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Autore: Agapanto Blu    08/03/2018    2 recensioni
Non vuoi aggiungere i Paladini alla tua sala dei trofei insanguinati. Ti rifiuti.
Di notte, nella tua stanza, artigli la protesi, fai uscire il sangue, provi a strapparla via. E fa male e fa male e fa male, ma non è abbastanza e vuoi sbattere la testa contro un muro per la tua inutilità.

***
- E lo sai, gli eroi non sono fatti per sopravvivere,
così tanto più difficili da amare da vivi.-
(MIKA - "Heroes")
***
Parte I della serie "There's a monster inside my mirror"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Takashi Shirogane, Un po' tutti
Note: Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'There's a monster inside my mirror'
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Heroes aren't meant to survive


 

I bambini a centinaia domani marceranno nel buio,
stanno combattendo la guerra di qualcun altro.

 

Sono solo ragazzini. Ti corre nella testa e vorresti urlarlo al vuoto, gridarlo nel comunicatore, ad Allura, a Zarkon, a chiunque possa ascoltare, perché questo è aborrente. Sono bambini, tutti loro, che sorridono e scherzano e non possono prenderla sul serio perché li distruggerebbe, che danno il meglio di sé e non è mai meno che abbastanza, che provano a fare i duri ma non lo sono, non lo sono, non lo sono, sono ragazzini.

Quando avevi diciassette anni, tua madre di tirava scappellotti perché non avevi fatto i lavori di casa, troppo preso a sognare ad occhi aperti della Garrison, dello spazio, di un migliaio di avventure a cui adesso sei sopravvissuto con le cicatrici come prova di ognuna. Quando avevi quattordici anni, leggevi fumetti con i tuoi compagni di classe e inciampavi nel tuo inglese impacciato che sapevi di dover migliorare per poter realizzare i tuoi sogni.

 

Avranno così tante storie da raccontare
in cambio di un addio da eroe.

 

Ti chiamavano genio, e questi ragazzini ti chiamano eroe, ma la verità è che sei solo un adulto, e c’è qualcosa di tragicamente ironico in tutto ciò. Guardano a te quando le cose vanno male, quando ci sono decisioni da prendere, quando la speranza vacilla e minaccia di spegnersi, e tu cosa puoi fare? Sei il loro eroe, dovresti portarli via da qui.

E quando si rimangono feriti, oh, quando rimangono feriti. Quando li culli tra il tuo braccio e la protesi, quando hai il loro sangue a inzupparti i vestiti e le loro lacrime ti bagnano la maglia, quando vedi le loro pelli sbiancare e giuri, imprechi, preghi, un’altra opportunità, porca puttana, un’altra opportunità; in tutti questi momenti, sei dolorosamente consapevole di come la tua voce li raggiunga, di come hai solo tre parole da dire per portare un sorriso alle loro labbra, il tremolio di un orgoglio inutile, una soddisfazione infantile.

Sei stato grande, dici, ed è tutto quello che ti chiedono per il dolore che provano. Sei il loro eroe, dopotutto. Chi non vorrebbe i tuoi complimenti? E se costano loro qualche ora in una cella cryogenica, allora non è nulla di grave, no? Solo per avere la tua approvazione, il tuo rispetto.

Tu sai che non valevi così tanto nemmeno prima che il nemico ti spezzasse.

 

Vorrei potere, vorrei poter farti tornare.

 

Le memorie non ti lasciano, ti tengono sveglio di notte, di spingono giù dal letto e strappano grida dalla tua gola. La sicurezza di te che avevi costruito è ora a pezzi sul pavimento; la tua dignità vive solo negli occhi ammirati di Keith e nelle lodi senza fine di Lance, nei sorrisi di Pidge contro il tuo petto e negli abbracci di Hunk alla tua vita. Non è un’illusione di per sé, ma non è per te in ogni caso.

Quel Shiro che tutti loro ammirano, lui è morto in un’arena Galra, lasciando il suo sangue sulla sabbia e un guscio vuoto.

 

E se io non vedessi mai la differenza, mentre cammini al suono della campana?

 

Non dovresti essere il leader.

Lo sai. Ne sei consapevole per ogni passo che fai in quel ruolo che è come metterti i tacchi a spillo di tua mamma e barcollare in giro per casa a quattro anni. Sei un soldato con dei ricordi dall’Inferno, sei stanco, sei perduto da qualche parte nelle profondità della tua mente.

Hai un PTSD. Sai anche questo. Non lo dici mai ad alta voce, ma lo sai perché sai abbastanza di ciò che succede alle persone che sono state torturate.

In nessun caso, per nessuna ragione, uno come te dovrebbe essere in comando. I flashback arrivano sempre nei momenti peggiori, l’ultima volta che hai dormito per una notte intera è stato durante il viaggio per Kerberos, i Galra ghignano e ti chiamano Campione e tu ci perdi la fottuta testa perché loro sanno cos’hai fatto e tu no.

Ma gli altri sono tutti ragazzini. Come puoi figli che sei troppo incasinato per salvarli? Loro pensano tu sia l’eroe che ammiravano quando erano ancora cadetti alla Garrison.

Stringi i denti, scivoli nei tacchi di tua madre e continui a barcollare in giro, aspettando che qualcuno se ne accorga, che veda la realtà in tutto questo sbaglio e venga a strapparti dal posto che è chiaramente non tuo.

 

Tu starai combattendo per il nostro Paradiso con l’Inferno
e non capisci
perché nessun altro riesca a vedere.

 

La mente di Allura è diversa dalla tua. Lei era giovane e ingenua, come gli altri Paladini, quando è stata messa nella capsula, e la rabbia che la spinge sta ancora bruciando abbastanza fieramente da tenere gli incubi a distanza per la maggior parte del tempo.

Coran, però, lui conosce la tua disperazione. Certi giorni puoi sentire i suoi occhi su di te. A colazione, dopo una notte piena di terrori; durante l’addestramento, dopo uno stupido errore che avresti potuto evitare così facilmente una volta; dopo una missione, quando un ricordo ti ha abbattuto per un attimo e tu l’hai afferrato e costretto a darti qualcosa con cui lavorare, quel tanto che bastava per salvare gli altri. Ma Coran non te lo fa mai notare. Pensi sia perché lui sa anche come reagiresti.

Lui chiama Lance ragazzo mio, a volte. È uno scivolone, perché lui cerca sempre di chiamarvi per numero. Quando sbaglia, ti trovi a guardarlo come lui fa con te. Ti chiedi se avesse un figlio che il Paladino Blu gli ricorda, se è spaventato di affezionarsi troppo e di perdere di nuovo, se ha visto bambini che combattevano questa guerra diecimila anni fa, prima di entrare nella capsula.

Cambi idea. Non lo vuoi sapere.

 

Il tuo sangue su di me, e il mio sangue su di te,
vuole farti sanguinare; l’unica cosa che non farei.

 

A volte durante l’addestramento, il tuo braccio canta. È una canzone miracolosa e meravigliosa che si inarca nella tua testa come quella di una sirena, che batte nel tuo petto come un canto rituale. È la cosa più bella che tu abbia mai sentito e ti prega di affondare la mano nel petto di Hunk e strappargli il cuore.

Sobbalzi all’indietro, scioccato dall’intensità di quel bisogno, ed è abbastanza perché lui ti tocchi con il bastone da allenamento e ti rubi la vittoria. Esulta e così fanno gli altri e tu respiri pesante e sai che sei un mostro. Qualsiasi cosa ti abbiano fatto, ti ha cambiato troppo.

Un commento scherzoso per la sconfitta ti raggiunge e tu ti sforzi di ridere a dispetto di tutte le immagini di sangue e budella e morte che si ripetono nella tua mente ora. La sequenza non è in ordine cronologico, e dubiti che sia completa. Sei stato uno schiavo per un anno, non ti sei innalzato al nome di Campione con venti uccisioni o qualcosa di simile; devono essere state di più.

Non vuoi aggiungere i Paladini alla tua sala dei trofei insanguinati. Ti rifiuti.

Di notte, nella tua stanza, artigli la protesi, fai uscire il sangue, provi a strapparla via. E fa male e fa male e fa male, ma non è abbastanza e vuoi sbattere la testa contro un muro per la tua inutilità.

 

E lo sai, gli eroi non sono fatti per sopravvivere,
così tanto più difficili da amare da vivi.

 

Vedi le facce degli alieni quando ti incontrano per la prima volta.

La storia della tua prigionia e ben conosciuta nell’universo. Il Campione coraggioso, il miglior gladiatore, lo schiavo che ha si è aperto a forza una strada verso la libertà ferendo e ringhiando e ruggendo e bevendo sangue e urlando ira; il leale che si è sacrificato per i suoi compagni, il temerario che ha cercato il cielo aperto, il forte che porta alla salvezza.

Immagini che dal vivo non sembri poi quel granché.

Hai più cicatrici che anni di vita, il tuo corpo è forte ma porta i marchi della fragilità, e il tuo braccio è una cortesia del nemico. Non c’è orgoglio né sicurezza nei tuoi occhi, non puoi sollevare uno shuttle a mani nude. Non hai zanne né artigli né uno sguardo pietrificante.

Gli alieni ti osservano con un misto di incredulità e disagio, sembrano in tutto per tutto in attesa che qualcuno gli dica che questo è uno scherzo o un errore, certamente il prode Campione non può essere questa cosa spezzata di fronte a loro. Il loro giudizio ti incide la pelle più di qualsiasi strumento di Haggar, probabilmente perché sei della loro stessa opinione.

Non sei una leggenda da raccontare ai bambini la sera, prima di andare a letto. Nei sei perfettamente consapevole, e non pensi che vorresti esserlo.

 

Cammina con il diavolo nella tua testa,
penseresti che sarebbe meglio se fossi morto,
e non capisci
perché nessun altro riesca a vedere.

 

A volte resti sveglio nel tuo letto, e ti chiedi perché sei sopravvissuto all’arena. Per essere la guida di Voltron? No, stai facendo un disastri in quello. Per aiutare i Paladini più giovani? No, loro sanno badare a se stessi, sono furbi abbastanza. Per pilotare il Leone Nero? Sai già mentre stai ancora formulando il pensiero che Black è ancora incerta di te; che ti sta mettendo alla prova ancora e ancora e che sei a malapena sulla sufficienza scarsa.

E allora? Qual è il valore di essere vivo per te, se così è come vai avanti?

A volte pensi, la morte non può essere così terribile, se la vita è già così.

Chi vuoi prendere in giro? Lo pensi spesso. Troppo spesso. Spesso abbastanza che gli sguardi di Coran sono più attenti, le espressioni di Keith più preoccupare, la diffidenza di Black più pungente.

Che bisogno ha, lei, di un Paladino a cui non importa di salvare sé stesso, figurarsi il resto dell’universo? Nessuno.

Sei d’accordo con lei.

 

Il tuo sangue su di me, e il mio sangue su di te,
vuole farti sanguinare; l’unica cosa che non farei.

 

Il punto è, Keith e Lance e Hunk e Pidge, loro si meritano di tornare sulla Terra. E non potranno farlo fino a che Zarkon non sarà sconfitto. Allora alzi il braccio e combatti, come hai combattuto nell’arena, non perché attivamente desideri vivere, ma perché qualcun altro ha bisogno che tu sopravviva.

Non pensi a Matt e Sam e come il tuo combattere a loro non sia servito a nulla. Pensi che potresti diventare matto, se lo facessi.

 

Dove puoi andare? 

 

I tuoi genitori non ti hanno voluto più vedere da quando hai scelto la Garrison invece che una vita pacifica con loro in Giappone, Keith è bloccato nello spazio con te, casa tua sono stati il dormitorio dei cadetti e poi gli alloggi degli ufficiali per così a lungo e l’unica volta che sei tornato ti hanno legato ad un tavolo — proprio come loro, proprio come là, proprio come lei — quindi non hai fretta di tornare indietro.

 

(Combattendo, combattendo, continua a combattere) 

 

Un’altra battaglia, un altro pianeta da salvare, un altro colpo da ricevere. Niente di nuovo, ormai. La tua soglia del dolore è così tanto più alta, ora, di com’era una volta.

 

Dove puoi andare? 

 

Da nessuna parte. È l’unica verità che hai.

 

(Combattendo, combattendo, continua a combattere) 

 

Uccidi un altro nemico, non è che sia il primo. Benda un’altra ferita, sarà solo una cicatrice in più. Pilota, comanda, muoviti. È automatico ormai, è solo un ricomincia e ripeti, la replica di una vecchia sit-com in TV che tuo padre sta guardando in salotto.

Se qualcuno dovesse aprirti il cranio in due, pensi che potrebbero trovare le istruzioni per combattere incise nelle pieghe del tuo cervello, e nient’altro.

 

Combattiamo, guadagniamo, non impariamo mai,
e in tutto ciò gli eroi cadono.

 

I Paladini sono il più grande dono che potessi desiderare, e sai che sei un patetico scarto di essere umano per sentirti a questo modo. La loro innocenza è ciò che di frantuma il cuore di più, ma è anche l’unica cosa che ti stia tenendo a galla.

Quando Keith fallisce nel capire un altro riferimento alla pop-colture, quando Lance se ne esce con un’altra stupida battuta, quando l’onestà di Hunk gli fa mettere il suo stomaco sopra molto altro, quando il sarcasmo di Pidge tradisce quanto a lei importi, tu respiri appena un po’ meglio. Ti danno la speranza che magari questa guerra non li ucciderà come ha ucciso te, che magari — solo magari — riuscirai a riportarli a casa dalle loro famiglie e a dire, ecco, stanno bene.

Dio, moriresti con il sorriso sulle labbra, se la tua morte potesse garantire loro anche solo quello.

 

Vorrei ci fosse un modo per darti una mano da stringere,
perché tu non devi morire nella tua gloria,
morire per non invecchiare mai.

 

Keith ti dice di smetterla di parlare come se stessi per morire da un momento all’altro. Vorresti dire, troppo tardi, ma non pensi che la prenderebbe bene.

Ci devono essere delle crepe nella tua maschera, perché tutti cercano di sollevarti un po’. Lance ti costringe a fare una maschera per il viso, Keith interrompe prima l’allenamento per farti andare a letto, Hunk ti cerca per assaggiare i suoi esperimenti e Pidge condivide questa o quella cosa bella che suo fratello e suo padre le hanno detto di te. Allura si offre di ascoltare i tuoi dubbi; Coran sa che non sei pronto a parlare e ti tira solo in un abbraccio ogni volta che nessuno può vederti.

Lo sai che non è abbastanza, ma ti accovacci nella sensazione perché un anno a volte sembra una vita, e in ogni caso è passato così tanto dall’ultima volta che qualcuno ti ha mostrato affetto.

 

Il tuo sangue su di me, e il mio sangue su di te,
vuole farti sanguinare; l’unica cosa che non farei.

 

Ti amano, ognuno a modo suo. Non perché sei il lungamente desiderato erede maschio, o il prodigio straniero, o il più giovane ufficiale di sempre, o il pilota scelto di una grande missione.

Non ti amano perché sei un eroe. Ti amano perché stai soffrendo e loro lo vedono e non gli importa perché anche loro stanno soffrendo e tu non hai permesso a ciò di intromettersi in quanto li ami a tua volta.

Quando siedi al tavolo in mezzo alle loro risa, quando vieni risparmiato da un laser per lo scudo che si frappone tra il bot di allenamento e la tua schiena esposta, quando li ascolti russare appena attorno a te sul finire di una serata nella sala comune per farvi legare ancora di più, pensi che preferiresti tagliarti anche l’altro braccio che permetter a chiunque, mai, di far loro del male.

 

Dove puoi andare? 

 

Anche se avessi un posto dove andare, non li lasceresti qui da soli. Anche se un giorno smettessero di aver bisogno di te e Black trovasse qualcuno migliore per pilotarla e le tue cicatrici diventassero troppe perché tu possa continuare a combattere, non te ne andresti.

 

(Combattendo, combattendo, continua a combattere) 

 

Ferma Zarkon. Non lasciare che si avvicini ai ragazzi.

 

Dove puoi andare? 

 

Da nessuna parte. Loro sono la tua casa ora. È come appartenere e deludere la tua famiglia un’altra volta.

 

(Combattendo, combattendo, continua a combattere) 

 

Haggar è in tutti i tuoi incubi, ma la affronterai se questo significa impedire a Zarkon di ferire Keith, di ferirli tutti.

 

Combattiamo, guadagniamo, non impariamo mai.

 

Loro si meritano così tanto di più che un bene rotto, non importa quanto lo neghino e provino a farti cambiare idea al riguardo, ma questo è tutto ciò che hai da dare quindi farai sì che sia abbastanza, solo abbastanza, per portarli in salvo ancora.

 

E in tutto ciò gli eroi cadono.

 

Se devi morire adesso, allora così sia.


 


Note d'Autrice:
Ritorno a questo sito dopo quasi un anno dalla pubblicazione dell'ultima storia, con un nuovo fandom e parecchie nuove esperienze sotto la cintola. Ho iniziato questa storia per sfogare i sentimenti che la quinta stagione mi ha tirato dritte allo stomaco, tipo palla curva a centoventi all'ora, e invece mi sono ritrovata con una serie per le mani. Certe cose non cambiano mai, a quanto pare.
Allora, come già successo, l'avvertimento TRADUZIONE riferisce solo al fatto che io ho postato questa storia sia qui che sul sito inglese Archive Of Our Own, quindi esistono due versioni in due lingue diverse, ma l'autrice sono sempre io, okay? Okay.
La prossima storia sarà incentrata su Lance - non so quando la tradurrò - e inizierà a dare più trama al filo conduttore di questa storia, ma come per l'avvertimento RACCOLTA, non è necessario leggere tutti i racconti, le storie sono pensate come singole letture, semplicemente uscirà una piccola trama Post Ritorno sulla Terra se le leggete tutte. A voi la scelta.

Per chi di voi fosse interessato a seguirmi anche in inglese, dove ho molta più roba: il mio Tumblr e il mio AO3 sono nei link.

A presto,

Agapanto Blu
  
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