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Autore: Ayr    12/03/2018    4 recensioni
[Fighting Fire]
«I-io non posso continuare in questo modo»
«Cosa vorresti dire?» esclama Nemeria, incredula e confusa.
«Quello che ti ho appena detto» risponde Noriko con una freddezza che fa rabbrividire l’altra, «Recitare! Fingere! Costruire dei sentimenti e una maschera che non esistono!»
«Hai finto che cosa?» sillaba la mora. Ogni parola le costa un enorme fatica e le lettere escono strozzate dalla gola, soffocate, incerte. Gli occhi iniziano già a riempirsi di lacrime.
Non vuole approfondire il discorso, ha paura di scavare e scoprire cosa nascondano quelle parole; per la verità, lo intuisce, ma si rifiuta di crederlo: è qualcosa che la sua mente nega di concepire, e rigetta come un boccone amaro. Cerca di rimandare la propria condanna a morte fino a quando diventerà inevitabile.
«Di amarti.»
[Storia partecipante all'iniziativa "Red as your lips" del gruppo Facebook "Long live the Femslash"]
[I personaggi di questa storia sono stati tratti dalla long di Hime "Fighting fire", la storia è dedicata a lei (Andate a leggerla, marrani)]
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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AMANTES AMENTES

Quare id faciam fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior

 

«Non posso andare avanti così» Noriko interrompe il bacio a metà e allontana Nemeria da sé; la ragazza la guarda incredula senza capire.
«Cosa stai dicendo?» chiede, tornando a lambirle il collo con baci piccoli e leggeri, per provocarla e invitarla a riprendere il contatto appassionato di poco prima. Osa persino una carezza, che dalla guancia, scivola lungo la mandibola, ne traccia il profilo delicato, scorre lungo il collo bianco, le clavicole sporgenti e sfiora uno dei seni scoperti.

Sono nell’harara, dopo l’ennesimo estenuante allenamento. Ormai è diventato un appuntamento fisso: la sauna è uno dei pochi luoghi dove è concessa loro un po’ di intimità e un ritaglio di tempo per uscire da quel mondo di polvere, sangue, dolore e fatica e immergersi in uno di vapore, passione, serenità e piccole attenzioni. A Nemeria piace intrattenersi tra quelle mura di legno chiaro con Noriko, più che nella camera da letto: c’è un’atmosfera diversa, più spontanea, più naturale, e i vapori rendono tutto molto più nebuloso e incerto, come essere immersi in un sogno.
Ma la rossa la scosta di nuovo, infrangendo la sua visione onirica.

«Che ti prende?» si infiamma subito l’altra. Da qualche settimana Nemeria ha notato questo cambiamento in Noriko: è diventata più distaccata, più lontana, e i suoi baci non hanno la stessa passione, la stessa intensità; le sue carezze sono più fredde, costrette, come se stesse recitando una parte che non le piace.
«I-io non posso continuare in questo modo» ripete la rossa, alzandosi improvvisamente.
Nemeria non l’ha mai vista così nervosa e agitata: anche nell’Arena, poco prima degli incontri, ha sempre un’espressione neutra, impassibile e non mostra alcun segno di nervosismo. La ragazza si è sempre domandata come riesca a mantenere la calma in ogni situazione e a non lasciarsi sopraffare dalle emozioni: è sempre lei a tranquillizzarla e infonderle coraggio prima di ogni scontro, ed è sempre lei a impedirle di far saltare i denti a qualcuno ogni volta che un altro Gladiatore la provoca. È palese che qualcosa preoccupi profondamente la rossa, e Nemeria ha il terrore di scoprire di cosa si tratti.

«Recitare! Fingere! Costruire dei sentimenti e una maschera che non esistono!» risponde l’altra, senza guardarla negli occhi.
«Cosa vorresti dire?» esclama Nemeria, incredula e confusa.
«Quello che ti ho appena detto» risponde Noriko con una freddezza che fa rabbrividire l’altra. Il nervosismo pare essere scomparso, ibernato da quella calma gelida, piatta e liscia che la contraddistingue. La rossa è diventata una lastra di diamante, difficile da scalfire e ancora più difficile da interpretare.
«Hai finto che cosa?» sillaba la mora. Ogni parola le costa un enorme fatica e le lettere escono strozzate dalla gola, soffocate, incerte. Gli occhi iniziano già a riempirsi di lacrime.
Non vuole approfondire il discorso, ha paura di scavare e scoprire cosa nascondano quelle parole; per la verità, lo intuisce, ma si rifiuta di crederlo: è qualcosa che la sua mente nega di concepire, e rigetta come un boccone amaro. Cerca di rimandare la propria condanna a morte fino a quando diventerà inevitabile.

«Di amarti» dichiara Noriko con voce atona, senza alcuna inflessione. Nemeria non riesce a capire se la sconvolgano di più quelle parole o il tono neutro con cui sono state pronunciate. Sembra che non le importi davvero nulla, che non le interessi avere appena distrutto il suo intero mondo e aver ridotto il suo cuore a un ammasso rosseggiante che trema spasmodico, in un ultimo, anelante sussulto di vita. 
Rimane gelata, spenta, morta: quelle due parole l’hanno ferita più profondamente di qualsiasi squarcio possa averle aperto Roshanai negli allenamenti o i suoi avversari negli scontri. È un taglio che non può essere rimarginato, che continuerà a gocciolare sangue, fino a lasciarla completamente svuotata e dolorante.
«Hai finto per tutto questo tempo?» singhiozza Nemeria, maledicendosi subito dopo: non vuole piangere e mostrarsi debole, nemmeno davanti a Noriko che è sempre stata testimone delle sue mancanze e delle sue lacrime, ed è stata la forza che sosteneva e compensava le prime e il conforto caloroso che asciugava le seconde.

La ragazza si sente un allocco per aver esposto così tanti scorci vulnerabili di sé, fidandosi delle promesse fumose dell’altra che aveva dichiarato che l’avrebbe protetta a ogni costo, che l’avrebbe sostenuta.
È stata ingannata e il tradimento brucia come mille schegge di fiamma; ma non è il fuoco che la anima quando è sul punto di lanciare un incantesimo, non è l’incendio alimentato dalla rabbia.
È un’autocombustione che la sta consumando lentamente, da dentro, lasciando di lei niente più che un nugolo di farfalle di cenere disperse dal vento.
«Mi era stato chiesto» Noriko si stringe nelle spalle. Ciò che fa imbestialire maggiormente Nemeria è proprio questa indifferenza, la totale apatia che sembra aver preso il sopravvento sulla gladiatrice, ricomprendo con una patina biancastra, che rende tutto uniforme e incolore.
«Ti era stato chiesto?» ogni parola è per lei una lama che raschia la gola e le fa sputare sangue.

«Tyrron mi ha chiesto di inventare qualcosa che potesse catturare il pubblico, coinvolgerlo, invogliarlo a patteggiare per noi, per fare in modo che sopravvivessimo entrambe a queste ecatombe…che tu sopravvivessi a questa ecatombe.»
«In che senso?» pigola Nemeria. Per quanto sia doloroso scoprire la verità, ha un bisogno viscerale di comprenderne ogni aspetto, di capire fin dove si sia protratta la farsa di Noriko e i motivi che l’abbiano spinta a giocare con lei in maniera tanto crudele e spietata.
«Tyrron non ha mai pensato che fossi in grado di resistere all’Arena: troppo esile, troppo buona, troppo poco allenata, troppo ingenua, troppo inadatta, e temeva di perderti già dal primo incontro. Così mi ha chiesto di ideare un piano che potesse tenerti in vita… E quale piano migliore che coinvolgere il lato sentimentale e compassionevole del pubblico?»

«C-così la prima volta mi hai risparmiata fingendo di amarmi? Q-quel bacio, nell’Arena, è stata solo una messinscena.»
L’ultima frase è stata un’affermazione, ma Noriko annuisce lo stesso.
L’ultimo sussulto del cuore di Nemeria si spegne, sostituito da un baratro nero, senza fondo, senza forma. E la ragazza viene inghiottita da quel baratro annullandosi completamente.

Si lascia cadere contro la parete dell’harara, ha bisogno di un sostegno per non crollare definitivamente: ogni certezza, ogni convinzione, ogni speranza e sogno sono stati sbriciolati. La sua vita è stata devastata un’altra volta, così come era stato bruciato ogni frammento della sua famiglia e ogni persona cara annullata nel sangue, quando il suo villaggio era stato raso al suolo dai predoni, assieme a tutta la sua infanzia.
L’aspetto più lacerante è il fatto che questo eccidio, questa volta, sia stato compiuto da Noriko: una persona che aveva giurato di proteggerla, che l’aveva sempre sostenuta e accompagnata, che era stata la sua spalla e la sua guida. E quando le aveva posato delicatamente le labbra sulle sue, nell’Arena, in un bacio tremante che aveva il sapore della terra, del sangue e delle lacrime, aveva creduto di aver aggiunto un nuovo significato a ogni suo gesto: l’amava, e per questo, si era prodigata tanto nei suoi confronti.
Nemeria si era illusa che questa motivazione fosse la spiegazione di ogni comportamento dell’altra: la sua freddezza, quegli slanci subito mitigati dal suo sguardo severo e autoritario, quegli atteggiamenti indecifrabili nascondevano un sentimento che sconvolgeva la rossa e le impediva di comportarsi in maniera razionale e coerente, sorprendendola ogni volta. L’aveva fatta impazzire, perché non capiva, e solo allora aveva creduto che tutte le tessere del mosaico avessero raggiunto il loro posto, formandone una figura.

Noriko aveva appena distrutto quel disegno con un colpo di martello, spargendo tutti i tasselli, che come schegge di vetro le lacerano l’animo.
Il dolore si tramuta in rabbia e la rabbia in odio: è stata illusa, usata, sfruttata, mossa come una marionetta senza che si avesse alcun riguardo per lei e i suoi sentimenti. Volevano che sopravvivesse e hanno raggiunto perfettamente il loro obiettivo: perché tutto quello che considerava vita non era stata altro che uno spettacolo in cui recitare il ruolo dell’ingenua che ancora crede all’amore e alle promesse, ha fiducia negli altri e viene irrimediabilmente delusa e ferita.
Solleva lo sguardo verso Noriko, gli occhi fiammeggiano, scintillanti di lacrime. Schiude le labbra: vorrebbe dirle qualcosa, riversare su di lei il marasma di sentimenti in ebollizione dentro di lei, ma questi sono troppo violenti, troppo ingarbugliati, si intrecciano l’un l’altro mordendosi a vicenda, sovrastandosi a vicenda, impedendole di esprimere a parole quel coacervo di serpi suicide.
Solleva anche il resto del suo corpo abbattuto e sfilacciato, diventato ormai un involucro vuoto. Lo fa deambulare fino all’ingresso del bagno. Getta un ultimo sguardo a Noriko, risentito, carico di rabbia ma soprattutto delusione. È una pugnalata al cuore, e la rossa sente un dolore atroce all’altezza del costato, quasi vi avesse confitta una lama reale.

Nemeria si trascina fuori dall’hanara, e Noriko la guarda allontanarsi.
Solo quando l’anta torna a incastrarsi nel riquadro, con uno sciocco secco, che ha il terribile suono di qualcosa di definitivo, si morde le labbra, crolla sulle ginocchia e inizia a piangere.
Violenti singhiozzi la scuotono, mentre la maschera di impassibilità e freddezza che si è costretta a indossare fino a quel momento si crepa, e i frammenti scivolano sulle sue guance assieme alle sue lacrime.

Nulla di quello che le ha appena detto è vero: Tyrron mai le ha chiesto di inscenare una relazione per aumentare le probabilità di Nemeria di sopravvivere; la sua raccomandazione era stata solo quella di impedire che la ragazza si bruciasse subito, di evitare che le sue emozioni prendessero il sopravvento, rischiando di commettere qualche strage che avrebbe segnato la sua condanna. E Noriko aveva rispettato il patto…
Fino a quando, nell’Arena, erano state costrette a scontrarsi e Nemeria era crollata sotto la spinta dei suoi attacchi: era caduta a terra, e Noriko aveva esitato, la naginata sospesa sopra la testa, il colpo già caricato. Non si era aspettata che soccombesse così rapidamente, non credeva che sarebbero arrivate a quel punto, e un terrore cieco aveva invaso il suo petto: il pensiero che il pubblico decidesse per la morte della ragazza l’aveva sopraffatta, gettandola in uno stato di panico che mai aveva sperimentato e mai aveva pensato di poter provare. L’urgenza del momento, il terrore di poterla perdere e quel sentimento informe, che da tempo tormentava la sua anima, l’avevano incalzata e spinta a compire un gesto ardito -del quale, però, non si era pentita e mai avrebbe rinnegato- e invece di infliggerle il colpo mortale, come il pubblico incitava, aveva gettato lontano l’arma e sotto lo sguardo sconvolto dei presenti si era voltata verso la tribuna d’onore.
«Mi arrendo» aveva dichiarato, e il pubblico aveva iniziato a rumoreggiare.

«Mi arrendo» aveva ripetuto, «E non mi interessa se sarò ricoperta di infamia e ignominia. Mi arrendo, perché è l’unica cosa che posso fare per non uccidere colei che amo. E preferisco morire con il disonore che macchia la mia persona, perché mi sono ribellata e non ho obbedito all’ordine, piuttosto che vivere con l’onta di averla uccisa e il peso di aver preferito la mia vita alla sua.»
A quel punto aveva afferrato una mano di Nemeria e l’aveva rimessa in piedi, e prima che l’altra capisse la situazione, si era appropriata delle sue labbra, baciandola delicatamente. In quel brevissimo istante, Noriko aveva temuto il peggio: aveva disatteso un ordine, aveva risparmiato Nemeria quando era stato decretato che morisse, e probabilmente aveva condannato entrambe. Ma uno scroscio di applausi e grida di incitamento avevano approvato quel gesto impulsivo e irrazionale, dettato dall’istinto e dall’ondata di sentimenti che l’avevano trascinata. Aveva sospirato contro la bocca dell’altra e aveva avvolto la mora in un abbraccio.
Contro ogni previsione il suo gesto aveva sorpreso e conquistato il pubblico: avevano stupito e regalato qualcosa su cui spettegolare, scommettere, commentare, sostenere o deprecare. Avevano fornito un nuovo intrattenimento, una scusa per invogliare il pubblico a tonare nell’Arena, per scoprire come questa storia d’amore impossibile si sarebbe sviluppata. Da allora, erano diventate le eroine dell’Arena, raccogliendo consensi e sostegno, molti sponsor si erano prodigati per loro, e Tyrron aveva inventato una storia che rendesse ancora più tragica e disperata la loro situazione, e dopo aver rimproverato la rossa per un’iniziativa tanto sconsiderata, si era complimentato per l’idea e l’aveva appoggiata totalmente, incitandola in quella direzione. Ciò che Tyrron ignorava era il fatto che Noriko provasse davvero quei sentimenti che dichiarava, ma con l’uomo aveva sempre finto che fossero costruiti, i personaggi di una storia architettata per il teatro dell’Arena, come se ne vedevano spesso. Non aveva alcuna intenzione di esporre le proprie debolezze a chiunque, tantomeno all’uomo che poteva disporre della sua vita come meglio credeva.

Ma ben presto quella relazione, che ondeggiava costantemente tra la realtà e la finzione, era diventata una catena e una lama: da un lato le rafforzava perché potevano trovare sostegno e conforto l’una nell’altra; ma dall’altro le rendeva vulnerabili perché l’una era il punto debole dell’altra, un possibile mezzo di ricatto o di minaccia, una fragilità che avrebbe potuto spezzarle. Erano l’una i piedi di argilla dell’altra e il torneo era diventato troppo competitivo e asserragliato per potersi mostrare vulnerabili e esili: Noriko non voleva che Nemeria fosse coinvolta in qualcosa a causa della loro relazione, che diventasse un mezzo per giungere a lei, che le facessero male perché potessero provocare la rossa. Doveva preservarla: la amava troppo per vederla ferita da qualcuno, o sfruttata per colpire lei.
Così aveva preferito distruggerla lei stessa, con un solo, poderoso fendente mortale, prima che un altro nemico decidesse di ridurla lentamente a brandelli. Era stato più doloroso, ma era un dolore simile allo strappo di una benda: improvviso e lancinante, ma fondamentale per permettere alla ferita di guarire, ed evitare che la carne imputridisca. Aveva appena evitato che Nemeria si incancrenisse, e con lei il loro rapporto.

Si passa una mano sul volto, cercando di scacciarne le lacrime: nessun accenno di cedevolezza deve essere mostrato, sarebbe stato un appiglio fornito ai nemici per colpire più in profondità.
Noriko stringe il busto con le braccia, alla ricerca di un pallido spettro di uno di quegli abbracci di Nemeria, entusiasti e capaci di avvolgerla completamente, nonostante la mora fosse sempre stata più esile di lei. Si era sempre mostrata restia a quel contatto, rispondendo al gesto in maniera rapida e incerta, senza il trasporto e l’intensità dell’altra, come se non le fosse mai importato granché. La verità, era che lei amava essere abbracciata da Nemeria: tra le sue braccia poteva mostrarsi fragile e vulnerabile, e depositare per un momento la maschera che si costringeva a indossare ogni giorno. Era un assaggio di sincerità, spontaneità e fiducia.
Un piacevole calore si diffondeva nel suo petto, talmente inaspettato da essere doloroso. Era sempre lei ad allontanarla e Nemeria, dopo i primi tempi, aveva smesso di protestare, e si rallegrava per quelle schegge sbeccate di affetto che le concedeva, taglienti e fredde come frammenti di cristallo.
Noriko ripensa a tutte le volte in cui avrebbe potuto dimostrare maggiormente la sua affezione per l’altra, quanto le facessero piacere i suoi piccoli gesti d’amore, che non aveva mai dimostrato di apprezzare abbastanza, quando anche il più piccolo sguardo era fonte di gioia e conforto. Lei era sempre stata la più intraprendente, ma Nemeria era stata quella più tenace e affettuosa, che era scivolata lentamente nel suo cuore, senza che se ne accorgesse e vi si era raggomitolata, diventando una presenza minuscola e ignorabile, ma costante, che lentamente aveva scavato, ritagliandosi un cantuccio sempre più profondo e stabile, fino a diventare imprescindibile. Un pezzo della sua anima che se gli fosse stato strappato non sarebbe più riuscita a riprendersi. Per questo aveva preferito farlo da sé, distruggersi da sola, in modo che nessuno ne avesse la possibilità, acquistando un vantaggio su di lei e l’occasione per controllarla.

Noriko si arpiona il petto, all’altezza del proprio cuore ridotto in briciole: non aveva tenuto conto della sofferenza devastante che ne sarebbe seguita. Accecata dal miraggio di pace e serenità che le attenzioni di Nemeria, i suoi baci e le sue carezze avevano intessuto sulle sue palpebre, non aveva notato l’inganno celato dalla trama, che pian piano la stava imbrigliando nella sua ragnatela, imprigionandola e impedendole di potersi difendere dagli attacchi dei suoi nemici. Aveva deciso di lacerare quella ragnatela, di rompere la bolla di serenità, ma almeno, avrebbe potuto difendere Nemeria come aveva sempre fatto: da lontano e in segreto, senza rischiare di essere limitata o minacciata dal loro rapporto.
Era stata una decisione sofferma, ma l’unica possibile. Nemeria sarebbe diventata più forte dopo la rottura: la rabbia e il dolore si sarebbero trasformati in forza e tenacia, sarebbero stati il fuoco che l’avrebbero animata nell’Arena, sbaragliando i nemici. La mora era sempre stata più forte e resistente, nonostante sostenesse il contrario. Si sarebbe ripresa egregiamente e avrebbe bruciato i propri avversari.
Noriko sorride tristemente, convincendosi di aver fatto la scelta migliore. Perché, dunque, sentiva tanto dolore e provava l’impulso di correre da lei e raccontarle tutto?
«No,» mormora tra sé e sé, «è meglio tenerla all’oscuro, lasciare che mi odi e che l’odio, come è stato per l’amore, siano l’energia e la forza di volontà che la condurranno fuori da quest’inferno.»

Noriko crede che Nemera abbia una possibilità, a differenza sua; Tyrronn gliel’h confessato: Nemeria riscuote successo, è capace di farsi amare dal pubblico, lei no. E preferisce che almeno una delle due si salvi, piuttosto che entrambe periscano a causa di legacci troppo stretti e limitanti.
Noriko sospira e si lascia cadere e appoggia la schiena contro la panca; anche lei ormai svuotata.
È stata una sciocca, per ben due volte: la prima decidendo di iniziare quella relazione, la seconda scegliendo di troncarla. Era una pessima idea, lo sapeva, ma aveva preferito affidarsi al suo istinto e dichiarare il proprio amore per Nemeria, nascondendolo dietro un’espediente per la sopravvivenza di entrambe. Era stata un’ingenua a esporsi in quel modo, non tenendo conto che quell’amore avrebbe potuto ritorcersi contro di loro, diventare la loro rovina.
Rendendosi conto del madornale errore, si è vista obbligata a spezzare le catene che lei stessa aveva creato.
Solleva lo sguardo, le lacrime che non è riuscita a cancellare a rigarle le guance, ancora calde delle labbra dell’altra.
«Perdonami» singhiozza, «perdonami di amarti e di avertelo lasciato capire.»
La porta dell’hanara rimane chiusa.

 

   
 
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