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Autore: Stardust87    06/03/2018    10 recensioni
“Non è la carne e il sangue,
ma il cuore che ci rende padre e figli”
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Father and Son
 
 
 






“Non è la carne e il sangue,
ma il cuore che ci rende padre e figli”
 
Friedrich Schiller
 
 





<< ‘Apà, ‘ola! >>

Inuyasha osservò attentamente il figlio sgambettare tra l’erba alta, gialla e secca. I sottili fili erbosi si ergevano, sospinti da una leggera brezza, in posizione laterale, quasi si inchinassero ai raggi tiepidi di quel sole autunnale.

Il piccolo Ryu si muoveva barcollante sulle sue gambine instabili e un po’ grassocce, fasciate in una felpata tutina azzurra, dono dei parenti di Kagome. Tra le mani il piccolo stringeva un aeroplanino costruito da sua moglie con un foglio bianco strappato da un quaderno, che la ragazza teneva sempre nella borsa. Quel pomeriggio la temperatura esterna era ancora gradevole e Kagome aveva proposto a Inuyasha di portare il piccolo fuori a giocare, mentre lei si occupava di preparare la cena. Poi, come se si fosse improvvisamente illuminata, aveva tirato fuori quel taccuino e lui l’aveva osservata attentamente piegare la carta in modo preciso e accurato, con i lunghi capelli neri che le ricadevano dolcemente sul viso.
L’aveva vista socchiudere gli occhi e stringere le labbra, passando meticolosamente le dita umide di saliva sulle varie pieghe. Ancora incredulo, il mezzo demone aveva visto sorgere davanti ai suoi occhi stupiti e meravigliati, quello strano oggetto dalle piccole ali che, a detta della ragazza, grazie all’aiuto del vento avrebbe dovuto volare. Una volta terminato, lui l’aveva preso e rimirato solo per pochi istanti, rigirandoselo tra le mani prima che suo figlio glielo strappasse con foga. Kagome si era precipitata a recuperarlo prima che il bambino lo distruggesse e gli aveva spiegato dolcemente che per usarlo per bene avrebbero dovuto utilizzarlo all’aperto.
Ryu l’aveva ascoltata con particolare attenzione ripetendo, a modo suo, ogni parola detta dalla sua mamma mentre fissava, con meraviglia e impazienza, quel nuovo gioco che voleva e doveva assolutamente provare. La giovane aveva affidato proprio a Inuyasha il compito di andare fuori e aiutare il loro figlio a far volare l’aeroplanino.

<< Non è difficile Inuyasha, lo devi solo lanciare con forza in avanti, puoi riuscirci anche tu! >> lo aveva canzonato Kagome strizzandogli l’occhio mentre gli porgeva figlio e gioco.

Lui aveva cercato di replicare, di sottrarsi a quello che sembrava solo uno stupido passatempo. Ma lo sguardo serio di Kagome, unito agli occhi speranzosi del figlio, non aveva accettato dinieghi.

E ora si ritrovava con il suo bambino di poco più di due anni, in quella grande distesa d’erba appassita dal caldo secco dell’estate appena passata, a cercare di far volare un semplice foglio di carta ripiegato. Sbuffò sonoramente osservando la forma a punta dell’estremità del giochino.

Davvero quel coso, secondo sua moglie, sarebbe stato in grado di volare?

<< ‘Apà, ‘ola! >>  ripeté suo figlio, avvicinandosi a lui per strattonargli con le piccole manine i pantaloni rossi della veste.

Le guance paffute gli si erano arrossate, forse a causa del vento, e i suoi occhioni dorati brillavano vivaci e inquieti. Erano i suoi occhi e aspettavano trepidanti di poter finalmente vedere il nuovo gioco in azione.

<< Ho capito, ho capito, un po’ di pazienza! >> sospirò Inuyasha, nascondendo però un sorriso compiaciuto.

Levò all’indietro il braccio facendolo poi scattare agilmente in avanti. L’aereo di carta si librò nell’aria, percorrendo una retta traiettoria immaginaria, svettò imperioso sul quel prato immenso, circondato da possenti alberi secolari. Volteggiò con grazia trasportato dal vento, sorvolando quella distesa dorata che si allargava sconfinato davanti al loro sguardo incantato.

<< Guarda come vola! >>  gli gridò eccitato il mezzo demone, non riuscendo a trattenere un sorriso.

Il piccolo strillò di gioia iniziando a correre goffamente dietro l’aereo, incespicando e rischiando continuamente di cadere. L’aereo danzava e oscillava in quella brezza, proiettando una piccola ombra sul campo.

<< ‘Ola, ‘ola! >>

I corti capelli neri scompigliati dal vento, il volto gioioso rivolto al cielo, gli occhioni spalancati che non riuscivano a staccarsi da quello stravagante oggetto, una manina alzata nella volontà - o nella speranza - di poterlo acchiappare.
Una morsa d’amore e d’orgoglio strinse il cuore di Inuyasha.

In quel bambino, suo figlio, rivedeva tanto di se stesso e tanto di Kagome. Entrambi erano la sua forza, ma sapeva che erano allo stesso tempo anche la sua più grande debolezza.

Sarebbe stato capace di essere un buon padre?

Lui che del concetto di famiglia sapeva così poco, talmente poco da esserne oltremodo spaventato. Lui che non aveva avuto né un padre né una madre, che era cresciuto da solo, allontanato da tutto e deriso da tutti, anche da colui che era suo fratello e quindi sangue del suo sangue. Quella ferita perennemente ed eternamente aperta segnava un solco dentro di lui, un abisso incolmabile, riempendolo di dubbi e certezze.

L’aeroplanino finì la sua corsa accasciandosi malamente poco più avanti, su una zolla di terra incolta.

Ryu, gorgheggiando con la sua miriade di parole incomprensibili, lo raggiunse, si piegò sulle gambette malferme e lo raccolse, voltandosi di scatto a guardare suo padre per mostrarglielo con orgoglio.

Inuyasha avvertì un tonfo all’altezza del petto: vedere quel faccino felice lo ripagò di qualsiasi dubbio avesse mai avuto.

Non aveva fatto niente, se non accompagnarlo a giocare in un prato con un semplice pezzo di carta.
Eppure, il modo in cui Ryu lo guardava lo faceva sentire come se fosse riuscito a compiere l’impresa più eroica di tutti i tempi. Nemmeno sconfiggere Naraku gli aveva fatto provare la stessa sensazione di appagamento e di orgoglio che gli dava suo figlio soltanto guardandolo.

“Non voglio deluderlo, né ora né mai” pensò determinato, mentre si avvicinava a lui con passo veloce.

Lo prese tra le braccia e se lo strinse al petto, aspirando il profumo dei suoi capelli appena lavati.  
Il respiro di suo padre gli solleticò il collo e Ryu prese a ridere così di gusto da lasciar cadere inavvertitamente l’aereo ormai spuntato dopo l’atterraggio.

<< Credo che la mamma possa fartene un altro >> gli mormorò dolcemente  all’orecchio, passandogli una mano dietro la schiena.

Si incamminò con il bambino in braccio verso la sua piccola ma accogliente casa, dove sapeva che Kagome li aspettava. Lei li avrebbe accolti con il suo solito, raggiante sorriso, il sorriso di chi riponeva in te la più grande ed estrema fiducia.

Nessun dubbio allora avrebbe più avuto importanza.

Era conscio del fatto che sua moglie in tutto quel tempo in cui erano stati insieme - o più precisamente da quando si erano conosciuti - lo aveva cambiato, ma era altrettanto consapevole che era stata la nascita di Ryu l’evento più sconvolgente e meraviglioso della sua vita.

Lo amava come non credeva possibile amare. Di un amore che faceva male, che metteva paura da quanto fosse profondo, che lo spaventava al punto da lasciarlo spesso insonne mentre era disteso nel letto insieme a Kagome, con un orecchio teso ad ascoltare il suo respiro regolarizzarsi nella piccola culla dove dormiva.

Fingere il contrario non gli sarebbe servito a niente.

Mentre il sole tramontava alle loro spalle, salutandoli in quella giornata che volgeva ormai al termine, la consapevolezza che suo figlio era il riflesso di se stesso e di quello che avrebbe tanto voluto essere, gli allietò il cuore.

 
 
 




“Sorrise come facciamo tutti
quando veniamo colti
di sorpresa dalla felicità”
 
Stephen King, La Torre Nera
  
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