SWIMMING TALE
CAPITOLO DIECI
“The Panino al
Prosciutto Tales”
Percy se ne sta seduta a
braccia conserte sulla poltrona a rileggere per l'ennesima volta
entrambe le lettere, Iris fissa un punto indefinito del pavimento e
Sebastian lancia l'ennesimo guaito alla pallina che quel cretino di
Hick continua a farsi riportare e lanciare, andando a sbattere contro
il mobile e buttando giù una foto incorniciata in bilico. Con Kyle
fuori dalle scatole per un'uscita con i suoi compagni di squadra devo
dire che mi mancava passare una serata con i miei amici, anche se il
contesto non è dei migliori.
Anzi, fa proprio schifo.
–
Hick, la vicina sale col badile se non la smetti di agitare
Sebastian. – informo non proprio cordialmente il mio migliore
amico, facendo cenno a Sebastian che sembra diventare cretino per una
pallina da tennis scrausa.
– Vuoi far deprimere anche il cane?
– ribatte allora lui permettendosi anche di guardarmi come se la
colpa fosse mia, tirandosi su da terra sistemandosi i quattro peli
castani che si ritrova in quella testa bacata. – Guarda come siamo
messi, ci manca solo Sebastian!
– Pensa se tu avessi una padella
in testa quanto potrebbe deprimersi, poverino.
– Una padella? –
ripete Aydin guardandomi stranito. – Non era un badile?
– Oh
sì, quello la signora Stanley del piano di sotto. La padella faccio
io.
– Ah. Un tesoro.
– Vero? – Mi porto entrambe le mani
alle tempie in un gesto di esasperazione, strappando poi dalle mani
di Percy le lettere ormai consumate a forza di girarle di mano in
mano. – Non ne ho ancora parlato con Kyle perché non lo vedo da
questa mattina dato che ci sono stati un po' di casini tra cui lui
che perde il bus non una, ma due volte e io che devo portare a casa
Xavier quindi devo ancora sentire il suo punto di vista...
Sinceramente non credevo mi sarei potuto trovare in una situazione
del genere.
– Non è così brutta come sembra. – mi rassicura
Iris cercando di fare un sorriso
tirato. – Sono tre grandi opportunità e vanno analizzate bene,
tutto qui.
Percy scuote la testa, dimostrandosi la più
apprensiva dei presenti come al suo solito: – Cosa accidenti c'è
da analizzare? Per noi vuol dire restare qui con Sapphire, Marley e
Shion mentre per Hime vuol dire che lui, Xavier, Tammie se ne vanno a
New York con la Nyst.
– La fai sembrare più drastica del
dovuto, Percy. Ci sono state ogni anno questo genere di selezioni.
–
Okay, ma non erano mai capitate a noi in questo tipo di
situazione!
Mi dispiace, su questo non ci piove: andarmene vuol
dire lasciare Detroit, il mio tugurio, il mio lavoro, la mia squadra
e tutta la mia vita. E' anche vero il fatto che qualcosa verrebbe con
me, due dei miei allievi mi seguirebbero e potrei stare vicino a Kyle
tutto il tempo fermo restando che non so ancora se Xavier e Tammie
abbiano intenzione di venire o meno. Che bella situazione di merda.
Hick improvvisamente smette di giocare con Sebastian, si pulisce
dai peli bianchi del cane sui suoi pantaloni per poi guardarci uno ad
uno negli occhi con un'espressione quasi comica per la serietà: –
Questa è una decisione di Hime, ragazze. E' vero, non è facile ma
credo che sia già abbastanza indeciso sul da farsi anche senza il
vostro indesiderato apporto alla questione. Direi di aiutarlo a
sistemare le idee che ha lui, non suggerirgliene di nuove e
peggiorare la situazione.
Sgraniamo tutti gli occhi, è stato
veramente Aydin Hickey a elargire tale aulica sentenza? Iris e Percy
si guardano esterrefatte ma lasciano la parola a me che, fingendo di
asciugarmi le lacrime, appoggio la mano sulla spalla del nuovo Giulio
Cesare: – Grazie, amico.
– Chi credi che ti abbia portato a
bere quando Kyle è partito per New York? – mi chiede facendomi
l'occhiolino, ricominciando poi a giocare col cane come se niente
fosse. Questo ragazzo è una continua scoperta, lo devo ammettere.
–
Allora, Hime? – Iris alza lo sguardo verso di me, pensierosa,
incrociando poi le braccia al petto. – Sentiamo la tua.
Prendo
un grosso respiro, alzandomi in piedi di fronte ai tre dell'Ave
Maria: – Per quanto sia una grande opportunità e per quanto sia la
seconda volta che vengo convocato a New York, io ancora non me la
sento. Ho tutta la mia vita qui a Detroit, lasciarla vorrebbe dire
aver semplicemente rimandato l'opportunità di tre anni fa. E poi,
cosa avrei là?
Iris fa una smorfia, roteando anche gli occhi: –
Un panino al prosciutto, Hime. Che accidenti vuoi avere a New York?
Kyle, ovviamente!
– Kyle sta andando ad abitare col suo ex
ragazzo, cosa vuoi che faccia io, lì? Che mi cerchi un appartamento
per conto mio e che veda il mio quasi
ragazzo solo agli allenamenti?
– Magari lo trovi vicino al
loro.
Guardo male la mia ex ragazza, portandomi le mani alle
tempie: – Sì, poi propongo una cena col vicinato per festeggiare
il mio arrivo. Ma dai.
– Stai tralasciando Xavier e Tammie. –
Mi fa presente Percy, mettendosi stranamente dell'idea di ragionare
senza dare di matto o senza drammatizzare tutto quanto. Sembra una
novità se si tratta di noi quattro. – Non sarai da solo del tutto.
Forse Xavier potrebbe venire a vivere con te, no?
– Così poi
chiamano i servizi sociali. Già Muller pensa che io lo molesti... Ma
cos'ho fatto di male?
Hick alza improvvisamente gli occhi da
Sebastian e mi guarda con un'espressione dispiaciuta: – Hai un nome
un po' del cazzo, forse.
– Ah, grazie Hick. Non c'ero arrivato
in diciotto anni di esistenza.
– Di niente, fratello. Quando
vuoi.
Ripeto: cos'ho fatto di male?
– Hime, è una grande
opportunità. – ripete Iris, serafica. – Lo sai anche tu di avere
la stoffa per allenare, se cominci con la Nyst chissà quali altre
porte ti si apriranno.
Percy annuisce anche se a fatica, so che
lei al contrario di Iris guarda di più l'aspetto affettivo delle
cose e che fa più fatica a ragionare in questi casi, ma sono
comunque felice del fatto che siano tutti concentrati a risolvere
questo mio grande dilemma esistenziale - e stavolta non si scherza.
– Sentiremo cos'ha da dire Kyle dopo che l'avrò
picchiato.
Hick fa una smorfia stranita: – Picchiato?
– Sì
– confermo, tranquillo. – Perché non mi ha detto nulla. Quindi
prima lo picchio e poi sento come vuole difendersi.
Iris forse non
sa se ridere o rimproverarmi, ma alla fine se ne esce con un'alzata
di spalle: – Di solito prima viene la difesa e poi l'attacco.
–
Stiamo parlando di Kyle Adair. – le faccio presente. – Non di un
tenero cucciolo di cane. E' uno spregevole umano che non ha nulla da
fare nella vita se non devastare la mia.
– Wow. Tu devi farti
vedere da uno bravo.
– Lo so! – esclamo a gran voce, facendo
sussultare anche il cane.
La verità? Sono sconvolto - ma dai? -
da tutto ciò che è successo nel giro di un mese. Tutto il mio
precario equilibrio si squilibra
ad ogni passo che muovo, vacillo senza sosta e tutt'intorno troviamo
una cornice di amici che non aiutano, un datore di lavoro che pensa
che sia un maniaco, un ex ragazzo che non si capisce se stia tornando
attuale o meno, un allievo lunatico e una proposta di trasferimento a
New York. Poi dicono che la vita da diciottenni sia una pacchia.
Iris improvvisamente si alza dalla poltrona e si rivolge a Hick e
Percy con uno sguardo strano: – Ragazzi, vi chiedo scusa ma devo
parlare col cretino in privato. Giusto due minuti.
Ehi, mi ha
appena chiamato “cretino” o sbaglio?
– Tranquilla. – Percy
le sorride e così fa anche Hick, lasciandomi nell'oblio con la mia
ex che, come se fosse a casa sua, afferra la manica della mia felpa e
mi guida fuori dal condominio in silenzio.
Iris Rooney disse
la stessa frase non molto tempo dopo la partenza di Kyle nel bel
mezzo di un venerdì sera passato da bravi quasi sedicenni al cinema
sempre con Percy e Hick, facendomi pensare le peggiori cose nel
frangente in cui ci allontanavamo dalla gente e andavamo a
nasconderci in un vicolo appena fuori dall'edificio. Era il periodo
in cui mi sforzavo di trovare attraenti i fondoschiena delle ragazze
con scarsi risultati, perciò non capivo proprio perché tutto quel
gran mistero da parte di Iris quando fino alla mattina stessa si era
comportava come tutto il resto dei giorni.
– Ti detesto. – mi
disse non appena ci fermammo, abbassando lo sguardo solo per non
incenerirmi se l'avesse tenuto alto.
Io la guardai stranito, non
erano da lei quel genere di colpi di testa e soprattutto mi sentivo
leggermente offeso da quel “ti detesto” che, a mio parere, non
aveva motivo di essere stato detto. Però ripeto,
a mio parere. Si sa che
bisogna stare sempre all'erta con questo genere di premessa.
–
Il motivo? – chiesi quindi con quella discreta tranquillità che al
tempo mi risultava facile tenere, come se il mio temperamento fosse
cambiato in un modo bizzarro per un po' di tempo dopo la partenza di
Kyle.
Iris si sistemò i capelli biondi al tempo più lunghi
dietro le orecchie e mi trafisse peggio che poté con i suoi occhi
scuri: – Perché sei gay.
Annuii, confuso: insomma, lo sapeva
da due anni. Poteva anche dirmelo prima, no?
– Che novità. –
sibilai quindi infilando le mani nelle tasche, fissando la ragazza
davanti a me con aria di sufficienza. – Stasera ti è venuta
l'illuminazione e hai capito di odiarmi?
– Lasciami finire,
idiota! – sbottò veramente in preda alla rabbia, accentuando il
tutto anche con i pugni stretti lungo i fianchi coperti solo da una
camicia nonostante il freddo pungente delle undici e mezza di
febbraio. Riassumendo tutto ciò che era successo fino a quel momento
mi era stato del dato del cretino, dell'idiota e mi era stato detto
di essere detestato perché gay. Una tipica bella serata. – Stai
buttando tutta la tua vita su Adair, e non è possibile. –
spiattellò senza una particolare intonazione, fissandomi con gli
occhi quasi vitrei. – E' da settembre che stiamo provando a farti
stare meglio ma tu non ne vuoi sapere e questa cosa è... Fastidiosa,
okay? Kyle è solo un ragazzo che ti ha fatto perdere la testa e che
adesso se n'è andato, cosa aspetti a realizzarlo e a metterti il
cuore in pace?
Se avete pensato che Iris stesse per dire qualcosa
di dolce, eravate fuori strada: Iris Rooney non ha nemmeno la parola
“dolcezza” nel suo vocabolario.
– Ti ringrazio per il
tatto. – borbottai quindi in tutta risposta, quasi dovendo
trattenere le risate. – Guarda che non sono un caso patologico come
lo stai facendo sembrare, Iris. Puoi biasimarmi perché sto male
considerando che il mio ragazzo se n'è andato con due giorni di
preavviso?
– Ti biasimo perché credi che il mondo sia finito e
non hai neanche sedici anni!
A quel punto alzai le mani in segno
di resa, sorridendo alla bionda di fronte a me: – E con questo?
–
Almeno provaci, dico io! – Iris s'impuntò col piede, guardandomi
al colmo dell'esasperazione. – Devi uscire da questa situazione,
non ha senso starci e...
– Perché credi di essere così
coinvolta? – la interruppi, fissandola senza la minima traccia di
sorriso sul mio viso. Sapevo che non era da me quel tono di voce,
sapevo che non era da me un atteggiamento simile, sapevo che mi stavo
estraniando sempre di più da chi ero sempre stato ma non sapevo che
uno schiaffo mi sarebbe arrivato da lì a qualche istante. E anche
abbastanza forte, devo ammettere.
Mi coprii immediatamente la
guancia lesa con la mano, fissando Iris con gli occhi sgranati: –
Sei impazzita?
Lei scosse la testa, fremente, arrabbiata forse
come mai l'avevo vista prima - e credo che quella fu l'ultima volta
in cui la vidi in una condizione simile.
Ora, immaginate come un
ragazzo gay potesse sentirsi a guardare la più impassibile delle sue
due migliori amiche quasi piangere davanti a lui per un motivo che
nemmeno era comprensibile, sapendo solo di esserne la causa. Il
vecchio me costantemente in preda all'ansia dovette combattere
parecchio per non emergere, ma fui salvato proprio dalla persona che
pochi secondi prima mi aveva colpito in pieno viso: – Mettiti con
me, se vuoi provare a guarire.
Vi starete chiedendo perché Iris
mi abbia tirato uno schiaffo per chiedermi di stare insieme quando in
genere gli schiaffi si danno quando si vuole lasciare qualcuno;
ebbene, me lo chiedo tutt'ora anche io. Mi guardava con occhi pieni
di odio nonostante le sue parole non corrispondessero con la sua
espressione e questa sua caratteristica è sempre stata il motivo per
cui non capisco mai cosa voglia davvero.
Alla fine però decisi
di non fare un dramma per quello schiaffo e semplicemente appoggiai
la mano sulla sua spalla sperando di non commettere altri errori nel
mio discorso: – Se lo fai perché credi che sia un aiuto
terapeutico allora non sentirti in dovere, Iris. Non forzarti a fare
qualcosa che non ti va di fare.
E invece ne commisi eccome.
Iris
afferrò la mia mano sulla sua spalla e la strinse tra le sue,
guardandomi dritto negli occhi senza la minima traccia di timore
(cosa che piuttosto intimoriva me): – Senti da che pulpito arriva
la predica! – sbottò, non mollando però la presa sulla mia povera
mano. – Perché, a te va di stare male? E' qualcosa che ti senti in
dovere di fare?
Ho sempre odiato i grandi retori.
Così
scossi la testa, affranto dalle sue continue argomentazioni che
continuo a sperare di riuscire ad acquisire anche se sono passati due
anni e più e continuo ad usare il mio nome come argomentazione. Per
carità, ammettete che è un nome di merda ma in prigione non credo
mi salverà dire “Ehi agente, ho un nome di merda, mi lasci
andare!”, potrei leggermente
finire in psichiatria a quel punto.
– No – risposi alla fine,
girando la mia mano tra le sue per riuscire ad accarezzarne il dorso
col pollice. – Ma è quello che sento adesso. Punto.
– E
allora questo – disse
indicando pericolosamente le mani unite. – E' quello che sento io
adesso! Tu non sembri vedere altro e se non avessi fatto qualcosa per
fartelo capire tu nemmeno avresti pensato all'idea che io possa
sentire qualcosa che va oltre all'amicizia per te! Non... E' una
forzatura, insomma. Ci credo davvero.
– Ma lo vedi come sono
messo? Come potrei mai essere per te un buon ragazzo?
– Non mi
serve un “buon ragazzo”, quello può andare anche affanculo,
Hime. A me servi tu quando ancora eri in te, quando non sembrava la
fine del mondo ad ogni minuto che passava. Ti prego.
A dirla
tutta, avevo il sospetto di piacerle. Negli ultimi tempi aveva
iniziato a comportarsi in modo diverso, non si arrabbiava così
frequentemente come faceva prima e per certi versi sembrava essersi
addolcita. Avevo anche provato a parlarne con Hick ma lui, cretino
tale e quale è, aveva negato tutto e smentito tutte le mie ipotesi,
dicendomi solo che ero un gay che se la tirava troppo perché pensava
di piacere ad una ragazza etero. Capite perché dico che Aydin è un
ragazzo pieno di sorprese?
– E tu accetteresti questa
situazione? – le chiesi forse troppo duramente, ma in realtà lo
dicevo per lei. – Sono gay, lo sai.
– Lo so, idiota. Ma so
anche che voglio farti cambiare idea, quindi non mi interessa.
–
E se ti dicessi di sì, cosa cambierebbe? Metterci insieme
risolverebbe qualcosa?
Iris annuì, convinta, deponendo parte
delle sue armi: – Ti darò parecchie gatte da pelare per non farti
pensare a quell'idiota, ecco cosa. Ci proverò, almeno.
Avevo
sempre saputo di essere un amico importante per Iris, si era sfogata
con me andando contro il suo orgoglio più di una volta e, anche se
non lo dimostrava facilmente, si preoccupava sempre per tutti noi. Il
punto è che per me era assai difficile immaginarmi con una ragazza
dopo aver passato due anni con la testa solo su Kyle e temevo di
poter ferire Iris se avessi accettato senza esserne del tutto
convinto, ciò che poi realmente successe ma che non fu poi così
drastico - se lo immaginava pure lei.
– Cosa provi per me? –
mi chiese di punto in bianco senza aspettare una mia risposta,
fingendo forse di essere rilassata nel pormi quella domanda. –
Insomma, avresti almeno un minimo di interesse?
– Sì – dissi
senza nemmeno pensare, parlando direttamente da un'analisi veloce
dell'intera situazione. – Se ti può consolare, alle medie avevo
una cotta per te.
Ed era vero: alle medie non eravamo in classe
insieme ma lei e Percy erano molto amiche per cui fu inevitabile per
me entrarci in contatto. Ricordo che chiedevo sempre a Percy di
organizzare qualche uscita fuori per poterla conoscere meglio e che
cercavo sempre di presentarmi al meglio - che a quell'età voleva
dire un incrocio tra un rapper di strada e un facoltoso uomo d'affari
con una spruzzata di Goku Super Saiyan nei capelli, tentando qualche
squallida mossa per flirtare con lei senza però mai provarci sul
serio per il mio eterno complesso di inferiorità. Poi alle superiori
scoprii di essere gay e be', magia finita.
– Se ne avessi avuto
la certezza mi sarei fatta avanti anche io, accidenti. – Sorrise
quindi sospirando, assumendo un'espressione che sapeva fin troppo di
rimorso. In quel momento, credetemi, mi maledii fino alla morte per
essere me stesso. Voi direte “okay Hime, ma hai sempre qualcosa per
cui ti maledici, dov'è la novità? Tanto hai un nome talmente di
merda che chiamarti Ganapati Gulal ti sarebbe solo d'aiuto” ma io
vi assicuro che per la prima volta nella mia vita mi pentii di essere
gay. Mi pentii di essermi innamorato di Kyle, di non aver mai pensato
alle ragazze come tali e non solo come “sono carine ma tanto non
avrebbero mai interesse per me”, di non aver mai avuto fiducia in
me stesso e di non essermi reso conto prima dei sentimenti altrui.
Fu in quel momento che decisi che sarei cambiato.
L'attitudine
che avevo preso quasi menefreghista l'avrei lasciata andare perché
non ero più nemmeno io, ma non sarei mai più tornato il cane
bastonato con la coda tra le gambe che ero stato per tutta la mia
insulsa vita.
Così strinsi improvvisamente Iris, assicurandomi di
far valere la parte di uomo che nella relazione con Kyle era di
solito lui a tenere in pugno. Ci volevo provare, ero intenzionato a
riuscire a dimenticare Kyle e cambiare il mio stile di vita per Iris,
per renderla almeno un po' felice in tutto il casino in cui lei si
era messa da sola.
– Sono passati quasi quattro anni. –
constatai allontanandomi da lei solo per guardarla negli occhi quasi
lucidi per il freddo.
– Non ti so dire se è stata la speranza
o la rassegnazione a permettermi di non mollare mai la presa su di
te, ma non ho mai pensato a qualche altro ragazzo come attualmente
sto facendo con te e perciò... – Si bloccò per un secondo quando
vide i miei occhi puntati forse troppo insistentemente sui suoi e
ghignò, imbarazzata, spalmandomi la sua mano in faccia per farmi
distogliere lo sguardo. – …Perciò sono pronta a rischiare. Se ci
stai, io ci sto.
– Ci sto, ci sto... – ridacchiai riportando
lo sguardo su di lei, impedendole però altre mosse azzardate di
karate miste a ju jitsu in quanto la baciai, sforzandomi davvero di
capire che davanti a me non c'era Kyle.
In qualche modo, quel
bacio riuscì alquanto bene e i miei orizzonti iniziarono a spostarsi
dove sarebbero rimasti per un bel po' di tempo.
– La pianti
con i sequestri di persona? – domando non appena Iris chiude la
porta d'uscita dietro di sé, ritrovandomi seduto sul cancello
scrauso che divide il patio dalla strada. – Quello che vuoi dire lo
puoi dire anche con Hick e Percy, lo sai.
– Ti riempirei di
botte, quindi taci.
– Taccio.
– Bravo! – La bionda mi
fulmina con lo sguardo, il motivo mi è ancora ignoto perciò spero
di ricevere chiarimenti nell'immediato futuro. Essere rapiti a casa
propria pare brutto, diciamocelo. – Si può sapere che problemi ti
crei? Hai la possibilità di stare con Adair non-stop, perché devi
sempre trovare qualcosa che non vada?
Non riesco mai a capire se
Iris si preoccupi o pensi solo che sia un imbecille e si senta in
dovere di farmelo presente. Il giorno in cui riuscirò finalmente a
capire sarà il giorno del giudizio.
– A New York avrei Kyle,
qui invece ho tutta la mia vita.
– E Xavier? Non dirmi che non
gioca un ruolo fondamentale in tutto ciò.
Roteo gli occhi al
cielo, ritrovandomi a sbuffare per essere stato ancora una volta
colpito nel mio tallone d'Achille: – Attualmente mi sto sforzando
di pensare che sia una grandiosa opportunità per lui e che debba
fare ciò che crede sia meglio per il suo futuro, non in mia
funzione; quindi è meglio se il suo ruolo lo mettiamo da parte in
questo momento. Sa badare a se stesso.
– Se credi che quel
ragazzino parta senza di te sei fuori strada, Hime. Possibile che tu
non capisca mai nulla?
Grazie Iris, sei sempre un tesoro.
–
Fanno dei corsi per aiutare la gente come fai tu?
– No, è un
DIY.
– Complimenti all'originalità. Potresti offrirlo come
servizio sociale.
La bionda ghigna leggermente, scuotendo la
testa: – Sto dicendo che devi pensare a te e non alla tua routine.
Quella puoi sempre rifartela quando ti pare.
– L'unica cosa che
rifarò sarà il mio nome all'anagrafe. – borbotto gettando la
testa all'indietro, perdendomi per un secondo tra le stelle. – Tu
come pensi di fare quando Nico se ne tornerà a New York? Non
vorresti seguirlo?
– Nico è un conto totalmente diverso da
Kyle. Non stiamo nemmeno insieme.
– Però si è fermato da te
per la notte qualche volta – le faccio presente vedendola assumere
un colore pressoché uguale a quello dei pomodori in pieno luglio. Mi
sa di aver toccato un nervo scoperto. – Sono il referente per la
Nyst, il loro allenatore mi chiede sempre dove sono i ragazzi che non
rientrano in dormitorio e io chiedo a Kyle. – spiego, riservandole
uno sguardo complice.
– Potevi dirmelo. – mormora lei,
imbarazzata come poche volte nella vita. Ahi ahi, mi sa che qualcuno
qui si sente scoperto. Cattivo me.
– Cos'avrebbe cambiato
sapere che ne ero al corrente? – rispondo ridendo, pizzicandole la
guancia.
– Non eravamo qui per parlare di te e del tuo essere
idiota?
Scuoto la testa, conosco fin troppo bene i cambi
d'argomento tattici: – Torniamo su?
– Andiamo Hime, io...
–
Grazie. – Le sorrido prima che possa dire altro, dandole un
abbraccio veloce. – Davvero, grazie. Ma questa me la devo vedere da
solo.
Iris mette dapprima il broncio, guardando a terra prima di
rilassare la sua espressione e finalmente sorridere: – Allora sei
capace anche tu di crescere, eh?
– Buonasera!
–
Alla faccia della buonasera brutto idiota sono le tre e un quarto di
notte cosa cazzo sei stato a fare tutto questo tempo con i tuoi amici
che sembrano una barzelletta io giuro che ti uccido!
Kyle sgrana
gli occhi, fissandomi interdetto: – …Tadaima?
–
Okaeri!
– ribatto quasi urlando, felice che abbia imparato queste due
parole in giapponese ma furibondo per l'orario indecente. – Hai
bevuto? Perché sei stato fuori fino adesso?
– Ho bevuto una
birra, Anguilla. – mi rassicura appoggiando il portafoglio e le
chiavi della mia
macchina sul tavolo della cucina. – Non eri in compagnia fino a
poco fa, tu?
Porto gli occhiali sulla nuca per tenere i capelli
indietro, appoggiandomi poi allo stipite della porta della camera da
letto: – Sono andati via all'una.
– Potevi chiamarmi e sarei
arrivato prima, o al limite ti avrei svegliato. Per inciso, non
potevi dormire?
– Devo chiederti una cosa.
Al suono di
queste parole Kyle sbianca, segno inevitabile che sa.
Io so che Kyle sa, e so di non sapere.
Io sono Socrate.
– Mi
metti ansia. – se ne esce con un'ostentata risatina, sfilandosi la
giacca. – Posso farmi la doccia, prima?
– Se aspetto altri
cinque minuti morirò di sonno, quindi no.
– Puzzo di cloro,
Hime. Oggi non ho avuto tempo di farmi la doccia in piscina.
Roteo
gli occhi al cielo, dirigendomi quindi verso il bagno: – Allora
vengo con te.
Kyle ripete il mio gesto, spogliandosi velocemente
e raggiungendomi in bagno in boxer con l'asciugamano sotto il
braccio: – Si può sapere cos'ho combinato stavolta?
Attendo
finché non lo vedo sparire dietro la vetrata opaca della doccia e
lanciarmi i boxer dall'alto - solo lui è capace di dimenticarseli
addosso - prima di far partire l'acqua, non voglio guardarlo negli
occhi mentre gli pongo questa domanda dal momento che so di essere un
cretino ad arrabbiarmi con lui ma mi sento in qualche modo tradito
dal suo silenzio a riguardo.
– Anguilla? Ti ascolto.
Prendo
una boccata d'aria, fissando la mia immagine riflessa nello specchio
di fronte a me: – Tu sapevi dell'offerta della Nyst, vero?
–
Sì, volevo farti una sorpresa. Come l'hai presa? Ti piace l'idea?
–
Mi piace, ma non posso accettare e dovevi saperlo fin dall'inizio.
–
Cosa?!
– Kyle apre improvvisamente la porta della doccia rivelandosi in
tutta la sua statuaria fisicità mentre io ringrazio Dio per essere
arrabbiato con lui e per non avere quindi la possibilità di pensare
ad altro. – Che accidenti hai in quella mente bacata, si può
sapere? E' l'occasione per stare insieme, Anguilla.
– E come?
Tu abiti già con un altro ragazzo, se posso ricordartelo.
–
Questo lo so anche io, ma forse Landon potrebbe... – Il suo tono di
voce va via via affievolendosi come fa anche la sua improvvisa
enfasi. – … Non lo so, una sistemazione la troviamo.
Come mai
quel cambio di tono al nome del suo ex ragazzo?
Calmo Hime, non
essere geloso per certe cavolate. E' normale.
Anche io ero
parecchio sensibile al suono del suo nome appena dopo la nostra
rottura e spesso ammetto di aver associato il nome “Kyle” a
quello di certi animali da fattoria, di varie offese in generale e di
insulti di differente natura. Dovrò anche chiedere scusa a sua
madre, prima o poi.
– Non vedo soluzioni plausibili. –
concludo, sperando che non mi abbia sentito quando in realtà ha
ancora gli occhi puntati su di me mentre l'acqua inizia ad allagare
il bagno.
– Cos'è, ti spaventa tornare ad avere a che fare con
me tutti i giorni?
– Come se non lo stessi già facendo! –
ribatto, accigliato. – Semplicemente è da matti, Kyle, pensare che
io molli tutto per venire a New York. Non sono fatto come...
–
Come me? – mi interrompe con un tono di voce arrabbiato, forse
ferito da ciò che stavo per dire. Io detengo il record per peggiori
uscite nelle peggiori situazioni.
– Non sto dicendo che tu
abbia sbagliato, tre anni fa. – cerco di correggermi, ma ancora una
volta lui ghigna e sposta i ciuffi bagnati dalla sua fronte con un
atteggiamento di sfida.
– Come se non ce l'avessi a morte con me
per essere partito.
– Non ti ho mai biasimato per aver preso la
scelta giusta per la tua vita, ma solo per aver lasciato me e credevo
di aver chiarito questo punto da un bel pezzo.
Non sto
migliorando le cose, non sto migliorando le cose, non sto migliorando
le cose...
– Senti, Himeragi, qui stiamo parlando del perché
tu non voglia accettare un'opportunità del genere. Non pensi che ne
vada di mezzo anche il tuo futuro?
Mi avvicino in due passi alla
doccia e quindi al suo viso, dimenticandomi delle gocce che iniziando
a bagnare anche me: – Che ti piaccia o no il mio futuro lo vedo qui
a Detroit con la mia squadra e con la mia scuola.
– Allora
spiegami perché cazzo sei venuto a letto con me se ora stai dicendo
queste stronzate.
Il suo tono si è fatto fin troppo acido e i
suoi occhi troppo stretti, credo che stiamo sfiorando l'Apocalisse ma
non per questo lui è l'unico colpito dalle parole. Cosa accidenti
gli è preso per dire l'ultima frase che ha pronunciato?
– Ti
sembra forse che io ti abbia detto la stessa cosa, tre anni fa? Ti ho
chiesto perché tu fossi venuto a letto con me se poi dovevi fare la
stronzata di partire per New York? No! Perché diavolo ora tu avresti
il diritto di dirlo a me?
Kyle abbassa lo sguardo in un sospiro,
appoggiando il fianco alla porta ancora aperta della doccia. Che
bisogno c'è di diventare sempre cattivi, mi chiedo io, quando le
cose potrebbero essere risolte parlando civilmente? Il ragazzo che ho
di fronte è la persona che dovrebbe conoscermi meglio e viceversa,
ma a volte sembriamo distante anni luce e ogni parola che viene detta
è un lampo che ci impedisce di provare a ricongiungerci.
–
Vedi di mettere ordine in quella testa. – gli intimo,
allontanandomi di qualche passo da lui. – Finché non capirai che
non puoi più trattarmi come se non avessi una volontà mia non
avvicinarti più a me. Questa è casa mia e restare qui non è una
stronzata e se ancora pensi che sia venuto a letto con te perché non
avevo niente di meglio da fare allora non hai ancora capito con chi
hai a che fare. Buonanotte, Kyle.
Chiudo la porta dietro di me
senza aspettare una sua risposta, levandomi la maglietta bagnata e
lanciandola da qualche parte prima di lanciare me stesso sul
materasso e cercare di addormentarmi per non essere costretto a
sentire di nuovo la voce irritante di Kyle.
Vada affanculo lui e
anche New York, accidenti.
– Hai un minuto, Himeragi?
Mi giro con uno sguardo omicida verso Dominik Hansen che,
timoroso, mi tende la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Sì, sono
appena caduto.
E sì, sono scivolato a mo' di buccia di banana.
E ancora sì, Kyle mi ha tenuto guardato e poi ha ripreso a
nuotare come se niente fosse. Okay che sono tre giorni che non ci
parliamo, ma poteva almeno evitare che venisse un suo compagno ad
aiutarmi e venire lui stesso.
– Ne ho fin troppi. – borbotto
afferrando la mano del norvegese per tirarmi su, dovendo massaggiarmi
la schiena per constatare di non avere ferite aperte dato che stavo
per entrare in acqua e quindi ho solo il costume addosso. La mia
solita fortuna, insomma.
– Andiamo negli spogliatoi?
Annuisco,
dolorante. Ormai gli spogliatoi possono essere considerati il
confessionale dei nuotatori: se qualcuno ha un problema si sa dove
trovarlo.
– Allora? – domando, sedendomi sulle panchine
costantemente in disordine. Riconosco in fretta la felpa di Kyle e
guardo in giro in cerca di un accendino, così magari non la devo più
vedere distesa sul pavimento del mio tugurio e potrei vendicarmi per
l'avermi ignorato proprio quando sono caduto come un pero.
Dominik
mi guarda per un secondo e poi sospira, incrociando le braccia
muscolose: – Non è da me curiosare nei fatti altrui, ma cos'è
successo tra te e Kyle? E' da tre giorni che lui non c'è con la
testa.
“Come se fosse una novità” vorrei ribattere, ma mi
limito ad alzare le spalle: – Abbiamo litigato.
– Fin qui
c'ero anche io. – Mi prende in giro Mr. Norvegia, sghignazzando. –
Mi chiedevo solo cosa potesse essere di così grave da mettere al
tappeto tutti e due.
– Io non sono al tappeto.
–
Letteralmente, Himeragi, se non fossi arrivato io ad alzarti saresti
rimasto lì tutta la giornata. Era già da un minuto che eri
caduto.
– Ah sì?
– Già.
Lo fisso sconsolato, perché
stavo giacendo al suolo come un idiota? Non bastava la figura di
merda che avevo fatto facendo un triplo carpiato a causa del
pavimento bagnato, giustamente.
– Gli ho detto che non sarei
venuto a New York con voi. – confesso alla fine, incrociando le
gambe come un bambino in castigo. – E poi abbiamo alzato la voce.
Gli ho detto che mi avrebbe dovuto cercare solo quando avesse capito
una cosa, ma francamente speravo ci mettesse di meno. E' brutto
convivere e non darsi nemmeno la buonanotte.
– Sicuramente lo
conosci meglio tu, ma posso darti un consiglio?
Annuisco,
affranto: se mi serve un norvegese per capire come muovermi col mio
ex ragazzo direi che siamo palesemente alla frutta.
– Kyle
sembra forte, ma se si tratta di te è come se tu lo tenessi
costantemente appeso a un filo. Lui ci è semplicemente rimasto male
dal fatto che tu abbia deciso di restare qui e non riesce a digerire
la cosa, specialmente poi se il tentato chiarimento si è evoluto in
un litigio dei vostri. Penso che dovresti andargli incontro e
parlargli senza perdere la pazienza, anche se so che a volte è
difficile.
– Direi “impossibile”.
– Già... Tipo quando
c'è la partita dei Lakers e non sia mai che lo disturbi.
–
Esatto! – Sbatto energicamente il pugno sulla panchina, ritrovando
il buon umore. – E vogliamo parlare di come mangia le fragole?
–
Cristo! Ne lascia sempre metà e fa fuori tutte le punte. Che
nervoso.
… Di che cazzo stiamo parlando?
Okay, un bel
respiro: terza sera, la storia non può andare avanti così.
Simo
andati anche a letto insieme, per l'amor di Dio, cosa mai avrò da
temere? E' solo una pacifica discussione sul mio andare o meno a New
York, cosa c'è di tanto scandaloso da non doversi rivolgere la
parola per tre giorni? Come se quell'idiota non mi mancasse,
accidenti, così la situazione peggiora dal momento che il semplice
“mi manca” della quotidianità diventa un “ho bisogno di lui”
se non ci ho più a che fare.
E poi, andiamo, è Kyle Adair! Cosa
c'è di tanto spaventoso in Kyle Adair?
… Okay, avete ragione,
ritiro la domanda. Sono incoerente.
La tabella di marcia ora è
semplice: entrerò in casa, farò un sorrisone, gli dirò che mi
dispiace e che voglio che torniamo a parlarci come facevamo fino a
tre giorni fa - tralasciando i litigi. Non c'è nulla di strano, no?
Litigare fa parte della nostra routine ed è anche giusto imparare a
porgere l'altra guancia per cercare di fare pace, se no chi sa quanti
altri giorni dovranno passare prima che lui si renda conto di dovermi
parlare.
Forza e coraggio: ce la posso fare. Risolverò questa
situazione.
Apro la porta trattenendo il fiato, mi preparo ad
urlare “Kyle dobbiamo parlare” ma non c'è nemmeno bisogno che io
ripensi una seconda volta alla frase dal momento che, sgranando gli
occhi, mi viene naturale pronunciarla: – Kyle, dobbiamo parlare.
Landon Fenneck se ne sta seduto sul divano con una tazza di caffè
in mano, la sua giacca è appoggiata sullo schienale di una sedia
della cucina, il suo zaino ai suoi piedi e i suoi occhi su di me,
decisamente troppo tranquilli. Ditemi che è uno scherzo.
–
Ciao, Himeragi. – Landon si affretta ad alzarsi per venire a
stringermi la mano che io, riluttante, mi vedo costretto a porgergli.
– Scusami per l'intrusione ma Kyle aveva dimenticato il portatile
da me e così gliel'ho riportato.
– E'... Inaspettato, ecco,
vederti a casa mia. Benvenuto, comunque.
Il moro sorride appena,
stringendosi nelle spalle. Ma ha veramente ventitré anni questo
tipo?
– Ti chiedo di nuovo scusa. – ripete mimando un
inchino. – Ma almeno ci conosciamo di persona, no?
Non che ci
tenessi a conoscere l'ex del mio ex, ma questi sono dettagli.
–
Almeno non c'è uno schermo di mezzo. – Cerco di sorridergli,
andando poi verso Kyle. – Puoi venire un secondino con me?
Kyle
lo sa di essere nella merda.
Eccome se lo sa.
– Arrivo. –
mormora facendo un cenno a Landon, dirigendosi a testa bassa fino
all'uscita del tugurio.
– Fa' come se fossi a casa tua. –
Cerco di essere cortese, indico a Landon il divano e il telecomando.
– Io e Kyle dobbiamo solo scambiare due paroline... Di prassi,
ecco. Scusaci.
– E' casa tua, amico. – Mi sorride di rimando,
credendo fosse che io intenda veramente essere un tesoro con il
coinquilino di quel cretino di Kyle Adair.
Ora: volevo per caso
risolvere la situazione?
Mi sa che qualcuno qui ha leggermente
esagerato, questa volta.
Chiudo la porta alle mie spalle,
scendo velocemente le scale seguito dal colpevole di tutto ciò senza
rivolgergli la parola e arrivo al patio, aspettando di sentire la
porta chiudersi per iniziare il mio sermone.
– Anguilla, posso
spiegar...
– No, adesso stai zitto. – lo interrompo alzando la
mano a mezz'aria prima che mi passi per la mente l'idea di buttarlo
fuori di casa a calci in culo. Okay, un bel respiro. – Non mi parli
per tre giorni dopo avermi fatto penare come un cane bastonato e ti
ritrovo a casa mia col tuo ex ragazzo. Puoi solo immaginare come mi
stia sentendo io,
in questo momento?
– Lo so, ma devi lasciarmi dire le cose come
stanno se vuoi capire.
– Io non voglio capire, io voglio che lo
Spirito Santo scenda su di me per non lanciarti il set di stoviglie
giapponesi addosso e usare la tua stupida faccia come bersaglio. Ora,
tu prendi Landon e gli dici cortesemente di andarsene e di non farsi
più vedere a casa mia, chiaro?
Kyle porta pericolosamente la
mano dietro il collo, fissando il cielo prima di deglutire e avere
anche solo la minima briciola di coraggio per guardarmi negli occhi:
– A tal proposito, Hime, io...
– Cosa, Kyle?
– Ti volevo
chiedere se potevi lasciarmi casa tua per un'oretta. Vorrei parlare
con Landon.
Sta scherzando.
Sì dai, non può fare sul serio.
Quale essere dotato di intelligenza direbbe mai tale amenità,
sbaglio? Su, è una battuta. Bella battuta.
Non fa ridere, ma
bella battuta.
– Prego? – domando, serafico, socchiudendo
appena gli occhi e immaginandomi una strana scenetta di Kyle che
porta Landon vestito da sposa in casa mia. Mamma mia, ho i brividi.
– La casa. Potresti lasciarmela per un po'?
– Fammi fare
il punto della situazione. – Congiungo le mani a mo' di preghiera,
appoggiando poi il mento sui due indici uniti. – Tre giorni fa mi
hai detto che era una stronzata restare qui perché volevi che
venissi con te a New York. Io ho sperato che a te venisse
l'illuminazione per settantadue ore in merito a venirmi a parlare ma
no, il Nirvana non ti ha scelto per diventare un suo eletto e mi hai
pure ignorato quando ho praticamente fatto parkour per restare in
piedi oggi pomeriggio, quando sono scivolato. Ora, alle... – Guardo
rapidamente l'orologio, prendendo fiato. – … Ventuno e sedici
minuti tu finalmente ti degni di parlarmi e cosa mi dici? Di
lasciarti la casa per stare col tuo ex?
– Suona male, lo so, ma
è solo perché è stanco dal viaggio e... E niente, non se la sente
di stare in giro. Ambiente nuovo, gente nuova... Non è abituato a
Detroit.
– Spedire il portatile per posta pareva brutto?
Kyle
si porta le mani alle tempie, sospirando esasperato ma se si aspetta
un mio solo accenno di assenso a tutto ciò penso stia sognando
veramente in grande.
– Deve parlarmi, ha detto. – ammette a
bassa voce il bastardo qui di fronte, abbassando gli occhi. Allora sa
di essere colpevole, in fondo.
– E lo dovete fare in casa mia?
– E dove, se no? Gli ho dato questo indirizzo.
E' tutto
normale per lui, no? Invitare l'ex a casa del ragazzo con cui tre
giorni fa è stato a letto, chiaro. E giusto, per carità. Chiaro e
giustissimo, direi.
– Hime, ti chiedo scusa, lo so che ti devo
spiegare tante cose è solo che non è il momento adatto e...
–
E quando, allora? – Lo guardo negli occhi trovandoci solo un
mucchio di cazzate dentro, sentendomi colpito da un numero
spropositato di proiettili allo stesso tempo. – Quando pensi di
capire che devi smetterla di pensare che le persone siano sempre
pronte a perdonarti? Quando capirai che non esisti solo tu?
–
Non si tratta di questo, Anguilla, devo solo parlare con lui e poi
con te.
– A che gioco stai giocando? – gli chiedo con un
sorriso piuttosto isterico, stringendomi nella felpa che non è mai
abbastanza sufficiente.
Kyle scuote la testa, andando per
compiere lo stesso gesto di tre anni fa e quindi sfilandosi la giacca
per passarla a me: – Nessun gioco. Non con te, né con Landon.
Con
la sua giacca davanti a me gli occhi mi diventano lucidi, il freddo
punge e i ricordi anche: – Sai una cosa, Kyle? – Spingo la mano
in avanti, rifiutando l'indumento e preparandomi a battere la
ritirata. – Continua pure a giocare, che fare la persona sincera
non ti è mai riuscito bene.
– Cosa stai...?
– Non
cercarmi. – mormoro, rabbrividendo mentre la vista inizia davvero a
farsi fastidiosa. – I preservativi sono nel cassetto del comodino,
in caso vi dovessero servire.
– Oh andiamo, cosa accidenti ti
salta in mente?
– Vaffanculo, Kyle. – Deglutisco, girando le
spalle e allontanandomi da lui. – E stavolta restaci dato che la
prima non ti è bastata.
Chiudo tutto, non lo ascolto più e
salgo nuovamente in macchina, appoggiando per qualche secondo la
fronte al volante prima di ripartire.
Bene: sfrattato da casa mia
dall'ex del mio ex, sull'orlo di una crisi di panico (questa non mi è
nuova), infreddolito e anche senza benzina.
Dodici chilometri di
autonomia.
Dove si va?
Senza un motivo convincente, mi
ritrovo quindi davanti casa McAdams con ancora il cuore che batte
dolorosamente e un fastidioso bisogno di asciugarmi costantemente gli
occhi.
Il freddo.
Non altro, stasera fa proprio freddo.
Ho
cercato tutti i pretesti possibili immaginabili per cui la mia visita
risultasse motivata seriamente, ma il massimo che sono riuscito a
trovare è dover parlare ai genitori di Xavier in merito a New York
quando so che in realtà il vero movente è solo un insensato bisogno
di vedere quel ragazzino.
Non è una ripicca verso Kyle, è solo
un dover cambiare aria e un vedere Xavier - e gli ormai nove
chilometri di autonomia del catorcio rimasti - come stratagemma.
Forse sto facendo una grandissima cazzata, non sto mettendo in conto
come Xavier potrebbe prendere la mia visita date le circostanze ma
mascherandola a dovere forse non dovrò nemmeno dare troppe
spiegazioni e limitarmi quindi ad un colloquio con i suoi genitori.
Scendo dalla macchina: ormai sono qui, non posso tornare a casa e
per la cronaca nemmeno ci tengo, quindi cerco di riprendermi con
tutte le mie forze ed entro nel giardino dato che il cancello non è
mai chiuso con la serratura e che non c'è nemmeno il campanello.
Percorro tutto il giardino stretto in questa felpa del cazzo,
maledicendomi per non aver accettato la giacca di Kyle per orgoglio
mentre ora devo stare qui a tremare per i sei metri di erba che
precedono la casa che ho visto infinite volte da fuori. Più mi
avvicino e più delle urla si fanno chiare, io mi blocco e attendo:
non riesco a capire cosa stiano dicendo ma di sicuro i toni non sono
amichevoli. Xavier non parla mai dei suoi genitori ma quando spende
qualche parola per loro, quella non è di certo buona. Forse il mio
intervento potrebbe farli smettere, perciò accelero il passo verso
la porta e mi preparo a suonare. Prima che il mio indice sfiori il
campanello però, ecco che la porta si apre improvvisamente e si
stampa esattamente sul setto nasale.
Questo fa quasi più male di
Kyle.
Anzi, fa decisamente
più male di Kyle.
– Oh cazzo. – Xavier, in piedi di fronte a
me con gli occhi sgranati, chiude la porta dietro di lui con un
calcio e sbatte ripetutamente le palpebre. – Stai bene?
– Mai
stato meglio, grazie – biascico dolorante, portandomi la mano sul
naso. – Tu? Una bella serata?
– Mai vissuta una così.
–
Bene, allora siamo sulla stessa barca. Sembri sconvolto.
Xavier mi
tende la mano e mi aiuta a rimettermi in piedi, squadrandomi da capo
a piedi con i suoi occhietti malefici: – Botta a parte, potrei dire
lo stesso di te. Hai pianto?
– E' il freddo.
Il rosso
annuisce, guardandomi però con la sua tipica faccia da “dimmi se
secondo te ti sto credendo” che diventa poi una smorfia di
confusione: – Cosa ci fai qui a quest'ora?
Averlo qui davanti
cambia le carte in tavola, cos'ho da perdere se gli dico il vero
motivo per cui sono venuto qui?
– Puoi saltare scuola,
domani?
Xavier capisce, abbassa per un attimo gli occhi e per
qualche istante temo che possa dirmi che non può venire con me. Non
vorrebbe accettare perché sa che gli parlerò di Kyle, dei miei
problemi riguardo tutta la questione che so che a lui dà
particolarmente fastidio ma a ugual modo forse anche lui ha bisogno
di sfogarsi e usarmi come ancora, almeno per questa sera, come
anch'io ho deciso stupidamente di fare con lui.
– Okay. –
sibila alla fine, superandomi per andare verso la macchina. – Se
vado nei casini la responsabilità è tua, chiaro?
Gli sorrido,
finalmente sollevato: – Se non sbaglio sono il tuo tutore,
no?
Anche lui sorride impercettibilmente entrando furtivamente nel
catorcio rosso: – Quella era una cazzata. Non potevo chiamare
nessun altro.
Salgo anche io, chiudo la portiera e giro le chiavi
nel quadro: – Gli altri tre allenatori? I tuoi genitori?
Non so
se definire la mia filosofia di dialogo più retorica o più
irritante, ma ad ogni modo questo sembra non aver mai dato fastidio
al ragazzo che sta per accompagnarmi in quello che sarà il declino
di una giornata di merda.
Lui mi lancia così un'occhiataccia,
schioccando infastidito la lingua mentre gli occhi celesti fanno
quasi il giro del globo: – Guida e taci.
Oh sì, io adoro
questo ragazzino.
Due chilometri e quattrocento metri dopo la
casa di Xavier c'è un piccolo pub di quartiere che noi compaesani
chiamiamo “il Topo” dal momento che non lo conosce quasi nessuno
e che è nascosto come i ratti fanno nelle loro tane, perciò quale
altra meta sarebbe stata adatta alla serata se non questa?
L'unico problema attualmente è che, quando siamo entrati, mi
sono reso conto di essere l'unico ad avere il portafoglio e peraltro
con forti intenzioni di bere come un pesce.
Per non contare il
fatto poi che sarebbe potuto sembrare un sequestro di minore.
E
non tralasciamo che sia io che Xavier eravamo sul disperato-sconvolto
andante e che non era di sicuro una bella serata.
E ancora peggio
il mio nome, gente!
– Mi vuoi dire perché siamo qui da un'ora e
tu stai dicendo solo cazzate? – Xavier mi punta col suo sguardo
accusatorio, le guance appena arrossate e un bicchiere di gin tonic
in mano che contrasta con la serie di recipienti ormai vuoti nel
tavolo. – Non sei mica normale, tu.
– Senti chi parla. –
ribatto col suo stesso sono di voce altalenante, lasciandomi
stupidamente trasportare dalla musica e dalle luci soffuse. –
Spiegami dove saresti andato se non mi avresti incontrato.
– Di
sicuro non a bere per i tuoi problemi. – Questo demonio ha la
battuta pronta anche sull'ubriaco andante, non ci credo.
– Non
siamo qui solo per me, comunque. Se vuoi parlare lo sai che io ti
ascolto.
Xavier sospira con una smorfia poco convinta, bevendo di
nuovo: – Solo perché ti stai ubriacando.
– Non l'ho sempre
fatto? Cristo, mi hai lasciato lettere minatorie per una settimana a
settembre e nonostante questo non mi pare di averti mai lasciato da
solo.
Non ancora convinto, Xavier si mette sulla difensiva
risultando schivo come al solito e, bevendo di nuovo - sembra
un'idrovora se di tratta di alcol questo delinquente, si nasconde
dietro al bicchiere: – Stiamo parlando di ascoltare o di stare in
compagnia?
– Uno vale l'altro. Con te, almeno.
Okay, lo
ammetto: nemmeno io sto capendo le parole che stanno uscendo dalla
mia bocca, so solo che le penso davvero e che l'alcol dà una grossa
mano nel farle uscire dalla mia bocca. Mi dispiace solo per lo sforzo
immane che Xavier deve fare per riuscire a trovare un senso logico e
connettere i miei sillogismi.
– Ma che stai dicendo? –
ridacchia quindi quasi rassegnato, senza timore però nel guardarmi
dritto negli occhi. E' parecchio bizzarro come nella tentata lucidità
i suoi occhi restino glaciali. – Non è detto che io abbia sempre
qualcosa da dire quando sei con me.
– Certo che hai qualcosa da
dire. Te lo leggo in faccia, ma non parli mai. Ecco perché stare con
te vuol dire anche ascoltarti, succede così raramente che tu mi
parli davvero che almeno provo a starti vicino per ascoltarti.
Xavier fa un sorrisetto poco convinto, chiedendosi forse se
convenga di più chiamare Kyle che mi venga a prendere o direttamente
il pronto soccorso: – Ti assicuro che sei la persona con cui parlo
di più, quindi ritieniti già fortunato.
– Allora dimmi dove
stavi andando, un'ora fa. Cos'è successo, quando, perché.
Dimmelo.
– Direi che tocca prima a te dire perché cazzo eri a
casa mia alle nove e mezza di sera. – ribatte prontamente sbattendo
il bicchiere vuoto sul tavolo, alzando leggermente il mento e
squadrandomi dall'alto. – Palla al centro, Anguilla.
Annuisco,
contento di aver preso la stupidissima decisione di andare a casa sua
ad un orario e in una situazione alquanto indecenti, e infine sorrido
alla mia nuova fonte di guai: – Iniziamo a giocare?