Capitolo
13 – 31 maggio
Si
era rasato e pettinato con cura, lasciando però il
ciuffo un po’ scarmigliato, così che sembrasse
più casual e naturale. Aveva
indossato dei pantaloni scuri e poi il dramma era iniziato. Si era
cambiato la
camicia almeno tre volte. Poi aveva optato per una polo, che aveva
scartato a
favore di una T-shirt. Poi invece era tornato all’idea di una
camicia di un bel
blu cobalto, che sapeva avrebbe messo in risalto il colore dei suoi
occhi.
Vista la temperatura quasi estiva, l’avrebbe portata con le
maniche arrotolate
fino ai gomiti. Non voleva lasciare niente di intentato. Ma era
nervoso, come
se fosse un adolescente al primo appuntamento con la ragazza dei suoi
sogni, la
cheerleader più carina della scuola, anzi, la reginetta del
ballo di fine anno.
In
quei due mesi si erano sentiti sporadicamente, solo
qualche messaggio su whatsapp e qualche telefonata, troppo impegnati
con i
rispettivi lavori. Senza considerare che la differenza di fuso orario
non
aiutava di certo. Ciononostante, il sentimento che provava nei
confronti della
donna era cresciuto e gli aveva inondato il cuore. Voleva fortemente
che questa
volta le cose funzionassero con Stana: non gli interessava farsi
trascinare da
una fugace ed imprevedibile passione. Se fosse stato solo quello, non
si
sarebbe certo lasciato sfuggire l’occasione di portarsela a
letto l’ultima sera
a Parigi. Ma non voleva più essere quell’uomo. Ne
aveva parlato con Michael
Trucco, quando lui e la moglie Sandra lo avevano invitato a cena poco
dopo il
suo rientro dalla Francia. Era l’unico con cui si era
confidato, oltre a suo
fratello Jeff, il vero custode della sua anima. Gli aveva espresso la
sua
determinazione nel conquistare definitivamente il cuore di quella donna
meravigliosa, rivelandogli la paura che lei, nel frattempo, avesse
cambiato
idea. Michael lo aveva ascoltato con attenzione e aveva sollevato il
bicchiere
alla sua salute: “Al nuovo Nathan, amico!” Poi, per
non diventare troppo
sentimentale, aveva aggiunto: “Che la forza sia con
te” Ed entrambi avevano
riso del riferimento alla celebre frase di Star Wars, di cui erano
grandi fan.
Dal
canto suo, in quel periodo Stana si era gettata a
capofitto nelle riprese di Absentia, ansiosa di sfogare nel lavoro gli
istinti
repressi. Quello che aveva scoperto di sentire per lui le era esploso
in mezzo
al petto, aprendole una voragine nel cuore, ma una parte del suo
cervello
temeva che Nathan fosse tornato alle vecchie abitudini di inguaribile
playboy e
lei per prima si stava ancora leccando le ferite per il suo matrimonio
fallito.
Aveva deciso di andarci con i piedi di piombo. Parlando con Emily, la
sua
truccatrice, cui aveva confidato di aver incontrato una persona a
Parigi, senza
però fare nomi, questa le aveva regalato una perla di
inestimabile saggezza. Le
aveva detto che l’amore è un’emozione
strana e ha pochissimo a che fare con il
buonsenso. A volte si tratta di un sentimento profondo e rassicurante,
una
coperta calda in una notte d’inverno, mentre fuori imperversa
una tempesta,
altre volte è travolgente, incontrollabile. E
l’unico modo per essere vivi era
di lasciarsi andare a quell’impulso. “Me lo diceva
sempre mia nonna. In realtà,
era la seconda moglie di mio nonno, che aveva perso la madre delle sue
figlie
per una brutta malattia e poi durante la guerra aveva incontrato
Margaret,
vedova a sua volta. Era una donna molto saggia e aveva un grande
cuore” le
aveva raccontato Emily.
Alla
fine, c’entrava sempre il muscolo cardiaco.
“Va’
dove ti porta il cuore”, le aveva detto Rosalie
quando le aveva donato quel bigliettino che ritraeva un uomo e una
donna che si
tengono per mano e volano sopra la capitale francese, impugnando un
palloncino
a forma proprio di cuore. Una coppia che, guarda caso, poteva benissimo
rappresentare lei e Nathan, lunghi capelli castani e occhi azzurri
compresi.
Lei
e Rosalie si erano sentite abbastanza di frequente in
quei mesi e un weekend si erano persino date appuntamento a Sofia, per
visitare
insieme la capitale bulgara. Le due donne si erano trovate in perfetta
sintonia
e la loro amicizia si faceva sempre più profonda, tanto che
avevano già
concordato di rivedersi nel Principato di Monaco a metà
giugno, in occasione
del Festival de
Télévision de Monte-Carlo,
al quale Stana avrebbe presenziato per promuovere Absentia.
Ed
ora doveva capire cosa sarebbe successo di lei e di
Nathan. Era tornata negli Stati Uniti un paio di giorni prima, giusto
il tempo
di fare un salto dai familiari, incontrare il suo avvocato per le
ultime
pratiche del divorzio e riprendersi dal jet-lag. E quel pomeriggio alle
16,
vicino al tempio del giardino cinese della Huntington Library, avrebbe
compreso
come stavano davvero le cose fra loro. Andò in camera per
prepararsi
all’incontro e accese la radio. Le note di La
vie en rose si diffusero nella stanza. Sorrise alla
coincidenza e si mise a
canticchiare con la sua splendida voce di mezzosoprano. Il significato
del
testo le si palesò in tutta la sua portata: Quand
il me prend dans ses bras, il me parle tout bas, je vois la vie en rose.
Sì,
il solo pensiero di stare fra le sue braccia e di udire il timbro
profondo della
sua voce le faceva vedere la vita tutta rosa. Poi la canzone parlava
anche di
notti d’amore a non finire e questo provocò uno
sfarfallio nello stomaco. Era
decisamente attratta da lui e non viveva
l’intimità con un uomo da troppo
tempo, tanto da chiedersi se ne sarebbe stata ancora capace. Sapeva che
anche
lui non vedeva l’ora di incontrarla. Il giorno prima le aveva
inviato un
whatsapp con la scritta “-1” e un emoji che le
faceva l’occhiolino, al quale
lei aveva risposto con la foto del tempio del giardino cinese, seguito
dalla
faccina che manda i baci. Quell’appuntamento era importante
per entrambi e
nessuno dei due voleva correre il rischio di rovinare con le parole
qualsiasi
cosa stessero costruendo, così erano ricorsi al loro
epistolario amoroso versione
2.0, come a Parigi. Come quando tutto era ricominciato.
Indossò
un paio di pantaloni chiari e una camicia di lino
leggera, un abbigliamento sobrio ed elegante come nel suo stile, ma che
sotto
nascondeva un completino intimo sensuale e malizioso. Lo aveva comprato
il
giorno prima, appena uscita dallo studio dall’avvocato: aveva
bisogno di
coccolarsi un po’ dopo aver posto le ultime firme che
sancivano la fine del suo
matrimonio. Non era pentita della sua decisione, ma rappresentava
comunque un
fallimento di cui sapeva di essere almeno in parte responsabile.
Si
morse il labbro inferiore e prese un profondo respiro.
Inutile nasconderlo: l’idea di rivederlo la rendeva nervosa.
Forse aveva
caricato di troppe aspettative quell’incontro? Forse si era
proiettata un film
nella mente che in realtà lui non condivideva? Questi dubbi
la accompagnarono
fino all’ingresso del giardino.
Guardò
l’orologio e si rese conto di essere in anticipo,
segno inequivocabile di quanto non stesse più nella pelle.
Gironzolò per
qualche minuto in un’altra zona del parco, ammirando la cura
con cui venivano
manutenute le aiuole, gli arbusti e i grandi alberi. Era un pomeriggio
di un
giorno feriale e i giardini erano invasi da bambini che correvano,
baby-sitter
che li tenevano d’occhio, adulti che facevano jogging e gli
immancabili
turisti. Riparata da un paio di grandi occhiali da sole, si confuse con
quella
folla, tentando di tenere sotto controllo il suo cuore galoppante.
In
preda all’ansia e con le farfalle che ormai avevano
creato un vero e proprio ciclone nel suo stomaco, si avviò
al luogo
dell’appuntamento. Lo vide seduto su una panchina che si
affacciava sullo
stagno, in prossimità del tempio cinese. Il suo profilo si
stagliava contro il
verde della vegetazione. Era arrivato addirittura prima di lei! Aveva
un paio
di occhiali scuri e indossava una camicia cobalto. Stana si tolse le
lenti e si
concesse il lusso di osservarlo, mordicchiando le stanghette della
montatura.
Le era sempre piaciuto con quel colore: dava ai suoi meravigliosi occhi
azzurri
una sfumatura ancora più intensa, trasformandoli in un mare
nel quale sarebbe
potuta naufragare.
Nonostante
stesse guardando da un’altra parte, come se
una forza magnetica lo avesse attirato, appena lei entrò nel
suo campo visivo
Nathan si voltò nella sua direzione e sul viso gli si
aprì un sorriso. Si
affrettò ad alzarsi per andarle incontro, levandosi gli
occhiali, e anche lei
si mosse verso di lui, infilando i propri nello scollo della camicetta.
In
breve si ritrovarono l’uno di fronte all’altra,
sopraffatti dalla gioia di
rivedersi e dalla tensione di non sapere cosa fare, entrambi con uno
sguardo
imbambolato.
Stana
sollevò una mano e gli sistemò il colletto della
camicia, che non aveva alcun bisogno di essere sistemato, solo per
l’inconfessabile
piacere di toccarlo. Nathan le prese l’altra mano e
cominciò a farle dei
piccoli movimenti circolari con il pollice. L’avrebbe baciata
appassionatamente
in mezzo al giardino della Huntington Library, ma non gli
sembrò il caso di
dare scandalo. “Sei bellissima” non poté
fare a meno di sussurrarle e poi la
strinse a sé. Data la differenza di altezza,
l’orecchio di Stana si fermò
proprio sul cuore dell’uomo. Sotto il tessuto leggero
dell’indumento, lo sentì
battere all’impazzata e non ebbe più dubbi. Pur
sapendo quanto lui fosse bravo
come attore, certe cose non si potevano fingere: ci teneva quanto lei.
Rimasero
l’uno nelle braccia dell’altro per una manciata di
secondi, poi la donna si
allontanò quanto bastava per potergli dire, guardandolo
dritto negli occhi: “Mi
sei mancato”
“Anche tu mi sei
mancata! Ti va una passeggiata? O qualcosa da bere? Sarà la
tensione, ma mi
sento la gola secca” le confidò, facendole
l’occhiolino. Stana annuì, lui la
prese per mano e si avviarono verso l’uscita
dell’orto botanico, dove c’era un
chiosco che vendeva hot dog, bevande e gelati.
“Lo
so, non è un locale chic…” si
scusò Nathan,
improvvisamente a disagio. Voleva che tutto fosse perfetto in quel
momento.
“Hey,
non ti preoccupare. Guarda dove siamo, è un
ambiente spettacolare! Prendiamo un tè freddo e lo beviamo
su quella panchina,
quella laggiù sotto l’albero, che ne
dici?” gli suggerì Stana, indicandogli con
un cenno del capo una pianta imponente. Nathan annuì e, dopo
aver pagato le
bevande, si accomodarono sul sedile di legno, spalla contro spalla, con
lo
sguardo perso davanti a loro.
“Sai
che qui ci sono le ninfee come a Giverny?” le disse,
dopo aver bevuto un sorso di tè.
“Ti
ricordi di Monet!” esclamò la donna, sorridendo.
“Io
non dimentico mai niente. Mai. Nemmeno eventi
accaduti anni fa” le rispose, abbassando di
un’ottava il tono della voce e
voltandosi verso di lei. L’occhiata che le lanciò
non lasciava spazio a
fraintendimenti, nemmeno ci fossero stati i sottotitoli scritti a
caratteri
cubitali. Intendeva proprio quello.
Stana
arrossì fino alle orecchie. Lo sguardo di lui aveva
un potere davvero spavaldo. Per un attimo, tentò di fare
ordine ai pensieri e
alle parole che le affollavano la testa, ma con scarsi risultati. Poi
si
schiarì la gola e gli propose: “Andiamo in un
posto più tranquillo, così
parliamo un po’?”
L’uomo
annuì, non distogliendo mai i suoi fari azzurri
dalle iridi verdi castane della donna. Le avrebbe voluto dire tante
cose, ma in
quel momento si limitò a cercare di trasmetterle in via
telepatica tutto
l’affetto che provava per lei.
E
quanto la trovasse irresistibile.
E
quanto avrebbe voluto dimostrarle ciò che sentiva.
Con
un grande sforzo di volontà, voltò la testa, si
alzò
e le porse una mano per aiutarla, da vero gentiluomo. “Ho
parcheggiato qui
fuori” le disse semplicemente. Lei gli sorrise e lo prese a
braccetto. “Andiamo
da te?” gli chiese, sperando in una sua risposta affermativa.
Viveva ancora
nell’appartamento che aveva diviso con Kris e temeva che
entrambi ci si
sarebbero sentiti a disagio.
“Ben
volentieri. E’ anche più vicino e non credo di
resistere ancora a lungo senza poterti baciare come si deve”
le rispose,
strizzandole l’occhio e mantenendo quel timbro di voce
profondo e dannatamente
sensuale. Stana arrossì ancora di più, per quanto
umanamente possibile. Il
desiderio di stare insieme si fece sempre più urgente, tanto
che, senza
accorgersene, entrambi affrettarono il passo e in breve raggiunsero
l’auto di
Nathan.
L’universo
doveva essere ancora una volta dalla loro
parte, perché il traffico del pomeriggio fu stranamente
scorrevole e in pochi
minuti si trovarono davanti all’appartamento
dell’attore. Non fecero in tempo a
varcare la soglia che lui la prese fra le braccia, bloccandola fra il
suo corpo
imponente e la porta, in una specie di ripetizione
dell’ultima scena della
quarta stagione di Castle.
La
tenerezza lasciò lo spazio alla passione e
all’urgenza
di trovarsi pelle contro pelle, liberi da ogni costrizione e da ogni
vincolo o
remora. Mani frementi sbottonarono camicie, aprirono cerniere e
sganciarono un
reggiseno, che volò in una zona imprecisata nel tragitto
compreso fra
l’ingresso e la camera da letto, seguito dalle scarpe e dal
resto degli
indumenti, perizoma e boxer compresi. Il sensuale completino di
Victoria’s
Secret ahimè non venne degnato di grande considerazione. Non
ci fu più spazio
per le parole e i dubbi: troppo impegnati a riscoprire il corpo
l’una
dell’altro con la vista, con il tatto, con il gusto, con
l’olfatto. Tutti i
sensi vennero sopraffatti da quell’unione tanto anelata e
sognata da entrambi.
Fecero l’amore in modo vorace, senza parlare, ma comunicando
a chiare lettere con
le proprie carezze, i baci, i morsi, i gemiti e i sospiri tutto
ciò che
provavano l’uno per l’altra.
Si
ritrovarono sudati e ansimanti, dopo un tempo che
nessuno dei due avrebbe saputo quantificare, con un sorriso di totale
beatitudine stampato sul volto e la consapevolezza, sconvolgente, di
quanto
avevano appena fatto: avevano ormai superato il punto di non ritorno.
Ora
che il suo istinto predatorio ormonale era stato
saziato, Nathan si ritrovò completamente privo di forza. Si
sdraiò sulla
schiena, le passò un braccio sotto il collo e la strinse a
sé, non riuscendo a
resistere all’idea di averla lontana. Stana si
accoccolò al suo fianco e gli
chiese: “Fillion, non dovevamo parlare noi due?”
“Dammi
un momento per recuperare e poi riprendiamo il
discorso” le disse con una voce roca, che lo rese ancora
più sexy agli occhi di
Stana. Poi non riuscì a resistere e aggiunse: “Mi
sembrava che il nostro
linguaggio non verbale fosse stato molto, molto chiaro”
Si
girò su un fianco e la baciò. “Ma sei
hai bisogno,
posso ripetere tutto, parola” bacio su una guancia
“per” bacio sul naso
“parola” bacio sulle labbra.
“Non
ti distrarre, Nate. Ogni volta che apri bocca
finisce che facciamo altro” lo riportò
all’ordine.
“Non
mi sembra che ti sia lamentata finora di quello che
ti ho fatto ogni volta che ho aperto bocca” le disse,
riprendendo
l’esplorazione del corpo della donna, con mani, labbra e
lingua. La sua battuta
spinta doveva averle provocato una risata, perché lui
percepì la vibrazione
della sua pancia, mentre le lambiva l’ombelico, prima di
riprendere il tragitto
verso un punto che fece perdere alla donna qualsiasi cognizione di dove
fosse e
di cosa gli avesse chiesto. Si arrese all’evidenza:
quell’uomo ci sapeva
dannatamente fare. Ci sarebbe stato un altro momento per parlare.
Qualche
ora più tardi, Nate si svegliò e, allungando la
mano, si rese conto di essere da solo nel letto. Lì per
lì temette di essersi
sognato tutto: non sarebbe certo stata la prima volta, anzi, scene ad
alto
tasso erotico con loro due come protagonisti avevano popolato le sue
notti in
molteplici occasioni, e al risveglio si era ritrovato dolorosamente
eccitato e
frustrato. Poi l’odore di lei gli invase le narici e lo
rasserenò: stavolta non
era un’avventura onirica, aveva davvero avuto quella donna
fra le sue braccia.
Si alzò, si infilò i boxer che erano atterrati
vicino alla porta della camera e
partì alla ricerca di colei che lo aveva mandato in orbita
poco tempo prima.
La
trovò in piedi davanti alla finestra del salotto,
mentre sorseggiava una bevanda e fissava il giardino rigoglioso, il cui
verde
contrastava con l’azzurro del cielo screziato dai colori del
sole al tramonto.
Solo pochi mesi prima c’era lui in quella stessa posizione,
con uno stato
d’animo ben diverso, e sicuramente non con quel fisico
statuario. Si appoggiò
allo stipite della porta e indugiò con lo sguardo sul corpo
di lei, coperto
dalla sua camicia color cobalto, soffermandosi in particolare sulle
lunghissime
gambe sinuose. La raggiunse e la abbracciò da dietro. Con il
naso le spostò i
capelli arruffati, poi si applicò con grande impegno a
baciarle il collo,
stringendola a sé.
Stana
si abbandonò alle sue braccia e sorrise.
“Hey” gli
disse semplicemente, mentre le attenzioni che lui le riservava le
provocarono
dei brividi di intenso piacere che le inondarono tutto il corpo.
“Mi
piace il modo in cui parliamo noi due” le rispose,
continuando a lasciarle dei piccoli bacetti umidi
dall’orecchio alla clavicola
e viceversa. Le sue grandi mani si fecero strada fra un bottone e
l’altro della
camicia, per arrivare ad accarezzarle i seni i cui capezzoli
inturgiditi si
intravedevano dal tessuto leggero.
“Nate,
se continui così non riusciremo a parlare nemmeno
adesso” lo rimbrottò, poco convinta.
Le
sue mani fecero dietro front e le sue labbra si
ritirarono dalla pelle di Stana, non prima di averla mordicchiato nel
punto in
cui il collo incontra la spalla, provocandole un brivido che scorse
lungo tutta
la colonna vertebrale. “Ok, ok, faccio il bravo, parola di
lupetto. Senti,
preparo qualcosa da mangiare e parliamo seriamente. Del resto, non
possiamo
vivere solo d’amore” commentò con
nonchalance, dopo aver girato i tacchi per
avviarsi all’angolo cottura.
“Un
momento, hai detto amore?” si informò lei, stupita
da
quella dichiarazione. Durante le loro effusioni nessuno dei due aveva
manifestato verbalmente i propri sentimenti. Nathan rimase pietrificato
dalla
sua stessa rivelazione, poi si voltò verso di lei e la
guardò intensamente. Non
aveva nessuna intenzione di ritrattare. “Esatto, Stana Katic.
L’ho detto
davvero ad alta voce e sono pronto a ripeterlo. Io ti amo. Ti amavo
anche
l’anno scorso quando mi sono comportato come un bastardo:
pensavo che odiandoti
avrei sofferto meno. Mi sbagliavo…”
Gli
occhi della donna si riempirono di lacrime di gioia,
poi gli corse incontro e lo abbracciò con forza, cercandone
le labbra con le
proprie.
Lo
baciò in modo diverso da come si erano baciati nelle
ore precedenti, in cui era stata la lussuria a dettare legge.
Lo
baciò con tutto l’amore puro, semplice e
innegabile
che provava per lui.
Nota
dell’autrice
Eccoci
al termine di questo viaggio. Prima di salutarvi definitivamente,
vorrei dire
grazie a chi ha letto la storia in silenzio, a chi ha messo la storia
nelle
preferite, nelle ricordate e nelle seguite e naturalmente un grazie
speciale a
blodi52 che ha commentato con affetto ogni singolo capitolo.
Grazie
come sempre anche al mio angelo custode, che ha letto la storia in
anteprima e
mi ha aiutato a migliorarla.
Grazie
– ça va sans dire – a Nicolas Barreau e
ai suoi deliziosi romanzi, da cui ho
preso spunto. In particolare, Aurélie Bredin e Jacquie, con
il loro ristorante,
provengono da “Gli ingredienti segreti
dell’amore”. Alain Bonnard e il suo
Cinéma Paradis sono il cuore di “Una sera a
Parigi”. Robert Shermann e Rosalie
Laurent sono i protagonisti di “Parigi è sempre
una buona idea”. Margaret
[Tilling], invece, è una delle voci narranti de
“Il coro femminile di
Chilbury”, uno splendido romanzo epistolare di Jennifer Ryan,
che stavo
leggendo durante la stesura di questa ff e mi è piaciuto
così tanto che dovevo
in qualche modo rendergli onore.
Non
l’avevo ancora scritto, ma naturalmente questa è
un’opera di fantasia. Ho il
massimo rispetto per le scelte di vita dei due attori protagonisti e
auguro
loro tanta felicità, con chiunque essi la vogliano
condividere.
Un
abbraccio,
Deb