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Autore: AlnyFMillen    07/03/2018    3 recensioni
"Sta tranquilla, Ladybug. Va tutto bene. I miei occhi sono sempre rimasti chiusi, non ho visto nulla"
Desiderava più di qualunque altra cosa sapere chi in realtà si celasse dietro la maschera a pois neri che tanto lo aveva conquistato, credeva fosse quello lo scopo più grande cui bramava. Eppure solo ora... Solo ora capiva quanto si stesse sbagliando.
"Non sei pronta e va bene. Sono qui, ci sarò sempre: quando e se mi vorrai, resterò al tuo fianco"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quanto di più imprevedibile

[Adrien]

 

 

 

 

Di una cosa Adrien era assolutamente ed indiscutibilmente certo: la situazione in cui si trovava non poteva dirsi abituale. E fin lì, poteva star sicuro.

Era ovvio che, da quando il caro vecchio Plagg aveva fatto irruzione nella sua vita, ne fossero successe - oh, se ne erano successe. S'era infatti ritrovato congelato, affogato, akumizzato, appeso a testa in giù e più volte malmenato. Eppure non ricordava di essere mai finito in qualcosa di simile a... quello.

Per primo, tentò di sfiorare il collo, finendo con l'inciampare nella stoffa liscia di un foulard estivo. Era sicuro che non appartenesse alla marca Agreste, poiché, sebbene si intendesse ben poco di moda, sapeva ancora distinguere la seta pregiata che il padre utilizzava per i propri lavori da quelle meno care.

Una simile constatazione, nella sua semplicità, lo scombussolò. Così, curioso di saperne di più, continuò a perquisirsi.

La sciarpa copriva una porzione di pelle abbastanza consistente, dall'attaccatura delle spalle sino al naso, quindi dedusse che fosse abbastanza grande. Anziché rimanere stretta, così come lo portavano molte ragazze, lasciava intravedere solo in minima parte le sembianze di chi la portava.

Salendo verso l'alto, o almeno verso ciò che rimaneva del viso, non fu poi tanto sorpreso di scoprire un nuovo tessuto, leggermente più ruvido, circondargli la fronte e gli occhi. Non lo soffocava, dando così la possibilità di captare i pochi spostamenti di luce provenienti dall'esterno, ma restava sovrapposto alla sciarpa sottostante per impedire un'ulteriore visibilità.

Tirò un sospiro di sollievo. Ringraziando il cielo, ci vedeva ancora. Più o meno.

Sul capo si stupì invece di riconoscere la visiera rigida di un sombrero e, quando cercò di raggiungere i capelli, altra stoffa glielo impedì.

Dove si trovava? E, soprattutto, perché sembrava aver tutta l'aria d'essere un pupazzo di neve molto mal riuscito?

Facendo forza sugli avambracci, tentò di assumere nuovamente la posizione eretta, rialzandosi da quella stesa in cui pareva stare, ma un dolore improvviso all'addome lo fece ricadere indietro. Il gemito che gli sfuggì dalle labbra arrestò definitivamente il lieve chiacchiericcio diffuso nella stanza.

Mentre la nuca ricadeva mollemente fra i cuscini, la mente prese di nuovo a funzionare. I ricordi riaffiorarono, non contribuendo però ad aiutarlo ed, anzi, tutto il contrario.

Dov'è Ladybug?

«Finalmente! Stavo iniziando a pensare che l' avessi battuta un po' troppo forte, la testa».

Il ragazzo voltò il capo nella direzione della voce, cercando di individuare la posizione di chi aveva parlato. Inspirò ed espirò, e una e due volte, per alleviare un poco la morsa nella quale era rinchiusa la sua gabbia toracica.

«Alla buon'ora, Bell'Addormentato. La sveglia è già suonata da un pezzo».

Gli parve di sentire qualcosa toccargli la guancia destra e, prontamente, girò la testa.

«Da questa parte. Certo che la signorina ha fatto proprio un buon lavoro con quei nodi: sei cieco come una talpa».

«Plagg?», domandò Adrien, felice di sentire che l'amico stesse bene, nonostante ci fossero stati problemi nel ritrasformarsi dopo la battaglia.

Sembrava strano anche solo pensarci più del dovuto, eppure, riflettendoci con serietà, si rese conto che non avrebbe saputo perdonarsi, se fosse successo davvero qualcosa di grave al kwami. Era un piccolo genio della lampada, Plagg, probabilmente immortale, ma portava pur sempre le sembianze di un gattino indifeso.

«No, sono l'Uomo Nero. Perché, non lo vedi?».

Alzò gli occhi al cielo, anche se l'altro non poteva saperlo. Si era ripreso abbastanza bene da fare sarcasmo, quindi non aveva di che preoccuparsi.

«Veramente no», ribatté, scherzoso e infastidito al tempo stesso. «Sai per caso dove ci troviamo?».

Ci fu un attimo di silenzio, nel quale Adrien contò fin a sette, costretto nella sua piccola oscurità.

Si era sempre reputato un ottimo osservatore, lui. Nel corso di quello che ormai aveva ribattezzato come il periodo della captivitas, aveva avuto modo di coltivare i più svariati interessi e, esclusi la scherma, il cinese, il piano e la carriera da modello, restava uno ed uno solo l'hobby che attirava maggiormente la sua attenzione: osservare. Aveva sviluppato un interesse quasi morboso verso tutto ciò che lo circondava, persone incluse. 

Certo, poi c'erano gli anime e i manga, i fumetti e i libri... ma quella era tutta un'altra storia. Che si trattasse di posare gli occhi su uno schermo o al di là delle vetrate della propria camera, trovava estremamente affascinanti i comportamenti umani.

Aveva sempre creduto, seppur in modo inconscio, che la curiosità verso l'animo altrui potesse saziarsi esclusivamente attraverso l'uso della vista. Quell'occasione, però, gli forniva la possibilità scoprire  altri sensi, forse acuiti dalla possessione del Miraculous del Gatto Nero, capaci di interpretare azioni e conseguenti reazioni ancor più accuratamente.

Finalmente, il kwami riprese la parola.

«In realtà...», iniziò con tono stridulo e petulante, subito prima di emettere suoni indistinti.

Di nuovo silenzio.

«Sì, insomma...». Altri borbottii incomprensibili. La voce dell'esserino virava via via ad un tono sempre più basso.

«Plagg, non sono ancora diventato sordo, ma credo dovresti parlare un po' più forte».

Udì uno sbuffo, relativamente lontano da dove si trovava. Poteva immaginare bene l'espressione scocciata del kwami e il lieve disagio che sembrava attanagliarlo.

Qualcuno ridacchiò, ed era abbastanza sicuro che non si trattasse di nessuno di loro due, ma, proprio quando stava per chiedere spiegazioni, venne interrotto.

«Non posso dirtelo, Adr- ragazzo».

Fu il suo turno di tacere, perplesso e dimentico del pensiero precedente. Non capiva quel comportamento così inusuale.

«E perché no?».

«Non provate a mettermi in mezzo. La ragazza mi ha chiesto di tenere la bocca chiusa ed io ho accettato in segno di riconoscenza per averci salvato. Te la sei vista più brutta di quanto pensi».

«Aspetta, frena un attimo. Cosa c'entra Ladybug? Ѐ stata lei a bendarmi?».

Tentò nuovamente di alzarsi, stringendo i denti per il dolore e cercando di sfilare almeno la fascia sugli occhi. Stava giusto per intrufolare l'indice in una piega più marcata delle altre, quando venne fermato.

«Non farlo!», lo rimbeccò una flebile vocina a lui sconosciuta.

Interdetto, lasciò cadere le braccia lungo il corpo, mentre appoggiava la schiena al muro antistante per non stendersi ancora. Credeva fosse passato relativamente poco dal suo risveglio, seppur non poteva esserne davvero certo, e già quella situazione cominciava a sfiancarlo. Avrebbe voluto dare tutta la colpa alla spossatezza e alle ferite post-battaglia, ma il suo stesso carattere gli imponeva impazienza e curiosità inesauribili. In un certo senso, gli mancava il periodo di dormiveglia in cui era stato immerso fin a poco tempo prima.

«Chi ha parlato?».

Il rumore delle zampine di Plagg che entravano in contatto con la propria fronte si diffuse per l'ambiente. Adrien giurò di averlo sentito ringhiare per l'irritazione.

«Sono stata io, Monsieur Chat Noir».

Il tono di quella che decretò essere un secondo kwami lo raggiunse, fiacco ma dall'inclinazione decisa. Possibile fosse...

«Tikki! Pensavo avessimo chiarito la questione "presentazioni"».

«Mi dispiace, non ho saputo contenermi».

«Ora Mar-», un suono simile ad un sibilo lo interruppe, «la tua protetta dovrà spiegargli un po' di cose fuori programma».

«Lo avrebbe fatto c-comunque più tardi», dichiarò allora la coccinella, interrotta da piccoli colpi di tosse, proprio nello stesso istante in cui Adrien si schiariva la voce per ricordare la propria presenza.

Avrebbe voluto parlare, fare domande su domande senza fermarsi più. Il tono di Plagg appariva denso di sottintesi, segreti non detti, e l'accortezza con cui aveva pronunciato le parole lasciavano intendere che il discorso fosse destinato ad orecchie ben differenti dalle sue.

Con fatica, si fece pian piano strada in lui la consapevolezza che il kwami sapesse. Se davvero si trovava dove credeva di trovarsi, se quella vocina apparteneva davvero a chi credeva appartenesse, sembrava pressoché impossibile che Ladybug non si fosse rivelata.

Sì, concluse, Plagg sapeva. Eppure aveva tutta l'intenzione di tacere, così come Tikki.

A confermare le sue ipotesi, sopraggiunse il chiarimento tanto sperato ma che, ne era consapevole, non gli avrebbe rivelato poi molto.

«Ci scusi, Chat Noir», enunciò la kwami e, in quel momento, il ragazzo si accorse del disagio che quel tono rispettoso, rimarcato dal uso del lei, gli provocava.

«Ladybug dovrebbe essere qui a momenti e sicuramente avrà modo di spiegarle...».

Non ebbe modo di concludere la frase, poiché il rumore improvviso di una camminata veloce la interruppe.

Adrien aguzzò l'udito, tendendo le orecchie e trattenendo perfino il respiro pur di carpire quanto più gli fosse possibile. Non dovette fare uno sforzo poi tanto grande per percepire i singhiozzi sommessi di chi s'apprestava ad entrare nella camera. Quando il suo cervello recepì finalmente a chi appartenevano, boccheggiò alla ricerca d'aria.

«My lady?».
 

 

   
 
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