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Autore: Elizabeth_2206    15/03/2018    3 recensioni
"Hallelujah ci porta attraverso un immenso spettro di luoghi emozionali, spiegando quanti tipi di alleluia esistono, e che tutte le alleluia perfette e infrante hanno lo stesso valore. E' un desiderio di affermazione della vita con entusiasmo, con emozione. Chiunque la ascolti chiaramente scoprirà che è una canzone che parla di sesso, di amore, della vita sulla terra. L'alleluia non è un omaggio ad una persona adorata, a un idolo o un Dio. E' un'ode alla vita e all'amore."
1900, Casa Hawkeye. L'arrivo di una persona cambia per sempre il futuro dei suoi abitanti. E' l'analisi dell'adolescenza di Riza e di come si trova ad interagire con tutti i tipi di amore che esistono. Il racconto di come le vite di quella ragazzina e di Roy Mustang si sono intrecciate per sempre.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Berthold Hawkeye, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hallelujah'
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Hallelujah
#14 – The Promise
And even though it all went wrong
I’ll stand before the Lord of Song
With nothing on my tongue but Hallelujah

Un raggio di sole, entrato dai finestroni del corridoio, tagliò sottile il mogano scuro della porta davanti a cui, immobile e determinata, il Sottotenente Riza Hawkeye attendeva il permesso di entrare.
Era mattina presto; il timido sole primaverile aveva appena superato le colline all’orizzonte e si affacciava tiepido su East City. Poteva quasi essere una giornata idilliaca, se non fosse stato per il fatto che quello era il Quartier Generale dell’Est e lei era appena stata chiamata per un nuovo incarico.

Dopo la fine della Guerra, Riza si era presa un breve periodo di pausa dall’Esercito, durante il quale era tornata a casa sua, per curarsi dalle ferite del conflitto. Ma, nonostante il bisogno di riposo del corpo, la sua mente era ben determinata: ora che era nell’Esercito, non sarebbe scappata. Avrebbe continuato ad andare avanti, per porre fine a tutte le atrocità di cui lei stessa era stata artefice, fino a che ne avesse avuto forza. Così, entro un mese si era definitivamente trasferita ad East City, prima in caserma e successivamente in un piccolo appartamento da lei comprato.
Ripercorse mentalmente gli ultimi sei mesi, risalendo al motivo per cui si trovava lì, davanti a quella porta.
Come eroina di Ishval, oltre al soprannome di ‘Occhio di Falco’, aveva ottenuto il grado di Maresciallo; ma le sue prodezze nelle missioni affidatele dal Generale Maggiore Grumman, la sua efficienza nei lavori d’ufficio e i suoi ottimi risultati in poligono le avevano procurato una successiva veloce promozione. Tutti quei riconoscimenti l’avrebbero potuta inorgoglire; ma non era così.
La consapevolezza di aver calpestato cadaveri per arrivare dove stava non la faceva certo sentire migliore.
E così il suo stacanovismo e la sua diligenza venivano scambiati per ambizione.
“Può entrare”

Una voce dall’interno della stanza la risvegliò dai suoi pensieri.
Con la mano sulla maniglia, si bloccò per qualche secondo, riconoscendola. Possibile…?
‘Si, è possibile’ pensò mentre varcava la soglia e osservava in silenzio l’uomo di fronte a lei.

Il tenente colonnello Roy Mustang. L’Eroe di Ishval. L’arma umana per eccellenza.
I suoi occhi neri si soffermarono nei suoi, come se frugassero dentro di lei. Cosa cercavano? Odio? Risentimento? Sapeva benissimo che non li avrebbe trovati.
Lei gli era infinitamente grata.
La pelle della schiena rovinata cominciò a tirarle, quasi come se si fosse sentita presa in causa, riportando alla luce non solo il dolore, ma anche i ricordi.
‘Questa guerra non è ancora terminata dentro di me’

Lei, inginocchiata davanti alla sabbia, che lo implorava di bruciarle quel turpe marchio dalla pelle. Che gli chiedeva di purificarla, eliminando contemporaneamente una possibile fonte di future atrocità. Punendolo a sua volta per tutti i morti che aveva causato.
Il ricordo delle fiamme – le vere fiamme, non allucinazioni da sedativo – che le percorrevano il corpo si scatenò all’improvviso, quasi togliendole il fiato. Ma nonostante la sofferenza, i suoi occhi rimanevano limpidi. Seri. Grati.
L’uomo distolse lo sguardo, cedendo di fronte a quella determinazione, ricomponendosi per fare il suo dovere.
Era appena stato assegnato al distretto Est, con il compito di formarsi una personale squadra.
“Presentati, Soldato.”

La ragazza si mise sull’attenti, la mano destra alla fronte per il saluto militare.
“Sono il Sottotenente Riza Hawkeye.”

Il Tenente Colonnello, sempre guardandola negli occhi, aprì con cautela il fascicolo sulla sua scrivania.
“Alla fine, dopo tutto quello che è successo ad Ishval, hai deciso di percorrere questa strada.”
“Si. Quella di indossare l’uniforme è stata una mia scelta.”

Un impercettibile spasmo colpì l’occhio sinistro di Mustang, che la fissava in silenzio.
Non è colpa tua’ pensò Riza ‘Non accusarti anche di questo’.
“In che settore te la cavi bene?”

Domanda di routine.
“Armi da fuoco. Diversamente dalle armi bianche, non ti lasciano la sensazione di aver ucciso qualcuno con le tue mani.”

L’uomo sbarrò gli occhi, e anche Riza si meravigliò di se stessa.
Eccola, la menzogna che l’aveva aiutata ad andare avanti tutti quei mesi in guerra. La sostanziale differenza tra lo sparare a qualcuno e pugnalarlo. O bruciarlo vivo.
Era l’unica debole difesa che impediva a lei di bruciare tra le fiamme di quell’immenso inferno a cui tutti loro – nessuno escluso – erano destinati. Una bugia da cui ormai dipendeva la sua stessa vita.
“E’ un inganno.” Rispose Mustang, quasi leggendole nel pensiero “Hai intenzione di mentire a te stessa continuando a sporcarti le mani?”
“Si, è così. Noi soldati dovremmo essere gli unici a sporcarci le mani di sangue. Ricordi come quelli di Ishval…dovremmo essere solo noi a portarceli dentro.”

Per la prima volta dopo mesi, aveva rivelato quello che davvero era arrivata a pensare alla fine della guerra. E questo perché, se c’era una cosa in cui Riza non era mai stata brava, quello era mentire a Roy.
Durante il periodo della loro convivenza, non era mai riuscita a nascondergli nulla. Le ritornò in mente all’improvviso l’episodio con quei bulletti, quando Roy l’aveva accompagnata alla recita scolastica per non lasciarla sola dopo che loro l'avevano presa in giro. Un nodo amaro le strinse la gola e chiuse gli occhi lentamente, tornando a concentrarsi sull’uomo davanti a lei.
“Come dicono gli alchimisti, se la verità di questo mondo può essere mostrata attraverso lo scambio equivalente, allora la nuova generazione che nascerà potrà godersi la felicità. Il prezzo che noi dobbiamo pagare è di caricarci addosso corpi senza vita e attraversare un mare di sangue.”

Le sue parole vibrarono nell’aria, gelide come una maledizione, e si infilarono sotto la pelle di Mustang, che la fissava con dolore. Poteva scorgere nei suoi occhi le fiamme bruciare, ardendo di un fuoco che non si sarebbe mai estinto, nemmeno con la morte.
Per un attimo, l’aria sembrò rarefarsi e Mustang aprì uno spiraglio nella sua maschera di indifferenza, permettendosi di analizzare il pensiero di – come doveva chiamarla, ora? – del Sottotenente Hawkeye. E quello che ci trovò gli fece stringere gli occhi per fermare le lacrime che minacciavano di uscire.
Speranza.

Loro avevano compiuto errori da cui mai avrebbero potuto redimersi, questo era incancellabile tanto quanto la sua stessa esistenza. Ma il futuro…le prossime generazioni…tutti coloro che ancora erano privi di macchia, avrebbero davvero potuto vivere quella vita felice e spensierata che a loro era stata tolta. E lui, loro, avevano il potere di garantire a quelle persone la possibilità di averla.
Erano loro a poter cambiare quel mondo e renderlo un posto dove tutti avrebbero desiderato vivere.
Una scossa di adrenalina li percorse il corpo, e si alzò di scatto, posando le mani sulla scrivania.
“Penso che proporrò di farti lavorare come mia assistente. Voglio che tu sia dietro di me, che mi protegga. Capisci cosa voglio dire?”

Non poteva più permettersi di sbagliare, come in passato. Perché ora da lui non dipendeva solo la propria esistenza e quella di una ragazzina di campagna.
Era alla sua nazione che doveva pensare, ad Amestris, ad ogni suo abitante. Un suo errore avrebbe compromesso il futuro di tutti.
“Lascerò che sia tu a guardarmi le spalle e ciò significa che potrai spararmi in qualsiasi momento. Se farò qualcosa che non dovrò fare, uccidimi con le tue stesse mani. Hai la mia autorizzazione. Mi seguirai?”

Non era perché la conoscesse da una vita, e nemmeno perché potesse pensare che lei lo odiasse a tal punto da ucciderlo senza alcun rimorso. No; lui credeva nel suo senso di giustizia.
Lo aveva visto sbagliare e aveva assistito alle conseguenze e avrebbe impedito che questo avvenisse ancora. Credeva in lei e sapeva che possedeva la capacità di metterlo di fronte alle estreme conseguenze delle sue azioni.
Lei aveva lasciato che lui le bruciasse la schiena; lui ora le permetteva di fare altrettanto.
“Ho capito.”

Lo sguardo di Riza era ricco di determinazione, e lui ebbe la certezza che lei avrebbe adempito al proprio dovere.
“Io non sono nient’altro che un essere debole. Per questo motivo, ho bisogno del vostro aiuto per far in modo di proteggere tutto. Proteggerò le vostre vite. E voi proteggerete le persone che stanno sotto di voi, non importa quante. Quelle persone, a loro volta, ne proteggeranno altre ancora. Non importa cosa succederà, dovrete vivere e andare avanti con la vostra forza di volontà. Viviamo e cambiamo questo paese tutti insieme.”

Roy le diede le spalle, rivolto verso la finestra, il cielo, il futuro. Riza era lì, già alle sue spalle, pronta ad adempiere al suo dovere. Non sapeva ancora cosa l'avrebbe aspettata; ma, per la prima volta nella sua vita, si sentì davvero pronta ad affrontarlo, di qualunque cosa si trattasse. Chiuse gli occhi e sussurrò la sua promessa.
“Se questo è ciò che desidera, sono pronta a seguirla sino all’inferno.”













Angolo dell'autrice (l'ultimo, almeno per ora):
Ritorno dalla valle dimenticata per terminare (finalmente, oserei dire) questa storia, la mia prima Long.
Ero molto emozionata dall'idea di scrivere questo capitolo, e per molto tempo mi sono bloccata per timore di sbagliare tutto e di rovinare ogni cosa, ma questa sera all'improvviso mi sono seduta e tac, era tutto finito, pronto per la pubblicazione.
Innanzitutto voglio ringraziare tutte le persone che mi sono state vicino, nella vita reale quanto qui, su efp, sostenendomi e dandomi pareri su tutto il mio operato. Scrivere questa storia è per me stato davvero catartico, ad un livello che mi è quasi difficile spiegare.
Sul capitolo in sè, ci sarebbero milioni di cose da dire, e ho paura che se cominciassi non finirei più. Cercherò di essere breve, partendo per l'ultima volta dalla strofa della canzone di Cohen.
Il primo verso, "And even though it all went wrong", è un riferimento al fatto che Riza e Roy, oggettivamente, hanno fallito. E questo è qualcosa che non si può cambiare. Ma se c'è una cosa che ho colto dal loro dialogo, è la speranza.
Riza ha la speranza che il loro sacrificio sia servito a qualcosa. Che il dolore he hanno provato debba per forza portare a qualcosa di bello. Che la legge dello scambio equivalente, che si è presa tutto dalla sua vita, possa restituirlo almeno alle generazioni future, senza macchia, ignare del dolore e delle cose orribili che sono accadute.
Perchè lei tiene tanto ai fratelli Elric e non vuole che soffrano? Sono loro la generazione futura che avrebbe dovuto non soffrire.
E' per loro che Roy insegue il suo sogno di diventare Comandante Supremo e cambiare il paese.
 "I'll stand before the Lord of song/With nothing on my tongue but Hallelujah" ovvero "Starò davanti al signore della canzone/con nient'altro che l'Hallelujah sulla mia lingua."
Qui Roy è il Signore della Canzone, e l'Hallelujah è il "Ti seguirò" di Riza. Perchè tra loro due non c'è nient'altro da dire.
 Ovviamente i rapporti sono cambiati, hanno entrambi fatto le loro scelte e le prospettive che avevano prima di Ishval ormai sono in fumo. Si è formata tra di loro una distanza davvero difficile da colmare; ho cercato di rendere questo concetto usando il nome proprio di Roy solo in due momenti: quando Riza ricorda un evento del passato e alla fine.
Perchè anche se è vero che "Mi chiama Riza quando siamo soli" è una bugia, nel loro cuore hanno finalmente ritrovato la pace e sono tornati ad essere loro, Roy e Riza.

La loro storia, fin dal primo momento, mi ha dato tanta speranza. Ed è questo che voglio trasmettere a te, lettore, che stai leggendo, e che già sai cosa loro due dovranno affrontare in futuro. Perchè nella vita accadono tante cose brutte, e spesso non siamo pronti ad affrontarle. Ma siamo esseri umani, e tutta la nostra debole piccola froza la usiamo proprio in questo: nel rialzarci dopo che siamo caduti, nel continuare a sperare quando tutto è perduto. E auguro anche a voi di trovare questa forza, in voi, negli altri, in una frase, in una storia; e di ricordarvi sempre che la vita è bella, nonostante tutto.
Con affetto, a presto,

La vostra Elizabeth.
   
 
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