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Autore: fantasy93    15/03/2018    4 recensioni
Questa storia si ispira più ai libri che alla serie tv. Sansa Stark è sotto la protezione di Ditocorto, che le dà una nuova identità: Alayne Stone, sua figlia bastarda. Qualcosa però andrà storto e Sansa si ritroverà a dover scappare. Incontrerà qualcuno che credeva fosse morto: Sandor Clegane. Niente, però, è come sembra... Quello che incontrerà potrebbe non essere affatto lo stesso uomo che aveva conosciuto in passato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alayne
 
L’alba arrivò in fretta e si portò via tutti i pensieri tempestosi di Alayne, che si svegliò con rinnovata lucidità, desiderosa di raggiungere questo cosiddetto “luogo sicuro” e capire come mettersi in contatto con Petyr. Se i suoi pensieri dopo aver dormito si erano schiariti, lo stesso non poteva dirsi per il cielo. Enormi nuvole cariche di tempesta si preparavano ad esplodere, e già in lontananza poteva sentire il rumore di tuoni lontani.

- Sarà meglio sbrigarci, Alayne. Quando arriverà la tempesta voglio essere il più lontano possibile dalla zona paludosa. Passeremo vicini a un villaggio qui vicino. Avrei voluto evitarlo, in tempi di guerra due cavalli non passano certo inosservati, ma considerando il temporale in arrivo… Beh cercheremo di non attirare l’attenzione. Ricorda: qualunque cosa tu veda, galoppa dritta per la tua strada. –

E qual è la mia strada?” Alayne avrebbe tanto voluto chiederglielo, invece si limitò a rispondere seria - Va bene. –

Lothor Brune parve aver esaurito tutte le parole. Sistemarono i cavalli e partirono al galoppo come il giorno prima.

Dovevano essere in viaggio ormai da diverse ore, dirlo in base alla posizione del sole era impossibile: le nubi si erano fatte talmente spesse, che quasi sembrava stesse calando la notte. In compenso fino a quel momento erano miracolosamente riusciti a scampare alla pioggia; lampi e tuoni si manifestavano alle loro spalle, quasi come se li stessero inseguendo. Non si sarebbero fermati per pranzare e avrebbero spronato i cavalli allo stremo, in modo da raggiungere la loro destinazione il prima possibile. Lothor Brune non le aveva ancora rivelato dove fossero diretti, ad Alayne venne il dubbio che temesse fossero spiati… Ma come sarebbe stato possibile? Erano sempre in movimento, al galoppo veloce, e il territorio attorno a loro era spoglio: se ci fosse stato qualcuno in appostamento lo avrebbero notato facilmente.

- Quando arriveremo in prossimità del villaggio? –

Brune le rivolse uno sguardo carico di amarezza.

- Credo che ci siamo già. -

-Ma io non vedo… -

Nulla! Non vedeva nulla, perché non c’era più alcun villaggio! Quelle che da lontano aveva scambiato per macchie di terra nella vegetazione, erano invece ceneri! Erano tutte ceneri! Poteva quasi seguirne l’intricato disegno che aveva costituito il villaggio. Non c’era più nulla. Qua e là, ora che guardava meglio, poteva scorgere i resti dei roghi.

- Alayne! Forza, dobbiamo andare. Non possiamo fermarci qui. –

Non si era nemmeno accorta di essersi fermata. Chi aveva potuto portare una tale distruzione? Erano stati i Lannister? Uomini di Stannis? Mercenari? Ma soprattutto dove erano finite le persone? Possibile che non ci fosse più nessuno?

- Gli abitanti del villaggio… Credi che siano tutti morti? –

- Morti o deportati da qualche parte, peggio che morti. Andiamo, bambina. –

Ripresero il viaggio, ma Alayne non riusciva a pensare ad altro che al villaggio. Il suo cavallo dovette percepire la sua agitazione e cominciò a spazientirsi, finché non s’impennò. Alayne urlò e riuscì a rimanere in sella per miracolo. Lothor Brune accorse in suo aiuto riuscendo a calmare il cavallo.

- Tutto bene? Ce la fai a continuare? Preferisci riposare un attimo? –

- No, no. Sto bene, grazie. Prima ce ne andiamo da qui e meglio è. –

D’un tratto udirono il latrare di una cane provenire da una boscaglia a pochi metri da loro.

- C’è qualcuno qui. Alayne, sta’ dietro di me! –

Non c’era possibilità di nascondersi in quel luogo, dovevano solo sperare che non fosse un’imboscata. Se avessero voluto attaccarli l’avrebbero già fatto, no? Il cane intanto continuava ad abbaiare e sembrava sempre più vicino, finché non lo scorsero al limitare della boscaglia. Dietro di lui un vecchio cercava di acciuffarlo, ma senza successo. – CANE! CANE! FERMATI! –

Lothor Brune aveva estratto la spada ben prima che il vecchio comparisse. Questi, parve accorgersi solo in quel momento di loro. Il cane si fermò a metà strada tra loro e la boscaglia, aspettando che il padrone lo raggiungesse. Brune decise di anticiparlo.

- Ehi tu, vecchio. Chi sei? –

- Signori tranquilli, vengo in pace. Sono solo un povero vecchio. Septon Meribald è il mio nome. Percorro queste strade da molti anni, per portare cibo e sollievo a poveri e peccatori. –

Brune non sembrò molto convinto. – Non vedo né poveri, né peccatori da queste parti. E anche tu mi sembri solo, o non è così? –

- Io sono con Cane. Questo malandrino che mi è sfuggito. In genere è un cane molto tranquillo. Ma avete ragione, a parte me e Cane, ormai è difficile trovare gente in queste terre. Sono giorni che giriamo, ma qui sembra non esserci rimasto più nessuno, Cane deve avervi sentito, ed è scappato per portarmi da voi. È un animale molto intelligente. –

- Noi siamo di passaggio. Stavamo giusto andando via. –

- Bene, allora vi consiglio di sbrigarvi ad andare ovunque siate diretti. È in arrivo una tempesta, e da queste parti non è rimasta nemmeno più una locanda sicura. –

Brune si decise a riporre la spada. Alayne era rimasta in silenzio fino a quel momento, ma poi fu più forte di lei, dovette fare al septon quella domanda:

- Lei sa cosa è successo agli abitanti di questo villaggio? –

Septon Meribald la guardò con una certa tenerezza e occhi pieni di tristezza.

- Ah, fanciulla! è una storia molto triste, ma in tempi di guerra come questi, purtroppo, non si tratta di una novità. Un essere abietto si è scagliato su questo villaggio saccheggiando e distruggendo tutto ciò che ha trovato sul suo cammino. Lo chiamano il Mastino. –

Ad Alayne si ghiacciò il sangue nelle vene. Non era possibile. L’uomo che aveva conosciuto lei era brutale si, ma non era un mostro. Non poteva essere. Non riuscì a proferire parola, ma non ebbe bisogno: ci pensò Lothor Brune a dar voce ai suoi pensieri.

- Il Mastino? Sandor Clegane? L’uomo con la faccia bruciata? Ha fatto lui tutto questo? –

- Il Mastino e i suoi uomini hanno fatto tutto questo, si. Credo che si tratti di un nuovo Mastino in ogni caso, dicono che Sandor Clegane sia morto. E da molto tempo pure. –

- E questo nuovo Mastino è ancora da queste parti? –

- Questo non lo so, ma non credo ci sia rimasto molto da depredare in zona. –

Alayne semplicemente non stava ascoltando più. Sandor Clegane era morto. Da molto tempo pure. Non era stato lui a devastare il villaggio. Non era lui il mostro. Aveva pensato a lui proprio la sera prima, ed ora scopriva che era morto. Chiunque avesse mostrato affetto verso Sansa Stark finiva col morire. Ricordò la preghiera che Sansa espresse per lui la notte della Battaglia delle Acque Nere: “Non è un vero cavaliere ma mi ha salvato lo stesso.” aveva chiesto alla Madre “Salvalo, se puoi, e placa la furia dentro di lui.”. La sua furia era stata senz’altro placata: era morto.

- Alayne! Forza, dobbiamo andare. – Lothor Brune la stava gentilmente strattonando per il braccio. Septon Meribald se ne stava tornando insieme a Cane alla boscaglia. Evidentemente dovevano essersi già salutati, ma lei non li aveva sentiti. Annuì, ancora incapace di parlare.

Si rimisero in marcia. Dopo pochi minuti, le prime gocce di pioggia li raggiunsero. Alayne ne fu lieta: niente nasconde le lacrime meglio della pioggia.
 
************
 
Rod
 

Spalava. Anche se pioveva, spalava. Non si lamentava. Non poteva lamentarsi. Tutto sommato stava bene, aveva ripreso le forze. La gamba gli doleva ancora, quindi era costretto a zoppicare, tuttavia sentiva di avere energia da vendere, quindi spalava. C’era sempre bisogno di spalare la terra, che fosse per coltivarla o per scavare fosse. Decine e decine di fosse, non faceva in tempo a riempirle, che il fiume portava a riva altri cadaveri. Uomini di tutte le età e schieramenti, neri, rossi, alti, bassi, lord e poveracci, Lo Straniero1 non faceva alcuna differenza, li prendeva tutti con sé.


Straniero. Era così che l’uomo che era stato aveva chiamato il suo cavallo. Perché era suo quel cavallo, adesso lo ricordava. Ricordava la sensazione di stargli in groppa, di montargli la sella, di spazzolargli il crine. Soprattutto ricordava i suoi occhi, neri come la notte, come il suo manto d’altronde, oscuro come la morte. Forse era per questo che gli aveva dato quel nome; per questo, oppure per la sua ferocia. Perché si trattava di un bellissimo esemplare testardo e indomabile. Quei coglioni dei monaci gli avevano tagliato le palle, pensando così di renderlo più docile. Idioti. L’avevano chiamato “Legno Vagante”. Un nome ridicolo. Era un animale intelligente quello, sicuramente più della metà di quegli stupidi monaci, su quella stupida isola. Il confratello anziano, nonostante tutto, era l’unico che rispettava per davvero; gli aveva anche proposto, visto che era riuscito a ricordare il vero nome del cavallo (blasfemo per lui ovviamente), di sceglierne lui uno nuovo, dopotutto “Legno Vagante” sembrava non piacere nemmeno al cavallo. Per tutta risposta Rod non aveva saputo cosa dire: aveva appena ricordato qualcosa della sua vecchia vita, qualcosa che in qualche modo non faceva che confermare quanto fosse stata terribile e dissoluta, ma era pur sempre qualcosa di reale; non se l’era sentita di dare un altro nome a quel cavallo (il suo cavallo!). Sebbene non ricordasse perché lo avesse chiamato in quel modo, o se davvero glielo avesse dato lui quel nome, non era riuscito a cambiarglielo nuovamente. Quindi per il resto dell’Isola, il cavallo continuava a chiamarsi “Legno Vagante”, ma quando erano soli e Rod si prendeva un po’ di tempo per dedicarsi a lui, gli sussurrava all’orecchio il suo vero nome: “Straniero”.

Straniero era il suo unico amico su quell’isola, e sospettava lo fosse sempre stato, anche prima. Tutti sembravano temerlo e gli stavano alla larga il più possibile: i monaci veri e propri, avevano la scusa del voto di silenzio, ma faticavano a guardarlo in faccia; i novizi come lui invece, sembravano non riuscire a distogliere lo sguardo dalle sue cicatrici, e forse per questo restavano ammutoliti, pur non avendo nessun voto da rispettare. Non che lui avesse granché voglia di parlare con loro, ma la vita “sociale” si rivelava piuttosto pesante talvolta; per questo preferiva scaricare le sue energie nel lavoro (tanto c’era sempre qualcosa da fare!) e dedicarsi al suo cavallo.

Era stato Straniero ad andargli incontro. Non subito. Rod si era recato nelle stalle per dare da mangiare agli animali destinati ai lavori nei campi. Erano tutti mansueti, tranne uno, almeno così gli era stato detto: “Fa’ attenzione allo stallone nero, Rod! Un confratello si è già beccato uno zoccolo dritto in petto e un paio di costole rotte!”. Così, lui ci era andato, pronto a stare all’erta. Aveva dato da mangiare prima a tutti gli altri animali, ma quando si era avvicinato al cavallo, invece che una bestia indomabile si era trovato davanti un animale diffidente, quasi risentito, come una donna tradita. Rod, incuriosito dall’atteggiamento del cavallo, gli aveva messo la biada nella mangiatoia ed era rimasto a fissarlo, come a volerlo sfidare a mangiare. Quello per tutta risposta aveva sbuffato sonoramente, e non aveva mosso nemmeno un passo verso il cibo. “Cos’è? Non hai fame, bello?” così gli aveva detto. A quel punto il cavallo l’aveva guardato dritto negli occhi e gli si era avvicinato continuando a fissarlo, era come se avesse capito che c’era qualcosa che non andava in lui. Rod non aveva lo temuto nemmeno per un secondo, anzi era rimasto come ipnotizzato. Si erano fissati a lungo e senza nemmeno accorgersene Rod si era ritrovato ad accarezzare il manto nero dello stallone, questo improvvisamente si era chinato, come ad invitarlo a salirgli in groppa, e lui l’aveva fatto, senza pensarci due volte. Non sapeva di saper cavalcare, ma una volta in sella, fu certo di averlo fatto tutta la vita. Avevano cavalcato per ore, fino a quando il buio della notte non li aveva investiti; allora Rod aveva riportato il cavallo in stalla ed era andato a letto, l’orario di cena e della preghiera dovevano essere passati da un pezzo. Non ricordava di aver sognato quella notte, con molta probabilità le solite fiamme erano tornate a tormentarlo, ma non lo ricordava. L’indomani si era svegliato con una nuova consapevolezza. Era corso alla cella del confratello anziano e aveva bussato finché non gli aveva aperto, ancora mezzo addormentato.

Rodnas, cosa ci fai qui? Non è ancora l’alba…

Il cavallo. Lo stallone nero. È mio, non è vero?

Il vecchio l’aveva guardato a metà tra lo stupito e il preoccupato “Si, lo è stato. È appartenuto all’uomo che eri.

È ancora mio a quanto pare. Abbiamo cavalcato ieri sera.

A quella rivelazione il vecchio era parso quasi compiaciuto, ma gli aveva comunque chiesto “Ricordi altro?”.

No, non ricordo nient’altro. So una cosa però, il mio cavallo si chiama Straniero.

Sì. Quello era il suo nome.

Tutto questo era successo ormai molti mesi prima. Non aveva più ricordato altro. Si era adeguato alla vita tranquilla e monotona dell’Isola Silenziosa. Gli piacevano i giorni in cui lavorava fino allo stremo, e una volta a letto poteva sentire tutti i muscoli dolenti, ma le fiamme un po’ più lontane; gli piacevano invece un po’ meno i giorni in cui c’erano visitatori sull’isola. Il confratello anziano gli aveva suggerito di stare in disparte in quelle occasioni: la sua faccia non si scordava facilmente! Principalmente arrivavano straccioni e mendicanti in cerca di cibo e riparo, altre volte fuggiaschi, in qualche altro caso familiari dei monaci. Una volta era arrivata anche una donna tanto alta e di grossa stazza che pareva un uomo, era venuta con una bizzarra compagnia, capeggiata da quel vecchio septon col suo altrettanto vecchio cane, che invece tornavano ogni mese. In ogni caso, loro li accoglievano tutti, spezzavano insieme il pane e gli offrivano un posto per dormire. Tutti loro portavano ventate di novità, che anche i più diligenti confratelli silenziosi non potevano che apprezzare, sebbene facessero di tutto per nasconderlo.

Si era fatto decisamente tardi, rischiava di perdere la cena anche quella sera. Si guardò intorno, aveva spalato due fosse più profonde del solito, probabilmente era stata tutta fatica sprecata, visto che il temporale non accennava a fermarsi… Si sarebbero trasformate presto in piscine di fango. Ci avrebbe pensato l’indomani, dopotutto. Un lampo rischiarò tutto il paesaggio intorno, e fu allora che li vide: due nuovi visitatori, a cavallo, sul sentiero che veniva dalla foce del fiume. Una figura massiccia, probabilmente di un uomo, e una più piccola e minuta di una donna o forse di un bambino, completamente zuppi.

 
NOTE DELL'AUTRICE: Salve a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo. Ho una precisazione da fare, ma che credo abbiate intuito:
[1]- Lo Straniero. Questo è il tipico caso in cui la traduzione in italiano del testo di ASOIAF fa perdere riferimenti e giochi di parole. Straniero è la traduzione di Stranger, che nella versione inglese del libro è sia il nome del cavallo di Sandor, nonché quello che in italiano è stato tradotto come "Lo Sconosciuto", l'aspetto dei Sette Dei che rappresenta la morte. Nella frase "Lo Straniero non faceva alcuna differenza" ovviamente mi riferivo allo Sconosciuto. Ho preferito chiamarlo Straniero proprio per non perdere il gioco di parole, un po' come se fosse un altro modo per definirlo.

Ringrazio tutti quelli che continuano a leggere questa storia, specialmente chi mi lascia commenti e considerazioni! E' davvero gratificante per me vedere tutte le visualizzazioni che sta collezionando questa storia, e soprattutto la curiosità che sta suscitando in alcuni di voi. Grazie di vero cuore!
A presto!

 
  
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