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Autore: lucifermorningstar    08/03/2018    4 recensioni
Seattle. Il Corvo, un Conduit o come preferiscono chiamarlo alcuni: "Bioterrorista" compierà quello che si potrebbe definire un Butterfly Effect. Un piccolo gesto cambierà totalmente il suo destino, legandolo in maniera indissolubile a quello di un altra persona.
{Crossover. Personaggi di LIS nel mondo di Infamous Second Son} {Coppia: Pricefield}
Genere: Azione, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Seattle. 5 Ottobre 2018. Ore 2:00 AM.


Faceva freddo ma non troppo. Era una temperatura sopportabile.

Migliaia di luci splendevano dalla cima del palazzo dove la ragazza si era arrampicata con maestria. I piedi poggiati sul bordo, ad osservare le strade. Lo sguardo che saliva fino a vedere le migliaia di palazzi e negozi. Piegò le ginocchia, sporgendosi con metà busto fuori dal bordo e ammirando il suo capolavoro.

Un enorme graffito riempiva tutta la facciata del palazzo, raffigurante un corvo dalle ali rosse, dall'aria feroce e sanguinaria. Sotto quest'ultimo, con il ventre perforato dagli artigli del rosso c'era un secondo corvo, piu piccolo e dal piumaggio blu, con un espressione di puro dolore. Il disegno appariva strano però. Non sembrava fatto con vernice normale, sembrava risplendesse. Vibrasse.

Il vento soffiò lievemente facendole ondeggiare il cappuccio nero come la pece. Inspirò. Espirò. Non era facile con la maschera che aveva addosso. Una stupenda maschera da corvo che le copriva il viso. Nascondeva la sua identità ma allo stesso tempo la soffocava un poco.

Un rumore alle sue spalle attirò la sua attenzione. Si voltò. La porta che conduceva al tetto fu aperta con una spallata, sfondata per essere pignoli. Sei poliziotti uscirono e si sparpagliarono sul tetto con l'arma in pugno. La circondarono subito. Si rimise dritta quando li vide avanzare, alzando un sopracciglio da sotto la maschera, non aspettandosi dei comuni poliziotti.

-Metti le mani ben in vista. Arrenditi senza oppore resistenza o saremo costretti ad aprire il fuoco- Minacciò uno dei poliziotti. Scese giu con un balzo. I poliziotti fecero un passo indietro. Erano spaventati. Sapevano chi era. Sapevano di cosa fosse capace. E la temevano. Non sapevano chi fosse realmente. Nessuno a Seattle conosceva l'identità del Corvo. La terrorista o il terrorista che si aggirava di notte. Li guardò. La stavano fissando. Fissavano quelle enormi pupille nere che aveva la maschera. Quel tocco inquietante che dava un nonsochè di artistico alla sua persona.

-Metti le mani ben in vista ho detto- Ordinò nuovamente il poliziotto. Il Corvo premette qualcosa da sotto la giacca scura e alzò le mani. In silenzio.

-Togliti la maschera-

A quella richiesta sorrise. Sorrise divertita da dietro la maschera. Scostò di poco il cappuccio, lasciando intravedere gli auricolari che aveva penzoloni al collo. Le prese e se le infilò nelle orecchie. La musica che veniva sparata dritta nei timpani. I Nirvana le entrarono in testa, occultando qualsiasi altra frase detta dai poliziotti.
https://www.youtube.com/watch?v=WqlplSmbuaI
Dondolò un poco il capo, seguendo il ritmo della musica. Infine il corvo parlò. Una sola parola. Metallica e profonda, occultata probabilmente della maschera.

-Balliamo- E si mosse. Era veloce. Molto veloce. Uno dei poliziotti le si era avvicinato e lei sfruttò la cosa. Lo afferrò per il polso. Rompendoglielo con una mossa e togliendo presa sulla pistola che aveva in pugno. Lo manovrò in modo da usarlo come scudo umano cosi che gli altri non potessero spararle. Un pugno al viso, in mezzo agli occhi. Stordito. Lo afferrò per la cintura e lo lanciò contro i due poliziotti alle sue spalle, buttandoli tutti e tre per terra.

Gli altri spararono all'unisono. Lei fece una capriola schivando i colpi con maestria. Rialzandosi di scatto e colpendo con un calcio al viso il poliziotto piu vicino. Dandogliene poi un secondo quando fu a terra, facendolo svenire. Fuori uno.

Un agente cercò di approffitare della sua distrazione per colpirla con il calcio della pistola alle spalle ma notò il movimento e si abbassò con il busto, girandosi e dando un pugno alla bocca dello stomaco dell'uomo. Questi si piegò in due e lei ne approffittò per dargli una gomitata sul collo. Cadde a terra, anche lui fuori gioco come il primo. Fuori due.

Uno sparo le strisciò sul fianco. I tre poliziotti che aveva buttato a terra si erano rialzati e si muovevano verso di lei. Cercando di afferrarla e colpirla. Uno di loro riuscì a colpirla alla gamba con un calcio e un altro la colpì al petto con un pugno. Il primo era per farle perdere equilibrio, il secondo era mirato a toglierle il respiro. Conosceva quelle mosse. E sapeva come contrastarli. Specie perchè erano vicini. Tentò di colpire con un pugno alla gola la donna poliziotto che le si era parata davanti ma il suo collega da dietro le afferrò le braccia, immobilizandola e impedendole di attaccare. La donna impugnò la pistola ma il Corvo la disarmò con un calcio.

Diede una testata a quello che le stava dietro. Afferrandogli la testa con le mani e con una mossa degna dei film di arti marziali lo sollevò, gettandolo davanti a lei. Sopra la sua collega. Fuori quattro. Si guardò attorno. 
Evitò un pugno al viso, scansandosi a sinistra. Le mani presero il braccio del poliziotto e con una mossa rapida glielo ruppe. Lo sentì urlare per il dolore. Sempre tenendolo per il braccio lo spinse per terra. Fuori cinque. Ne mancava solo uno. L'uomo era spaventato. Si vedeva chiaramente. Aveva la mano tremante e indietreggiava quando lei muoveva un passo verso di lui. Era tentato di spararle ma non lo faceva. Era giovane. Inesperto forse.

-Buh- Fece il Corvo. Il poliziotto fece un saltello all'indietro per lo spavento, buttando a terra la pistola e alzando le mani in segno di resa. Si mosse veloce, togliendo ogni distanza tra loro due. Il giovane poliziotto si beccò una testata sul naso. Cadde, tenendosi il naso sanguinante e rotto con entrambe le mani. Gemendo per il dolore e piagnucolando qualcosa sul volere la mamma. E fuori sei.

Oltrepassò il ragazzo, scansandolo come fosse spazzatura. Si guardò indietro. Sei poliziotti erano per terra. Doloranti e con qualche osso rotto. Ci era andata troppo leggera ma in fondo era meglio cosi. Era rimasta delusa. Si aspettava qualcosa di piu. Si tolse le cuffie dalle orecchie, spegnendo la musica. E solo allora lo sentì. Un rumore assai famigliare. Il rumore di un elicottero in avvicinamento. Anzi piu di uno. Si mise di nuovo sopra il bordo del tetto. Osservando i mezzi che stavano arrivando.

Due enormi elicotteri militari si avvicinavano a gran velocità nella sua direzione. In poco tempo giunsero proprio sopra di lei. Le luci erano puntate sulla sua figura, come dei riflettori ad uno spettacolo teatrale. Il vento delle pale che le agitava vorticosamente il cappuccio nero come (ironicamente) le ali di un corvo.
Non disse nulla. Dei minacciosi mitragliatori emergevano da sotto gli elicotteri, pronti a far fuoco. Sapeva che avrebbero fatto fuoco molto presto. La osservavano. La studiavano. Pensavano che si sarebbe arresa dinanzi a quello spiegamento di forze. Ma figuriamoci. Non aveva paura. Sentiva solo adrenalina. Qualcosa di cui non riusciva a fare a meno. Una vera e propria droga si potrebbe dire.

Alzò entrambi i medi nei confronti degli elicotteri e fece un passo in avanti nel vuoto. Il corpo precipitò a gran velocità verso il terreno. Il cappuccio che sventolava da una parte all'altra a causa del vento. Per un istante ebbe quasi paura di non farcela. Ma durò solo un istante. Come se fosse una gara di tuffi fece una capriola in aria, avvicinandosi con il corpo alla facciata del palazzo dove aveva appena lasciato il proprio disegno. Era un peccato rovinarlo ma doveva farlo purtroppo.

Una luce violastra la ricoprì. O meglio il suo intero corpo sembrò risplendere di luce viola. Il tempo rallentò e fu come camminare sull'acqua per lei. I piedi si poggiarono sui vetri dell'edificio e iniziò a correre. Da prima verso il basso. Continuando a scendere, per poi tornare indietro di scatto. Risalendo di corsa il palazzo, in direzione degli elicotteri. Un siluro di luce sembrava fosse diventata. Piccoli pezzi di vetro che al suo passaggio si rompevano e cadevano nel vuoto.

-Merda. Merda. Fanculo gli ordini. Spariamole. Spariamole adesso. Sta tornando, sta tornando- Urlò uno dei piloti in preda al panico. I mitragliatori si azionarono, sparandole addosso. Le pallottole la sfiorarono di pochissimo. Fu un miracolo se riuscì a schivarle tutte. Se i piloti fossero stati agenti veri, addestrati per situazioni simili e non da quattro soldi non si sarebbero allarmati cosi tanto per una come lei. E forse avrebbero avuto una chance. Ma non era stato cosi.

Corse a perdifiato. Corse risalendo tutta la facciata dell'edificio. Prendendo per bene lo slancio. Arrivata nel punto in cui si era buttata un attimo prima, mise un piede sul bordo e rivolgendosi con il busto in direzione degli elicotteri si diede una bella spinta. Buttandosi contro uno dei due elicotteri.

Il pilota doveva aver capito le sue intenzioni e aveva cercato di allontanarsi ma senza successo. Saltò e in quell'esatto momento smise di essere fatta di luce. Le mani afferrarono il mitragliatore, lì dove non poteva farle male. Penzolò per qualche istante mentre l'elicottero iniziava a muoversi freneticamente a rotazione, cercando di mandar via l'ospite indesiderato.

L'altro elicottero era impossibilitato a far fuoco a causa di tale movimento. Le girò la testa e le salì una certa nausea. Ma mantenne il controllo della situazione. Facendo forza sugli addominali si mise a testa in giu. Presa salda sul mitragliatore. Piedi contro il metallo. Spinse. Si sentì un rumore di metallo che si piegava. Era forte nonostante le apparenze. Parecchio forte. Usò tutta la sua forza e tirò via il mitragliatore. Staccandolo e squarciando parte del di sotto dell'elicottero. Quasi precipitò assieme al mitragliatore ma rapida si attaccò all'apertura, appena lasciata, con la mancina. Perdendo presa con i piedi e penzolando nuovamente nel vuoto.

Il pilota smise di far girare a vuoto l'elicottero. Facendolo volare poco poco piu in alto. Il secondo cosi aveva possibilità di sparare alla ricercata con piu precisione. Si preparò a sparare. Ma qualcosa illuminò la mano della ragazza. La luce viola di prima. Ma piu forte. Piu densa e scura. Comprese. Terrorizzato comprese cosa l'altra stava per fare. Dalla mano della ragazza mascherata partì un raggio viola. Il raggio colpì l'intera facciata del veicolo. L'uomo lanciò un urlo, buttandosi fuori dall'elicottero, giusto un attimo prima che questi esplodesse, atterrando sul tetto di un edificio.

L'esplosione provocò un onda d'urto che vista la vicinanza ebbe qualche ripercusione sull'elicottero dove la ragazza si trovava. Pezzi di metallo si erano conficcati ogni dove nel mezzo provocando chissà quali danni. L'uomo al comando perse il controllo dell'elicottero che iniziò a muoversi per conto proprio. Sorvolarono a gran velocità alcuni palazzi, sfiorandoli di qualche centimetro. In tutto quello lei aveva cercato di arrampicarsi. Una luce viola illuminò tutto il vetro, accecando il pilota per un istante. Una figura viola luminescente si palesò davanti a lui fino a riprendere i tratti del Corvo.

L' uomo estrasse la pistola. Impugnandola con una mano mentre con l'altra cercava ancora di far funzionare il veicolo. Sparò finchè tutto il caricatore non finì i colpi. Non era sicuro di essere riuscito a prenderla. Si muoveva troppo, agitandosi da una parte all'altra. Il vetro fu sfondato da un pugno. Si riparò con la mano che teneva la pistola e il Corvo lo afferrò. Tirandolo fuori dall'abitacolo e gettandolo via. Gridò spaventato mentre cadeva con la faccia sul tetto di un edificio. Stordito e disarmato si mise sul fianco. Osservando la figura della ragazza infilarsi dentro l'abitacolo.

Il Corvo non aveva la minima idea di come si pilotasse un aggeggio simile. A malapena usava la bicicletta figuriamoci pilotare un elicottero. Ma doveva farlo. Era stanco. Lievemente debilitato. Aveva esagerato. Troppa potenza nel colpo precedente. Afferrò la cloche con entrambe le mani. Muovendola cosi da spostarsi sopra l'edificio. Ma non rispondeva. L'elicottero aveva smesso di funzionare e non rispondeva piu ai comandi. Come se non bastasse il Corvo era ferito. Il pilota aveva sparato troppe volte. Impossibile evitarle tutte. Il fianco sinistro era stato colpito da due proiettili. Proiettili che erano ancora dentro al suo corpo e che facevano un male da morire.

Provò e riprovò. Nulla. Stava perdendo quota. L'elicottero scendeva in maniera assai pericolosa verso la strada. Non poteva permettere che cadesse. Non su persone innocenti. I soldati che le davano la caccia erano un conto. Persone comuni erano un tutt'altro paio di maniche.

-Fanculo. Fanculo.- Fu quello che disse a gran voce, sbattendo il pugno contro i comandi. Rompendo i circuiti in preda alla rabbia. Un idea le balenò nella mente. Folle ma fattibile. Stava per farlo davvero? Quello si che le avrebbe tolto ogni energia fu il suo pensiero. Non aveva tempo per riflettere. Il veicolo precipitava a velocità sempre maggiore. Ormai la strada era vicina. Non poteva permettersi di avere ripensamenti. Si alzò dal sedile. Buttandosi fuori dal vetro da lei rotto. Dandosi una spinta verso l'esterno.

Le persone che dovevano aver assistito alla scena dovevano essere rimaste sbalordite. Una figura che come un siluro si lanciava fuori da un elicottero che precipitava. Minacciando di schiacciarla una volta arrivati a terra. Ma ciò che doveva aver sbalordito tutti era quello che fece la figura una volta lanciatasi fuori. Le mani rivolte verso il veicolo si riempirono di luce. Luce viola che ricoprì rapida l'intero elicottero. Una luce che una volta ricoperto tutto il mezzo si gonfiò. E si gonfiò sempre piu fino ad esplodere e diventare una sorta di enorme bolla di luce.

Una bolla che, come quelle fatte di sapone, scivolò sul vento. Galleggiando e rallentando notevolmente il precipitare di ciò che aveva al suo interno. La figura era invece scomparsa nel nulla. La gente era troppo occupata a guardare come la bolla una volta vicino al terreno scoppiò, lasciando riversare il contenuto sull'asfalto per vedere dove fosse andata. Nessun ferito. Nessun morto. Solo qualche persona spaventata per lo spettacolo inatteso.

Il Corvo era volato via. Quasi letteralmente. Usato gran parte del suo potere per avvolgere l'elicottero e salvare decine di persone, aveva dovuto fare un ulteriore sforzo per non spappolarsi al suolo. Si era quindi lasciato immergere nella luce violastra e, come aveva fatto con l'edificio, atterrò sul terreno senza farsi alcunchè. Correndo per qualche metro prima di infilarsi in un vicolo. Lasciando tuttavia una scia del suo passaggio. La solita che lasciava quando correva in quel modo. Una scia lucente che anche dopo essere tornata normale rimaneva per qualche istante.

Traballante si tolse la maschera. Tossendo e piegandosi in due. I proiettili le facevano ancora male. E la testa le girava vorticosamente. Troppo potere. Potere che avrebbe potuto evitare di usare. Non erano agenti addestrati. Erano agenti semplici. Militari che volevano prenderla. Una stranezza che tuttavia evitò di rifletterci troppo. Ora soffriva. Sanguinava. Un ospedale? No. Non sarebbe stato adatto a una come lei.

Fece un bel respiro. Camminando a fatica. Stringendosi il fianco. La maschera scivolò dalle sue mani, cadendo per terra. Doveva tornare a casa. Lì sarebbe guarita da sola. Uno dei vantaggi di essere una Conduit era di non dover aspettare lunghi periodi per guarire da una singola ferita. Piu difficile era se quel qualcosa che ti aveva ferito restava dentro. Lì era una vera agonia. E lei la stava patendo tutta. Senza contare che era spossata per l'enorme spreco di energie.

-EHI- Urlò una voce dietro di lei. Si bloccò, tirandosi su il cappuccio e cercando la maschera nell'oscurità del vicolo.

-Sono un poliziotto. Non provare a muoverti chiaro?- Sparò un colpo proprio accanto al suo piede destro. Un colpo di avvertimento. Chiuse gli occhi e strinse i denti, imprecando mentalmente. Sentì i passi dell'uomo farsi piu vicini. Era debole per sopportare uno scontro fisico. Avrebbe perso nelle proprie condizioni. Ma non aveva molte alternative.

Percepì la canna della pistola contro la sua testa. Il poliziotto tirò giu il cappuccio al Corvo senza maschera. Rivelando una chioma azzurra dalle radici violastre. L'uomo fu sorpreso da quella chioma, emettendo anche un versetto sbigottito. Conosceva quella chioma. Eccome se la conosceva. Abbassò la pistola.

-Chloe?- Il Corvo si voltò di scatto, colpendo con un gancio destro la mandibola del poliziotto. Un attacco che l'uomo non si aspettava e che gli fece perdere la presa sulla pistola. Vide la sorpresa, lo sbigottimento sul viso dell'agente. Lo conosceva. Piu volte quell'uomo era andato nel dinner di sua madre, facendosi servire e trattare come un ospite in una reggia. Piu volte aveva fatto sorridere la madre con qualche complimento o con qualche mancia abbondante.

-Chloe........- Non finì la frase. Chloe gli andò addosso, spingendolo con una spallata, facendolo sbattere al muro con la schiena. L'uomo non reagì inizialmente, forse ancora troppo scosso. Quando però la ragazza fece per attaccarlo una seconda volta si diede una svegliata. Cercò di afferrarla, cingerle con entrambe le braccia l'intero busto e ci riuscì. La prese, stringendo e facendola urlare di dolore. Il fianco era il suo punto debole. Il punto in cui sentiva maggior dolore per via delle pallottole. L'agente la strinse con ancora piu forza.
Lei perse la testa. Lo morse ad un orecchio, quasi strappandoglielo con forza. L'uomo urlò ma non la mollò cosi lei gli diede una testata. Quel gesto ebbe effetto. L'uomo perse momentaneamente la presa sul suo busto, permettendogli di liberarsi.

Chloe barcollò un poco, le gambe tremolanti per il dolore e la fatica. Non riuscì a schivare il pugno che le arrivò dritto in viso. Rompendogli il naso. Non schivò il secondo, il terzo e al quarto fu sbattuta a terra. La schiena rivolta contro il sudicio pavimento del vicolo. Tenuta ferma sotto al peso dell'uomo mentre quest'ultimo le teneva stretto il collo con entrambe le mani. Lei colpì i polsi, graffiandoli. Cercò anche di morderlo ma non ebbe alcun risultato. Era troppo stanca e dolorante. Poi la vide: la pistola del poliziotto. Vicino a lei, a pochi centimetri di distanza. Si sporse, prendendola giusto in tempo, proprio quando aveva iniziato a sentir le forze venir meno. La impugnò e rapida sparò un colpo alla bocca dello stomaco di lui.

Lo sparo risuonò nell'aria. Riempendo il silenzio del vicolo. Aveva chiuso gli occhi quando aveva premuto il griletto per cui non aveva visto l'uomo che ferito tentava di rialzarsi in piedi. Finendo per cadere all'indietro. Lei era ancora a terra. Con il respiro affannato. C'era sangue. Il suo e quello dell'agente da lei sparato. L'uomo era agonizzante. Aveva colpito un punto non vitale, quasi sicuramente. Sarebbe sopravissuto. Si mise in piedi a fatica. Pulendosi il viso dal sangue che le era schizzato addosso con il dorso della mano. Lo guardò, soffriva ma non c'era pericolo. Non rischiava di morire.

Guardò la pistola che ancora teneva in mano. E guardò l'uomo. Gli venne una fitta al petto. Mosse qualche passo incerto. Trovando la maschera del Corvo a un passo dal corpo dell'agente. Lo vide che tentava di afferrare la radio sulla sua cintura. Lei fu piu veloce. Gliela prese, togliendogliela e buttandola in un cassonetto non molto lontano. Afferrò la maschera con la mano libera, tornando a guardare il poliziotto. Vide una luce nei suoi occhi. Aveva capito. Aveva capito cosa stava per fare. Scosse il capo, un che di implorante nello sguardo.

-Non......farlo.......Chloe. Ti prego.- Mormorò con quel poco di fiato che aveva in corpo. Lei lo guardò. Un ultima volta. Poi puntò la pistola alla testa.

-Mi dispiace.- Furono le sue parole mentre si metteva la maschera in viso, trasformando la voce femminile che la caratterizzava in quella metallica e profonda del Corvo -Ma non posso permettere che qualcuno sappia il mio segreto- Premette il grilletto. L'arma sparò, uccidendo l'uomo. Quel giorno fu il giorno in cui Chloe Price divenne un assassina.

 
 
Seattle. 5 Ottobre. Ore 5:30 AM.

Max Caufield sbattè gli occhi un paio di volte. Assonnata. Un rivolo di bava che le pendeva da un angolo della bocca. Se la pulì con il dorso della mano, cercando di darsi un contegno. Lanciò un occhiata al tassista che guardava la strada tranquillo.

-Nottata insonne?- Chiese l'uomo al volante, senza aspettarsi una risposta vera e propria da parte della ragazza.

-Lo è stata per molti sa? Incredibile come certe persone facciano quel che vogliono con i doni che Dio ha fatto loro.- Gli occhi azzurri della Caufield si spostarono verso il finestrino. Sbadigliando in modo vistoso. Ma la sua attenzione era tutta per le parole dell'uomo.

-Ah, questi bioterroristi, ne combinano ogni giorno una nuova. Le dirò, però, un mio parere, che rimanga tra noi. Il Corvo non mi sembra una cattiva persona, sembra solo un poco fuori controllo. Da qualcuno può essere definita malvagità, ma da qualcun'altro, anche eroismo-

L'uomo continuava a parlare da solo. Non sembrava gli importasse il fatto che lei non rispondesse. Lui parlava e lei ascoltava. Un tassista alquanto chiaccherone le era capitato. Max si sistemò la borsa a tracolla. Si passò la mano sul viso, cercando di darsi una svegliata e si abbottonò per bene la giacca. Sbuffò al dire di lui sull'eroismo. Non ci vedeva nulla di eroico nei bioterroristi.

-Insomma in questi dieci anni in cui lavoro in questo settore ne ho viste di cose eh. Sia da parte degli umani che da parte loro. Era da quando è stata emessa la legge anti-bioterrorista che non vedevo una roba come quella di ieri sera. Lo ha sentito vero? Il Corvo ha attaccato uno degli edifici della compagnia dei Prescott, marchiandola con il suo simbolo. E quello che ha fatto agli elicotteri? Mi ha fatto venire la pelle d'oca davvero. Immagini cosa potrebbero fare se non ci fosse l'Ordine. Uff.-

L'autista sterzò in maniera assai brusca, facendole sbattere la faccia contro il vetro. L'uomo si voltò a guardarla, il viso sporco di quel che restava di una ciambella dalla glassa rosa, controllando che fosse tutto apposto. Non tanto per la sua cliente quanto per il vetro con cui la ragazza aveva sbattuto la fronte. Una volta visto che era tutto in ordine tornò a guardare la strada.

-Cosa dicevo? Ah si. L'Ordine. Quei tipi sono mostruosi per la miseria. Andare in giro a combattere quei biotteroristi. Fa un po strano, dopotutto in parte lo sono anche loro. Ho sentito che il loro capo ha costruito una nuova prigione per i bioterroristi non molto lontano da Seattle. Presto tutti quelli che fanno parte del gruppo dei The Saviors potrebbe finire dentro. Ma dico io: E ai cittadini chi ci pensa? Alle persone comuni come me e lei. Tizi dai poteri sovraumani che si fanno a pezzi, dichiarandosi guerra mentre noi poveri mortali rischiamo di essere uccisi mentre uno dei due cerca di far fuori l'altro. Non c'è giustizia in questo mondo glielo dico io. Fosse per me andrei via da questa città, o ancora meglio dal pianeta ma mia moglie non vuole sentire ragioni. Ha appena iscritto mia figlia a un college privato. Ah...i figli...-

Da quel momento in poi Max smise di ascoltare l'uomo, lasciando che si perdesse nelle sue chiacchere. Per tutto il tragitto si mise al cellulare, guardando le notizie delle ultime ore, cercando la faccenda del Corvo. Trovò un articolo al riguardo e provò un certo disgusto nel leggerlo. L'articolo era stato scritto da una giornalista famosa che lei conosceva fin troppo bene: Victoria Chase. Nonostante ciò lesse comunque l'articolo, informandosi su come il Corvo avesse deturbato l'edificio dei Prescott e anche di come Victoria fosse sul tetto di un palazzo non molto distante e avesse ripreso tutto con una videocamera, oltre ad avere scattato diverse foto dello scontro con la polizia.

Nello stesso istante in cui finì di leggere l'articolo il taxi si fermò, avendola portata a destinazione. Pagò l'uomo per il servizio datole e si diresse sulla scena del crimine. I poliziotti avevano gia circondato la zona, transennandola e facendo in modo che nessuno potesse passare. Un piccolo gruppo di giornalisti si era fatto strada ma era rimasto bloccato dai ferrei poliziotti.

Ricevette un paio di cenni con il capo a mo di saluto. La conoscevano in molti. Non era una poliziotta, non era in nessun modo coinvolta con le forze dell'ordine, non professionalmente almeno. Ma il padre era stato un poliziotto di Seattle e tutti in centrale, bene o male, la conoscevano. Un agente di colore la notò. Un uomo possente e dall'aria intimidatoria, senza capelli o barba, con un qualcosa nel viso che lo faceva sembrare a una statua di marmo. Quando la vide si avvicinò di corsa verso di lei, uno sguardo truce e severo.

-Max. Cosa ci fai qui?- Le chiese l'uomo.

-Dai. Pensi davvero che non abbia saputo? E' stato commesso un omicidio. E proprio la stessa notte in cui il Corvo ha fatto il culo alla polizia. Dubito si tratti di una coincidenza non ti pare?-

L'uomo non rispose. Continuando a guardarla con quell'aria truce.

-Ascoltami bene. Smettila di ficcare il naso. E' la terza scena del crimine in cui ti trovo, mi rendi la vita un inferno.-

-Rispondi a qualche domanda e ti lascerò in pace-

Il poliziotto si guardò attorno, infastidito dalla presenza di Max sulla scena. Notò la sua espressione. L'espressione di una ragazza determinata. Di una ragazza che non si sarebbe mossa da lì senza delle risposte. Scosse il capo, sospirando.

-Tre domande. Non di piu.-

Non era quello che voleva ma era sempre meglio di tornare a casa a mani vuote dopotutto.

-E' stato un bioterrorista?- Disse a un tono di voce udibile praticamente da tutti coloro che la stessero ascoltando.

-Shhh.- Gli intimò lui, mettendosi a guardare i giornalisti che per fortuna non si erano accorti del loro scambio di battute. Tenuti ancora fermi dagli altri agenti che cercavano loro di impedire di scattare fotografie inopportune alla scena del crimine.

-Sei matta per caso? Cosa farai la prossima volta? Griderai un Vafanculo all'Ordine o ai The Saviors?-

Lei scrollò le spalle, in un gesto di scuse. Facendo un cenno del capo, invitandolo a rispondere alla sua domanda. L'uomo rimase in silenzio per qualche istante. Ancora con un che di paranoico nei movimenti e nello sguardo prima di risponderle.

-Non siamo sicuri. E' stato ucciso con la sua pistola. Potrebbe anche essere stata un aggressione isolata. Non ci sono solo Loro a combinare casino sai?-

Dunque la persona uccisa aveva un arma con se. Raymond le aveva fornito informazioni interessanti. Ignorò la domanda da lui posta per porre la successiva.

-Chi è la vittima?-

-Skip Turner. Era un agente della stradale. Pensiamo abbia fermato il teppista sbagliato. O qualche barbone alcolizzato. Il corpo è stato rinvenuto due ore fa ma riteniamo sia stato ucciso prima. Stiamo verificando dai video delle telecamere nelle vicinanze se emerge qualcosa- 

Max lo guardò incredula quando espresse le sue teorie. Davvero si aspettavano cose del genere? Rimase delusa. Se ci fosse stato suo padre avrebbe svolto il lavoro cento volte meglio di loro. A ripensarci su però non erano teorie azzardate. In fondo avevano ragione a dire che la criminalità non era ristretta solo ai bioterroristi. Forse era lei che era fissata troppo coi Conduit.

-Ultima domanda, che è piu un favore in realtà. Mi riesci a fornire tutto ciò che riesci a raccogliere sul caso e darmi il fascicolo?-

Ray la fissò con gli occhi spalancati, non credendo alle proprie orecchie.

-Ti sei bevuta il cervello? Non esiste. Non posso fornirti alcun informazione Max.-

L'uomo sembrava deciso nella sua decisione. Irremovibile. Ma era tutta scena. Lei lo sapeva. Lo conosceva bene quell'uomo. Sapeva che sotto quell'aria autoritaria c'era un cuore tenero. Glieo chiese un altra volta. L'uomo scosse il capo e fece per andarsene via e lasciarla sul posto. Ma lei lo richiamò.

-Ray. Fammi questo favore avanti. Te lo chiedo per favore.- 

Il tono che usò, implorante, fece breccia nell'animo del poliziotto che non riuscì a oppore resistenza. Raymond strinse i denti, alzando gli occhi al cielo e sospirando. Si voltò verso la ragazza dai capelli castani, con lo sguardo ormai rassegnato.

-Passa al bar di fronte alla centrale verso mezzogiorno. Vedrò di fare qualcosa.- 

Maxine esultò, tutta contenta. Ringraziando l'agente mentre andava via, salutandolo con un cenno della mano.

 
5 Ottobre. 6:15 AM.

L'uomo guardò la giovane andarsene via, tutta contenta e saltellante. Ancora non riusciva a credere di aver perso un altra volta contro di lei. Ci provava a dir di no a Max ma ogni singola volta doveva cedere. Uno dei poliziotti si avvicinò di corsa verso di lui. Richiamandolo con un tono affannato per la corsa. 

-Ray. Abbiamo trovato qualcosa. Vieni un po a vedere.- 

Venne portato nel locale di elettronica all'angolo della strada. Un monitor mostrava le registrazioni fatte. Venne trasmessa la scena della notte precedente, qualche ora prima del ritrovamento del cadavere. La telecamera era puntata sulla strada poco illuminata e si riusciva a vedere solo l'entrata del vicolo. Si intravedeva Skip che camminava sul marciapiede. Solo e tranquillo. Senza nessuno che lo seguisse o altro come avevano pensato inizialmente. Una scia luminosa percosse la strada, dirigendosi a gran velocità nel vicolo dove Skip era stato ritrovato deceduto. Si vedeva il poliziotto che, dopo un momento di smarrimento, estraeva la pistola d'ordinanza e si metteva a correre, seguendo la scia luminosa. Nient'altro. Non si riusciva a vedere nient'altro per tutto il resto della registrazione.

-Era.....il Corvo?- 

Mormorò Raymond incredulo. Quella scia era inconfondibile. Non c'erano altri Conduit, almeno per quanto ne sapesse, che potessero lasciare una simile scia luminosa. Eppure non ci credeva. Sapeva che il Corvo aveva ucciso delle persone si. Ma nessuno era un poliziotto o un civile. Erano sempre stati soldati dell'Ordine. Soldati addestrati e con l'ordine di uccidere ogni bioterrorista che infrangeva la legge, anche la piu piccola e insignificante. L'idea che il Corvo cambiasse all'improvviso modus operandi lo preoccupava. 

Alcuni Conduit avevano una morale, un codice. Alcuni non uccidevano nemmeno i soldati dell'Ordine, alcuni scappavano, limitandosi a rubare e nascondersi dalla polizia. Ma valeva anche il contrario. C'erano Conduit senza nessuna condotta, Conduit pericolosi e anarchici. Conduiti che assassinavano per il mero gusto di farlo perchè con i loro poteri si credevano degli Dei. Migliori di ogni essere umano mentre in realtà erano solo mostri sanguinari.  

Raymond Wells non era un uomo crudele. Non era quel tipo di uomo che disprezzava chi fosse diverso. Era nato in un quartiere razzista e sapeva cosa volesse dire essere odiati senza una ragione. Essere odiati solo perchè qualcuno ti ritiene differente. Quando erano spuntati i bioterroristi era stato uno dei pochi a non odiarli. C'erano anche altre persone che non li odiavano a prescindere. Sostenendoli addiritura. Ma la gente ha paura di chi è diverso e i conduit, o bioterroristi, non facevano eccezione. 
Le parole del suo collega lo fecero tornare in se. 

-Cosa?- Chiese confuso, non avendo capito cosa l'altro avesse detto. Troppo immerso nei propri ragionamenti.

-Ho detto se dobbiamo prendere le registrazioni.- Ripetè l'uomo, fissandolo. Lui sbottò, borbottando qualche parola e qualche ordine ai poliziotti che si precipitarono ad obbedire. Lui li lasciò, uscendo dal negozio preoccupato. Gli occhi puntarono l'entrata del vicolo, lì dove nella registrazione aveva visto la scia e subito dopo Skip. Era un dato di fatto. Non c'erano testimoni e avevano un solo indiziato. Indiziato che sarebbe stato divorato dalla follia giornalistica e fatto a pezzi. Doveva comunicare tutto all'Ordine e lavarsene le mani?

Ci rimuginò sopra per diversi istanti, dimenticandosi del resto del mondo. Lui era la legge. Lui era colui che doveva far rispettare le regole e punire coloro che le infrangevano. Doveva fare la cosa giusta anche se la riteneva una cosa sbagliata e ingiusta. Completamente ingiusta.
Prese il telefono dalla tasca dei pantaloni, pestando alcuni tasti con le sue dita tozze e componendo un numero di telefono ben preciso. Se lo portò all'orecchio sinistro e attese diversi secondi. Una voce dall'altro capo gli rispose e lui fu tentato di riattaccare. Non lo fece.

-Pronto? Sono l' agente Raymond Wells della sezione omicidi della polizia di Seattle. Devo segnalare all'Ordine un omicidio da parte di un Bioterrorista.-


 
Ore 11:00 AM

Dopo essere tornata a casa per una doccia veloce la ragazza si era messa dei vestiti puliti. Aveva chiuso quello che era sia il suo appartamento che il suo luogo di lavoro, osservando la sua insegna con un certo orgoglio. "Agenza Investigativa Caufield". Il nome era da cambiare ma per il momento le piaceva cosi.

Si diresse al bar di fronte alla centrale. Lì dove si radunavano tutti i poliziotti e dove aveva appuntamento con Raymond. La notizia della morte di Skip si era diffusa in fretta e alcuni erano lì a compiangerlo. Victoria Chase presto o tardi sarebbe spuntata a far domande ad ogni singolo agente, ci avrebbe scommesso la faccia. Sfruttando la faccenda per farsi pubblicità. Per lei era la prima volta che metteva piede in quel posto.

Era ancora assonnata ma c'era un che di allegro in quel posto. Non seppe capirlo con precisione ma l'aria di quel posto era speciale e le fece dimenticare ogni stanchezza. Il profumo di caffè, l'odore di marmellata e di ciambelle riempiva l'aria inebriandole i sensi. Si mise seduta ad un tavolo vicino la vetrata. Le poltrone sembravano comode seppur lievemente sporche in certi punti. Guardò fuori dalla vetrata, pensierosa. Le nuvole grigie sembravano promettere pioggia da un momento all'altro e lei non aveva l'ombrello.

Una cameriera le si avvicinò. Capelli biondi lunghi fino alle spalle, visibilmente in avanti con gli anni ma ancora bella da vedere. Un fiore non appassito del tutto con un radioso sorriso stampato sulle labbra.

-Ehi. Cos'è quella faccia malinconica? Una bella ragazza come te non dovrebbe essere triste su. Un po di allegria, coraggio.-

Il modo dolce in cui si rivolse a lei le fece scappare un sorrisetto. La donna ridacchiò soddisfatta.

-Ecco brava. E' quello il sorriso che voglio vedere quando qualcuno di nuovo entra qui dentro. Cosa ti porto? Dato che hai un bel sorriso per stavolta offre la casa. Cosi sorriderai anche di piu.-

-Sei molto gentile.....Joyce- Disse leggendo la targhetta appuntata sul petto della cameriera. La donna sorrise, affettuosa. Ordinò un piatto di waffles e una tazza di caffè. Joyce sparì, tornando qualche minuto dopo con la sua ordinazione. Gliela servì e lei si apprestò a mangiare. Dopo il primo boccone iniziò a mangiare con voracità. Era delizioso. Inforchettava e mangiava.

-Ehi ehi. Piano piano. Non scappano mica.- La raccomandò la cameriera, ricevendo un altro sorriso allegro da Max. Joyce ricambiò con gioia, allontanandosi per rimproverare due camionisti gia mezzi ubriachi che si erano messi a cantare, in modo assai stonato, lo yodel.

Non potè far a meno di ridere nel vedere la scena. I due camionisti che l'attimo prima erano tutti ballerini e canterini, e l'attimo dopo una Joyce infuriata, armata di strofinaccio li minacciava e riportava all'ordine tipo bambini dell'asilo.

Una scena decisamente comica. Seguì la cameriera con lo sguardo, vedendola che apriva la porta sul retro e svaniva dietro di essa. Finì i waffles, sorseggiando il suo caffè fumante. Si scottò la lingua per la fretta di berlo. E mentre dava aria con la mano al punto ustionato stracci di conversazione le giunsero all'orecchio. Proprio da dietro la porta in cui si era infilata Joyce. Una delle due voci era della cameriera mentre l'altra era quella di un uomo a lei sconosciuto.

-Non è tornata a casa stanotte? Sei sicuro?- Chiese Joyce.

-Ne sono certo. Ho atteso per ore. A mezzanotte sono andato a cercarla ovunque. L'ho chiamata decine di volte ma non ho mai avuto risposta. Dovresti tenerla piu a freno Joyce. E' un cane sciolto.-

-Non parlare in questo modo della mia bambina David. Ci sarà una spiegazione.- Rispose Joyce con un tono a metà tra il preoccupato e lo stizzito.

-La spiegazione Joyce è che le lasci troppo spazio. Ha perso suo padre da anni. E' tempo che vada avanti. So che è dura per lei ma questo non le d'ha una giustificazione. Ha bisogno di regole e di disciplina.-

-E cosa vuoi che faccia eh? Che la ammanetti al termosifone come hai fatto l'ultima volta?-

-Era......ho esagerato quella volta lo ammetto. Ma ammettilo anche tu Joyce che tua figlia non ha il minimo controllo. Chloe è stata licenziata dieci volte da dieci diversi lavori. Non una, non due. Dieci. Il motivo? Atti vandalici, furti, aggressioni ai clienti e una completa mancanza di rispetto. Io l'ho coperta per troppo tempo Joyce. Al prossimo guaio in cui si ficcherà io non potrò fare nulla. E' una fortuna se non stia gia in qualche prigione.-

Sentì la donna sospirare, triste. Per un istante ci fu del silenzio. Non sentendo parlare nessuno dei due per diversi secondi, finì per vergognarsi quando si accorse che stava origliando una conversazione privata. Non era una cosa da lei, eppure quando sentì la voce di Joyce aguzzò l'orecchio e continuò ad ascoltare.

-Cosa vuoi che facciamo?-

Di nuovo un lungo silenzio. Una lunga attesa. L'uomo che si chiamava David aprì bocca, rispondendo alla domanda.

-Proverò a cercarla ancora. Quando finisci il turno chiamala, magari ti risponde. O se dovesse venire da queste parti chiama me. Se la trovo ti chiamerò. E' ora di parlarle, di mettere le cose ben in chiaro. Una volta per tutte.-

Un uomo in divisa da poliziotto, con dei baffi da militare uscì da dietro la porta. L'uomo le diede un occhiata superficiale e indagatrice per poi continuare la sua strada. Fece qualche rapido passo e uscì dal locale. Cinque secondi dopo anche Joyce fece la sua apparizione. Gli occhi di lei incontrarono quelli di Max che distolse subito lo sguardo. La cameriera bionda si avvicinò a lei.

-Fammi indovinare. Hai sentito tutto?-

La domanda la colse alla sprovvista, facendola arrossire in maniera violenta. Quella fu la risposta che Joyce si aspettava.

-Come pensavo.- Non era arrabbiata con lei. Sembrava soltanto stanca la donna che lasciò andare un sospiro.

-Ti chiedo scusa. Non volevo che qualcuno sentisse i miei problemi. Io e mia figlia abbiamo dei diverbi. Spero che ciò che hai sentito non ti abbia in qualche modo infastidito.-

Quelle scuse erano l'ultima cosa che si aspettava da una situazione simile. Si affrettò subito a dirle qualcosa.

-Ma no, cosa dice? Sono io che dovrei scusarmi con lei. Non avrei dovuto ascoltare, non erano affari miei.-

La cameriera sorrise. Le prese il piatto vuoto, sbarazzando il tavolo.

-Te ne porto un altro piatto?- Chiese. Scosse il capo. E la donna andò via. La guardò. Una donna cosi gentile e premurosa aveva delle disgrazie sotto al proprio tetto. Si dispiacque un poco per quella cameriera. Non ebbe modo di pensarci troppo quando vide la figura famigliare di Raymond fare il suo ingresso, tetra e cupa come suo solito. 

L'espressione non gli fece presagire nulla di buono. L'uomo la notò, seduta al tavolo e si accinse a raggiungerla in tutta fretta. Si sedette, togliendosi il cappello e appoggiandolo sul tavolo. L'agente chiuse un attimo gli occhi, reclinando il capo all'indietro.

-Qualcosa mi dice che tu abbia brutte notizie- Sentenziò l'investigatrice. L'uomo ridacchiò amaro.

-Il tuo intuito è straordinario Caufield- Mormorò ironico. Tirò fuori una cartella, buttandogliela davanti. Max la aprì. C'erano alcuni fascicoli. Lesse di come era stato ucciso, a una prima occhiata del medico legale, dall'arma d'ordinanza con un colpo dritto alla testa. Presentava diversi segni di graffi sui polsi, segni di lotta sulla scena. Lesse che era stato ritrovato del sangue ma che non era analizzabile e nella pagina seguente lesse il perchè: era sangue di Conduit. Non analizzabile da normali strumenti per esseri umani. Lesse il rapporto secondo la quale si sospettava che l'assassino fosse il Corvo.

Mentre finiva quelle ultime righe sbattè un pugno sul tavolo. 

-Lo avevo detto io.- Disse a gran voce verso Raymond, a ricordargli la sua teoria sul fatto che fosse stato un Conduit. L'uomo si allarmò, guardando se qualcuno si era messo ad origliare o si era messo a guardarli. Quando si tranquillizzò aprì bocca.

-Caufield la devi smettere di reagire in questa maniera. Avevi ragione si. Vuoi appendere gli striscioni per caso?- Non aspettò una risposta, continuanando a parlare. 

-Ho contattato l'Ordine.- A quelle parole il sangue nelle vene di Max si congelò all'istante, facendola rabbrividire. Sbattè un paio di volte le palpebre e richiuse la bocca che le si era spalancata.

-Cosa hai fatto?-

-Ho dovuto Max. E' la legge. Se ne occuperanno loro adesso. Questo è quanto. L'indagine verrà presa nelle loro mani questo pomeriggio stesso. Ti porto queste uniche informazioni, non potrò piu aiutarti....mi spiace.-

La ragazza si mise le mani nei capelli. Sconvolta. 

-Come.....come cazzo ti è saltato in mente? Lo sai cosa succederà adesso? Hai.....hai la minima idea di che guerra rischiamo di avere per le strade? Di quanta gente rischierà di morire? Devo ricordarti cosa è successo con il Fulmine a Los Angeles?- Sibilò a bassa voce. Il tono rabbioso ma allo stesso tempo spaventato e preoccupato.

Raymond scosse il capo. Lo sguardo vacuo mentre ricordava la distruzione che era stata causata per la caccia a quel bioterrorista. Il Fulmine era stato un Conduit pacifico, semplice e che non aveva mai causato troppi problemi alle forze di polizia. Era stato. L'Ordine lo aveva classificato come una minaccia a causa dei suoi poteri potenzialmente dannosi per la società comune, capace di assorbire grosse fonti di energia elettrica e di sfruttarla per creare scariche elettriche. Era stato attaccato da un gran numero di soldati dell'Ordine e quando la caccia era iniziata il Fulmine aveva dato sfogo a tutte le sue energie per combattere e difendersi. Lo scontro era durato diversi giorni alla fine dei quali il Fulmine era stato soppresso. Il tutto era successo due anni prima e la città doveva ancora sopportare i grossi danni e le numerose morti che lo scontro aveva provocato alla città e ai suoi abitanti.
-Questa volta è diverso. Due anni fa non c'erano le prigioni per i Conduit, non si sapeva nulla su di loro. E sopratutto non c'era al comando Palmer. Con lei al comando i rischi per la città saranno minimi.-

Max si alzò di scatto. Prendendo il fascicolo e facendo per andarsene via ma l'agente la afferrò per un braccio. Fermandola e trattenendola sul posto. Si voltò a guardarlo. 

-Max- Gli disse senza voltarsi a guardarla. 

-Questa tua crociata che hai iniziato contro i Conduit non ti porterà a nulla di buono. Non puoi andare da sola e affrontarli uno per uno sperando di vincere.-

Lei rimase un attimo ferma. Inclinando il capo, gli occhi semichiusi quando sentì le parole dell'altro. Una in particolare.

-Conduit?-

Aveva usato la parola Conduit. Solo chi simpatizzava per loro li chiamava in quel modo. Max strinse i denti.

-CONDUIT?- Urlò a gran voce, tirando via con forza il braccio dalla mano di Raymond. Si voltarono tutti a guardarla, tutti si misero a guardare la ragazza che aveva urlato Conduit. Ma lei non ci diede peso, osservando l'uomo che considerava amico con uno sguardo pieno di rabbia. Una rabbia non rivolta interamente a lui.

-Dimmi che hai sbagliato a chiamarli. Dimmi che ti sei confuso Ray.- Gli fece, sperando che si giustificasse. Che dicesse qualsiasi cosa, ma l'uomo non rispose. Non disse nulla. Restando in un religioso silenzio. Disgustata Max se ne uscì dal locale di corsa. Aveva iniziato a piovere ma a lei non importava. 

Camminò veloce sotto la pioggia battente fino a casa sua. Infilò le chiavi nella serratura e aprì, entrando stanca e assonnata seppur fosse solo mezzogiorno. Aveva passato tutta la notte alzata a far ricerche. Chiuse la porta sbattendola con un calcio. Si sedette sul divano, il viso tra le mani e un dolore sordo nel petto. Una rabbia profonda che non riusciva a sfogare. Non lo faceva mai. Sfogarsi. Fare del male a qualcuno o a qualcosa. No. Non era da lei, non era da Max Caufield.

Le iridi azzurre si posarono sulla cornice che teneva poggiata sul tavolino. La prese con entrambe le mani. Dentro c'era una foto leggermente rovinata. In essa erano raffigurati lei e i suoi genitori, sorridenti e felici. Due anni prima, a Los Angeles. Strinse la foto al petto, mentre i ricordi la travolgevano come un fiume in piena. Un verso strozzato le uscì dalle labbra. Un singhiozzo. Le lacrime presero a scendere copiose sulle sue guance. Mise la testa sul cuscino del divano, scoppiando in un pianto silenzioso, un pianto che terminò solo quando la stanchezza prese il sopravvento e quando cadde tra le braccia di Morfeo, addormentandosi.
 
A tutti quelli che sono arrivati fino a qui: Congratulazioni. Mai mi sarei aspettato di scrivere il mio primo capitolo di una fanfiction cosi lungo e romanzato. Mi scuso se le descrizioni sono state vaghe o confuse. Non sono abituato a scrivere. Ho fatto quello che ho potuto. Se la storia vi è piaciuta vi invito a lasciare una piccola recensione ma anche se non vi è piaciuta cosi da poter sapere il vostro parere al riguardo. 
   
 
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