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Autore: germangirl    08/03/2018    5 recensioni
Un uomo in crisi per il suo lavoro e per la sua vita sentimentale.
Una donna ferita.
Un paio di nuovi amici.
La magia della Ville Lumière.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nathan Fillion, Nuovo personaggio, Stana Katic
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13 – 31 maggio

Si era rasato e pettinato con cura, lasciando però il ciuffo un po’ scarmigliato, così che sembrasse più casual e naturale. Aveva indossato dei pantaloni scuri e poi il dramma era iniziato. Si era cambiato la camicia almeno tre volte. Poi aveva optato per una polo, che aveva scartato a favore di una T-shirt. Poi invece era tornato all’idea di una camicia di un bel blu cobalto, che sapeva avrebbe messo in risalto il colore dei suoi occhi. Vista la temperatura quasi estiva, l’avrebbe portata con le maniche arrotolate fino ai gomiti. Non voleva lasciare niente di intentato. Ma era nervoso, come se fosse un adolescente al primo appuntamento con la ragazza dei suoi sogni, la cheerleader più carina della scuola, anzi, la reginetta del ballo di fine anno.

In quei due mesi si erano sentiti sporadicamente, solo qualche messaggio su whatsapp e qualche telefonata, troppo impegnati con i rispettivi lavori. Senza considerare che la differenza di fuso orario non aiutava di certo. Ciononostante, il sentimento che provava nei confronti della donna era cresciuto e gli aveva inondato il cuore. Voleva fortemente che questa volta le cose funzionassero con Stana: non gli interessava farsi trascinare da una fugace ed imprevedibile passione. Se fosse stato solo quello, non si sarebbe certo lasciato sfuggire l’occasione di portarsela a letto l’ultima sera a Parigi. Ma non voleva più essere quell’uomo. Ne aveva parlato con Michael Trucco, quando lui e la moglie Sandra lo avevano invitato a cena poco dopo il suo rientro dalla Francia. Era l’unico con cui si era confidato, oltre a suo fratello Jeff, il vero custode della sua anima. Gli aveva espresso la sua determinazione nel conquistare definitivamente il cuore di quella donna meravigliosa, rivelandogli la paura che lei, nel frattempo, avesse cambiato idea. Michael lo aveva ascoltato con attenzione e aveva sollevato il bicchiere alla sua salute: “Al nuovo Nathan, amico!” Poi, per non diventare troppo sentimentale, aveva aggiunto: “Che la forza sia con te” Ed entrambi avevano riso del riferimento alla celebre frase di Star Wars, di cui erano grandi fan.

Dal canto suo, in quel periodo Stana si era gettata a capofitto nelle riprese di Absentia, ansiosa di sfogare nel lavoro gli istinti repressi. Quello che aveva scoperto di sentire per lui le era esploso in mezzo al petto, aprendole una voragine nel cuore, ma una parte del suo cervello temeva che Nathan fosse tornato alle vecchie abitudini di inguaribile playboy e lei per prima si stava ancora leccando le ferite per il suo matrimonio fallito. Aveva deciso di andarci con i piedi di piombo. Parlando con Emily, la sua truccatrice, cui aveva confidato di aver incontrato una persona a Parigi, senza però fare nomi, questa le aveva regalato una perla di inestimabile saggezza. Le aveva detto che l’amore è un’emozione strana e ha pochissimo a che fare con il buonsenso. A volte si tratta di un sentimento profondo e rassicurante, una coperta calda in una notte d’inverno, mentre fuori imperversa una tempesta, altre volte è travolgente, incontrollabile. E l’unico modo per essere vivi era di lasciarsi andare a quell’impulso. “Me lo diceva sempre mia nonna. In realtà, era la seconda moglie di mio nonno, che aveva perso la madre delle sue figlie per una brutta malattia e poi durante la guerra aveva incontrato Margaret, vedova a sua volta. Era una donna molto saggia e aveva un grande cuore” le aveva raccontato Emily.

Alla fine, c’entrava sempre il muscolo cardiaco.

“Va’ dove ti porta il cuore”, le aveva detto Rosalie quando le aveva donato quel bigliettino che ritraeva un uomo e una donna che si tengono per mano e volano sopra la capitale francese, impugnando un palloncino a forma proprio di cuore. Una coppia che, guarda caso, poteva benissimo rappresentare lei e Nathan, lunghi capelli castani e occhi azzurri compresi.

Lei e Rosalie si erano sentite abbastanza di frequente in quei mesi e un weekend si erano persino date appuntamento a Sofia, per visitare insieme la capitale bulgara. Le due donne si erano trovate in perfetta sintonia e la loro amicizia si faceva sempre più profonda, tanto che avevano già concordato di rivedersi nel Principato di Monaco a metà giugno, in occasione del Festival de Télévision de Monte-Carlo, al quale Stana avrebbe presenziato per promuovere Absentia.

Ed ora doveva capire cosa sarebbe successo di lei e di Nathan. Era tornata negli Stati Uniti un paio di giorni prima, giusto il tempo di fare un salto dai familiari, incontrare il suo avvocato per le ultime pratiche del divorzio e riprendersi dal jet-lag. E quel pomeriggio alle 16, vicino al tempio del giardino cinese della Huntington Library, avrebbe compreso come stavano davvero le cose fra loro. Andò in camera per prepararsi all’incontro e accese la radio. Le note di La vie en rose si diffusero nella stanza. Sorrise alla coincidenza e si mise a canticchiare con la sua splendida voce di mezzosoprano. Il significato del testo le si palesò in tutta la sua portata: Quand il me prend dans ses bras, il me parle tout bas, je vois la vie en rose. Sì, il solo pensiero di stare fra le sue braccia e di udire il timbro profondo della sua voce le faceva vedere la vita tutta rosa. Poi la canzone parlava anche di notti d’amore a non finire e questo provocò uno sfarfallio nello stomaco. Era decisamente attratta da lui e non viveva l’intimità con un uomo da troppo tempo, tanto da chiedersi se ne sarebbe stata ancora capace. Sapeva che anche lui non vedeva l’ora di incontrarla. Il giorno prima le aveva inviato un whatsapp con la scritta “-1” e un emoji che le faceva l’occhiolino, al quale lei aveva risposto con la foto del tempio del giardino cinese, seguito dalla faccina che manda i baci. Quell’appuntamento era importante per entrambi e nessuno dei due voleva correre il rischio di rovinare con le parole qualsiasi cosa stessero costruendo, così erano ricorsi al loro epistolario amoroso versione 2.0, come a Parigi. Come quando tutto era ricominciato.

Indossò un paio di pantaloni chiari e una camicia di lino leggera, un abbigliamento sobrio ed elegante come nel suo stile, ma che sotto nascondeva un completino intimo sensuale e malizioso. Lo aveva comprato il giorno prima, appena uscita dallo studio dall’avvocato: aveva bisogno di coccolarsi un po’ dopo aver posto le ultime firme che sancivano la fine del suo matrimonio. Non era pentita della sua decisione, ma rappresentava comunque un fallimento di cui sapeva di essere almeno in parte responsabile.

Si morse il labbro inferiore e prese un profondo respiro. Inutile nasconderlo: l’idea di rivederlo la rendeva nervosa. Forse aveva caricato di troppe aspettative quell’incontro? Forse si era proiettata un film nella mente che in realtà lui non condivideva? Questi dubbi la accompagnarono fino all’ingresso del giardino.

Guardò l’orologio e si rese conto di essere in anticipo, segno inequivocabile di quanto non stesse più nella pelle. Gironzolò per qualche minuto in un’altra zona del parco, ammirando la cura con cui venivano manutenute le aiuole, gli arbusti e i grandi alberi. Era un pomeriggio di un giorno feriale e i giardini erano invasi da bambini che correvano, baby-sitter che li tenevano d’occhio, adulti che facevano jogging e gli immancabili turisti. Riparata da un paio di grandi occhiali da sole, si confuse con quella folla, tentando di tenere sotto controllo il suo cuore galoppante.

In preda all’ansia e con le farfalle che ormai avevano creato un vero e proprio ciclone nel suo stomaco, si avviò al luogo dell’appuntamento. Lo vide seduto su una panchina che si affacciava sullo stagno, in prossimità del tempio cinese. Il suo profilo si stagliava contro il verde della vegetazione. Era arrivato addirittura prima di lei! Aveva un paio di occhiali scuri e indossava una camicia cobalto. Stana si tolse le lenti e si concesse il lusso di osservarlo, mordicchiando le stanghette della montatura. Le era sempre piaciuto con quel colore: dava ai suoi meravigliosi occhi azzurri una sfumatura ancora più intensa, trasformandoli in un mare nel quale sarebbe potuta naufragare.

Nonostante stesse guardando da un’altra parte, come se una forza magnetica lo avesse attirato, appena lei entrò nel suo campo visivo Nathan si voltò nella sua direzione e sul viso gli si aprì un sorriso. Si affrettò ad alzarsi per andarle incontro, levandosi gli occhiali, e anche lei si mosse verso di lui, infilando i propri nello scollo della camicetta. In breve si ritrovarono l’uno di fronte all’altra, sopraffatti dalla gioia di rivedersi e dalla tensione di non sapere cosa fare, entrambi con uno sguardo imbambolato.

Stana sollevò una mano e gli sistemò il colletto della camicia, che non aveva alcun bisogno di essere sistemato, solo per l’inconfessabile piacere di toccarlo. Nathan le prese l’altra mano e cominciò a farle dei piccoli movimenti circolari con il pollice. L’avrebbe baciata appassionatamente in mezzo al giardino della Huntington Library, ma non gli sembrò il caso di dare scandalo. “Sei bellissima” non poté fare a meno di sussurrarle e poi la strinse a sé. Data la differenza di altezza, l’orecchio di Stana si fermò proprio sul cuore dell’uomo. Sotto il tessuto leggero dell’indumento, lo sentì battere all’impazzata e non ebbe più dubbi. Pur sapendo quanto lui fosse bravo come attore, certe cose non si potevano fingere: ci teneva quanto lei. Rimasero l’uno nelle braccia dell’altro per una manciata di secondi, poi la donna si allontanò quanto bastava per potergli dire, guardandolo dritto negli occhi: “Mi sei mancato”

 “Anche tu mi sei mancata! Ti va una passeggiata? O qualcosa da bere? Sarà la tensione, ma mi sento la gola secca” le confidò, facendole l’occhiolino. Stana annuì, lui la prese per mano e si avviarono verso l’uscita dell’orto botanico, dove c’era un chiosco che vendeva hot dog, bevande e gelati.

“Lo so, non è un locale chic…” si scusò Nathan, improvvisamente a disagio. Voleva che tutto fosse perfetto in quel momento.

“Hey, non ti preoccupare. Guarda dove siamo, è un ambiente spettacolare! Prendiamo un tè freddo e lo beviamo su quella panchina, quella laggiù sotto l’albero, che ne dici?” gli suggerì Stana, indicandogli con un cenno del capo una pianta imponente. Nathan annuì e, dopo aver pagato le bevande, si accomodarono sul sedile di legno, spalla contro spalla, con lo sguardo perso davanti a loro.

“Sai che qui ci sono le ninfee come a Giverny?” le disse, dopo aver bevuto un sorso di tè.

“Ti ricordi di Monet!” esclamò la donna, sorridendo.

“Io non dimentico mai niente. Mai. Nemmeno eventi accaduti anni fa” le rispose, abbassando di un’ottava il tono della voce e voltandosi verso di lei. L’occhiata che le lanciò non lasciava spazio a fraintendimenti, nemmeno ci fossero stati i sottotitoli scritti a caratteri cubitali. Intendeva proprio quello.

Stana arrossì fino alle orecchie. Lo sguardo di lui aveva un potere davvero spavaldo. Per un attimo, tentò di fare ordine ai pensieri e alle parole che le affollavano la testa, ma con scarsi risultati. Poi si schiarì la gola e gli propose: “Andiamo in un posto più tranquillo, così parliamo un po’?”

L’uomo annuì, non distogliendo mai i suoi fari azzurri dalle iridi verdi castane della donna. Le avrebbe voluto dire tante cose, ma in quel momento si limitò a cercare di trasmetterle in via telepatica tutto l’affetto che provava per lei.

E quanto la trovasse irresistibile.

E quanto avrebbe voluto dimostrarle ciò che sentiva.

Con un grande sforzo di volontà, voltò la testa, si alzò e le porse una mano per aiutarla, da vero gentiluomo. “Ho parcheggiato qui fuori” le disse semplicemente. Lei gli sorrise e lo prese a braccetto. “Andiamo da te?” gli chiese, sperando in una sua risposta affermativa. Viveva ancora nell’appartamento che aveva diviso con Kris e temeva che entrambi ci si sarebbero sentiti a disagio.

“Ben volentieri. E’ anche più vicino e non credo di resistere ancora a lungo senza poterti baciare come si deve” le rispose, strizzandole l’occhio e mantenendo quel timbro di voce profondo e dannatamente sensuale. Stana arrossì ancora di più, per quanto umanamente possibile. Il desiderio di stare insieme si fece sempre più urgente, tanto che, senza accorgersene, entrambi affrettarono il passo e in breve raggiunsero l’auto di Nathan.

L’universo doveva essere ancora una volta dalla loro parte, perché il traffico del pomeriggio fu stranamente scorrevole e in pochi minuti si trovarono davanti all’appartamento dell’attore. Non fecero in tempo a varcare la soglia che lui la prese fra le braccia, bloccandola fra il suo corpo imponente e la porta, in una specie di ripetizione dell’ultima scena della quarta stagione di Castle.

La tenerezza lasciò lo spazio alla passione e all’urgenza di trovarsi pelle contro pelle, liberi da ogni costrizione e da ogni vincolo o remora. Mani frementi sbottonarono camicie, aprirono cerniere e sganciarono un reggiseno, che volò in una zona imprecisata nel tragitto compreso fra l’ingresso e la camera da letto, seguito dalle scarpe e dal resto degli indumenti, perizoma e boxer compresi. Il sensuale completino di Victoria’s Secret ahimè non venne degnato di grande considerazione. Non ci fu più spazio per le parole e i dubbi: troppo impegnati a riscoprire il corpo l’una dell’altro con la vista, con il tatto, con il gusto, con l’olfatto. Tutti i sensi vennero sopraffatti da quell’unione tanto anelata e sognata da entrambi. Fecero l’amore in modo vorace, senza parlare, ma comunicando a chiare lettere con le proprie carezze, i baci, i morsi, i gemiti e i sospiri tutto ciò che provavano l’uno per l’altra.

Si ritrovarono sudati e ansimanti, dopo un tempo che nessuno dei due avrebbe saputo quantificare, con un sorriso di totale beatitudine stampato sul volto e la consapevolezza, sconvolgente, di quanto avevano appena fatto: avevano ormai superato il punto di non ritorno.

Ora che il suo istinto predatorio ormonale era stato saziato, Nathan si ritrovò completamente privo di forza. Si sdraiò sulla schiena, le passò un braccio sotto il collo e la strinse a sé, non riuscendo a resistere all’idea di averla lontana. Stana si accoccolò al suo fianco e gli chiese: “Fillion, non dovevamo parlare noi due?”

“Dammi un momento per recuperare e poi riprendiamo il discorso” le disse con una voce roca, che lo rese ancora più sexy agli occhi di Stana. Poi non riuscì a resistere e aggiunse: “Mi sembrava che il nostro linguaggio non verbale fosse stato molto, molto chiaro”

Si girò su un fianco e la baciò. “Ma sei hai bisogno, posso ripetere tutto, parola” bacio su una guancia “per” bacio sul naso “parola” bacio sulle labbra.

“Non ti distrarre, Nate. Ogni volta che apri bocca finisce che facciamo altro” lo riportò all’ordine.

“Non mi sembra che ti sia lamentata finora di quello che ti ho fatto ogni volta che ho aperto bocca” le disse, riprendendo l’esplorazione del corpo della donna, con mani, labbra e lingua. La sua battuta spinta doveva averle provocato una risata, perché lui percepì la vibrazione della sua pancia, mentre le lambiva l’ombelico, prima di riprendere il tragitto verso un punto che fece perdere alla donna qualsiasi cognizione di dove fosse e di cosa gli avesse chiesto. Si arrese all’evidenza: quell’uomo ci sapeva dannatamente fare. Ci sarebbe stato un altro momento per parlare.

 

Qualche ora più tardi, Nate si svegliò e, allungando la mano, si rese conto di essere da solo nel letto. Lì per lì temette di essersi sognato tutto: non sarebbe certo stata la prima volta, anzi, scene ad alto tasso erotico con loro due come protagonisti avevano popolato le sue notti in molteplici occasioni, e al risveglio si era ritrovato dolorosamente eccitato e frustrato. Poi l’odore di lei gli invase le narici e lo rasserenò: stavolta non era un’avventura onirica, aveva davvero avuto quella donna fra le sue braccia. Si alzò, si infilò i boxer che erano atterrati vicino alla porta della camera e partì alla ricerca di colei che lo aveva mandato in orbita poco tempo prima.

La trovò in piedi davanti alla finestra del salotto, mentre sorseggiava una bevanda e fissava il giardino rigoglioso, il cui verde contrastava con l’azzurro del cielo screziato dai colori del sole al tramonto. Solo pochi mesi prima c’era lui in quella stessa posizione, con uno stato d’animo ben diverso, e sicuramente non con quel fisico statuario. Si appoggiò allo stipite della porta e indugiò con lo sguardo sul corpo di lei, coperto dalla sua camicia color cobalto, soffermandosi in particolare sulle lunghissime gambe sinuose. La raggiunse e la abbracciò da dietro. Con il naso le spostò i capelli arruffati, poi si applicò con grande impegno a baciarle il collo, stringendola a sé.

Stana si abbandonò alle sue braccia e sorrise. “Hey” gli disse semplicemente, mentre le attenzioni che lui le riservava le provocarono dei brividi di intenso piacere che le inondarono tutto il corpo.

“Mi piace il modo in cui parliamo noi due” le rispose, continuando a lasciarle dei piccoli bacetti umidi dall’orecchio alla clavicola e viceversa. Le sue grandi mani si fecero strada fra un bottone e l’altro della camicia, per arrivare ad accarezzarle i seni i cui capezzoli inturgiditi si intravedevano dal tessuto leggero.

“Nate, se continui così non riusciremo a parlare nemmeno adesso” lo rimbrottò, poco convinta.

Le sue mani fecero dietro front e le sue labbra si ritirarono dalla pelle di Stana, non prima di averla mordicchiato nel punto in cui il collo incontra la spalla, provocandole un brivido che scorse lungo tutta la colonna vertebrale. “Ok, ok, faccio il bravo, parola di lupetto. Senti, preparo qualcosa da mangiare e parliamo seriamente. Del resto, non possiamo vivere solo d’amore” commentò con nonchalance, dopo aver girato i tacchi per avviarsi all’angolo cottura.

“Un momento, hai detto amore?” si informò lei, stupita da quella dichiarazione. Durante le loro effusioni nessuno dei due aveva manifestato verbalmente i propri sentimenti. Nathan rimase pietrificato dalla sua stessa rivelazione, poi si voltò verso di lei e la guardò intensamente. Non aveva nessuna intenzione di ritrattare. “Esatto, Stana Katic. L’ho detto davvero ad alta voce e sono pronto a ripeterlo. Io ti amo. Ti amavo anche l’anno scorso quando mi sono comportato come un bastardo: pensavo che odiandoti avrei sofferto meno. Mi sbagliavo…”

Gli occhi della donna si riempirono di lacrime di gioia, poi gli corse incontro e lo abbracciò con forza, cercandone le labbra con le proprie.

Lo baciò in modo diverso da come si erano baciati nelle ore precedenti, in cui era stata la lussuria a dettare legge.

Lo baciò con tutto l’amore puro, semplice e innegabile che provava per lui.

 

Nota dell’autrice

Eccoci al termine di questo viaggio. Prima di salutarvi definitivamente, vorrei dire grazie a chi ha letto la storia in silenzio, a chi ha messo la storia nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite e naturalmente un grazie speciale a blodi52 che ha commentato con affetto ogni singolo capitolo.

Grazie come sempre anche al mio angelo custode, che ha letto la storia in anteprima e mi ha aiutato a migliorarla.

Grazie – ça va sans dire – a Nicolas Barreau e ai suoi deliziosi romanzi, da cui ho preso spunto. In particolare, Aurélie Bredin e Jacquie, con il loro ristorante, provengono da “Gli ingredienti segreti dell’amore”. Alain Bonnard e il suo Cinéma Paradis sono il cuore di “Una sera a Parigi”. Robert Shermann e Rosalie Laurent sono i protagonisti di “Parigi è sempre una buona idea”. Margaret [Tilling], invece, è una delle voci narranti de “Il coro femminile di Chilbury”, uno splendido romanzo epistolare di Jennifer Ryan, che stavo leggendo durante la stesura di questa ff e mi è piaciuto così tanto che dovevo in qualche modo rendergli onore.

Non l’avevo ancora scritto, ma naturalmente questa è un’opera di fantasia. Ho il massimo rispetto per le scelte di vita dei due attori protagonisti e auguro loro tanta felicità, con chiunque essi la vogliano condividere.

Un abbraccio,

Deb

 

  
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