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Autore: changeling    11/03/2018    0 recensioni
Doveva essere una cosa rapida.
Un giorno solo, dicevano, più e una settimana di osservazione. Cinquecento dollari per non fare niente.
Doveva essere per il bene della scienza, anche, ma a rimetterci sono stato io.
Quell'esperimento ha stravolto totalmente la mia vita, il mio mondo, me stesso!
La colpa, ovviamente, è tutta degli scienziati, e il giorno in cui mi capiteranno tra le mani saprò come rifarmi. Ma c'è un'altra persona che ritengo responsabile. E' la causa principale di tutti i miei problemi da quel maledetto giorno. E' insopportabile, intrattabile, odiosa e, con mio sommo sconforto, sempre con me.
E' l'unica persona di cui non posso liberarmi. Perché è nella mia mente.
...
Agh! Ma che cazzo!
Genere: Mistero, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Finalmente sono finiti i miei esami, spero di riuscire a caricare nuovi capitoli con più regolarità e, possibilmente, frequenza. Oggi un capitolo soft, per rassicurarvi che sono ancora viva. Buona lettura.

#11_Milo
Mi accorsi a malapena di quando uscimmo dalla sala conferenze della Game Vanguard e chiusi la portiera del passeggero nella smart di Reese. La mia testa vagava altrove, persa tra la spiegazione del capo di R&S della compagnia e i dettagli che avevo letto proiettati sullo schermo. Il progetto era così pertinente alla nostra situazione da insospettirmi. Ma per sostenere un ragionevole dubbio avrei avuto bisogno di qualcosa di più di un presentimento, quindi decisi di considerarlo un caso fino a ulteriori sviluppi, e piuttosto mi concentrai sulla lampadina che mi si era accesa in testa. Era solo uno straccio di teoria, un barlume così fioco da poter benissimo essere un miraggio, perciò non aprii bocca con Reese. Lei non desiderava altro, e se si fosse rivelato solo un fuoco di paglia non volevo che restasse delusa. Dovevo avere qualcosa di concreto, prima.
Mentre riflettevo, sentii una mano sulla spalla, e l'istante successivo fui sbalzato in avanti con una forza tale che la cintura di sicurezza minacciò di separare la mia testa dal resto del corpo. Grazie al cielo non avevo dimenticato di metterla, se no mi sarei spiaccicato contro il parabrezza. Ormai era diventato un riflesso condizionato ogni volta che entravo in macchina con Reese, ma la mia quasi-decapitazione suggeriva che dovevo lasciare i pensieri per quando sarei stato di nuovo al sicuro, cioè lontano da lei.
-Milo!- esclamò Reese con aria contrariata -Dovresti rispondere quando qualcuno ti parla! Ti ho avvertito che siamo arrivati.-
-Quando?- esalai, con quel poco d'aria ancora nei miei polmoni.
-Prima che parcheggiassi.-
Mi guardai intorno. Indubbiamente eravamo sotto casa mia, ma l'asfalto ora possedeva la simpatica aggiunta di due strisce da attrito sbruciacchiate sulla superficie. Ero indeciso se più insolito fosse parcheggiare in derapata, o trovare posto al primo colpo. In fondo c'era un motivo se usavo la bicicletta, anche avendo la patente. La scarsità di parcheggi, unita alla relativa prossimità dell'università, avevano fatto di me una persona più ecologica, ma lei, ovviamente, aveva trovato il modo di attentare alla mia vita riuscendo contemporaneamente in un'impresa impossibile. Notai che una macchina in sosta poco più avanti riprendeva delicatamente a muoversi. Probabilmente il povero automobilista aveva pensato di essere fortunato a trovare posto sotto casa e si era posizionato per fare manovra come qualsiasi persona munita di patente valida aveva imparato, per poi vedersi tagliare la strada da una smart impazzita. Il poveraccio alla guida aveva ancora motivo di sentirsi fortunato, se si sentiva abbastanza bene da poter riprendere a guidare.
-In futuro, se mi vedi distratto, chiamami dieci secondi prima di tentare di uccidermi!- sibilai, massaggiandomi la gola.
-Ci ho provato- rispose Reese sistemandosi i capelli nello specchietto retrovisore (l'unico motivo per cui gli desse mai un'occhiata) -Ma tu non mi hai sentito proprio. A che pensavi?-
-Alla conferenza- risposi sinceramente.
-Contento che ti abbia portato?- mi strizzò l'occhio. Strinsi la cinghia della mia tracolla, chiedendomi se fossi effettivamente felice di aver partecipato. -Mi ha dato molto su cui pensare. Stasera ti mando l'articolo.- risposi, sganciando la cintura e aprendo la portiera.
-Ehi, non ho bisogno dell'articolo fatto, solo della traduzione comprensibile di tutto quello che è stato detto. E magari della tua opinione personale.-
Sollevai un sopracciglio nella sua direzione. -Non è questa la definizione di "articolo"?-
Reese scosse la testa, indignata. -Senza la verve del giornalista, è solo un resoconto. L'obbiettività è più un optional.-
Scossi la testa, esasperato. -Come dici tu. Ci sentiamo più tardi.-
Uscii e chiusi la portiera. A metà marciapiede la sentii che mi chiamava di nuovo. -Che c'è?-
-Sei invitato a cena da me questo fine settimana. Porta anche Jordan- mi comunicò attraverso il finestrino aperto. Aggrottai le sopracciglia, confuso. -Non sapevo che Vincent andasse dai suoi-. Era l'unico motivo per cui lasciasse Reese a casa da sola, ma non avevo sentito di progetti in proposito, di recente.
-Infatti non ci va. Vuole conoscerti. Porta le lasagne, eh?- disse a velocità di curvatura, poi mise in moto e sgommò via. Rimasi momentaneamente stordito in mezzo al marciapiede, e mi mossi solo quando Reese fu lontana a tre isolati di distanza. -Porto le lasagne...Che cosa?!- le gridai dietro correndo al ciglio della strada, ma a quel punto non poteva nemmeno vedermi, figuriamoci sentirmi. Mi presi un momento per gemere ad alta voce e pestare i piedi, quindi ignorai gli sguardi della gente che mi aveva ormai inquadrato come pazzo e mi girava alla larga, ed entrai in casa. Il mio appartamento era al quinto piano di un modesto palazzo giallo dall'intonaco crepato. La zona era frequentata soprattutto da studenti, con locali notturni e Starbucks praticamente ad ogni angolo. Ogni tanto rischiavi di incappare in piantagrane che volevano i tuoi soldi, e, soprattutto il venerdì sera e nei finesettimana, dalla strada venivano continui rumori, ma a me non importava. Il mio appartamento era il mio rifugio: all'ultimo piano (ancora, niente ascensore, motivo per cui Reese veniva raramente a trovarmi), due stanze da letto, salotto, cucina, un bagno. Avrei potuto permettermelo per conto mio, se non fosse stato per l'extra che mi aveva fatto innamorare: la soffitta. La prima volta che c'ero entrato, era un buco pieno di ragni e polvere, il soffitto gocciolava quando pioveva e il piccolo balcone annesso aveva la balaustra pericolante, ma io avevo capito al volo che sarebbe diventata il mio santurario. Ero subito andato alla ricerca di un coinquilino, e grazie ai soldi che avevo messo da parte ero riuscito a risistemarla poco per volta. Avevo sistemato il tetto e la balaustra, isolato le pareti e rifatto completamente l'impianto elettrico perchè sopportasse l'alta tensione. Avevo sfrattato insetti, ragni ed eventuali roditori che avevano fatto della soffitta il loro nido, ripulito le ragnatele e buttato via tutto il ciarpame che il precedente proprietario ci aveva lasciato. Poi mi ero lasciato andare.
Entrato in casa, abbandonai le mie cose sul divano e andai dritto in camera mia, dove tirai giù la scala che portava di sopra. Appena ebbi richiuso la botola sentii le mie spalle rilassarsi. L'aria, lassù, odorava di gallio e zinco; se non avete mai passato un intero pomeriggio in una sala computer ben arieggiata non potete capire la meraviglia di questo odore. E' come inalare elettricità, solo senza prendere la scossa, e mille volte meglio di qualsiasi insulso profumatore per ambienti. Fasci di cavi percorrevano il soffitto come la mia ragnatela privata, ordinatamente raccolti da fascette di plastica. Per contro, il pavimento era sgombro, ricoperto di morbita moquette blu-carta-da-zucchero, e al centro della stanza troneggiava la mia postazione personale: nove schermi al plasma ad alta definizione, altrettante tastiere, niente mouse. Solo questo assicurava che la maggior parte della gente non avesse idea di dove mettere le mani; come se non bastasse, due joystic pendevano da un gancio alla destra degli schermi, e nessuno di essi si sarebbe acceso senza la giusta sequenza di cerchi, quadrati, triangoli, x e frecce. Le pareti erano rivestite di assi di legno originali, e vi avevo appeso quadri e disegni realizzati da mia sorella. Vicino alla finestra avevo sistemato un angolo mini-bar, e subito fuori sulla terrazza c'erano una sdraio e un tappetino da yoga arrotolato per i miei esercizi quotidiani. Gli unici posti dove sedersi erano la sedia imbottita girevole ed ergonomica davanti ai monitor (scelta personalmente valutando fattori come resistenza, forza centrifuga generata dalle giravolte, tasso di flessibilità e di lavabilità dei cuscini, e statistiche sulla probabilità di ribaltamento) e la nuova aggiunta, esattamente di un mese, di una poltrona di un diplomatico color crema vicino al mini-bar. Proprio lì mi buttai a sedere, reclinando la testa su un bracciolo e agganciando le gambe sull'altro. Sentivo montare il mal di testa. Ultimamente se passava un giorno senza che me ne venisse uno, c'era da lanciare i fuochi d'artificio. Almeno non erano più lancinanti come prima. Respirai a fondo l'odore di elettronica, lasciando che il mio corpo si spalmasse sui cuscini imbottiti. Mi doleva una spalla, dove uno dei miei nuovi allievi mi aveva colpito maldestramente, ma c'ero abituato. La mia mente era presa da altro, congetture, teorie, possibilità...ma senza informazioni concrete non sarei andato da nessuna parte. 
Mi rialzai e andai a sedermi alla mia postazione. Accesi lo schermo principale e aprii la pagina del motore di ricerca. Passai le due ore successive a scartabellare siti internet e forum di appassionati (su molti dei quali, ero già registrato). La notizia del sistema Full Dive non era ancora di dominio pubblico, ma su molte piattaforme erano state formulate ipotesi più o meno azzeccate sul nuovo segretissimo prodotto della Game Vanguard, comprese alcune teorie complottistiche basate sull'apparente scomparsa di diversi collaudatori. Non ero solito dare seguito a certe cose, ma salvai lo stesso la pagina in funzione della teoria di Reese che anche le storie più assurde avevano un fondo di verità. Dopo di chè, mi dedicai alla selezione di materiale che potesse aiutarmi a sviluppare la mia teoria.
-Miles? Sei lassù?-
Riemersi all'improvviso dall'articolo che stavo leggendo e guardai l'ora. Era tardi, e avevo ancora una quantità di cose da fare. Decisi di mettere un punto alla mia ricerca, per ora.
-Sì, ora scendo!- gridai. Chiusi tutto e feci discendere la botola. Di sotto mi aspettava il mio coinquilino, fuori dalla porta della mia camera. -Si mangia?- chiese.
Mi tornò in mente che avevo delle lasagne da preparare, e repressi un gemito. Sarebbe stata una lunga attesa fino al fine settimana. 
  
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