, ero convinta di quello che volevo fare: guardavo con ammirazione tutti i presentatori che intervistavano le star che amavo e volevo essere lì, al loro posto, volevo essere una presentatrice! Sogno ancora il mio programma televisivo personale, ma per il momento (da ormai otto anni in realtà, ma le cose devono essere fatte con calma, o almeno così continua a ripetermi mia madre) mi limito a fare l’intervistatrice.  Partecipo a tantissimi tour promozionali di ogni tipologia di film o serie tv, intervistando i loro protagonisti, e da qualche anno anche ad eventi molto più importanti come i Golden Globes, i BAFTA, gli Oscar. Un sogno, per me! Mi piace essere presente perché amo il mio lavoro, e mi sento tranquilla perché so che nessuno si soffermerà a guardare me, quando ho di fronte l’attore o l’attrice di turno. È come essere un piccolo fantasmino che regge il microfono e pone domande, senza che però nessuno si renda davvero conto di come sei vestita, truccata, se i tuoi capelli hanno una piega decente o no, troppo concentrati a chiedersi tutto questo guardando Angelina Jolie o Gary Oldman.

Stasera, però, sarà diverso. Non sono una delle tante intervistatrici fantasma presenti ai Golden Globes; io sono un’ospite. Sono il “+1” di un attore il cui film è nominato in moltissime categorie: il mio ragazzo, che dopo quasi due anni in cui stiamo insieme mi ha chiesto, per la prima volta seriamente, di accompagnarlo a questo evento, davanti al mondo. 

E pensare che tutto questo è iniziato per colpa di un cavallo.

 

Due anni prima, più o meno, mi trovavo a Central Park per una passeggiata mattutina (uno dei tanti buoni propositi del nuovo anno iniziato da neanche quattro mesi e che ovviamente di lì a poco sarebbe finito in malora) ed ero solita camminare con le cuffiette collegate al cellulare, la musica impostata casualmente, e fra le mani la mia fidata Moleskine in cui scrivevo le idee per le interviste future. Ne avevo una abbastanza importante quello stesso pomeriggio presto, quindi ero davvero concentrata ed attenta a rileggere che le mie domande avessero un senso logico e che alcune fossero anche divertenti e diverse dalle solite. La mia concentrazione rivolta verso quelle pagine ed i Muse che cantavano a voce abbastanza elevata direttamente nelle mie orecchie, non mi fecero risvegliare i sensi verso il pericolo in cui stavo per imbattermi.

Successe tutto all’improvviso e velocemente: sentii una presa fortissima intorno alla vita ed una spinta forte che mi fece perdere l’equilibrio. Inciampai sui miei stessi piedi, pensando di stare per cadere, ma due mani forti mi presero per le braccia e finii letteralmente sbattuta contro il petto di qualcuno. Avendo alzato finalmente gli occhi, notai che un cavallo bianco – sì, un cavallo bianco – correva all’impazzata, scalciando e nitrendo, mentre due uomini lo rincorrevano a loro volta ed urlavano a tutti di spostarsi dal percorso al centro del parco. Mentre i Muse risuonavano ancora nelle mie orecchie e la mia testa cominciava a farsi domande del tipo “Cosa diavolo ci fa un cavallo bianco a Central Park?” o “Ma stavo per morire travolta da un cavallo impazzito?!”, voltai lo sguardo verso il mio salvatore, che a quanto pare mi stava anche parlando, dopo aver lasciato la presa.

Non ci potevo credere. Sebastian Stan – sì, quel Sebastian Stan - era lì davanti a me, sudato, con l’affanno, gesticolante e visibilmente preoccupato. Sapevo ed ero convinta fosse lui perché lo avevo intervistato altre volte, lo conoscevo, e perché ero comunque una fan dei film del MCU. Non riuscivo comunque a credere che fosse davvero lì, ad un passo da me, e che mi avesse appena salvata.

Mi tolsi, finalmente e con una lentezza disarmante, le cuffie dalle orecchie, ascoltando la sua voce che fino a un secondo prima era stata coperta dalla musica.

«Stai bene?» domandò, come prima cosa, poggiando lievemente la mano sulla mia spalla.

Annuii, in silenzio. Dovevo avere davvero una faccia allucinata e spaventata perché me lo domandò di nuovo. «Sicura? Stai bene?»

«Sì, giuro» risposi con un filo di voce, annuendo ancora.

Sebastian prese un lungo respiro, sospirando sollevato. «Vuoi che chiami qualcuno? Ti porto in ospedale?»

«No, no. Sto bene, davvero»

Il suo respiro cominciò ad essere più regolare, il mio non tanto. «Oh, Dio. Temevo che quel cavallo ti finisse addosso!»

Scossi la testa. «Mi dispiace, io non ho sentito nulla»

«Me ne sono accorto» rispose sorridendomi. Ero rimasta già affascinata dal suo sorriso durante le interviste, ma quella volta era decisamente diverso. «Cosa c’è su quel quadernetto di così importante?» domandò infine, indicando con un lieve cenno del capo qualcosa dietro di me. 

In tutto quel trambusto non mi ero neanche resa conto di aver fatto cadere la Moleskine. Mi volta di scatto, forse troppo velocemente, quasi fino a perdere, di nuovo, l’equilibrio. 

«Sto bene» lo precedetti, prima che potesse chiedermi per l’ennesima volta la stessa cosa. Era una bugia, ovviamente. Non stavo per niente bene. Mi chinai per raccogliere la mia Moleskineche era rimasta illesa ma leggermente sporca. La richiusi e me la strinsi al petto. «Cose di lavoro» esclamai, rispondendo alla sua domanda.

Lui annuì, guardandomi ancora con aria incerta. 

«Ti ringrazio per … ehm» gesticolai indicando me, la strada, il parco, lui. Odiavo rimanere senza parole, ed era il motivo per cui scrivevo tutto su quella benedetta agendina.

«Figurati. Ho provato ad avvisarti anche io ma non hai sentito nulla»

«Non alzerò mai più il volume così alto»

Sorrise di nuovo. «No, non farlo. Mi spiace se ti ho fatto male»

Corrugai la fronte.

«Ho corso per raggiungerti e forse ti ho stretta troppo, cercando di farti allontanare dal percorso»

Mi affrettai a scuotere il capo. «No, no. Non ho male, davvero»

«Bene»

«Non so come ringraziarti»

Fece di no con la testa. «Mi basta sapere che stai bene. Se non vuoi passare dall’ospedale, magari vai a riposare»

Annuii. «Certo, sì»

«Abiti qui vicino? Vuoi che ti accompagni?»

La domanda mi spiazzò e probabilmente Sebastian se ne accorse, aggiungendo subito dopo: «Giuro che non sono un maniaco» ed alzando le braccia.

Gli sorrisi, non riuscendo a trattenermi. «Non abito lontano, posso farcela».

Annuì, puntandomi contro l’indice, mentre cominciava ad allontanarsi. «Ma non usare più le cuffiette con un volume così alto!»

Risi un po’, imbarazzata come poche volte mi era mai successo. «Mai più. Grazie»

«Di niente. Ci vediamo in giro!» mi salutò con un gesto della mano, voltandosi e ricominciando a correre come probabilmente stava facendo prima di dovermi salvare da quella situazione paradossale.

Tirai un lunghissimo respiro, cercando di capire tutto quello che mi era successo fino a quel momento: ero stata quasi travolta da un cavallo bianco (e continuavo a chiedermi cosa diavolo ci facesse lì e perché fosse impazzito), avevo quasi perso le domande dell’intervista che avrei fatto poche ore più tardi ed ero stata salvata da Sebastian Stan, che avrei intervistato poche ore più tardi. 

Oh, santissimo cielo.

 

Tornai a casa, nel mio piccolo appartamento, ancora incredula e con la testa che mi girava per quello che mi era capitato. Mai avrei pensato che una cosa del genere potesse accadermi. Cominciai anche a preoccuparmi dell’intervista che avrei dovuto fare a Sebastian ed a Anthony Mackie (suo collega nel film in uscita) solamente poche ore dopo. Chiamai una mia collega e amica, raccontandole quello che mi era successo: dopo un po’ di sgomento e risate, mi tranquillizzò dicendo che la maggior parte degli attori non ricorda mai i nostri volti, quindi probabilmente Sebastian non avrebbe associato il mio viso a quello della povera ragazza in tuta, stordita, che proteggeva un’agenda come se fosso d’oro.

No, non si sarebbe ricordato di me. 

Continuai a ripetermi quella frase per tutta la mattina, mentre mi preparavo cercando di rendermi presentabile e professionale, durante il mio tragitto in metro, durante il quale consumai anche un panino al volo, e fino al mio arrivo, poco dopo l’ora di pranzo, al luogo dell’intervista.

Sebastian ed Anthony erano seduti uno a fianco all’altro in una camera in disparte, dietro di loro il poster del film, mentre facevano la terza intervista della giornata con un ragazzo, al quale sarei succeduta io.

Feci molti lunghi respiri, prima di poter avere il permesso di entrare. Passarono circa cinque minuti dalla fine dell’intervista precedente quando il responsabile mi disse che potevo entrare. Mi tremavano le ginocchia, e prima di quel momento mi era successo solo quando dovetti intervistare Anthony Hopkins e Meryl Streep.

Non si ricorderà di te Non si ricorderà di te Non si ricorderà di te

Purtroppo, invece, l’espressione di Sebastian non appena varcai la soglia e mi avvicinai agli attori fu alquanto eloquente: si era decisamente ricordato di me.

«Tu!» esclamò, sorridendo lievemente e corrugando la fronte.Notai che si era tagliato la barba e che i capelli medio-lunghi erano stati ben pettinati, mentre Anthony si voltava confuso verso di lui.

«Sei tu, non è vero?» domandò Sebastian.

Mi limitai ad annuire sorridendo imbarazzata, mentre mi sedevo di fronte a loro. 

«Dovremmo conoscerla? Io sono una frana a ricordare i volti, perdonami»

«No, no» mi affrettai a rispondere. 

«Ci siamo incontrati stamattina. Anzi, scontrati» spiegò Sebastian, indicandomi.

Ero davvero imbarazzata e non sapevo come replicare. Gli sorrisi, prendendo dalla borsa la mia Moleskine. Mi costrinsi ad essere professionale. «Beh, vi ringrazio per essere qui e per avermi concesso questa intervista…» cominciai, ma fui interrotta dall’attore.

«No, aspetta. Quell’agenda! Sei un’intervistatrice?»

Annuii, mentre lui scuoteva lievemente il capo non smettendo di sorridere. «Ci sono domande per me lì dentro?»

«Per voi» lo corressi, indicando entrambi gli attori.

«Giusto» fece una risata, spostando velocemente lo sguardo da Anthony a me. «Ehi, possiamo iniziare fra due minuti? Devo raccontarti del cavallo!»

«Cavallo?!» domandò Anthony, con gli occhi sbarrati. «Questa la voglio sentire»

«Possiamo?» mi chiese ancora.

«Certo. Stanno registrando, ma eviterò di mettere online questa parte» in modo che il mondo non sappia della mia più grande figuraccia.

Senza aspettare altro, Sebastian raccontò tutta la vicenda ad Anthony che, giustamente, non sapeva se ridere o provare - probabilmente - pietà per me. «Quando sono arrivato all’uscita, ho incontrato di nuovo i due signori con il cavallo bianco!» esclamò l’attore, sorridendomi. «Era lì per delle foto per un matrimonio che ci sarebbe stato poco dopo, a quanto pare la sposa voleva foto da principessa, con carrozza e, ovviamente, cavalli bianchi. Però uno di loro, quello che ti è quasi finito addosso, è stato spaventato da un bambino ed è fuggito via. Ovviamente i due uomini si sono scusati con tutti e credo stessero anche avvisando gli sposi, ma non so come sia andata a finire» terminò, allargando le braccia.

Quindi, pensai, stavo per essere travolta da un cavallo bianco solo perché una sposa voleva delle foto da principessa Disney degli anni ’50? Benissimo.

«Che storia, amico!» esclamò Anthony. «Mai sentita una cosa del genere!»

«Lo so, meno male che è andato tutto bene»

«Decisamente» risposi, sperando che le mie guance stessero mantenendo un colorito normale.

Sebastian sembrò accorgersi del mio imbarazzo. «Possiamo iniziare, ora, se vuoi»

«Sì, sì, assolutamente»

E così facemmo. Fu un’intervista di circa quindici minuti, durante la quale mi sentii più rilassata ed a mio agio, nonostante notassi che spesso gli occhi chiari di Sebastian si posavano sui miei, per poi fermarsi sulle mie labbra o sulle mie mani che continuavano a stringere la Moleskine. Parlammo del loro film, dei personaggi, e di come si sentivano una volta arrivati a quel punto nel mondo Marvel; furono molto gentili, simpatici e modesti. Quando terminai le domande, li ringraziai e salutai entrambi con una stretta di mano, rimanendo il più professionale possibile.

Andandomene, non mi voltai di nuovo, non feci altro se non camminare svelta verso l’uscita. In realtà, non vedevo l’ora di andarmene a casa. 

La giornata terminò in maniera normale, come ogni altra. Cercai di non pensare più a quello che era successo, soprattutto perché non avrei rivisto Sebastian probabilmente per un po’, e quindi lui si sarebbe sicuramente dimenticato del mio viso. Era stato molto gentile ed ero certa che non avrei scordato facilmente il suo sorriso ed i suoi occhi che indugiavano nei miei, però non potevo di certo prendermi una cotta per un attore famoso e con cui mi capitava di lavorare, sebbene solo ogni tanto.

Mentre cenavo, quello stesso giorno, il cellulare cominciò a squillare mostrandomi un numero che non conoscevo. Poco male, ero solita rispondere a tutti visto che poteva trattarsi di lavoro. Mi affrettai a terminare il boccone e risposi.

«Pronto?»

«Mia?»

«Sì?» 

«Ciao! Ti sembrerà un po’ strano ma, ecco… sono Sebastian»

Cosa. «Sebastian?»

«Sì, il ragazzo di stamattina, ed anche di oggi pomeriggio in realtà» lo sentii ridere.

«Sì, sì, so chi sei» so benissimo chi sei.

«Ok, ascolta. Giuro che è la prima volta che faccio una cosa del genere e probabilmente me ne pentirò perché tu mi manderai a quel paese. Ma ho chiesto il tuo numero oggi, dopo che sei andata via, per sentirti di nuovo»

«Ah» ero letteralmente spiazzata e senza parole.

«Ti starai domandando il motivo»

Mi sto domandando molte cose. «Mh-mh»

Lo sentii sospirare. «È che ho pensato… oh, Dio, per prima cosa dimmi che non ti sto spaventando. Mi rendo conto che posso sembrare un pazzo» 

Risi un po’, sia per il nervoso sia perché effettivamente non era un comportamento da considerare propriamente normale. «No, tranquillo. Sono solo confusa»

Rise anche lui. «Ok, bene, dicevo… è che ho pensato che è stato strano oggi, no? Prima al parco, quella situazione quasi surreale, e poi l’intervista, solo poche ore più tardi. Stavo continuando a chiedermi se quella ragazza con l’agenda stesse bene e poi ti ho rivista proprio davanti a me. Non prendermi per matto, sembra quasi che qualcosa ci abbia voluto far incontrare»

«Come un cavallo?»

Questa volta rise per davvero. «Stavo per dire il destino, ma il cavallo va bene» continuò a ridacchiare per un po’, prima di riprendere il discorso. «Ecco, mi domandavo se avessi da fare domani. Potremmo andare a mangiare qualcosa, o al cinema» esclamò, tutto d’un fiato, lasciandomi ancora una volta spiazzata e senza parole. 

Io, a cena o al cinema con Sebastian Stan? Potevo farlo? Mi era permesso? E se me lo avesse chiesto solo per pena? E se fosse andata male? Se fossi stata la solita imbranata di sempre? E se avesse capito che in realtà il destino voleva solo farmi fare l’ennesima figuraccia e non di certo farci incontrare? E se mi avesse odiato e poi avessimo dovuto fare altre interviste insieme?

… oh, al diavolo.

«No, non ho impegni». 

Giuro che lo sentii sorridere.

 

Ed eccoci qua, quasi due anni dopo, in una macchina di lusso che si sta per fermare e farci scendere verso il red carpet dei Golden Globes. Eccomi, con indosso un abito nero meraviglioso che costa quanto un mio stipendio e mezzo e di cui sicuramente sbaglierò la pronuncia dello stilista. Sto per essere di fronte a non so quante macchine fotografiche e videocamere che potranno riprendere ed immortalare per sempre ogni mio piccolo movimento, anche quello più goffo. Probabilmente accanto a tutte quelle attrici meravigliose sembrerò un sacco di patate e tremerò come una foglia per ogni singola domanda che mi porranno.

Mentre guardo fuori dal finestrino, sento la mano di Sebastian sfiorare la mia. «Ehi».

Mi volto e lo guardo, rimanendo quasi abbagliata. Stasera è bellissimo; non che non lo sia tutti i giorni ed in ogni possibile situazione, ma questa sera si è davvero superato. È felice, glielo si legge nel luccichio degli occhi chiarissimi che si ritrova. Non è spaventato come me, ma è ansioso di vivere un evento così importante per la prima volta con me. «Stai bene?» mi domanda, sorridendo, ed io ricordo improvvisamente tutti i nostri discorsi, tutte le cose meravigliose che mi ha detto negli ultimi due anni e quanto è stato contento quando gli ho detto che lo avrei accompagnato, oggi. Ricordo le sue promesse ed i suoi consigli da red carpet, di quando mi ha detto che non mi avrebbe lasciata sola. 

Improvvisamente tutte le mie ansie svaniscono.

«Sto benissimo».

 

  
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