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Autore: Cress Morlet    15/03/2018    21 recensioni
Nella cornice di 'As the world falls down', un dopo l’Epilogo.
[Jareth/Sarah]
"Che cosa è, Jareth? Che cosa è tutto questo?"
Il brusio e le mani che la toccavano, impedendole di muoversi e di fuggire, erano un gioco di poco conto.
Non erano quelle cose stupide a soffocarle il petto, stretto nel suo corpetto bianco da principessa.
Mani vecchie, dita scheletriche e affusolate le afferravano l'abito sfarzoso mentre era schernita da risate sguaiate, attutite dalle maschere informi.
E il cuore si strinse su se stesso quando lui le sorrise, arrivando a distruggere il piccolo mondo di vetro che aveva costruito nella sua testa.
"È un sogno, Sarah. Tutto può succedere in un sogno"
No, non nei suoi sogni.
Non aveva mai sognato nulla del genere, non ne aveva la capacità.
Era troppo bello.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Sarah
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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NOTE La storia è ambientata in una scena particolare del film 'Labyrinth', ovvero nella scena del Ballo in Maschera in cui Jareth (David Bowie) canta 'As the world falls down' ad una giovane Sarah vestita da Principessa o, secondo altre visioni, da Sposa.
Il film narra di come Sarah, in un momento di rabbia e disperazione poiché voleva vivere la sua giovane età senza pensieri e preoccupazioni, all'inizio delle vicende spera che il suo fratellastro Toby venga rapito dal Re dei Goblin. In tal modo lei avrebbe potuto essere libera da ogni incombenza e non dover più essere costretta a badare a lui. Precisamente Sarah racconta una favola e specifica che il Re l’avrebbe salvata dal 'bambino cattivo e piagnucolone' proprio perché era innamorato di lei e quindi avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di renderla felice.
Doveva essere uno scherzo, una storia raccontata soltanto per sfogarsi, ma poco dopo Toby scompare davvero. Jareth, il Re, ha realizzato il suo desiderio.
Sarah si pente subito di quello che ha desiderato e chiede più volte di poter riabbracciare il bambino, ma Jareth si rifiuta di accontentarla. Solo dopo tante insistenze il Re le propone di attraversare tutto il Labirinto che conduce fino al Castello dei Goblin, se davvero vuole salvare suo fratello.
Ancora, dopo tantissime peripezie Sarah riesce a salvare Toby e a ritornare sana e salva nel suo mondo.
Questa storia dunque vuole essere un 'Dopo l'Epilogo'. Nel film si fa spesso riferimento ai sentimenti dei due protagonisti, soprattutto a quelli di lui, ma la situazione non viene realmente affrontata ed è lasciata in sospeso.
Cosa accadrà in futuro tra di loro?
La storia inizia con un loro incontro in questa ambientazione che ricalca il film, un incontro a metà tra sogno e realtà, avvenuto grazie ai poteri di Jareth e soltanto alla completa conclusione di tutte le vicende.





Grazie a chiunque vorrà leggere questo testo. Ho vissuto dei bei momenti mentre lo scrivevo e mi auguro susciti le stesse belle emozioni a chi lo leggerà.






                                                                                                    HOPELESS



"Che cosa è, Jareth? Che cosa è tutto questo?"
Il brusio e le mani che la toccavano, impedendole di muoversi e di fuggire, erano un gioco di poco conto.
Non erano quelle cose stupide a soffocarle il petto, stretto nel suo corpetto bianco da principessa.
Delle dita scheletriche, affusolate, le afferrarono l'abito sfarzoso e delle risate sguaiate, attutite dalle maschere informi, la schernirono insolenti.
E il suo cuore si strinse su se stesso non appena lui le rivolse un sorriso, arrivando a distruggere il piccolo mondo di vetro che aveva costruito nella sua testa.
"È un sogno, Sarah. Tutto può succedere in un sogno."
No, non nei suoi sogni.
Non aveva mai sognato nulla del genere, non ne aveva la capacità.
Era troppo bello.

Provò ad avvicinarsi a lui, tentò con tutte le sue forze, ma la gonna troppo ingombrante e lo strascico troppo lungo, erano calpestati dai tacchi delle altre dame invidiose. Ad ogni passo lei rischiava di cadere tra le braccia di quella gente che voleva soltanto deriderla e che voleva fermarla, voleva bloccarla in quel punto, in uno scherzo crudele.
Sarah era talmente tanto vicina a lui da riuscire a vedere i suoi occhi dietro la maschera, e allo stesso tempo era talmente tanto lontana da non poterlo neppure sfiorare. Era sempre stato così tra di loro.
Lui era il Re: irraggiungibile, anche solo a due passi di distanza.
"Non ti piace il sogno?"
Lui abbassò la maschera e forse la lasciò cadere per terra oppure la perse tra le pieghe del suo mantello.
Lei tentò nuovamente di muoversi e il mondo girò intorno ai suoi piedi, mentre delle dita rugose ricominciarono a strattonarla e a strapparle il velo. La sua testa era tormentata dal mormorio di crudeli pettegolezzi e di indicibili cattiverie, di bugie sussurrate in punta di piedi e di parole volgari sputate da bocche di porcellana.
Si liberò dalla presa ferrea di quelle mani viscide e rischiò di ritrovarsi in ginocchio, inciampando nei suoi stessi piedi. Desiderava soltanto non ascoltare più altre favole distorte dalla falsità, raccontate da tante maschere colorate che si beffavano di lei e della sua goffaggine.
Ma non si può essere più forti della volontà di un Re.
"Non ti piace il sogno?"
Soprattutto perché lei non era davvero una Principessa.
"Questo sogno è per te. Ogni cosa qui è solo per te."
E se il Re voleva il tuo male non c’era davvero salvezza.
Non c'era davvero speranza.

Sarah si spogliò degli orecchini che indossava e glieli gettò contro il petto, quei pendenti pesanti di cui si privò insieme alla collana e alle decorazioni tra i suoi capelli.
Si riprendesse ogni cosa, bruciasse tutto all'Inferno, anche quella sala sfarzosa con quelle perle che pendevano dal soffitto, i tavoli ricchi di cibo, gli specchi sulle pareti, bruciasse ogni cosa.
Anche lei e la sua incoerenza, la sua stupidità.
Le cortigiane tentarono ancora di fermarla e lei si sfilò le scarpe, voltandosi verso la folla che ballava e si divertiva.
"Non sono più quella Sarah", gli disse, senza abbassare lo sguardo.
"Sarai sempre quella Sarah. La mia Sarah."
Lei afferrò tra le dita la sua immensa gonna e gli diede le spalle, intrufolandosi nella calca a fatica e senza riuscire a scostarsi dai tocchi molesto. Lottò contro gli uomini che le tirarono le braccia o le urtarono le spalle.
"La mia Sarah che fugge..."
Si dissolvesse il sogno come era accaduto la prima volta.
Si disintegrasse la bolla di realtà dentro cui loro erano, crollassero i muri, si aprissero anche i pavimenti, al pari di bocche affamate di lei e dei suoi nascosti segreti, e inghiottissero ogni cosa, anche l'ultimo ventaglio bianco.
Tutto, purché finisse.
Tutto, purché fosse libera.
"... e che poi si ritrova sempre qui. Tra le mie braccia."
Era riuscita a compiere soltanto pochi passi prima di ritrovarsi davvero tra le sue braccia, con le maniche dell’abito che le accarezzavano la pelle nuda, scoperta dai nastri poco annodati del corsetto.
Tra tutte le dame che volteggiavano intorno a loro lei non riusciva a vedere altro, nessuna via di fuga, nessuna uscita secondaria posta all'angolo della sala, no, non c'era nulla.
Perché con lui non c'era mai stata speranza di salvezza.
"Tu... tu non hai alcun potere su di me."
Glielo aveva già detto, lo aveva già sfidato come una tra le più caparbie ragazzine ingenue, cadendo sempre nella stessa trappola che lui aveva ogni giorno preparato appositamente per lei.
La sua pelle parve bruciare da dentro, come se in un punto imprecisato del suo petto un dolore infinito si stesse sgretolando insieme ad ogni sua certezza.
"Un cuore innamorato. È il potere più grande che tu potessi darmi."
Scosse la testa e sollevò il mento. Voleva osservare il suo viso e parlare senza tentennare, urlare la sua verità, ma dimenticò - davvero? davvero l’aveva dimenticato? - una cosa importante.
Non negli occhi. Non doveva mai guardarlo negli occhi, non così.
"Non è vero."
Lui sorrise lentamente e inclinò il capo in basso, verso il suo visino paonazzo, costringendola a schiudere le labbra, a balbettare impacciata. Lei provò ad allontanarlo, a dirgli qualcosa che lo facesse adirare talmente tanto da distruggere il gioco, da farlo cadere giù negli abissi più profondi del regno dei Goblin, confondendosi con uno tra i milioni dei pezzi di cristallo distrutti dalla sua vanità.
Ma tutte le parole rimasero bloccate sulla sua bocca, incastrate tra i denti o in gola.
Jareth sollevò la mano e la pose sul suo sterno, poco al di sotto della scollatura, e continuò a sorriderle in un modo che avrebbe dovuto farle temere il peggio, perché era lo stesso sorriso della prima volta in cui si erano incontrati.
"Oh, sì. È un cuore davvero innamorato."
Gli afferrò la mano e l'allontanò con rabbia mentre serrava le labbra in una smorfia tanto stretta che neppure lei sapeva quanto stesse realmente dicendo di se stessa.
Eppure dovette essere uno schiaffo per lui, perché le strinse il mento e la costrinse a smettere di tormentarsi l'interno della guancia con i denti.
Sarah chiuse gli occhi e fece un altro passo indietro, lasciando la sua mano a mezz'aria, un guanto blu che accarezzava il vuoto. Il suo sorriso non si incrinò neppure quando lei si voltò e fuggì di nuovo.

Si scontrò con una coppia danzante che rise dinanzi al suo volto arrossato e venne spinta lontana da loro, cadendo addosso ad un'altra dama che sorseggiava del vino da un calice trasparente.
In tutto quello scontro di falsità il pavimento freddo sotto i suoi piedi fu l'unica cosa a sembrarle reale.
Non c'era speranza, non dentro una trappola costruita con tutti i suoi sogni più nascosti, quelli che neppure lei conosceva e ricordava una volta sveglia.
Lui era diventato ancora più crudele nella sua terribile decisione di tormentarla in quel modo, deciso a dimostrarle un potere che lei già conosceva e che aveva provato a celare ogniqualvolta chiudeva gli occhi oppure quando camminava da sola in una strada polverosa.
Non aveva pietà.
"Ho messo un mondo ai tuoi piedi, Sarah."
Jareth si era nascosto dietro ad un ventaglio nel momento stesso in cui lei aveva superato un'altra coppia che le aveva stropicciato l'abito.
Non si era accorta di essere in un nuovo angolo di quella sala, un’altra volta dinanzi a lui che sorrideva nello stesso identico modo di poco prima.
Non aveva misericordia.

Jareth le sfiorò la guancia con le nocche, in una carezza talmente distratta che le sembrò quasi sincera.
Come se non fosse premeditata in lui ogni azione, ogni tocco, ogni parola.
"Sii almeno gentile."
Gentile?
Lo guardò negli occhi e fu uno dei suoi errori più grandi, quello che non avrebbe mai dovuto concedersi.
Quegli occhi.
Udiva in sottofondo i bisbigli delle altre donne e le risate dei giullari, una musica dolcissima tra i passi e le pose delle coppie danzanti, il rumore di alcune posate cadute a terra, il fruscio delle perle appese al soffitto e il soffice staccarsi di magnifiche piume bianche in grado di attutire lo stridio dei tacchi contro il pavimento.
Eppure appariva tutto talmente distante in quel momento, come se fosse ovattato, poco importante.
Talmente tanto insignificante da poter essere dimenticato.
Lei era una Principessa scalza al cospetto di un Re.
"Perché sei tornato nella mia vita?"
Un Re che aveva degli occhi capaci di far inginocchiare un intero esercito ai suoi piedi.
Dal colore indefinito, con le pupille che si prendevano beffe dei poveri mortali.
"Non me ne sono mai andato. Non mi sono allontanato di un passo."
Sarah si portò una mano ai capelli e distolse lo sguardo, non riuscendo più a respirare - il petto in affanno, il cuore sotto ai piedi.
Il corsetto era troppo stretto, gli sbuffi dell'abito troppo pesanti, la gonna un tormento senza fine.
Voleva soltanto abbassare le ciglia, reggersi il capo stanco tra le mani, apparire meno debole di quanto non fosse in realtà, essere quella Sarah di cui tanto andava orgogliosa. Non voleva essere quella strana caricatura di Principessa Trovatella che confida in un sorriso fugace da parte del suo Re.
Gli diede le spalle e due uomini si scontrarono contro di lei, impedendole di muoversi velocemente.
E poi a fermarla fu una mano che le carezzò con infinita dolcezza i suoi capelli.
"Ti pettinerei i capelli per ore, Sarah. Per ore."
"Bugie, tutte bugie."
Era ritornata una bambina?
Davvero aveva risposto in quel modo, senza pensare di poter apparire più infantile e più stupida di quanto già non fosse?
Una ragazza incapace di fuggire da un ballo in maschera, ecco quello che era.
"Davvero non ti piace il sogno? Cosa vuoi che cambi, cosa ti piacerebbe di più?"
Si allontanò dalla sua mano e si voltò rialzando il mento, perché Jareth era troppo vicino e molto più alto di lei.
La Principessa Trovatella scalza.
"Sei crudele."
"Sono generoso. Pensavo avessimo chiarito questo punto."
È generosa qualsiasi attenzione di un Re.
Non importa se comporta dolore, se mette sotto sopra il mondo intero, se cambia la disposizione delle stelle, se provoca più male che bene - una distruzione nata per distrazione.
È comunque il gesto di un Re.
E dovrebbe essere apprezzato per il fatto di aver pensato, anche solo per un secondo, a qualcuno che non fosse se stesso.
Che ingrata Principessa.
"Allora restituiscimi la mia realtà. Fammi tornare a casa."
Jareth le avvolse la vita con le braccia e lei avvertì il suo cuore palpitare in gola e traboccare pericolosamente sulla sua bocca schiusa.
Batteva troppo forte, sgretolava il suo controllo, le impediva di parlare e le faceva temere di star perdendo un pezzo di se stessa.
Che ragazzina poco intelligente.
Abbassò le palpebre e poco dopo i capelli del Re le solleticarono la fronte.
Quella era una trappola, un inganno creato con tutti i cocci rotti dei suoi desideri più negati.
"Ordinamelo guardandomi negli occhi", le sussurrò all'orecchio, prima di allontanarsi da lei e di lasciarla da sola.
Sola come era sempre stata, sola nelle sue fantasie.
Non c'era speranza di trattenere un sogno, si dissolveva ogni mattina rendendoti soltanto più vulnerabile.
È un cristallo. Nulla di più. Ma se tu...


Si ridestò dai suoi ricordi e lo intravide in un altro angolo della stanza, fermo ad osservarla mentre una dama con l'abito grigio gli mormorava qualcosa all'orecchio, qualcosa a cui lui non prestava attenzione se non il tempo di un assenso veloce e di un cenno di circostanza.
Una clemente cortesia l'interesse di un Re.
Il ventaglio di una ballerina gli coprì una parte del volto, un gioco di luci e ombre ad ogni nuovo volteggio e inchino, eppure lui continuava ad osservarla e a sorriderle nell’attesa del momento in cui l’avrebbe vista rovinarsi con le sue stesse parole, con i suoi stessi sogni.
Era sempre stata la peggior nemica di se stessa.
Ti mostrerà i tuoi sogni.

Corse verso l'orchestra e, quando altre mani si aggrapparono alle sue maniche, lei lasciò che le strappassero l'abito - e sporcassero pure il bianco - e che le guastassero l'acconciatura già disfatta.
Aveva creduto che Jareth fosse appoggiato ad una parete opposta alla sua, ma non era così. Lui era al centro della sala e all’improvviso era al suo fianco, con una smorfia di superiorità sulle labbra e le mani già protese verso il suo corpo. Si confusero in mezzo alle altre coppie, iniziarono a ballare.
E allora lei comprese che non era davvero cambiata, perché ogni volta che tentava di fuggire in realtà si ritrovava ancora più stretta tra le sue braccia - glielo aveva già detto, l'aveva già derisa.
La beffava, si divertiva con il suo stupido giocattolino a cui avrebbe concesso la poca attenzione riservata a tutti i suoi svaghi meno importanti, la stessa poca cura e scarsa preoccupazione.
"Quale sarà la tua vittoria? Quale sarà il tuo tornaconto da tutto questo?"
Jareth la avvicinò di più a sé, le mani aperte e morbide sulla sua schiena, e le sorrise mostrandole i denti con una risata bassa.
Ma lei si aggrappò alle sue spalle e nascose il volto vicino al suo collo, continuando a parlargli sottovoce.
"Questo tormentarmi cosa ti porterà? Quale vantaggio? Perché sprecare tanto tempo soltanto per prenderti gioco di me?"
Lui immerse il naso tra i suoi capelli e non smise di condurre la loro danza, senza mai sbagliare un passo e muovendosi leggero tra gli altri ballerini.
"Non so chi stia tormentando di più tra noi due", le disse, piano.
Che il soffitto cadesse sopra le loro teste e gli specchi riflettessero il vuoto in quella sala, il vuoto nei loro cuori, e l'orologio la liberasse con lo scoccare di ogni ora, anche di ogni minuto.
Tutto pur di avere una vita senza quel sentimento.
Tutto pur di non credere alle sue parole.
"Te l'ho già detto,Sarah. Ho fatto tutto per te."
"Cosa? Cosa avresti fatto per me?"
Che il cuore si fermasse in quell'istante e il suo corpo crollasse a terra, come se fosse una bambola vecchia e scucita dalle tarme.
Si sollevò sulle punte dei suoi piedi e vide che lui aveva gli occhi persi nel vuoto, immobili ad osservare un punto al di sopra della sua testa.
Quegli occhi. Le pupille diverse.
Strinse le mani sulla sua giacca e gliela stropicciò, forse gli arrossò la pelle, non seppe neanche lei come potesse riuscire a non volare via, come potesse riuscire a non cadere nel vuoto nella forma di un cencio di stoffe.
"Ogni cosa. Ogni singola cosa è stata fatta solo per te."
Passò una guancia sulla sua tempia e Sarah si aggrappò al suo collo, sentendosi sul punto di affogare - aveva già provato una volta a respirare sott'acqua, facendosi del male.
"Mia piccola cosa preziosa."
Il Re innamorato della Principessa Trovatella.
Come nelle favole.
Il Re misericordioso che non ha occhi, non ha pensieri, non ha vita, se non per la Principessa di un regno talmente tanto lontano e sperduto da non essere più segnato su nessuna cartina, in nessun documento sbiadito, in nessuna scartoffia trascurata e dimenticata sul fondo di un baule.
Ama lei, ama lei, ama solo lei.
Come nella sua favola.
E non c'era nulla che potesse fare, in nessun modo avrebbe potuto salvarsi da una prigione perfetta, costruita con delle grate di cristallo.
Lui era troppo abile a mentire, a prendersi gioco dell'altro e poi a ostentare indifferenza, lui che piegava la mente di ogni suo avversario nei futili secondi di noia.
Lei non doveva credere a nessuna parole. Confondersi era qualcosa di semplice e sarebbe stato facile abbandonarsi tra le sue braccia e non pensare più, non riflettere su quanto tutto fosse una menzogna.
Quando mai lui aveva compiuto un atto di generosità?
"Non... non può essere", mormorò a se stessa, per ricordarselo, per smettere di sognare ad occhi aperti.
Jareth appoggiò il volto sulla sua spalla e la sollevò da terra, continuando a farla volteggiare. Non percepì più freddo ai suoi piedi, solo ciuffi di aria e strati di vestiti che calpestava malamente, poi di nuovo il pavimento e poi ancora il vuoto.
Danzava sospesa, proprio come il suo carillon.
"Cosa non può essere?"
"Non è reale, Jareth. Nulla di tutto questo lo è."
Non sei davvero innamorato di me.
Era una favola, era una lusinga alla vanità di una ragazzina sempre sola che desiderava diventare un’eroina.

La sala era brillante e cupa al tempo stesso, una pioggia di stelle luminose mangiate dall'oscurità della notte, dagli occhi del Re.
Tutte le persone in quella sala si muovevano in base ai suoi movimenti, gravitavano al ritmo dei battiti delle sue ciglia, e mai si avvicinavano a lui, mai si permettevano di sfiorarlo.
Immutabile, irraggiungibile.
"Se fa male allora è reale, Sarah."
Faceva male ballare insieme lui, essergli vicina sempre ad un soffio di troppo distante, continuare quel gioco crudele interminabile.
"Principessa, devo insegnarti tutto."
Le stringeva il cuore, le stringeva il cuore troppo forte.
Si sarebbe spaccato in due e di lei non sarebbe rimasto più nulla.

Jareth la condusse ad una colonna di marmo dove lei appoggiò la schiena, nuda e accaldata.
Cercò di nascondersi dai giullari che passeggiando le mostrarono scrigni falsi e tentò invano di non guardare i Bacchi che piluccavano chicchi d'uva viola e altre fanciulle ingioiellate che servivano calici d'oro ad alcuni uomini seduti scomposti lungo l'immensa tavolata ricoperta da grandi drappi bianchi.
Ridevano tutti, lo facevano sempre, si schernivano a vicenda e non prendevano mai nulla sul serio, neppure loro stessi.
Era un rumore costante che penetrava tra i suoi pensieri e la infastidiva, le rendeva ancora più pesanti le palpebre.
"Sarah."
Era la corte di un Re, era l'Inferno travestito da paese dei balocchi.
"La mia Sarah. Sempre con gli occhi crudeli."
I suoi occhi erano un labirinto di cui non avrebbe mai trovato la vera via di fuga.
Non c'era speranza.
E quando lui le baciò la fronte e lei si aggrappò di riflesso al suo viso, fu certa di essersi persa per sempre.
Era tra le sue braccia e i suoi piedi erano sopra le sue scarpe, l'aveva posata lì sopra per fare in modo di non farla più camminare scalza su quel pavimento troppo freddo.
Generoso?
Con le sue spalle la nascose al resto di quel mondo, la coprì con un atteggiamento protettivo e le sistemò alcune ciocche dietro l'orecchio sinistro.
Che cosa hai fatto di generoso?

Gli allacciò le mani dietro la nuca e iniziò a contare i suoi respiri, a sentire un nodo in gola che l'avrebbe fatta sciogliere e crollare in ginocchio fino a essere lei stessa la parvenza di un cencio vecchio senza alcun valore.
"Ti libero. Ti libero da ogni legame imposto, dalle mie parole, da ogni cosa...”
"Pensi sia questo? Credi di essere stata tu?"
Era stata lei, con tutte quelle troppe storie in testa e nessuno con cui parlarne. Aveva narrato una favola come se fosse una maledizione, si era inventata l’affascinante personaggio di un Re capace di rapire un bambino pur di liberare la sua Principessa da ogni fastidioso dovere.
Lo aveva voluto lei, lo aveva desiderato e il suo sogno si era avverato in ogni minimo dettaglio.
"Certo che sei stata tu, Sarah. Non nel modo in cui credi, ma sei stata tu."
Ma quello che nessuno sapeva...
"Sei libero, ti rendo libero da ogni mio capriccio”, ripeté contro il suo petto, il naso che sfiorava la sua camicia decorata da strani merletti.
Non era reale, non doveva dimenticarselo, una bugia, era solo una terribile menzogna.
Un’invenzione di una adolescente disperata.
... era che il Re si era innamorato della ragazza!
"Sono il tuo schiavo. Ti regalo cento dei miei anni e mille altri e cento altri ancora. Ti aspetterò per tutto il tempo che vorrai."

Si ritrovò il cuore fuori dal petto, lungo la gola e di nuovo in bocca, tra i palmi delle mani, nel rombare delle orecchie, ai loro piedi, nella pancia, per le gambe molli e poi nello stomaco.
"Hai me stesso ai tuoi piedi."
Guardò giù verso il pavimento e dovette reggersi alle maniche scure del suo abito pur di riuscire a non crollare a terra.
Perduta per sempre nel labirinto delle sue pupille, legata ai suoi piedi da una catenina d'oro, con un sentimento oscuro annidato sotto le sue costole.
I suoi piedi nudi sopra le sue scarpe nere.
Fu così che la sua realtà si infranse, senza fare troppo rumore.
"Poni fine alla tua crudeltà, Principessa. Amami."
Per l'eternità.
"La mia volontà... la mia volontà è forte quanto la tua. La mia volontà..."
Poteva ricordare, era in grado di porre fine a tutto, così come lo aveva fatto la prima volta.

"Allora desideralo. Con tutta te stessa, con tutta la tua forza di volontà."
Solo lei avrebbe potuto distruggere quel sogno.
Dunque l'inganno era quello, che ragazza ridicola e piena di contraddizioni.
Non lo desiderava abbastanza, non lo voleva davvero.
La Principessa era innamorata.

I suoi capelli biondi le solleticarono le guance e le ginocchia cedettero di riflesso mentre spiegazzava la sua camicia e il suo completo blu brillante.
Non esisteva la sala, non c'erano davvero mormorii o risate, nessun ballo e nessuna musica dolce.
Solo gigli bianchi che cominciarono a rotolare giù dal soffitto, a fiorire dalle perle, a scivolare lungo le colonne e poi a confondersi tra le piume.
E lui, così bello.
Un demonio soddisfatto di ogni sua malefatta, capace di far piangere gli angeli, i quali avrebbero rinnegato la loro fede solo per un suo sorriso.
Piovevano gigli che non lo sfioravano, volavano petali che lui raccolse in una mano e che donò a lei come se fosse un’offerta di pace.
Petali più pericolosi di lame di spade, proprio adatti ad una ragazzina che aveva sempre vissuto di aspettative disilluse.
Dei gigli non potevano pulire quanto di sbagliato ci fosse tra di loro, tutto il bianco del mondo non avrebbe fatto differenza e non era disperata a tal punto da non ricordarsene, almeno in un angolo buio della sua mente.
Ma non c'era più modo di contenere quel sentimento, cresciuto insieme a un dolore dolcissimo che avrebbe accettato fino alla fine dei suoi giorni.
Vivere di amore e di bellezza come le eroine dei suoi romanzi.
Vivere solo di lui.
"Credo di aver perso questa volta”, gli rivelò, mentre accettava petali dalla sua mano e li lasciava scivolare sulla sua gonna e poi a terra insieme agli altri steli.
Lui sollevò un angolo della bocca e lei sentì chiaramente un pianto disperato da qualche parte oltre loro stessi.
Esisteva davvero qualcosa oltre Jareth?
"Hai deposto le armi, Principessa?"
"Ho solo capito che non c'è speranza."
Senza speranza, un amore del genere era senza speranza, era da folli incoscienti.
I tuoi sogni, Sarah. Ti mostrerà i tuoi sogni.
Si era incastrata da sola, con la sua stessa volontà aveva perso e si era ritrovata incapace di compiere un altro passo, di allontanarsi per sempre da quello che erano, dalle sue parole appassionate.
Un ultimo desiderio?

Lo abbracciò, si strinse forte a lui e fu come perdere il cuore ai loro piedi.
Fu come morire con la certezza di aver amato e di essere stata amata.
La stessa fragile intensità.
I suoi occhi, i suoi occhi, i suoi occhi.
"Non c'è speranza, Jareth. Non quando...”
Non quando sei sempre stato tu il mio sogno.
Gli baciò le palpebre e si sporcò le labbra con il suo trucco. Lo sentì sussurrare poco parole, mormorarle con passione.
- Mia Sarah, mia Principessa, mia piccola cosa preziosa -
Non si accorse che entrambi avevano chiuso gli occhi fino a quando non sollevarono le ciglia e il tempo si fermò.
Non sapeva se il mondo stesse davvero crollando, se fosse un abbaglio oppure la realtà.
Perse il fiato come quando aveva corso, scalino dopo scalino, lungo tutte le scale del suo Castello.
Era in una bolla di sapone.
I tuoi sogni.
Non c'era...
"Sarah."
Non c'era...
"Sono qui, Sarah. Sono qui."
Perché le sue guance erano bagnate?
Nelle sue orecchie c'era il tintinnio della musica del suo carillon che la stava commuovendo e che la stava imprigionando in una sfera di cristallo. Non poteva rompersi, oppure si sarebbe sciolta in mille lacrime, in atroci lamenti di principesse rinchiuse in uno sgabuzzino con il corpo malamente coperto da degli stracci.
Le lancette degli orologi spezzate ai piedi di un baule logoro, i numeri scrostati e illeggibili, i libri ingialliti con le pagine strappate e consumate.
Gli specchi che ridevano al ricordo delle immagini di una lei bambina che indossava una corona finta, di carta e pastelli.
"Sarah, torna da me."
Erano i suoi occhi a farle perdere la strada per ritornare a casa.
Il suo respiro sulle labbra le dava la sensazione che fosse tutto reale.
Se fa male allora è reale.
Quanto male doveva ancora farsi prima di convincersi che fosse tutto reale?

Avvicinò ancora di più i loro volti e si specchiò nelle sue pupille diverse, percepì gli occhi bruciare e le lacrime scorrere, infrangersi sul mento di lui, sul suo stesso collo, sui gigli.
"Poni fine alla tua stessa sofferenza, Principessa."
Non voleva che scomparisse mai più.
Temeva molto di più una esistenza vissuta senza di lui piuttosto che l’oscurità del suo sguardo o il misero destino che avrebbe potuto attenderla ad un soffio di secondi.
La Principessa scalza, seduta sul trono, ad aspettare invano il ritorno del suo Re.
Il rintocco di una campana si riverberò nel suo petto, in un punto imprecisato di se stessa che lei credeva fosse morto alla fine della sua infanzia.
"Desideralo. Desideralo e basta."
I suoi sospiri sulla pelle, le braccia ancora avvinghiate intorno alla sua vita.
E c'era una porta sulla parete opposta a loro.
Era una porta già aperta, con una chiave dorata dentro la serratura antica, il legno scuro e grattato, come se qualcuno avesse picchiato quella porta, con i pugni chiusi e la fronte appoggiata sopra di essa.
Generoso?
Come se qualcuno avesse colpito quella porta talmente tanto forte da lasciare dei segni eterni che lei scorse da lontano. C'erano ancora delle macchie di sangue rappreso.
Che cosa hai fatto di generoso?

Una promessa d'amore.
"Jareth, i tuoi occhi...”
"Sono i tuoi ad essere crudeli. Sei tu che mi stai strappando il cuore."
Le sfiorò la fronte in un altro bacio che le seccò la gola e le rese impossibile il tentativo di rispondergli e di fermarlo.
"Sei sempre tu, Sarah, sempre tu che mi hai già strappato il cuore. Momento dopo momento."
Bastava solo desiderarlo. Ogni suo desiderio sarebbe stato realizzato, si sarebbe avverato soltanto il suo volere.
Ogni singola cosa che io ho fatto...
"Anche adesso. Soprattutto adesso."
Fu sul punto di soffocare per tutte le parole che avrebbe voluto dire, ma che non riuscì a pronunciare.
Posò la fronte contro il suo petto, di nuovo, e respirò male sul tessuto liscio della sua camicia, sempre sul punto costante di star per affogare e di provare a cercare aria con la bocca aperta che si riempiva d’acqua.
"Avida Principessa. Vuoi sentirti dire tutto, vuoi che io confessi ogni cosa."
No, non voleva, no, no, davvero, no.
Che senso aveva ormai, quale motivo?
Non riuscì a vedere il suo volto perché le lacrime le offuscarono la vista, le stritolarono la gola costringendola a singhiozzare.
La sua assenza sarebbe stata una punizione terribile, un debito che non sarebbe mai riuscita a pagare se non trascorrendo una vita di assoluta infelicità.
Sarebbe stata una esistenza a metà, non sarebbe stata vita, solo una mera finzione insoddisfacente, proprio come quando da bambina preferiva dormire e nuotare nell'oblio piuttosto che aprire gli occhi e rendersi conto dell'orribile realtà in cui viveva.
Un sopravvivere a stento, con le ferite aperte dai soffi di aria sporca.
Non c'era...
"Sarah..."
"Io desidero con tutto il mio cuore, io..."
Desidero rimanere qui con te e non mi importa quali saranno le conseguenze, non mi importa quanto faccia male.

Jareth pose una mano tra i loro petti, proprio come all'inizio, proprio sul suo cuore mentre altri fiori ricominciarono a crollare sul pavimento insieme a delle bolle di sapone impalpabili.
Tutti i suoi sogni, anche quelli dimenticati e anche quelli non ancora immaginati.
"Il tuo cuore, così innamorato."
Il suono di un'altra campana le strappò l'ultimo brandello di razionalità rimasta, le portò via il suo passato e ogni cosa che aveva creduto importante.
Ma il dolore poteva sopportarlo, perché le avrebbe soltanto ricordato quale era la sua realtà.
Sua, di lui, di lei, loro.
Si erano cancellati i confini di queste differenze, semplicemente strofinando una gomma sulle linee tracciate da una matita mangiucchiata.
Era sua la volontà di vivere in lui fino a confondere i battiti cardiaci, di percepire la luce del Sole solo sotto la sua pelle, di privare di importanza ogni secondo non vissuto attraverso i suoi occhi.
Per sempre.
Respirare solo dalle sue labbra, per sempre.
"Abbracciami."
Di più, di più, ancora di più.

Jareth la sollevò, continuando a stringerla, continuando a mormorarle promesse che lei era certa avrebbe mantenuto. Le avrebbe mantenute tutte, fino al suo ultimo respiro, e non perché era gentile.
Solo perché non c'era alcuna speranza.
- Mia piccola cosa preziosa, mia piccola cosa preziosa, mia piccola cosa preziosa -
Solo perché il Re era innamorato.
Il Re era innamorato della Principessa Trovatella scalza.
Ed era abbastanza.
Per entrambi.



Note.
1. L'appellativo Principessa Trovatella non è mio. Il modo in cui l'ho voluto utilizzare e i diversi riferimenti li ho ripresi da Virginia De Winter, specificatamente dalla sua splendida saga Black Friars. Infatti Gabriel Stuart per riferirsi a Sophie Blackmore, all'inizio più in modo di scherno, la chiamava Principessa Trovatella. Ho molto ricalcato la mia Sarah sul personaggio di Sophie Blackmore, che io amo alla follia. Infinitamente grazie a Lady De Winter per tutti i personaggi che ha creato, tutti magnifici.
2. Naturalmente la storia è mia ma i personaggi assolutamente no. Sono ripresi dal Film 'Labyrinth'.
3. 'Mia piccola cosa preziosa' lo dice lo stesso Jareth nel film, quando canta 'Within You' in una delle scene finali. Così come anche il riferimento agli occhi crudeli.
4. Le frasi 'La mia volontà è forte quanto la tua', 'Tu non hai alcun potere su di me', 'E' un cristallo. Nulla di più. Ma se tu.. ti mostrerà i tuoi sogni', 'Generoso? Che cosa hai fatto di generoso?', 'Ma quello che nessuno sapeva.. era che il Re si era innamorato della ragazza!', 'Ogni singola cosa che io ho fatto..' sono riprese dal Film.
5. 'cento dei miei anni e mille altri e cento altri ancora' è una ripresa, anche se diversa e con modifiche di contesto e significato, del carme V di Catullo. Per onestà sempre meglio specificare.
6. Il riferimento a Jareth che pettina i capelli di Sarah è una ripresa di una intervista agli attori del film, in cui Jennifer Connelly pare abbia dichiarato che avesse molto legato con David Bowie e che appunto una volte le avrebbe pettinato i capelli. Non so se sia realmente così ma mi piaceva molto l'immagine.



   
 
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