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Autore: Heyale    16/03/2018    0 recensioni
Himeragi Fenwick deve convivere con tre grandi punti fissi:
1- Il nuoto
2- Il suo stramaledetto nome giapponese
3- Il ritorno del suo ex ragazzo dopo tre anni di assenza
Ora si tratta di dover mantenere i nervi saldi, continuare a fare vasche su vasche di dorso, allenare i suoi ragazzi per le imminenti gare, convivere con la sua vecchia fiamma Kyle, cercare di non ammazzare i suoi compagni di squadra e, in tutto questo, mantenere la calma.
Peccato che, di calma, Himeragi non abbia mai sentito parlare.
 
Dal testo:
Kyle alza un sopracciglio, facendo una smorfia per dirmi “ma chi vuoi prendere in giro, insulsa sirenetta dal nome del cazzo?”, concludendo però con un sorriso: – Non sei cambiato per niente.
– Tu... – Dai Hime, un insulto potente! La prima cosa che ti viene in mente, cattivo! – … Non dire cavolate.
Wow. Complimenti.
Hai proprio ferito i suoi sentimenti.
 
Genere: Comico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Swimming tale cap.10

SWIMMING TALE
CAPITOLO DIECI
“The Panino al Prosciutto Tales”


Percy se ne sta seduta a braccia conserte sulla poltrona a rileggere per l'ennesima volta entrambe le lettere, Iris fissa un punto indefinito del pavimento e Sebastian lancia l'ennesimo guaito alla pallina che quel cretino di Hick continua a farsi riportare e lanciare, andando a sbattere contro il mobile e buttando giù una foto incorniciata in bilico. Con Kyle fuori dalle scatole per un'uscita con i suoi compagni di squadra devo dire che mi mancava passare una serata con i miei amici, anche se il contesto non è dei migliori.
Anzi, fa proprio schifo.
– Hick, la vicina sale col badile se non la smetti di agitare Sebastian. – informo non proprio cordialmente il mio migliore amico, facendo cenno a Sebastian che sembra diventare cretino per una pallina da tennis scrausa.
– Vuoi far deprimere anche il cane? – ribatte allora lui permettendosi anche di guardarmi come se la colpa fosse mia, tirandosi su da terra sistemandosi i quattro peli castani che si ritrova in quella testa bacata. – Guarda come siamo messi, ci manca solo Sebastian!
– Pensa se tu avessi una padella in testa quanto potrebbe deprimersi, poverino.
– Una padella? – ripete Aydin guardandomi stranito. – Non era un badile?
– Oh sì, quello la signora Stanley del piano di sotto. La padella faccio io.
– Ah. Un tesoro.
– Vero? – Mi porto entrambe le mani alle tempie in un gesto di esasperazione, strappando poi dalle mani di Percy le lettere ormai consumate a forza di girarle di mano in mano. – Non ne ho ancora parlato con Kyle perché non lo vedo da questa mattina dato che ci sono stati un po' di casini tra cui lui che perde il bus non una, ma due volte e io che devo portare a casa Xavier quindi devo ancora sentire il suo punto di vista... Sinceramente non credevo mi sarei potuto trovare in una situazione del genere.
– Non è così brutta come sembra. – mi rassicura Iris cercando di fare un sorriso tirato. – Sono tre grandi opportunità e vanno analizzate bene, tutto qui.
Percy scuote la testa, dimostrandosi la più apprensiva dei presenti come al suo solito: – Cosa accidenti c'è da analizzare? Per noi vuol dire restare qui con Sapphire, Marley e Shion mentre per Hime vuol dire che lui, Xavier, Tammie se ne vanno a New York con la Nyst.
– La fai sembrare più drastica del dovuto, Percy. Ci sono state ogni anno questo genere di selezioni.
– Okay, ma non erano mai capitate a noi in questo tipo di situazione!
Mi dispiace, su questo non ci piove: andarmene vuol dire lasciare Detroit, il mio tugurio, il mio lavoro, la mia squadra e tutta la mia vita. E' anche vero il fatto che qualcosa verrebbe con me, due dei miei allievi mi seguirebbero e potrei stare vicino a Kyle tutto il tempo fermo restando che non so ancora se Xavier e Tammie abbiano intenzione di venire o meno. Che bella situazione di merda.
Hick improvvisamente smette di giocare con Sebastian, si pulisce dai peli bianchi del cane sui suoi pantaloni per poi guardarci uno ad uno negli occhi con un'espressione quasi comica per la serietà: – Questa è una decisione di Hime, ragazze. E' vero, non è facile ma credo che sia già abbastanza indeciso sul da farsi anche senza il vostro indesiderato apporto alla questione. Direi di aiutarlo a sistemare le idee che ha lui, non suggerirgliene di nuove e peggiorare la situazione.
Sgraniamo tutti gli occhi, è stato veramente Aydin Hickey a elargire tale aulica sentenza? Iris e Percy si guardano esterrefatte ma lasciano la parola a me che, fingendo di asciugarmi le lacrime, appoggio la mano sulla spalla del nuovo Giulio Cesare: – Grazie, amico.
– Chi credi che ti abbia portato a bere quando Kyle è partito per New York? – mi chiede facendomi l'occhiolino, ricominciando poi a giocare col cane come se niente fosse. Questo ragazzo è una continua scoperta, lo devo ammettere.
– Allora, Hime? – Iris alza lo sguardo verso di me, pensierosa, incrociando poi le braccia al petto. – Sentiamo la tua.
Prendo un grosso respiro, alzandomi in piedi di fronte ai tre dell'Ave Maria: – Per quanto sia una grande opportunità e per quanto sia la seconda volta che vengo convocato a New York, io ancora non me la sento. Ho tutta la mia vita qui a Detroit, lasciarla vorrebbe dire aver semplicemente rimandato l'opportunità di tre anni fa. E poi, cosa avrei là?
Iris fa una smorfia, roteando anche gli occhi: – Un panino al prosciutto, Hime. Che accidenti vuoi avere a New York? Kyle, ovviamente!
– Kyle sta andando ad abitare col suo ex ragazzo, cosa vuoi che faccia io, lì? Che mi cerchi un appartamento per conto mio e che veda il mio
quasi ragazzo solo agli allenamenti?
– Magari lo trovi vicino al loro.
Guardo male la mia ex ragazza, portandomi le mani alle tempie: – Sì, poi propongo una cena col vicinato per festeggiare il mio arrivo. Ma dai.
– Stai tralasciando Xavier e Tammie. – Mi fa presente Percy, mettendosi stranamente dell'idea di ragionare senza dare di matto o senza drammatizzare tutto quanto. Sembra una novità se si tratta di noi quattro. – Non sarai da solo del tutto. Forse Xavier potrebbe venire a vivere con te, no?
– Così poi chiamano i servizi sociali. Già Muller pensa che io lo molesti... Ma cos'ho fatto di male?
Hick alza improvvisamente gli occhi da Sebastian e mi guarda con un'espressione dispiaciuta: – Hai un nome un po' del cazzo, forse.
– Ah, grazie Hick. Non c'ero arrivato in diciotto anni di esistenza.
– Di niente, fratello. Quando vuoi.
Ripeto: cos'ho fatto di male?
– Hime, è una grande opportunità. – ripete Iris, serafica. – Lo sai anche tu di avere la stoffa per allenare, se cominci con la Nyst chissà quali altre porte ti si apriranno.
Percy annuisce anche se a fatica, so che lei al contrario di Iris guarda di più l'aspetto affettivo delle cose e che fa più fatica a ragionare in questi casi, ma sono comunque felice del fatto che siano tutti concentrati a risolvere questo mio grande dilemma esistenziale - e stavolta non si scherza.
– Sentiremo cos'ha da dire Kyle dopo che l'avrò picchiato.
Hick fa una smorfia stranita: – Picchiato?
– Sì – confermo, tranquillo. – Perché non mi ha detto nulla. Quindi prima lo picchio e poi sento come vuole difendersi.
Iris forse non sa se ridere o rimproverarmi, ma alla fine se ne esce con un'alzata di spalle: – Di solito prima viene la difesa e poi l'attacco.
– Stiamo parlando di Kyle Adair. – le faccio presente. – Non di un tenero cucciolo di cane. E' uno spregevole umano che non ha nulla da fare nella vita se non devastare la mia.
– Wow. Tu devi farti vedere da uno bravo.
– Lo so! – esclamo a gran voce, facendo sussultare anche il cane.
La verità? Sono sconvolto - ma dai? - da tutto ciò che è successo nel giro di un mese. Tutto il mio precario equilibrio si
squilibra ad ogni passo che muovo, vacillo senza sosta e tutt'intorno troviamo una cornice di amici che non aiutano, un datore di lavoro che pensa che sia un maniaco, un ex ragazzo che non si capisce se stia tornando attuale o meno, un allievo lunatico e una proposta di trasferimento a New York. Poi dicono che la vita da diciottenni sia una pacchia.
Iris improvvisamente si alza dalla poltrona e si rivolge a Hick e Percy con uno sguardo strano: – Ragazzi, vi chiedo scusa ma devo parlare col cretino in privato. Giusto due minuti.
Ehi, mi ha appena chiamato “cretino” o sbaglio?
– Tranquilla. – Percy le sorride e così fa anche Hick, lasciandomi nell'oblio con la mia ex che, come se fosse a casa sua, afferra la manica della mia felpa e mi guida fuori dal condominio in silenzio.

Iris Rooney disse la stessa frase non molto tempo dopo la partenza di Kyle nel bel mezzo di un venerdì sera passato da bravi quasi sedicenni al cinema sempre con Percy e Hick, facendomi pensare le peggiori cose nel frangente in cui ci allontanavamo dalla gente e andavamo a nasconderci in un vicolo appena fuori dall'edificio. Era il periodo in cui mi sforzavo di trovare attraenti i fondoschiena delle ragazze con scarsi risultati, perciò non capivo proprio perché tutto quel gran mistero da parte di Iris quando fino alla mattina stessa si era comportava come tutto il resto dei giorni.
– Ti detesto. – mi disse non appena ci fermammo, abbassando lo sguardo solo per non incenerirmi se l'avesse tenuto alto.
Io la guardai stranito, non erano da lei quel genere di colpi di testa e soprattutto mi sentivo leggermente offeso da quel “ti detesto” che, a mio parere, non aveva motivo di essere stato detto. Però ripeto,
a mio parere. Si sa che bisogna stare sempre all'erta con questo genere di premessa.
– Il motivo? – chiesi quindi con quella discreta tranquillità che al tempo mi risultava facile tenere, come se il mio temperamento fosse cambiato in un modo bizzarro per un po' di tempo dopo la partenza di Kyle.
Iris si sistemò i capelli biondi al tempo più lunghi dietro le orecchie e mi trafisse peggio che poté con i suoi occhi scuri: – Perché sei gay.
Annuii, confuso: insomma, lo sapeva da due anni. Poteva anche dirmelo prima, no?
– Che novità. – sibilai quindi infilando le mani nelle tasche, fissando la ragazza davanti a me con aria di sufficienza. – Stasera ti è venuta l'illuminazione e hai capito di odiarmi?
– Lasciami finire, idiota! – sbottò veramente in preda alla rabbia, accentuando il tutto anche con i pugni stretti lungo i fianchi coperti solo da una camicia nonostante il freddo pungente delle undici e mezza di febbraio. Riassumendo tutto ciò che era successo fino a quel momento mi era stato del dato del cretino, dell'idiota e mi era stato detto di essere detestato perché gay. Una tipica bella serata. – Stai buttando tutta la tua vita su Adair, e non è possibile. – spiattellò senza una particolare intonazione, fissandomi con gli occhi quasi vitrei. – E' da settembre che stiamo provando a farti stare meglio ma tu non ne vuoi sapere e questa cosa è... Fastidiosa, okay? Kyle è solo un ragazzo che ti ha fatto perdere la testa e che adesso se n'è andato, cosa aspetti a realizzarlo e a metterti il cuore in pace?
Se avete pensato che Iris stesse per dire qualcosa di dolce, eravate fuori strada: Iris Rooney non ha nemmeno la parola “dolcezza” nel suo vocabolario.
– Ti ringrazio per il tatto. – borbottai quindi in tutta risposta, quasi dovendo trattenere le risate. – Guarda che non sono un caso patologico come lo stai facendo sembrare, Iris. Puoi biasimarmi perché sto male considerando che il mio ragazzo se n'è andato con due giorni di preavviso?
– Ti biasimo perché credi che il mondo sia finito e non hai neanche sedici anni!
A quel punto alzai le mani in segno di resa, sorridendo alla bionda di fronte a me: – E con questo?
– Almeno provaci, dico io! – Iris s'impuntò col piede, guardandomi al colmo dell'esasperazione. – Devi uscire da questa situazione, non ha senso starci e...
– Perché credi di essere così coinvolta? – la interruppi, fissandola senza la minima traccia di sorriso sul mio viso. Sapevo che non era da me quel tono di voce, sapevo che non era da me un atteggiamento simile, sapevo che mi stavo estraniando sempre di più da chi ero sempre stato ma non sapevo che uno schiaffo mi sarebbe arrivato da lì a qualche istante. E anche abbastanza forte, devo ammettere.
Mi coprii immediatamente la guancia lesa con la mano, fissando Iris con gli occhi sgranati: – Sei impazzita?
Lei scosse la testa, fremente, arrabbiata forse come mai l'avevo vista prima - e credo che quella fu l'ultima volta in cui la vidi in una condizione simile.
Ora, immaginate come un ragazzo gay potesse sentirsi a guardare la più impassibile delle sue due migliori amiche quasi piangere davanti a lui per un motivo che nemmeno era comprensibile, sapendo solo di esserne la causa. Il vecchio me costantemente in preda all'ansia dovette combattere parecchio per non emergere, ma fui salvato proprio dalla persona che pochi secondi prima mi aveva colpito in pieno viso: – Mettiti con me, se vuoi provare a guarire.
Vi starete chiedendo perché Iris mi abbia tirato uno schiaffo per chiedermi di stare insieme quando in genere gli schiaffi si danno quando si vuole lasciare qualcuno; ebbene, me lo chiedo tutt'ora anche io. Mi guardava con occhi pieni di odio nonostante le sue parole non corrispondessero con la sua espressione e questa sua caratteristica è sempre stata il motivo per cui non capisco mai cosa voglia davvero.
Alla fine però decisi di non fare un dramma per quello schiaffo e semplicemente appoggiai la mano sulla sua spalla sperando di non commettere altri errori nel mio discorso: – Se lo fai perché credi che sia un aiuto terapeutico allora non sentirti in dovere, Iris. Non forzarti a fare qualcosa che non ti va di fare.
E invece ne commisi eccome.
Iris afferrò la mia mano sulla sua spalla e la strinse tra le sue, guardandomi dritto negli occhi senza la minima traccia di timore (cosa che piuttosto intimoriva me): – Senti da che pulpito arriva la predica! – sbottò, non mollando però la presa sulla mia povera mano. – Perché, a te va di stare male? E' qualcosa che ti senti in dovere di fare?
Ho sempre odiato i grandi retori.
Così scossi la testa, affranto dalle sue continue argomentazioni che continuo a sperare di riuscire ad acquisire anche se sono passati due anni e più e continuo ad usare il mio nome come argomentazione. Per carità, ammettete che è un nome di merda ma in prigione non credo mi salverà dire “Ehi agente, ho un nome di merda, mi lasci andare!”, potrei
leggermente finire in psichiatria a quel punto.
– No – risposi alla fine, girando la mia mano tra le sue per riuscire ad accarezzarne il dorso col pollice. – Ma è quello che sento adesso. Punto.
– E allora
questo – disse indicando pericolosamente le mani unite. – E' quello che sento io adesso! Tu non sembri vedere altro e se non avessi fatto qualcosa per fartelo capire tu nemmeno avresti pensato all'idea che io possa sentire qualcosa che va oltre all'amicizia per te! Non... E' una forzatura, insomma. Ci credo davvero.
– Ma lo vedi come sono messo? Come potrei mai essere per te un buon ragazzo?
– Non mi serve un “buon ragazzo”, quello può andare anche affanculo, Hime. A me servi tu quando ancora eri in te, quando non sembrava la fine del mondo ad ogni minuto che passava. Ti prego.
A dirla tutta, avevo il sospetto di piacerle. Negli ultimi tempi aveva iniziato a comportarsi in modo diverso, non si arrabbiava così frequentemente come faceva prima e per certi versi sembrava essersi addolcita. Avevo anche provato a parlarne con Hick ma lui, cretino tale e quale è, aveva negato tutto e smentito tutte le mie ipotesi, dicendomi solo che ero un gay che se la tirava troppo perché pensava di piacere ad una ragazza etero. Capite perché dico che Aydin è un ragazzo pieno di sorprese?
– E tu accetteresti questa situazione? – le chiesi forse troppo duramente, ma in realtà lo dicevo per lei. – Sono gay, lo sai.
– Lo so, idiota. Ma so anche che voglio farti cambiare idea, quindi non mi interessa.
– E se ti dicessi di sì, cosa cambierebbe? Metterci insieme risolverebbe qualcosa?
Iris annuì, convinta, deponendo parte delle sue armi: – Ti darò parecchie gatte da pelare per non farti pensare a quell'idiota, ecco cosa. Ci proverò, almeno.
Avevo sempre saputo di essere un amico importante per Iris, si era sfogata con me andando contro il suo orgoglio più di una volta e, anche se non lo dimostrava facilmente, si preoccupava sempre per tutti noi. Il punto è che per me era assai difficile immaginarmi con una ragazza dopo aver passato due anni con la testa solo su Kyle e temevo di poter ferire Iris se avessi accettato senza esserne del tutto convinto, ciò che poi realmente successe ma che non fu poi così drastico - se lo immaginava pure lei.
– Cosa provi per me? – mi chiese di punto in bianco senza aspettare una mia risposta, fingendo forse di essere rilassata nel pormi quella domanda. – Insomma, avresti almeno un minimo di interesse?
– Sì – dissi senza nemmeno pensare, parlando direttamente da un'analisi veloce dell'intera situazione. – Se ti può consolare, alle medie avevo una cotta per te.
Ed era vero: alle medie non eravamo in classe insieme ma lei e Percy erano molto amiche per cui fu inevitabile per me entrarci in contatto. Ricordo che chiedevo sempre a Percy di organizzare qualche uscita fuori per poterla conoscere meglio e che cercavo sempre di presentarmi al meglio - che a quell'età voleva dire un incrocio tra un rapper di strada e un facoltoso uomo d'affari con una spruzzata di Goku Super Saiyan nei capelli, tentando qualche squallida mossa per flirtare con lei senza però mai provarci sul serio per il mio eterno complesso di inferiorità. Poi alle superiori scoprii di essere gay e be', magia finita.
– Se ne avessi avuto la certezza mi sarei fatta avanti anche io, accidenti. – Sorrise quindi sospirando, assumendo un'espressione che sapeva fin troppo di rimorso. In quel momento, credetemi, mi maledii fino alla morte per essere me stesso. Voi direte “okay Hime, ma hai sempre qualcosa per cui ti maledici, dov'è la novità? Tanto hai un nome talmente di merda che chiamarti Ganapati Gulal ti sarebbe solo d'aiuto” ma io vi assicuro che per la prima volta nella mia vita mi pentii di essere gay. Mi pentii di essermi innamorato di Kyle, di non aver mai pensato alle ragazze come tali e non solo come “sono carine ma tanto non avrebbero mai interesse per me”, di non aver mai avuto fiducia in me stesso e di non essermi reso conto prima dei sentimenti altrui.
Fu in quel momento che decisi che sarei cambiato.
L'attitudine che avevo preso quasi menefreghista l'avrei lasciata andare perché non ero più nemmeno io, ma non sarei mai più tornato il cane bastonato con la coda tra le gambe che ero stato per tutta la mia insulsa vita.
Così strinsi improvvisamente Iris, assicurandomi di far valere la parte di uomo che nella relazione con Kyle era di solito lui a tenere in pugno. Ci volevo provare, ero intenzionato a riuscire a dimenticare Kyle e cambiare il mio stile di vita per Iris, per renderla almeno un po' felice in tutto il casino in cui lei si era messa da sola.
– Sono passati quasi quattro anni. – constatai allontanandomi da lei solo per guardarla negli occhi quasi lucidi per il freddo.
– Non ti so dire se è stata la speranza o la rassegnazione a permettermi di non mollare mai la presa su di te, ma non ho mai pensato a qualche altro ragazzo come attualmente sto facendo con te e perciò... – Si bloccò per un secondo quando vide i miei occhi puntati forse troppo insistentemente sui suoi e ghignò, imbarazzata, spalmandomi la sua mano in faccia per farmi distogliere lo sguardo. – …Perciò sono pronta a rischiare. Se ci stai, io ci sto.
– Ci sto, ci sto... – ridacchiai riportando lo sguardo su di lei, impedendole però altre mosse azzardate di karate miste a ju jitsu in quanto la baciai, sforzandomi davvero di capire che davanti a me non c'era Kyle.
In qualche modo, quel bacio riuscì alquanto bene e i miei orizzonti iniziarono a spostarsi dove sarebbero rimasti per un bel po' di tempo. 


– La pianti con i sequestri di persona? – domando non appena Iris chiude la porta d'uscita dietro di sé, ritrovandomi seduto sul cancello scrauso che divide il patio dalla strada. – Quello che vuoi dire lo puoi dire anche con Hick e Percy, lo sai.
– Ti riempirei di botte, quindi taci.
– Taccio.
– Bravo! – La bionda mi fulmina con lo sguardo, il motivo mi è ancora ignoto perciò spero di ricevere chiarimenti nell'immediato futuro. Essere rapiti a casa propria pare brutto, diciamocelo. – Si può sapere che problemi ti crei? Hai la possibilità di stare con Adair non-stop, perché devi sempre trovare qualcosa che non vada?
Non riesco mai a capire se Iris si preoccupi o pensi solo che sia un imbecille e si senta in dovere di farmelo presente. Il giorno in cui riuscirò finalmente a capire sarà il giorno del giudizio.
– A New York avrei Kyle, qui invece ho tutta la mia vita.
– E Xavier? Non dirmi che non gioca un ruolo fondamentale in tutto ciò.
Roteo gli occhi al cielo, ritrovandomi a sbuffare per essere stato ancora una volta colpito nel mio tallone d'Achille: – Attualmente mi sto sforzando di pensare che sia una grandiosa opportunità per lui e che debba fare ciò che crede sia meglio per il suo futuro, non in mia funzione; quindi è meglio se il suo ruolo lo mettiamo da parte in questo momento. Sa badare a se stesso.
– Se credi che quel ragazzino parta senza di te sei fuori strada, Hime. Possibile che tu non capisca mai nulla?
Grazie Iris, sei sempre un tesoro.
– Fanno dei corsi per aiutare la gente come fai tu?
– No, è un DIY.
– Complimenti all'originalità. Potresti offrirlo come servizio sociale.
La bionda ghigna leggermente, scuotendo la testa: – Sto dicendo che devi pensare a te e non alla tua routine. Quella puoi sempre rifartela quando ti pare.
– L'unica cosa che rifarò sarà il mio nome all'anagrafe. – borbotto gettando la testa all'indietro, perdendomi per un secondo tra le stelle. – Tu come pensi di fare quando Nico se ne tornerà a New York? Non vorresti seguirlo?
– Nico è un conto totalmente diverso da Kyle. Non stiamo nemmeno insieme.
– Però si è fermato da te per la notte qualche volta – le faccio presente vedendola assumere un colore pressoché uguale a quello dei pomodori in pieno luglio. Mi sa di aver toccato un nervo scoperto. – Sono il referente per la Nyst, il loro allenatore mi chiede sempre dove sono i ragazzi che non rientrano in dormitorio e io chiedo a Kyle. – spiego, riservandole uno sguardo complice.
– Potevi dirmelo. – mormora lei, imbarazzata come poche volte nella vita. Ahi ahi, mi sa che qualcuno qui si sente scoperto. Cattivo me.
– Cos'avrebbe cambiato sapere che ne ero al corrente? – rispondo ridendo, pizzicandole la guancia.
– Non eravamo qui per parlare di te e del tuo essere idiota?
Scuoto la testa, conosco fin troppo bene i cambi d'argomento tattici: – Torniamo su?
– Andiamo Hime, io...
– Grazie. – Le sorrido prima che possa dire altro, dandole un abbraccio veloce. – Davvero, grazie. Ma questa me la devo vedere da solo.
Iris mette dapprima il broncio, guardando a terra prima di rilassare la sua espressione e finalmente sorridere: – Allora sei capace anche tu di crescere, eh?


– Buonasera!
– Alla faccia della buonasera brutto idiota sono le tre e un quarto di notte cosa cazzo sei stato a fare tutto questo tempo con i tuoi amici che sembrano una barzelletta io giuro che ti uccido!
Kyle sgrana gli occhi, fissandomi interdetto: – …
Tadaima?
Okaeri! – ribatto quasi urlando, felice che abbia imparato queste due parole in giapponese ma furibondo per l'orario indecente. – Hai bevuto? Perché sei stato fuori fino adesso?
– Ho bevuto una birra, Anguilla. – mi rassicura appoggiando il portafoglio e le chiavi della
mia macchina sul tavolo della cucina. – Non eri in compagnia fino a poco fa, tu?
Porto gli occhiali sulla nuca per tenere i capelli indietro, appoggiandomi poi allo stipite della porta della camera da letto: – Sono andati via all'una.
– Potevi chiamarmi e sarei arrivato prima, o al limite ti avrei svegliato. Per inciso, non potevi dormire?
– Devo chiederti una cosa.
Al suono di queste parole Kyle sbianca, segno inevitabile che
sa. Io so che Kyle sa, e so di non sapere.
Io sono Socrate.
– Mi metti ansia. – se ne esce con un'ostentata risatina, sfilandosi la giacca. – Posso farmi la doccia, prima?
– Se aspetto altri cinque minuti morirò di sonno, quindi no.
– Puzzo di cloro, Hime. Oggi non ho avuto tempo di farmi la doccia in piscina.
Roteo gli occhi al cielo, dirigendomi quindi verso il bagno: – Allora vengo con te.
Kyle ripete il mio gesto, spogliandosi velocemente e raggiungendomi in bagno in boxer con l'asciugamano sotto il braccio: – Si può sapere cos'ho combinato stavolta?
Attendo finché non lo vedo sparire dietro la vetrata opaca della doccia e lanciarmi i boxer dall'alto - solo lui è capace di dimenticarseli addosso - prima di far partire l'acqua, non voglio guardarlo negli occhi mentre gli pongo questa domanda dal momento che so di essere un cretino ad arrabbiarmi con lui ma mi sento in qualche modo tradito dal suo silenzio a riguardo.
– Anguilla? Ti ascolto.
Prendo una boccata d'aria, fissando la mia immagine riflessa nello specchio di fronte a me: – Tu sapevi dell'offerta della Nyst, vero?
– Sì, volevo farti una sorpresa. Come l'hai presa? Ti piace l'idea?
– Mi piace, ma non posso accettare e dovevi saperlo fin dall'inizio.
Cosa?! – Kyle apre improvvisamente la porta della doccia rivelandosi in tutta la sua statuaria fisicità mentre io ringrazio Dio per essere arrabbiato con lui e per non avere quindi la possibilità di pensare ad altro. – Che accidenti hai in quella mente bacata, si può sapere? E' l'occasione per stare insieme, Anguilla.
– E come? Tu abiti già con un altro ragazzo, se posso ricordartelo.
– Questo lo so anche io, ma forse Landon potrebbe... – Il suo tono di voce va via via affievolendosi come fa anche la sua improvvisa enfasi. – … Non lo so, una sistemazione la troviamo.
Come mai quel cambio di tono al nome del suo ex ragazzo?
Calmo Hime, non essere geloso per certe cavolate. E' normale.
Anche io ero parecchio sensibile al suono del suo nome appena dopo la nostra rottura e spesso ammetto di aver associato il nome “Kyle” a quello di certi animali da fattoria, di varie offese in generale e di insulti di differente natura. Dovrò anche chiedere scusa a sua madre, prima o poi.
– Non vedo soluzioni plausibili. – concludo, sperando che non mi abbia sentito quando in realtà ha ancora gli occhi puntati su di me mentre l'acqua inizia ad allagare il bagno.
– Cos'è, ti spaventa tornare ad avere a che fare con me tutti i giorni?
– Come se non lo stessi già facendo! – ribatto, accigliato. – Semplicemente è da matti, Kyle, pensare che io molli tutto per venire a New York. Non sono fatto come...
– Come me? – mi interrompe con un tono di voce arrabbiato, forse ferito da ciò che stavo per dire. Io detengo il record per peggiori uscite nelle peggiori situazioni.
– Non sto dicendo che tu abbia sbagliato, tre anni fa. – cerco di correggermi, ma ancora una volta lui ghigna e sposta i ciuffi bagnati dalla sua fronte con un atteggiamento di sfida.
– Come se non ce l'avessi a morte con me per essere partito.
– Non ti ho mai biasimato per aver preso la scelta giusta per la tua vita, ma solo per aver lasciato me e credevo di aver chiarito questo punto da un bel pezzo.
Non sto migliorando le cose, non sto migliorando le cose, non sto migliorando le cose...
– Senti, Himeragi, qui stiamo parlando del perché tu non voglia accettare un'opportunità del genere. Non pensi che ne vada di mezzo anche il tuo futuro?
Mi avvicino in due passi alla doccia e quindi al suo viso, dimenticandomi delle gocce che iniziando a bagnare anche me: – Che ti piaccia o no il mio futuro lo vedo qui a Detroit con la mia squadra e con la mia scuola.
– Allora spiegami perché cazzo sei venuto a letto con me se ora stai dicendo queste stronzate.
Il suo tono si è fatto fin troppo acido e i suoi occhi troppo stretti, credo che stiamo sfiorando l'Apocalisse ma non per questo lui è l'unico colpito dalle parole. Cosa accidenti gli è preso per dire l'ultima frase che ha pronunciato?
– Ti sembra forse che io ti abbia detto la stessa cosa, tre anni fa? Ti ho chiesto perché tu fossi venuto a letto con me se poi dovevi fare la stronzata di partire per New York? No! Perché diavolo ora tu avresti il diritto di dirlo a me?
Kyle abbassa lo sguardo in un sospiro, appoggiando il fianco alla porta ancora aperta della doccia. Che bisogno c'è di diventare sempre cattivi, mi chiedo io, quando le cose potrebbero essere risolte parlando civilmente? Il ragazzo che ho di fronte è la persona che dovrebbe conoscermi meglio e viceversa, ma a volte sembriamo distante anni luce e ogni parola che viene detta è un lampo che ci impedisce di provare a ricongiungerci.
– Vedi di mettere ordine in quella testa. – gli intimo, allontanandomi di qualche passo da lui. – Finché non capirai che non puoi più trattarmi come se non avessi una volontà mia non avvicinarti più a me. Questa è casa mia e restare qui non è una stronzata e se ancora pensi che sia venuto a letto con te perché non avevo niente di meglio da fare allora non hai ancora capito con chi hai a che fare. Buonanotte, Kyle.
Chiudo la porta dietro di me senza aspettare una sua risposta, levandomi la maglietta bagnata e lanciandola da qualche parte prima di lanciare me stesso sul materasso e cercare di addormentarmi per non essere costretto a sentire di nuovo la voce irritante di Kyle.
Vada affanculo lui e anche New York, accidenti.


– Hai un minuto, Himeragi?
Mi giro con uno sguardo omicida verso Dominik Hansen che, timoroso, mi tende la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Sì, sono appena caduto.
E sì, sono scivolato a mo' di buccia di banana.
E ancora sì, Kyle mi ha tenuto guardato e poi ha ripreso a nuotare come se niente fosse. Okay che sono tre giorni che non ci parliamo, ma poteva almeno evitare che venisse un suo compagno ad aiutarmi e venire lui stesso.
– Ne ho fin troppi. – borbotto afferrando la mano del norvegese per tirarmi su, dovendo massaggiarmi la schiena per constatare di non avere ferite aperte dato che stavo per entrare in acqua e quindi ho solo il costume addosso. La mia solita fortuna, insomma.
– Andiamo negli spogliatoi?
Annuisco, dolorante. Ormai gli spogliatoi possono essere considerati il confessionale dei nuotatori: se qualcuno ha un problema si sa dove trovarlo.
– Allora? – domando, sedendomi sulle panchine costantemente in disordine. Riconosco in fretta la felpa di Kyle e guardo in giro in cerca di un accendino, così magari non la devo più vedere distesa sul pavimento del mio tugurio e potrei vendicarmi per l'avermi ignorato proprio quando sono caduto come un pero.
Dominik mi guarda per un secondo e poi sospira, incrociando le braccia muscolose: – Non è da me curiosare nei fatti altrui, ma cos'è successo tra te e Kyle? E' da tre giorni che lui non c'è con la testa.
“Come se fosse una novità” vorrei ribattere, ma mi limito ad alzare le spalle: – Abbiamo litigato.
– Fin qui c'ero anche io. – Mi prende in giro Mr. Norvegia, sghignazzando. – Mi chiedevo solo cosa potesse essere di così grave da mettere al tappeto tutti e due.
– Io non sono al tappeto.
– Letteralmente, Himeragi, se non fossi arrivato io ad alzarti saresti rimasto lì tutta la giornata. Era già da un minuto che eri caduto.
– Ah sì?
– Già.
Lo fisso sconsolato, perché stavo giacendo al suolo come un idiota? Non bastava la figura di merda che avevo fatto facendo un triplo carpiato a causa del pavimento bagnato, giustamente.
– Gli ho detto che non sarei venuto a New York con voi. – confesso alla fine, incrociando le gambe come un bambino in castigo. – E poi abbiamo alzato la voce. Gli ho detto che mi avrebbe dovuto cercare solo quando avesse capito una cosa, ma francamente speravo ci mettesse di meno. E' brutto convivere e non darsi nemmeno la buonanotte.
– Sicuramente lo conosci meglio tu, ma posso darti un consiglio?
Annuisco, affranto: se mi serve un norvegese per capire come muovermi col mio ex ragazzo direi che siamo palesemente alla frutta.
– Kyle sembra forte, ma se si tratta di te è come se tu lo tenessi costantemente appeso a un filo. Lui ci è semplicemente rimasto male dal fatto che tu abbia deciso di restare qui e non riesce a digerire la cosa, specialmente poi se il tentato chiarimento si è evoluto in un litigio dei vostri. Penso che dovresti andargli incontro e parlargli senza perdere la pazienza, anche se so che a volte è difficile.
– Direi “impossibile”.
– Già... Tipo quando c'è la partita dei Lakers e non sia mai che lo disturbi.
– Esatto! – Sbatto energicamente il pugno sulla panchina, ritrovando il buon umore. – E vogliamo parlare di come mangia le fragole?
– Cristo! Ne lascia sempre metà e fa fuori tutte le punte. Che nervoso.
… Di che cazzo stiamo parlando?


Okay, un bel respiro: terza sera, la storia non può andare avanti così.
Simo andati anche a letto insieme, per l'amor di Dio, cosa mai avrò da temere? E' solo una pacifica discussione sul mio andare o meno a New York, cosa c'è di tanto scandaloso da non doversi rivolgere la parola per tre giorni? Come se quell'idiota non mi mancasse, accidenti, così la situazione peggiora dal momento che il semplice “mi manca” della quotidianità diventa un “ho bisogno di lui” se non ci ho più a che fare.
E poi, andiamo, è Kyle Adair! Cosa c'è di tanto spaventoso in Kyle Adair?
… Okay, avete ragione, ritiro la domanda. Sono incoerente.
La tabella di marcia ora è semplice: entrerò in casa, farò un sorrisone, gli dirò che mi dispiace e che voglio che torniamo a parlarci come facevamo fino a tre giorni fa - tralasciando i litigi. Non c'è nulla di strano, no? Litigare fa parte della nostra routine ed è anche giusto imparare a porgere l'altra guancia per cercare di fare pace, se no chi sa quanti altri giorni dovranno passare prima che lui si renda conto di dovermi parlare.
Forza e coraggio: ce la posso fare. Risolverò questa situazione.
Apro la porta trattenendo il fiato, mi preparo ad urlare “Kyle dobbiamo parlare” ma non c'è nemmeno bisogno che io ripensi una seconda volta alla frase dal momento che, sgranando gli occhi, mi viene naturale pronunciarla: – Kyle, dobbiamo parlare.
Landon Fenneck se ne sta seduto sul divano con una tazza di caffè in mano, la sua giacca è appoggiata sullo schienale di una sedia della cucina, il suo zaino ai suoi piedi e i suoi occhi su di me, decisamente troppo tranquilli. Ditemi che è uno scherzo.
– Ciao, Himeragi. – Landon si affretta ad alzarsi per venire a stringermi la mano che io, riluttante, mi vedo costretto a porgergli. – Scusami per l'intrusione ma Kyle aveva dimenticato il portatile da me e così gliel'ho riportato.
– E'... Inaspettato, ecco, vederti a casa mia. Benvenuto, comunque.
Il moro sorride appena, stringendosi nelle spalle. Ma ha veramente ventitré anni questo tipo?
– Ti chiedo di nuovo scusa. – ripete mimando un inchino. – Ma almeno ci conosciamo di persona, no?
Non che ci tenessi a conoscere l'ex del mio ex, ma questi sono dettagli.
– Almeno non c'è uno schermo di mezzo. – Cerco di sorridergli, andando poi verso Kyle. – Puoi venire un secondino con me?
Kyle lo sa di essere nella merda.
Eccome se lo sa.
– Arrivo. – mormora facendo un cenno a Landon, dirigendosi a testa bassa fino all'uscita del tugurio.
– Fa' come se fossi a casa tua. – Cerco di essere cortese, indico a Landon il divano e il telecomando. – Io e Kyle dobbiamo solo scambiare due paroline... Di prassi, ecco. Scusaci.
– E' casa tua, amico. – Mi sorride di rimando, credendo fosse che io intenda veramente essere un tesoro con il coinquilino di quel cretino di Kyle Adair.
Ora: volevo per caso risolvere la situazione?
Mi sa che qualcuno qui ha leggermente esagerato, questa volta.

Chiudo la porta alle mie spalle, scendo velocemente le scale seguito dal colpevole di tutto ciò senza rivolgergli la parola e arrivo al patio, aspettando di sentire la porta chiudersi per iniziare il mio sermone.
– Anguilla, posso spiegar...
– No, adesso stai zitto. – lo interrompo alzando la mano a mezz'aria prima che mi passi per la mente l'idea di buttarlo fuori di casa a calci in culo. Okay, un bel respiro. – Non mi parli per tre giorni dopo avermi fatto penare come un cane bastonato e ti ritrovo a casa mia col tuo ex ragazzo. Puoi solo immaginare come mi stia sentendo
io, in questo momento?
– Lo so, ma devi lasciarmi dire le cose come stanno se vuoi capire.
– Io non voglio capire, io voglio che lo Spirito Santo scenda su di me per non lanciarti il set di stoviglie giapponesi addosso e usare la tua stupida faccia come bersaglio. Ora, tu prendi Landon e gli dici cortesemente di andarsene e di non farsi più vedere a casa mia, chiaro?
Kyle porta pericolosamente la mano dietro il collo, fissando il cielo prima di deglutire e avere anche solo la minima briciola di coraggio per guardarmi negli occhi: – A tal proposito, Hime, io...
– Cosa, Kyle?
– Ti volevo chiedere se potevi lasciarmi casa tua per un'oretta. Vorrei parlare con Landon.
Sta scherzando.
Sì dai, non può fare sul serio. Quale essere dotato di intelligenza direbbe mai tale amenità, sbaglio? Su, è una battuta. Bella battuta.
Non fa ridere, ma bella battuta.
– Prego? – domando, serafico, socchiudendo appena gli occhi e immaginandomi una strana scenetta di Kyle che porta Landon vestito da sposa in casa mia. Mamma mia, ho i brividi.
– La casa. Potresti lasciarmela per un po'?
– Fammi fare il punto della situazione. – Congiungo le mani a mo' di preghiera, appoggiando poi il mento sui due indici uniti. – Tre giorni fa mi hai detto che era una stronzata restare qui perché volevi che venissi con te a New York. Io ho sperato che a te venisse l'illuminazione per settantadue ore in merito a venirmi a parlare ma no, il Nirvana non ti ha scelto per diventare un suo eletto e mi hai pure ignorato quando ho praticamente fatto parkour per restare in piedi oggi pomeriggio, quando sono scivolato. Ora, alle... – Guardo rapidamente l'orologio, prendendo fiato. – … Ventuno e sedici minuti tu finalmente ti degni di parlarmi e cosa mi dici? Di lasciarti la casa per stare col tuo ex?
– Suona male, lo so, ma è solo perché è stanco dal viaggio e... E niente, non se la sente di stare in giro. Ambiente nuovo, gente nuova... Non è abituato a Detroit.
– Spedire il portatile per posta pareva brutto?
Kyle si porta le mani alle tempie, sospirando esasperato ma se si aspetta un mio solo accenno di assenso a tutto ciò penso stia sognando veramente in grande.
– Deve parlarmi, ha detto. – ammette a bassa voce il bastardo qui di fronte, abbassando gli occhi. Allora sa di essere colpevole, in fondo.
– E lo dovete fare in casa mia?
– E dove, se no? Gli ho dato questo indirizzo.
E' tutto normale per lui, no? Invitare l'ex a casa del ragazzo con cui tre giorni fa è stato a letto, chiaro. E giusto, per carità. Chiaro e giustissimo, direi.
– Hime, ti chiedo scusa, lo so che ti devo spiegare tante cose è solo che non è il momento adatto e...
– E quando, allora? – Lo guardo negli occhi trovandoci solo un mucchio di cazzate dentro, sentendomi colpito da un numero spropositato di proiettili allo stesso tempo. – Quando pensi di capire che devi smetterla di pensare che le persone siano sempre pronte a perdonarti? Quando capirai che non esisti solo tu?
– Non si tratta di questo, Anguilla, devo solo parlare con lui e poi con te.
– A che gioco stai giocando? – gli chiedo con un sorriso piuttosto isterico, stringendomi nella felpa che non è mai abbastanza sufficiente.
Kyle scuote la testa, andando per compiere lo stesso gesto di tre anni fa e quindi sfilandosi la giacca per passarla a me: – Nessun gioco. Non con te, né con Landon.
Con la sua giacca davanti a me gli occhi mi diventano lucidi, il freddo punge e i ricordi anche: – Sai una cosa, Kyle? – Spingo la mano in avanti, rifiutando l'indumento e preparandomi a battere la ritirata. – Continua pure a giocare, che fare la persona sincera non ti è mai riuscito bene.
– Cosa stai...?
– Non cercarmi. – mormoro, rabbrividendo mentre la vista inizia davvero a farsi fastidiosa. – I preservativi sono nel cassetto del comodino, in caso vi dovessero servire.
– Oh andiamo, cosa accidenti ti salta in mente?
– Vaffanculo, Kyle. – Deglutisco, girando le spalle e allontanandomi da lui. – E stavolta restaci dato che la prima non ti è bastata.
Chiudo tutto, non lo ascolto più e salgo nuovamente in macchina, appoggiando per qualche secondo la fronte al volante prima di ripartire.
Bene: sfrattato da casa mia dall'ex del mio ex, sull'orlo di una crisi di panico (questa non mi è nuova), infreddolito e anche senza benzina.
Dodici chilometri di autonomia.
Dove si va?


Senza un motivo convincente, mi ritrovo quindi davanti casa McAdams con ancora il cuore che batte dolorosamente e un fastidioso bisogno di asciugarmi costantemente gli occhi.
Il freddo.
Non altro, stasera fa proprio freddo.
Ho cercato tutti i pretesti possibili immaginabili per cui la mia visita risultasse motivata seriamente, ma il massimo che sono riuscito a trovare è dover parlare ai genitori di Xavier in merito a New York quando so che in realtà il vero movente è solo un insensato bisogno di vedere quel ragazzino.
Non è una ripicca verso Kyle, è solo un dover cambiare aria e un vedere Xavier - e gli ormai nove chilometri di autonomia del catorcio rimasti - come stratagemma. Forse sto facendo una grandissima cazzata, non sto mettendo in conto come Xavier potrebbe prendere la mia visita date le circostanze ma mascherandola a dovere forse non dovrò nemmeno dare troppe spiegazioni e limitarmi quindi ad un colloquio con i suoi genitori.
Scendo dalla macchina: ormai sono qui, non posso tornare a casa e per la cronaca nemmeno ci tengo, quindi cerco di riprendermi con tutte le mie forze ed entro nel giardino dato che il cancello non è mai chiuso con la serratura e che non c'è nemmeno il campanello. Percorro tutto il giardino stretto in questa felpa del cazzo, maledicendomi per non aver accettato la giacca di Kyle per orgoglio mentre ora devo stare qui a tremare per i sei metri di erba che precedono la casa che ho visto infinite volte da fuori. Più mi avvicino e più delle urla si fanno chiare, io mi blocco e attendo: non riesco a capire cosa stiano dicendo ma di sicuro i toni non sono amichevoli. Xavier non parla mai dei suoi genitori ma quando spende qualche parola per loro, quella non è di certo buona. Forse il mio intervento potrebbe farli smettere, perciò accelero il passo verso la porta e mi preparo a suonare. Prima che il mio indice sfiori il campanello però, ecco che la porta si apre improvvisamente e si stampa esattamente sul setto nasale.
Questo fa quasi più male di Kyle.
Anzi, fa
decisamente più male di Kyle.
– Oh cazzo. – Xavier, in piedi di fronte a me con gli occhi sgranati, chiude la porta dietro di lui con un calcio e sbatte ripetutamente le palpebre. – Stai bene?
– Mai stato meglio, grazie – biascico dolorante, portandomi la mano sul naso. – Tu? Una bella serata?
– Mai vissuta una così.
– Bene, allora siamo sulla stessa barca. Sembri sconvolto.
Xavier mi tende la mano e mi aiuta a rimettermi in piedi, squadrandomi da capo a piedi con i suoi occhietti malefici: – Botta a parte, potrei dire lo stesso di te. Hai pianto?
– E' il freddo.
Il rosso annuisce, guardandomi però con la sua tipica faccia da “dimmi se secondo te ti sto credendo” che diventa poi una smorfia di confusione: – Cosa ci fai qui a quest'ora?
Averlo qui davanti cambia le carte in tavola, cos'ho da perdere se gli dico il vero motivo per cui sono venuto qui?
– Puoi saltare scuola, domani?
Xavier capisce, abbassa per un attimo gli occhi e per qualche istante temo che possa dirmi che non può venire con me. Non vorrebbe accettare perché sa che gli parlerò di Kyle, dei miei problemi riguardo tutta la questione che so che a lui dà particolarmente fastidio ma a ugual modo forse anche lui ha bisogno di sfogarsi e usarmi come ancora, almeno per questa sera, come anch'io ho deciso stupidamente di fare con lui.
– Okay. – sibila alla fine, superandomi per andare verso la macchina. – Se vado nei casini la responsabilità è tua, chiaro?
Gli sorrido, finalmente sollevato: – Se non sbaglio sono il tuo tutore, no?
Anche lui sorride impercettibilmente entrando furtivamente nel catorcio rosso: – Quella era una cazzata. Non potevo chiamare nessun altro.
Salgo anche io, chiudo la portiera e giro le chiavi nel quadro: – Gli altri tre allenatori? I tuoi genitori?
Non so se definire la mia filosofia di dialogo più retorica o più irritante, ma ad ogni modo questo sembra non aver mai dato fastidio al ragazzo che sta per accompagnarmi in quello che sarà il declino di una giornata di merda.
Lui mi lancia così un'occhiataccia, schioccando infastidito la lingua mentre gli occhi celesti fanno quasi il giro del globo: – Guida e taci.
Oh sì, io adoro questo ragazzino.


Due chilometri e quattrocento metri dopo la casa di Xavier c'è un piccolo pub di quartiere che noi compaesani chiamiamo “il Topo” dal momento che non lo conosce quasi nessuno e che è nascosto come i ratti fanno nelle loro tane, perciò quale altra meta sarebbe stata adatta alla serata se non questa?
L'unico problema attualmente è che, quando siamo entrati, mi sono reso conto di essere l'unico ad avere il portafoglio e peraltro con forti intenzioni di bere come un pesce.
Per non contare il fatto poi che sarebbe potuto sembrare un sequestro di minore.
E non tralasciamo che sia io che Xavier eravamo sul disperato-sconvolto andante e che non era di sicuro una bella serata.
E ancora peggio il mio nome, gente!
– Mi vuoi dire perché siamo qui da un'ora e tu stai dicendo solo cazzate? – Xavier mi punta col suo sguardo accusatorio, le guance appena arrossate e un bicchiere di gin tonic in mano che contrasta con la serie di recipienti ormai vuoti nel tavolo. – Non sei mica normale, tu.
– Senti chi parla. – ribatto col suo stesso sono di voce altalenante, lasciandomi stupidamente trasportare dalla musica e dalle luci soffuse. – Spiegami dove saresti andato se non mi avresti incontrato.
– Di sicuro non a bere per i tuoi problemi. – Questo demonio ha la battuta pronta anche sull'ubriaco andante, non ci credo.
– Non siamo qui solo per me, comunque. Se vuoi parlare lo sai che io ti ascolto.
Xavier sospira con una smorfia poco convinta, bevendo di nuovo: – Solo perché ti stai ubriacando.
– Non l'ho sempre fatto? Cristo, mi hai lasciato lettere minatorie per una settimana a settembre e nonostante questo non mi pare di averti mai lasciato da solo.
Non ancora convinto, Xavier si mette sulla difensiva risultando schivo come al solito e, bevendo di nuovo - sembra un'idrovora se di tratta di alcol questo delinquente, si nasconde dietro al bicchiere: – Stiamo parlando di ascoltare o di stare in compagnia?
– Uno vale l'altro. Con te, almeno.
Okay, lo ammetto: nemmeno io sto capendo le parole che stanno uscendo dalla mia bocca, so solo che le penso davvero e che l'alcol dà una grossa mano nel farle uscire dalla mia bocca. Mi dispiace solo per lo sforzo immane che Xavier deve fare per riuscire a trovare un senso logico e connettere i miei sillogismi.
– Ma che stai dicendo? – ridacchia quindi quasi rassegnato, senza timore però nel guardarmi dritto negli occhi. E' parecchio bizzarro come nella tentata lucidità i suoi occhi restino glaciali. – Non è detto che io abbia sempre qualcosa da dire quando sei con me.
– Certo che hai qualcosa da dire. Te lo leggo in faccia, ma non parli mai. Ecco perché stare con te vuol dire anche ascoltarti, succede così raramente che tu mi parli davvero che almeno provo a starti vicino per ascoltarti.
Xavier fa un sorrisetto poco convinto, chiedendosi forse se convenga di più chiamare Kyle che mi venga a prendere o direttamente il pronto soccorso: – Ti assicuro che sei la persona con cui parlo di più, quindi ritieniti già fortunato.
– Allora dimmi dove stavi andando, un'ora fa. Cos'è successo, quando, perché. Dimmelo.
– Direi che tocca prima a te dire perché cazzo eri a casa mia alle nove e mezza di sera. – ribatte prontamente sbattendo il bicchiere vuoto sul tavolo, alzando leggermente il mento e squadrandomi dall'alto. – Palla al centro, Anguilla.
Annuisco, contento di aver preso la stupidissima decisione di andare a casa sua ad un orario e in una situazione alquanto indecenti, e infine sorrido alla mia nuova fonte di guai: – Iniziamo a giocare?

  
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