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Autore: DomenicaSalatino    07/03/2018    0 recensioni
Il regno di Amrat è in lutto per la morte dell'imperatore. Ad ovest intanto, il sovrano del regno di Algol si preoccupa chiedendosi cosa succederà ora che l'imperatrice Ananta è più debole che mai.
I popoli selvaggi del sud, che cercano di riconquistare le terre che gli furono sottratte molti secoli prima, minacciano il precario equilibrio delle forze in gioco.
In un mondo in cui, il potere sembra essere la sola cosa davvero tangibile, una bambina, la principessa, dovrà imparare a crescere diventando donna e regnante di un impero in pieno caos, che rischia di dimenticarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le campane avevano annunciato a tutti la morte dell’imperatore Nun il giorno prima. Da allora avevano continuato a suonare ad intervalli regolari, scandendo la tristezza che avrebbe dovuto pervadere l’intera popolazione di Amrat.
In realtà solo poche persone avrebbero davvero sofferto per quella perdita; alcune di esse se le era lasciate alle spalle quella notte, prima che l’alba si affacciasse, quando era salito a cavallo per intraprendere la strada verso il castello. Era stato uno dei primi a ricevere la notizia, giunta con una civetta messaggera.
Era stata solo questione di tempo. Erano giorni che attendeva quell’annuncio. Aveva capito molto tempo prima che non vi era più nulla da fare per suo fratello Nun. La consapevolezza era giunta il giorno in cui era entrato nelle sue stanze e lo aveva visto disteso nel letto, la pelle tirata sulle ossa del volto, incosciente e incapace anche solo di emettere un lamento di dolore.
L’imperatrice era seduta poco lontano, lo sguardo fisso su quel volto irriconoscibile; gli aveva rivolto solo un secco gesto del capo. Si era avvicinato al letto e aveva preso la mano di suo fratello; un arto privo di forze e quasi inanimato, freddo come gli inverni di Glasil, già morto.
Aveva subito inviato un messaggio a suo padre Ephram affinché iniziasse a preparare sua madre. Lei era una di quelle che stava soffrendo per quella perdita. Il primo rintocco di campane, il giorno prima, l’aveva colta impreparata, seppur non totalmente all’oscuro della triste notizia, ed aveva avuto un mancamento. Per quella ragione erano rimasti ad assisterla sua moglie Gali e suo padre. Solo lui sarebbe giunto a palazzo in rappresentanza della sua casa; la casa dei Talel.
Zohar Talel era il secondo figlio maschio di Ephram Shiloh e Eliora Talel. La famiglia era composta da loro due, più tre figli maschi: Nun, lo stesso Zohar e il figlio minore Jethro. Come consuetudine nel regno di Amrat, aveva ereditato il nome della casa materna e sarebbe morto con loro, visto che erano tre maschi. Infatti, nella loro famiglia, non vi era nessuna oscura e remota parente femminile che avrebbe potuto trasmetterlo alle generazioni successive.
Il cavallo procedeva a passo lento ma sicuro sulle pietre della strada che conduceva al Borgo. Si fermò presso le mura il tempo necessario a rivolgere un distratto cenno del capo alle guardie poste davanti alle porte aperte. Esse avevano il compito di controllare chiunque oltrepassasse quelle mura e assicurarsi del motivo per cui fossero lì. Come se ce ne fosse bisogno.
Invariabilmente la risposta di quella giornata era soltanto una: dalle case più importanti e nobili, ai contadini più sconosciuti, tutti erano lì per testimoniare la loro vicinanza alla casa regnante, sicuri che non sarebbero mai stati ammessi nella sala del trono. Ma, quanto meno, avrebbero potuto dire di esserci stati.
Le guardie ricambiarono il suo saluto e lo fecero passare senza chiedergli niente. Tutti conoscevano la sua identità. Ma anche se non avessero riconosciuto il suo volto, il mantello di pelliccia viola con il simbolo della sua casa bastava per renderlo quello che era.
Appena superate le mura che proteggevano il Borgo, imboccò la via più ampia, quella che portava direttamente al castello. Il suo cavallo conosceva bene quella strada avendola percorsa molte volte soprattutto negli ultimi mesi e non aveva neanche bisogno della sua guida per prendere la direzione giusta. Questo gli diede modo di osservare ciò che lo circondava.
Ogni uomo, donna e bambino che viveva nel Borgo di Amrat sapeva che lui era il fratello dell’imperatore. Molti lo sbirciavano appena, alcuni distoglievano addirittura lo sguardo, come se si aspettassero che facesse qualcosa di strano o insensato. In verità si sentiva un estraneo, come se la pelle che lo ospitava non fosse la sua, o comunque quel giorno gli appartenesse meno del solito. La morte di suo fratello non avrebbe affatto cambiato la sua esistenza. Essendo maschio non poteva ereditare nessun titolo o ricevere benefici da quella perdita, avrebbe semplicemente continuato a dirigere la tenuta di famiglia, l’antica casa dei Talel, che si trovava ad Andro.
Volse lo sguardo in alto, verso le imponenti mura del castello. Sulle torri, che le intervallavano, erano stati stesi drappi neri, al posto di quelli purpurei che sempre le adornavano e che erano il simbolo delle case regnanti. Sui camminamenti che collegavano una torre e l’altra, passeggiavano delle guardie che potevano in tal modo controllare la situazione dall’alto.
Il castello di Amrat, edificato quasi cinquecento anni prima, per volere dell’imperatrice Anon, era una costruzione magnifica, imponente ed elegante al tempo stesso. Era stata eretta su una collina per dominare il territorio circostante, munita di una cinta di mura per proteggerla. Attorno ad essa si era sviluppata una sorta di piccola città che provvedeva ai bisogni più immediati degli abitanti del castello. Con il tempo, il piccolo agglomerato di case si era esteso fino a diventare un Borgo vero e proprio e ad avere bisogno a propria volta di una cinta di mura che lo proteggesse. In quel Borgo vivevano artigiani e lavoranti di ogni tipo, ma nessuna casa nobile; come se l’ingombrante presenza, a poca distanza della casa regnante, avesse reso quel posto troppo piccolo per altre famiglie importanti.
Giunto nel cortile interno del castello, scese da cavallo con un abile balzo. Subito un giovane stalliere lo affiancò per prendere il suo stallone della valle e occuparsene.
Non lo degnò neanche di un cenno, concentrato com’era nell’osservare il portone della grande dimora. Sembrava volesse perforare quelle antiche pietre, penetrare dentro, per vedere cosa, o meglio, chi ci fosse all’interno.
Qualcuno avrebbe avuto il coraggio di avvicinarglisi per proporgli dubbie alleanze o semplicemente per accattivarsi la sua simpatia in qualche modo?
Sperava che almeno quel giorno lo lasciassero in pace, in fondo, alcuni avevano già fatto le loro mosse, presentandosi da lui, appena ricevuta la notizia della malattia di Nun. Tutti avvoltoi pronti a contendersi i resti di un pasto che poteva rivelarsi avvelenato.
Salì i gradini ignorando chiunque cercasse anche solo il suo sguardo. Superati gli immensi portali lignei, fu accolto dal penetrante odore di incenso, emanato da grossi bracieri strategicamente incassati in alcune nicchie delle mura. Candele nere bruciavano ovunque cercando di illuminare, con scarso successo, quella grigia giornata invernale. Percorse con passo marziale i lunghi corridoi che portavano alla sala del trono, sapendo che era là che avrebbe trovato l’imperatrice Ananta.
Nella sala erano già presenti molti altri volti noti, alcuni nella balconata inferiore, altri sparsi per la stanza in attesa che l’imperatrice li degnasse della loro presenza. Sulla balconata destra riconobbe Lady Fiorluna, della casa degli Oded, una donna bella ed elegante con un abito blu scuro, perfetto per quella giornata di lutto, ma anche per ricordare a tutti i colori della sua casa. Nirit Oded, infatti, proveniva da una famiglia nobile che aveva acquisito prestigio solo negli ultimi centocinquant’anni grazie alla produzione dei fiori della luna; da qui il bizzarro soprannome. Come api sul miele, era circondata da altri nobili, uomini e donne, con meno potere e prestigio, probabilmente pronti a cercare di ottenere i suoi favori.
Due colonne dopo, c’erano le sorelle Merton, Karmia e Talia, due donne che avevano deciso di non sposarsi e i cui cuori si diceva fossero freddi come le terre da cui provenivano. Non parlavano con nessuno, si limitavano semplicemente a tenere gli occhi puntati sul seggio reale come se in quel modo potessero far apparire l’imperatrice Ananta.
«Fratello», lo chiamò qualcuno alle sue spalle, e lui sussultò, come se non si fosse più aspettato di poter udire ancora quell’appellativo, ora che Nun era morto.
Nell’angolo sinistro dell’imponente sala, quasi nascosto da una colonna, stava suo fratello Jethro. Indossava il mantello amaranto, che lo qualificava come Capo delle guardie del Borgo, segno che la sua fedeltà andava all’imperatrice quasi più che alla sua casa natale. Fece alcuni passi nella sua direzione, ma rallentò quando vide l’uomo che lo affiancava. Era parzialmente nascosto da una colonna. Ma quegli occhi verdi sotto le palpebre pesanti, erano facilmente riconoscibili. Jeremiah Elraz, marito di Elda Yiftach, casa nobile di Drama.
Strinse i pugni, lasciando che le unghie penetrassero nella carne dei palmi, per soffocare sul nascere l’odio che provava per quell’avido uomo. Quando fu loro vicino, niente trasparì dai suoi gesti. Ignorando l’altro uomo osservò suo fratello, mentre lui faceva lo stesso. Jethro aveva gli stessi occhi chiari di Nun e i capelli castani sempre un po’ spettinati. Al contrario di lui, che considerava la serietà quasi un’arte, il più piccolo dei fratelli Talel rideva spesso e quando lo faceva gli si formava una fossetta sulla guancia sinistra. Era più basso di lui di qualche centimetro e per questo non gli andava mai troppo vicino, per non essere costretto a sollevare la testa per guardarlo.
Erano diversi quasi quanto il giorno e la notte, come lo erano stati anche dal loro fratello maggiore. Sembrava quasi che la loro madre si fosse divertita a dare alla luce personalità tanto diverse per dare al mondo più varietà possibili di caratteri.
Fu di nuovo Jethro a rompere il silenzio calato tra loro.
«Sei venuto da solo», esclamò, anche se non era una vera e propria domanda.
«Mi pare ovvio che nostra madre non fosse in grado di essere presente», spiegò duro.
«Come avrebbe potuto! L’unica volta che il suo figlio preferito l’ha delusa, morendo senza salutarla, doveva pur mostrare il suo disappunto in qualche modo».
Quel tono, del tutto fuori luogo, era tipico di Jethro. Non perdeva mai l’occasione di sottolineare come la loro madre avesse amato profondamente Nun. Eppure non aveva mai fatto mancare niente neanche agli altri due figli, soprattutto l’affetto e le attenzioni un po’ soffocanti.
Lanciò un’occhiata d’ammonimento a suo fratello, per intimargli di tacere. Non avrebbero dato spettacolo nella sala del trono, davanti a quell’uomo insignificante, davanti a tutti quegli sciacalli, né quel giorno, né mai.
Jethro fece spallucce e cambiò discorso, nulla che meritasse l’attenzione di Zohar, che riprese a far vagare lo sguardo lungo il salone. In quel momento fece il suo ingresso lady Aviel Orien, preceduta dal suo insignificante marito. Effettivamente lord Elraz era in buona compagnia. Quella donna stava tramando qualcosa ed era evidente dallo sguardo avido che si posava sui vari esponenti nobili lì presenti.
Sentiva che presto sarebbe esploso; non avrebbe potuto reggere ancora per molto tutta quella squallida situazione. Fu allora che l’imperatrice Ananta e la principessa Tiphereth entrarono, accomodandosi sui loro troni.
   
 
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