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Autore: Riddle_me_this    06/03/2018    0 recensioni
Questo è un ''missing moment'', un monologo, che parla di quello che è successo a Lee Thompkins durante la permanenza di James Gordon in prigione,e di come lei abbia perso il loro bambino.
I feedback sono ben accetti, critiche e complimenti aiutano a crescere.
Grazie mille!
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jim Gordon, Leslie Thompkins
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il paesaggio di Atlanta le scorreva davanti agli occhi dalla finestra del treno, bello come una cartolina.
Tutto un altro panorama da Gotham.
Già, Gotham..
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva visto lo skyline della città?
Settimane? Mesi? 
Sicuramente aveva perso il conto, ma non riusciva a dimenticare, quello no.
Come avrebbe mai potuto dimenticare Jim?
L'uomo che amava e che si trovava in prigione per un crimine che non aveva commesso?
Si, perchè lei lo vedeva come un uomo innocente, e probabilmente era l'unica a farlo.
L'unica, insieme a Bullock.
All'inizio aveva provato più volte a parlare con Jim, ma ogni volta veniva mandata via con un semplice ''non accetta visite, madame'', e lei si ritrovava di nuovo a piangere.
Ma non era sola, oh no, c'era una parte di Jim sempre con lei.
Abbassò lo sguardo sul proprio pancione, ormai decisamente evidente, ed iniziò delicatamente ad accarezzarlo, sfiorandolo a malapena da sopra i vestiti, quasi per paura che potesse romperlo.
Il suo bambino. Il loro bambino.
Già, era un maschietto, ed era proprio a causa sua che era uscita di casa quella mattina.
Doveva sapere come stava, se era fuori pericolo, e la dottoressa l'aveva rassicurata.

''E' un sanissimo maschietto, Lee.
Non preoccuparti, va bene? 
Rilassati, riposati il più possibile, ed andrà tutto benissimo.''

Così le aveva detto la dottoressa Stone, cercando di rassicurarla, eppure, eppure qualcosa non andava.
Quelle fitte non erano diminuite e l'intensità del dolore era rimasta costante, ma dopotutto la ginecologa era lei, no?
Continuò ad accarezzarsi la pancia e poi la voce gracchiante, proveniente dall'altoparlante, la riportò con i piedi per terra.
Si alzò con cautela dal proprio posto, e scese dal treno, stringendosi nel cappotto e cercando riparo dal vento che si era appena alzato.
A passo lento e cadenzato si diresse all'uscita della stazione, dando distrattamente un'occhiata alle vetrine.
Un negozio per bambini, forse era ora di prendere una casa propria, di uscire da casa di sua sorella, eppure...eppure una parte di lei stava aspettando Jim.
Jim la sarebbe venuta a prendere, anzi, li sarebbe venuti a prendere entrambi.
Si toccò nuovamente la pancia e scrutò attentamente la vetrina, con un sorriso dipinto sulle labbra.
Beh dopotutto nella stanza degli ospiti c'era posto per un lettino, no?

E fu così che nel giro di poche ore si ritrovò finalmente a casa, piena di sacchetti contenenti vestiti, giocattoli, ed accessori per neonati.
Forse aveva esagerato, forse si era lasciata prendere troppo la mano, ma era felice, anche se sapeva che quella felicità non sarebbe durata.
Viveva a casa di sua sorella, nella stanza degli ospiti, aveva persino un lavoro in una clinica privata, però..mancava qualcosa. Jim.
Janet era stata così gentile da ospitarla dopo l'arresto di Jim, ma purtroppo ultimamente i suoi orari alla caffetteria non le permettevano di vederla come prima.
Era un vero peccato, le mancava da morire, ma almeno riuscivano a vedersi la mattina, per un the e quattro chiacchiere, prima che entrambe tornassero alle loro vite di tutti i giorni.
Era una specie di momento di pausa, un momento solo loro, che Lee apprezzava immensamente.
Scostò una ciocca di capelli dal viso e si sporse a guardare il contenuto delle buste.
Doveva decisamente trovare un posto per tutto, quello si che sarebbe stato arduo.
Poggiò le mani sulla schiena, affaticata per la gravidanza, e dopo un attimo di crisi iniziò a mettere tutto a posto.
Certo non si sarebbe dovuta sforzare, ma quello non era un vero e proprio sforzo, non dal suo punto di vista almeno.
Tutto a posto. Tutto silenzioso. Troppo silenzioso.
Iniziava ad avere fame, forse un po' troppa, ma anche quello era normale.
Un calcio.
Sorrise, accarezzando la pancia ed iniziando a preparare la cena.
Un'insalata sarebbe andata benissimo, magari con dell'avocado e dei cetriolini, e uh, le fragole.
Alla fine della cena si sentì decisamente meglio; la sua pancia era piena e della dolce musica classica riempiva le stanze della casa.
Relax. Consiglio della dottoressa.
Andò a stendersi sul proprio letto e riprese a scrivere.
Già, scriveva ogni sera a Jim, lunghe, lunghissime lettere in cui gli descriveva le proprie giornate, in cui gli parlava del bambino, con tanto di foto, ed alla fine di ogni settimana andava a spedirle tutte.
Mai una risposta. Mai nulla. Eppure ci sperava ancora.
Ricordava benissimo le sue parole, lei doveva andare avanti, ma non ne aveva la minima intenzione.
Voleva e doveva lottare per la salvezza di Jim, perchè lui era innocente e lo sapeva.
Eppure una parte di lei lo odiava, lo odiava perchè si sarebbe perso i primi passi del loro bambino, le sbucciature, la prima parola, il primo giorno di scuola..ogni cosa, solo per stupido orgoglio.
Eppure...eppure lo amava anche per quello.
Amava la sua tenacia, la sua forza d'animo, la sua voglia costante di lottare per ciò che era giusto, per i più deboli, e forse era per questo che erano perfetti insieme.
Lei, in parte, lo completava.
Erano due facce della stessa medaglia.
Un altro calcio. Più forte.
Sussultò appena, accarezzandosi la pancia distrattamente e smettendo per un attimo di scrivere la lettera per Jim.

«Frank James Gordon, qui qualcuno vuole attenzioni, vedo.
Ma come siamo burberi staser--ahi..»

Un altro calcio. Ancora più forte.
Sobbalzò nuovamente e si mise a sedere sul letto, tenendo le mani sulla pancia e lasciando cadere la lettera sul pavimento.
Un altro calcio. Un altro. Un altro. U N A L T R O.
E presto realizzò.
Non erano calci, erano crampi.
Non potevano essere contrazioni però, oh no, era troppo presto, troppo presto, non era pronta.
Jim non c'era. Janet non c'era. Era da sola.
Sola nel momento più felice della sua vita.
Un altro crampo.
Strinse con forza la mano sinistra, portando la destra ad accarezzarsi la pancia.
Respirare lentamente non servì a nulla, anzi, peggiorò la situazione.
I crampi erano sempre più forti, sempre più forti....poi la pace.
Qualcosa dal colore cremisi attirò la sua attenzione.
Spostò lo sguardo verso la lettera per Jim, che era a terra, vicino ai suoi piedi, ed il suo cuore smise di battere.
Sangue. 
Non era una perdita normale, non era una piccola perdita, no, Lee era consapevole che qualcosa non andava.
Le goccioline iniziarono velocemente a ricoprire la lettera, macchiandola indelebilmente e le forze le vennero a mancare.
In un istante cadde sul pavimento, inerme, lo sguardo vuoto, spento, e le lacrime ad incorniciarle le guance.
Non c'era più. Andato. Perso per sempre. Il suo bambino, così come il suo Jim.
Lo stress l'aveva tradita, lo aveva ucciso.
Si trascinò a forza sul letto, contorcendosi dal dolore, sentendosi svuotata.
In quel momento desiderò morire, desiderò raggiungere il bambino che tanto aveva amato e che tanto facilmente aveva perso.
In un attimo, quel bel sogno, si era dissolto come nebbia.
Strinse a sé il cuscino, impregnandolo di sangue e lacrime, e dopo ore ed ore finalmente riuscì ad addormentarsi.
Un sonno senza sogni. Senza pace. 
Jim non c'era. Janet non c'era. Era da sola.
Sola nel momento più brutto della sua vita.

   
 
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