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Autore: Shikayuki    09/03/2018    1 recensioni
SPOILER ALERT S5
~
Krolia viene mandata ad eseguire una missione particolare, ma ancora non sa come la sua vita cambierà dopo di questa.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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DISCLAIMER: purtroppo i personaggi e le ambientazioni non mi appartengono!

 

• Iniziativa: Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di fandom

• Settimana: Ottava

• Missione: M5

• Prompt: Vita

• Numero Parole: 1928

 

N.B.: mi dispiace, ma non è betata! Sorry not sorry, ma sotto cowt vale il "quantity over quality", verrà fixata prima o poi!

 

 

Conoscenza o morte, vita o morte

 

Krolia inserì altri dati nel computer, ma un’ondata di nausea la colse, imponendole di fermarsi. Chiuse il dispositivo con stizza e si stese sul letto di quella capanna abbandonata e trasformata nella sua base.

Erano mesi che Krolia ormai era sulla Terra, inviata da Kolivan per indagare sugli strani segnali radio che ne provenivano. Era un pianeta curioso la Terra, era carino, ben strutturato, totalmente ignaro di cosa stava accadendo nel resto dell’Universo, ma i suoi abitanti erano esseri veramente arretrati e abbastanza bellicosi, troppo impegnati a discutere tra di loro per capire la minaccia che avrebbe potuto toccarli da un momento ad un altro. L’Impero Galra non era ancora riuscito a localizzare con precisione quei segnali, anche grazie agli infiltrati delle Lame di Marmora, che continuavano a manomettere i dati, ma Krolia comunque sapeva che aveva poco tempo, almeno per i suoi standard, solo che non aveva previsto quel piccolo intoppo.

Ricordava ancora il giorno in cui il suo fighter aveva toccato il suolo terrestre, sollevando intorno a sé una nuvola di polvere. Aveva appositamente scelto una zona desertica, ben lontana da qualsiasi centro di vita umana, per evitare qualsiasi individuazione, eppure proprio lì, in mezzo al nulla, appena uscita dalla navicella, i suoi occhi avevano incrociato lo sguardo scuro di un abitante di quel pianeta.

Era un essere più piccolo di lei, anche se pensò che per la sua razza dovesse essere abbastanza alto e muscoloso. La pelle era abbronzata, le orecchie piccole e tonde e la guardava con gli occhi sgranati dallo stupore. Krolia ricordava ancora di come gli aveva comunicato che lei veniva in pace e che non gli avrebbe fatto nulla, se avesse promesso di tenere la bocca chiusa. Quello aveva semplicemente annuito, iniziando a tempestarla di domande. Non era esattamente la reazione che si era aspettata, ma sembrava giovane, quasi un cucciolo per i suoi standard, quindi non venne spiazzata più di tanto. Gli chiese se avesse una buona conoscenza della zona, quello rispose di sì e lei decise che avrebbe potuto utilizzarlo per la sua missione. L’umano non si era scomposto più di tanto, le aveva offerto il suo rifugio segreto  che consisteva nella capanna dove si trovava ora, e tutti i giorni andava a trovarla, portandole un po’ di cibo e le informazioni che lei chiedeva. Krolia inizialmente pensò facesse parte di una qualche istituzione, visto che spesso indossava una divisa con degli stemmi che non sapeva interpretare, ma la aiutava e tanto le bastava per non indagare oltre. Certo, era sempre guardinga ed attenta, in fondo era addestrata appositamente per quelle missioni rischiose, ma comunque decise di lasciarlo fare per capirne le reali intenzioni. L’umano in realtà la riempiva di domande sulla sua cultura e sull’Universo in generale, chiedendole degli altri sistemi solari, dei pianeti, delle forme di vita che li abitavano e a volte delle loro tecnologie. All’inizio l’aliena era stata restia nel rispondergli, ma con il tempo aveva preso a fidarsi di lui, soprattutto dopo averlo seguito per alcuni giorni, per assicurarsi davvero che non la tradisse. Tra una ricerca ed un’altra aveva incominciato ad apprezzare il tempo che passavano insieme ed aveva iniziato a rispondere alle sue domande, incantandosi di quando in quando ad osservare i suoi occhi che brillavano meravigliati dalle sue parole.

Passavano i giorni, poi le settimane ed infine i mesi, e lei si sentiva sempre più a suo agio in sua compagnia, tanto che aveva iniziato a raccontargli anche della sua missione e lui aveva preso ad aiutarla, passandole informazioni dalla scuola speciale che frequentava.

La passione tra di loro era scoppiata una notte di molti mesi dopo, mentre analizzavano per l’ennesima volta il tracciato delle onde radio che continuavano a rilevare. Krolia non aveva programmato di essere ancora sulla Terra quando il suo calore si sarebbe manifestato, ma le ricerche stavano andando troppo per le lunghe e lei aveva quasi dimenticato quel piccolo dettaglio del suo essere Galra. Era una notte calda, lui indossava solo un paio di pantaloncini ed una canotta, lei dei vestiti rubati dal suo armadio, che le stavano a malapena. Erano stesi sul divano, i loro computer in piena analisi, quando all’improvviso era diventata particolarmente sensibile al tocco della loro pelle ed al calore di lui. Krolia non ci aveva pensato più di tanto, in fondo tra i Galra era normale accoppiarsi anche senza avere un compagno fisso. Erano una razza non particolarmente prolifica, per questo l?impero aveva dovuto creare degli androidi da usare come soldati. Le continue guerre e le ibridazioni con le altre specie avevano indebolito la razza, ma Krolia era quasi convinta che non ci sarebbero stati problemi con l’umano, le loro razze erano fin troppo differenti. Lui non aveva opposto resistenza, anzi aveva reagito al suo bacio subito, dimostrando che anche lui era attratto da lei. In quel momento si chiese se anche i terrestri andavano in calore come i Galra, ma accantonò il pensiero, presa ovviamente da altri pensieri e sensazioni.

A quella notte ne susseguirono altre, anche una volta terminato il suo calore, ma era così piacevole lasciarsi andare tra le braccia del terrestre che si stava rivelando una buona distrazione mentre la ricerca continuava con lentezza. Aveva trovato una caverna segnata dagli antichi segni del popolo Altean, ma non era riuscita a trovare un modo per aprirli, nonostante tutte le sue rilevazioni ed analisi. Era frustrante e se entro poco tempo non avesse raggiunto un risultato decente, sarebbe tornata alla base, pronta a lasciare il suo posto a qualche compagno più competente in alchimia.

Aveva iniziato a stare male di quando in quando da quelli che gli umani definivano “pochi giorni”. Il caldo del deserto aveva iniziato a darle fastidio e persino il cibo terrestre la faceva stare male, dandole sensazioni che non aveva mai provato prima. L’umano si era preoccupato ed aveva avanzato l’ipotesi che avesse contratto una qualche malattia terrestre chiamata “febbre”, dovuta ad un qualche microrganismo alieno per lei. I malori erano concentrati al mattino, non appena sveglia, mentre verso il calare del giorno era nel pieno delle sue forze abituali. Aveva notato dei cambiamenti nello specchio scheggiato della capanna, come i capelli più lucidi, il viso più tondo ed i seni leggermente più grandi che le davano leggermente fastidio. Il suo corpo le sembrava più tornito e pesante, ma diede la colpa al fatto che non si stava allenando più come un tempo.

Un’illuminazione la colse una mattina, dopo l’ennesima ondata di nausea. Si era portata le mani al ventre, sentendolo leggermente più molle, come non era mai stato. Improvvisamente ricordò il suo periodo di addestramento medico e ricordò di quell’unica volta che aveva incontrato una Galra incinta, e ricollegò i sintomi. A quel ricordo si portò una mano alla bocca, mentre il cervello le si fermava per un attimo. Per quanto provasse a ripetersi che fosse una cosa impossibile, dentro di sé iniziava ad accettare il fatto che un qualcosa stesse crescendo nel suo ventre, un qualcosa che non avrebbe dovuto esserci.

Le ci erano voluti dei giorni per metabolizzare la cosa, per poi decidere che il suo umano non avrebbe dovuto saperne nulla. Avrebbe concluso la missione, qualunque fosse stato l’esito, e sarebbe tornata alla base delle Lame di Marmora, dove avrebbe affrontato il problema, perché quello era un problema per lei, ed anche enorme. Krolia era una delle migliori spie delle Lame, le missioni più pericolose venivano sempre affidate a lei e svolte rapidamente e nel migliore dei modi. Era rinomata per essere senza pietà, senza esitazione, per avere una rapida di giudizio e d’azione encomiabili, ma qualcosa su quel pianeta la stava trattenendo e forse era quella sottospecie di sentimento che aveva sviluppato per il suo umano, sentimento che non poteva permettersi.

Continuava a trascinare le sue giornate tra ricerche, rilevazioni ed analisi, come se nulla fosse, ignorando che qualcosa avesse messo le radici dentro di lei, accantonando la questione in un angolo. Era andata avanti così per quelle che gli umani definivano settimane e se aveva contato giusto, era giunta a circa quattro mesi da quando aveva iniziato ad accusare cambiamenti nel suo corpo. Doveva essere a qualcosa come cinque mesi di gravidanza, ma non era un’esperta e non aveva personale medico a cui chiedere, così tirava ad indovinare. Magari se avesse contattato il quartier generale avrebbero potuto aiutarla, ma lei non voleva davvero mettere tutti quanti a parte di quello che le stava accadendo, forse perché comunque non voleva accettarlo neanche lei e continuava a rimandare, almeno fino alla fine di quella maledettissima missione. Il suo umano sarebbe tornato quella sera con il cibo, così aveva tempo per riprendersi dalla nausea almeno.

Proprio quel giorno, con l’aria ferma e il caldo che le imperlava la pelle di sudore, stesa su quel letto, Krolia all’improvviso sentì qualcosa nel ventre. Un movimento leggero, timido, come un buffetto, solo che era dentro di lei. Istintivamente si portò una mano dove aveva sentito il colpetto e rimase senza fiato. Quel giorno, Krolia finalmente metabolizzò di avere una vita dentro di lei e all’improvviso il suo mondo cambiò. Si tirò su a sedere, entrambe le mani sul ventre, la schiena poggiata contro la parete dietro il letto, lacrime che le scivolavano lungo le guance. Afferrò il suo comunicatore e scrisse un breve messaggio a Kolivan, in cui lo informava che la missione stava richiedendo più tempo del previsto e che si sarebbe fatta sentire lei, anticipandolo e comunicandogli che non avrebbe avuto bisogni di rinforzi.

Le Lame non avrebbero dovuto saperne nulla, non voleva vedere il suo… il suo piccolo strappatole via per essere trasformato in un soldato dalla culla. Lei aveva accettato il credo “Conoscenza o Morte”, ma non voleva imporlo anche a ciò che sarebbe nato da lei. Non sapeva neanche il perché, ma sentiva il bisogno di proteggerlo e la sua decisione fu rapida e veloce, proprio come era tipico di lei: il piccolo sarebbe nato sulla Terra e sarebbe rimasto con il padre.

Si chiese se la gravidanza sarebbe andata bene, se il piccolo sarebbe nato sano e forte, oppure se dalla sua unione con quell’umano sarebbe nato un abominio, se sarebbe stata in grado di affrontare tutto quello… se il suo umano avrebbe accettato la cosa o se l’avesse abbandonata, abbandonando di conseguenza il frutto della loro unione. Scosse la testa, cercando di scacciare tutti quei pensieri e decise che non era il momento giusto per pensarci. Avrebbe tirato avanti il più possibile tenendo tutto segreto e quando sarebbe giunto il momento, avrebbe agito nel migliore dei modi. Prese il suo pugnale delle Lame, simbolo di appartenenza, ed osservò la luce riflettersi sulla lama e sulla gemma dell’impugnatura. Aveva fatto un giuramento, ma la vita che cresceva dentro di lei, così preziosa per la sua razza, era più importante, anche se fino a pochi attimi prima non la pensava così.

Un altro colpetto delicato catturò di nuovo la sua attenzione e subito tutti i pensieri vennero annullati. Le Lame di Marmora, il suo giuramento, la sua missione, il suo umano, erano più nulla in confronto al fiorire di una vita che dipendeva completamente da lei. Si portò di nuovo le mani al ventre e sorrise, cosa che non faceva da quando il suo addestramento era iniziato. Le preoccupazioni, le paure, i piani del futuro vennero definitivamente messi a tacere da un terzo, timido, tocco e una lacrima le scese lungo una guancia. Sarebbe andato tutto bene, oppure sarebbe stata lei a far andare tutto bene comunque. Conoscenza o morte, vita o morte, non erano più un’imposizione, ma una scelta.

 
  
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