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Autore: ineedofthem    16/03/2018    6 recensioni
Prequel della storia "Ricominciamo da qui":
Anita è una sognatrice, la vita le ha tolto spesso quanto di più caro avesse, eppure lei non perde mai la speranza.
Tra i desideri più grandi ha posto il voler diventare pediatra e vuole raggiungere con tenacia quest'obiettivo. Vuole diventare medico per dedicare la sua vita agli altri.
Ma Anita sogna anche di trovare l'amicizia, quella vera e solida, e per ultimo, ma non meno importante, sogna l'amore.
L'amore con la A maiuscola, quel sentimento tale da farti sentire potente e felice come non mai. Vuole provare sulla sua pelle quella sensazione di benessere e appagamento che la persona amata può darti. Ambisce ad una storia come quelle che adora leggere nei suoi libri, un amore come quello che ha visto riflesso negli occhi dei suoi nonni e vede coltivare ogni giorno nei gesti dei suoi genitori. Qualcosa che ti metta la testa e il cuore in subbuglio. Qualcosa che in vita sua non hai ancora mai provato.
E poi incontra Luca e lei non lo sa, ma lui la vita gliela scombussolerà totalmente.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
- Questa storia fa parte della serie 'Ricominciare'
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Childhood in love-dove tutto ebbe inizio
First Love - Dove tutto ebbe inizio



Primo giorno di liceo significava per me tante cose: era un miscuglio di emozioni che ero sicura non sarei stata in grado di codificare fin quando non avrei varcato quella soglia. Vivevo quel giorno come un senso di rivalsa e di sicurezza. Avevo riposto in esso tante aspettative, speravo che quell'ambiente potesse essere un nuovo inizio, l'inizio di qualcosa di bello.
La vita non era sempre stata giusta e generosa con me, spesso mi aveva tolto quanto di più chiaro avessi e mi ero resa conto presto di quante ingiustizie ci fossero, eppure la speranza rimaneva lì, imperturbata. Abitava in un recondito posto nel mio cuore e non poteva fare a meno di farsi notare ogni volta che riuscissi a scorgere nella mia esistenza attimi di felicità. Perché io ero una sognatrice.
Tra i desideri più grandi, avevo posto il voler diventare pediatra e avrei raggiunto con tenacia quell'obiettivo. Volevo diventare medico per dedicare la mia vita agli altri.
 E poi sognavo di trovare l'amicizia, quella vera e solida, e per ultimo ma non meno importante, sognavo l'amore. L'amore con la A maiuscola, quel sentimento tale da farti sentire potente e felice come non mai. Volevo provare sulla mia pelle quella sensazione di benessere e appagamento che la persona amata può darti. Ambivo ad una storia come quelle che adoravo leggere nei miei libri e un amore come quello che avevo visto riflesso negli occhi dei miei nonni e vedevo coltivare, ogni giorno, nei gesti dei miei genitori. Qualcosa che ti mettesse la testa e il cuore in subbuglio. Qualcosa che, in vita mia, non avevo ancora mai provato.

Quando il fatidico giorno arrivò, varcando l'ingresso di quell'imponente edificio, mi sembrò tutto così nuovo e quella realtà per quanto volessi non pensarlo, mi spaventava. Un anno prima la mia vita era cambiata radicalmente con la scomparsa di mio nonno. Stavo lasciando che la mia timidezza prevalesse su tutto, inghiottendomi in un guscio, da cui io stessa non volevo uscire.
In estate era arrivato il colpo di grazia, perché prima che incominciasse la scuola, avevo perso un'altra persona importante per me. Non perché non fosse più in vita, anzi, ma lei aveva fatto tutto affinché io non facessi parte della sua.
Era la persona che consideravo più vicina ad una sorella e che mi conosceva meglio di chiunque altro, ma io non potevo dire lo stesso di lei. Ci eravamo conosciute tre anni prima a danza. Frequentavamo le scuole medie insieme, ma in classe diverse e non c'eravamo mai viste prima.
Gli interessi che ci univano erano molti e svariati e da quel giorno non ci lasciammo più. Lei non si era integrata bene con le compagne, quindi io fui per lei una sorta di salvezza, più tardi capii che il suo bene non era poi così genuino nei miei confronti.
Passavamo più tempo a casa dell'altra che propria, e all'inizio era tutto bello. 
Progettavamo tante cose insieme: iniziare il liceo e questa volta nella stessa classe, fare l'università anche quella insieme, perché per uno strano scherzo del destino sapevo anche lei volesse fare medicina e successivamente pediatria. Più avanti, quella cosa, pensai potessi rivelarsi un incubo.
Tutto ciò non era mai successo per il semplice fatto che fossero subentrate terze persone e  lei si fosse allontanata da me. Io però non ci vedevo amicizia in quel nuovo gruppo che si era formato e non lo dicevo per gelosia, anzi. Per il semplice motivo che vedevo come le comandasse a bacchetta e nonostante loro mi conoscessero e fossimo uscite insieme qualche volta, non avevano fatto niente per capire come mai io non fossi più invitata, no. Avevano preferito seguire lei.
Era stata pur sempre la mia migliore amica, come è giusto che fosse  le volevo ancora un gran bene e gliene  avevo voluto per tanto tempo, finché non avevo deciso di eliminarla per sempre dalla mia vita, tenendomi ben lontana da tutto ciò che la riguardasse.
Quel primo giorno di scuola la incontrai e ci pensò mio fratello Marco, venuto a conoscenza di tutto l'accaduto, a rifilarle una bruttissima occhiataccia, capace di farla scappare con la coda fra le gambe; lei che non si lasciava mai intimorire da niente e nessuno...
Mi sussurrò di non badare più a persone del genere e mi accompagnò fuori la mia classe. A differenza di quella che avrei dovuto frequentare insieme a lei, qui non conoscevo nessuno. Ma cambiare sezione all'ultimo momento, mi era sembrata la cosa più giusta da fare, come potevo sopportare di stare nella stessa classe con una persona che mi aveva fatto così male?

"Sorellina, adesso devo andare"mi salutò mio fratello, con un bacio sulla fronte. Marco non provava nessuna vergogna nel far sapere a tutti che io fossi sua sorella, anzi. Diceva che io fossi troppo ingenua e anche carina, sì. Quindi, sapendo che fossimo legati geneticamente, nessuno si sarebbe approfittato di me.
Per quanto io avessi dovuto considerare quel suo comportamento asfissiante, mi piaceva l'idea che lui volesse proteggermi e, sapere di avere una persona vicina lì dentro, mi rassicurava.
"Vai da lei, eh?"lo presi in giro, facendolo fermare sul posto. Non c'era bisogno di tante parole per capire a chi mi stessi riferendo. Sabrina Castelli era già nella testa di mio fratello dall'anno prima. L'aveva vista uscire dalla classe accanto, la 3a C. Per qualche strano motivo aveva capito che ci fosse qualcosa in lei che l'attirasse.
Non che me lo avesse detto lui, sia chiaro. Era pur sempre il fratello maggiore orgoglioso che ostentava sicurezza da tutti i pori: l'avevo semplicemente scoperto da sola e da quel giorno non facevo altro che punzecchiarlo sull'argomento. Non aveva mai avuto difficoltà con le ragazze, anzi ne era circondato, solo che questa Sabrina gli stava dando davvero del filo da torcere e io provavo una sorta di ammirazione nei suoi confronti. Più avanti scoprimmo perché, e mio fratello per quanto strano potesse sembrare, fu l'unico a rompere il suo guscio.
Lui si voltò a guardarmi con un'espressione allibita e sinceramente infastidita in volto e io sorrisi angelica sfoderando un colpo basso troppo anche per lui.
"Lasciala stare Marco, lei non ti vuole".
Il mio fratellone ignorò bellamente le mie parole. "È proprio qui che ti sbagli, sorellina. Non riuscirà a resistere ancora per molto al mio fascino"disse, gonfiando il petto, poi si allontanò mantenendo uno sguardo fiero.
Scossi la testa ridendo. Era così sfrontato e sicuro di sé e non ci fosse persona credo che lì dentro non lo conoscesse. Per quanto potesse sembrare altezzoso, aveva una bella parlantina e metteva sempre le persone a suo agio e furono proprio quelle qualità che gli fecero attribuire la carica di rappresentante d'istituto per i due anni consecutivi.
Ogni ragazzo provava ammirazione nei suoi confronti, perché riusciva a destreggiarsi bene tra scuola, sport, ed era circondato da ragazze, le quali avrebbero fatto a gara per attirare le sue attenzioni. Ma lui non aveva mai dato tanto conto a tutto ciò, anzi ignorava quello che lo circondava. Conduceva la sua vita da normale adolescente che si rispetti ed era troppo buono per poter spezzare il cuore di una di quelle ragazze.

Lasciai stare tutto ciò che riguardasse mio fratello e mi guardai attorno, osservando gli studenti sfrecciare davanti ai miei occhi, mentre le risate spensierate risuonavano nei corridoi.  Sistemai meglio lo zaino sulle spalle e mi voltai scontrandomi con una ragazza che poteva essere almeno dieci centrimetri più alta di me.
Quando alzai lo sguardo, mi si presentò una ragazza dal viso dolce e l'espressione gentile. I suoi occhi castani-leggermente a mandorla come i miei-mi scrutarono a lungo e qualche ciuffo, di quella cascata di riccioli castani, le ricadde birichina sulla fronte.
"Scusami..."borbottai imbarazzata.
Lei sorrise timidimante e in quel momento capii ci trovassimo nella stessa situazione. Completamente a disagio in un posto nuovo.
Protesi la mia mano verso di lei. "Sono Anita, piacere"mi presentai.
Lei sembrò rilassarsi e mi strinse la mano a sua volta rivelandomi il suo nome: Carlotta.
Cominciammo a parlare subito dopo e la mia impressione su di lei non si rivelò affatto sbagliata, anzi. Era dolce e cordiale come avevo ipotizzato. Quando scoprimmo di essere in classe insieme, poi, i sorrisi che affiorarono sulle nostre labbra rivelavano quanto fossimo entusiaste della notizia. Tendendole la mia mano, allora, le domandai di sedersi accanto a me. Fu l'inizio della nostra bellissima amicizia.
Giulia e Cristina subentrarono subito dopo. Non si conoscevano nemmeno loro due, ma erano finite sedute vicine. O meglio, la prima si era seduta accanto a lei riconoscendo in Cristina un volto amico: secondo le sue congetture sarebbero diventate ben presto inseparabili.
C'era da sapere su Giulia che fosse timida, ma che quando prendeva confidenza poteva finire per parlare ininterrottamente per ore, e a me questo lato del suo carattere faceva sorridere.
Sognatrice e fangirl, finiva per vedere amore ovunque e elaborava teorie su come sarebbe sbocciato esso tra le coppie formate nella sua mente.
Si lasciava trasportare spesso da questo entusiasmo e lo imparai a mie spese quando io e Lottie ci sedemmo al banco accanto a loro e, con l'allegria che la contraddistingueva, prese a fare le presentazioni. Era incredibile quanto questo suo lato si contrapponesse al suo saper essere anche calma e riflessiva.
Cristina, invece, era molto più tranquilla e pacata, ed era proprio lei che molto spesso ci riportava con i piedi per terra, quando andavamo un po' oltre con l'immaginazione.
Lo capii subito che ci fosse qualcosa in loro, che le rendesse speciale ai miei occhi, e le mie congetture non erano affatto sbagliate.
Con Nicola, invece, la cosa fu più diversa e graduale. Passammo dall'essere normali conoscenti in classe insieme a compagni di banco, nel giro di pochi mesi.
Il mio amico aveva tutte le carte in regola per essere uno bravo studente, ma quello che gli mancava era proprio la forza di volontà. Appariva spesso disinteressato a tutto ciò che riguardasse la scuola e questo spinse la prof di italiano a prendere provvedimenti con lui.
Successe tutto un giorno, quando lei entrò annunciando di voler rivoluzionare alcuni posti e io finii seduta proprio accanto a Nicola. Ci eravamo rivolti la parola in classe, magari per salutarci o scambiare qualche parola nel corso di quei primi mesi di scuola, ma le cose cambiarono completamente per noi. Non fu difficile relazionare, come avevo pensato, e fu il primo coetaneo dell'altro sesso con cui riuscivo a parlare senza timore o imbarazzo.
Scoprii un lato del mio carattere che non conoscevo e divenni autoironica e più estroversa. Lui, fondamentalmente, voleva sembrare uno duro, impulsivo e testardo, ma di base era anche molto insicuro e lo imparai quando durante le ripetizioni che gli davo, era pronto a lasciar perdere tutto al primo errore, per il semplice fatto che pensasse di non farcela. Penso che sia proprio il fatto che ci aiutammo reciprocamente, a renderci così uniti. Il più delle volte il suo comportamento mi infastidiva e non avevo problemi a farglielo notare e lui si arrabbiava, eccome, ma dopo cinque minuti tornava chiedendomi scusa, per la paura che io non volessi essergli più amica.
Tra lui e le mie amiche le cose non furono così facili, soprattutto tra lui e Carlotta. Non facevano che litigare il più delle volte e si lanciavano continuamente frecciatine. Non so per quale motivo si comportassero così e quando provavo a chiedere spiegazioni, la risposta che mi rifilavano era la stessa per entrambi: "mi irrita! Aaah è così infantile!". Non c'era nemmeno il presentimento che a Lottie piacesse, perché nella sua testolina c'era già ai tempi Federico.
Con Giulia e Cristina i litigi erano più sporadici e almeno loro cercavano di comportarsi in modo più civili.
Alla fine arrivai ad una sola conclusione: sia le mie amiche che Nicola erano gelosi del rapporto che avevo instaurato con entrambi e pensavano che io potessi troncare decidendo di essere amica solo di lui o di loro.
Li misi alle strette perché non sopportavo che pensassero io potessi fare una cosa del genere. Non volevo fare una sceltra tra i miei amici. Avrebbero dovuto smettere di litigare o almeno cercare di comportarsi civilmente se volevano che io fossi ancora loro amica. Mi avevano portato alla esasperazione più totale e mi sembrò la cosa migliore da fare e lo fu. Lottie e lui non smisero di punzecchiarsi affatto, ma almeno si comportavano da persone mature e riuscivano ad intavolare conversazioni in modo civile.

Un anno dopo ero una persona diversa. Ero riuscita a smorzare quell'alone di timidezza. Non sapevo però, che di lì a poco, la mia vita sarebbe stata rivoluzionata da un incontro: quello con Luca.
L'avevo visto una volta nei corridoi della scuola. Il nostro istituto era piuttosto grande da ospitare tre indirizzi. Scientifico, scienze applicate e classico. I primi due si trovavano in un'unica sede e alcuni classi sugli stessi corridoi. Invece, le classi del classico erano collocate in un edificio all'esterno, ma collegato tramite un corridoio interno, da rendere l'entrata la stessa. 
Ricordo che era un giorno di fine marzo della prima superiore, quando incrociai il suo sguardo per la prima volta. Uscivo dal bagno delle ragazze posto difronte alla 3a O scienze applicate. La campanella era suonata da molto, ma notai alcuni studenti ancora fuori l'uscio della porta, probabilmente stavano aspettando che arrivasse il docente dell'ora. Incuriosita dai fischi e gli schiamazzi provenienti dalla classe, mi voltai. Vidi due ragazzi sulla soglia, l'uno spalleggiava l'altro, ma quando uno di loro guardò nella mia direzione, sentii la terra mancarmi sotto i piedi. Mi stupì il modo in cui mi fissò, quasi con insistenza, e quando il ragazzo al suo fianco guardò ripetutamente nella mia e poi nella sua direzione e gli sussurrò qualcosa all'orecchio, lui rise.
Non so per quale motivo, ma sentii il mio cuore cominciare a battere un po' più forte e prima che potessi attirare ancora di più l'attenzione sgattaiolai via, con il battito accellerato e un'inspiegabile sorriso sulle labbra.
La mia classe, la 1a A scientifico, si trovava dalla parte opposta, infondo al corridoio, eppure non lo rividi più.
Non parlai con nessuno di questa storia, nemmeno alle mie amiche, che mi guardavano confuse ogni qual volta il mio sguardo si perdeva nei corridoi per cercarlo, ma lui non c'era mai.
E poi un giorno successe una cosa. Era ottobre, da poco era cominciato il secondo anno per noi 2a A e Michele, un mio compagno di classe, ci chiamò tutti a riunirci attorno a lui. Capitava che ci fossero disguidi e malintesi tra noi e non riuscivavamo mai a vederci tutti al di fuori dell'ambiente scolastico, ma potevamo considerarci una classe unita. Certo, ognuno di noi aveva legato di più con una determinata persona, così come giusto fosse, ma riuscivavamo sempre a trovare una soluzione di comune accordo.
Ci comunicò che per la sera di Halloween un suo amico organizzava una festa a casa sua e gli aveva chiesto di portare quanta più gente possibile. Eravamo invitati.
Il suo amico frequentava la 4a O, e instantaneamente mi venne da pensare che a quella festa, avrei potuto rivedere quel misterioso ragazzo.

Io e le ragazze accettammo di buon grado la notizia, eravamo eccitate all'idea di partecipare ad una festa. Ci entusiasmava ancora di più l'idea che ci fossero ragazzi più grandi.
Halloween arrivò prima che ce ne rendessimo conto. Quella mattina la nostra scuola era chiusa per disinfestazione e avemmo più tempo per dedicarci alla serata in programma.
Halloween rappresentava per me una brutta ricorrenza. Correva in quel giorno l'anniversario di scomparsa di mio nonno ed era quindi chiaro come potessi affrontare la giornata.Tutto il dolore ritornava a galla. Quella volta, però, la giornata iniziò con uno spirito diverso. Nascosi il motivo a chiunque.
Mia madre salì in camera per salutarmi. Aveva preparato la colazione per me e Marco ed era pronta a scappare a lavoro.
Quando scesi di sotto, mio fratello era già seduto al tavolo della cucina pronto a gustare il suo latte con cereali. La casa quel giorno sembrava così silenziosa senza la mamma, scappata a scuola, e il babbo in ufficio.
Osservai mio fratello e pensai che fosse davvero bello. In contrario a quanto volevo fargli credere, provavo una nascosta ammirazione nei suoi confronti. Mio fratello sapeva essere un grande impiccione e un terribile gelosone, ma gli volevo un gran bene.
Scrutai il suo viso alla ricerca del solito ghigno che si disegnava sulle sue labbra, alla mia vista di prima mattina, ma ci trovai solo un'espressione abbattuta.
"Cosa c'è? Hai litigato con Sabrina?" lo presi in giro.
Fu a quel punto che Marco alzò lo sguardo e finalmente mi guardò. Non replicò alla mia domanda, ma mi fece segno di sedermi accanto a lui.
Lo guardai scettica; sembrava così strano quella mattina.
Mi sedetti accanto a lui, mentre con apatia girava il latte nella tazza. Uno sbuffo fuoriuscì dalle sue labbra e lo osservai appoggiare il mento sulla mano libera.
"Deve essere proprio grave questa cosa per ridurti così..."ironizzai, ma mi accorsi un poco dopo averlo fatto che la situazione lo fosse sul serio e all'improvviso capii.
Come avevo potuto essere così infantile?
"Lo sai Anita, lo sai..."
Non ero l'unica a cui quella ricorrenza provocasse dolore. Sapevo quanto Marco fosse legato a nostro nonno, eppure l'avevo accantonato, chiusa come ero nel mio dolore. In realtà io e mio fratello eravamo legatissimi ai nostri materni. Non so perché, ma era stato chiaro fin da subito che provassimo più trasporto nei loro confronti. Quando il nonno se ne era andato, per la prima volta, avevo visto piangere mio fratello. Ci eravamo trovati mai come allora, così vicini, ad affrontare un dolore grandissimo.
Non ci fu bisogno di dire molto e, quando lo strinsi, appoggiandomi alla sua spalla, lui tirò un sospiro, in silenzio.
"Sai, stasera vado ad una festa. Non mi dici niente?" cercai di stemperare la situazione e capii di esserci riuscita quando lui si aprì in una fragorosa risata.
"Vuoi che lo faccia? Sai come la penso" replicò, divertito.
"Sai che mi interessa sapere sempre la tua opinione, fratellone".
"Ah ah" mi scimmiottò. "Ma se non vedi l'ora che io me ne vada".
Mio fratello si sarebbe diplomato quell'anno e il suo desiderio di entrare in esercito non era nascosto a nessuno.
"Non è vero!" ribattei. "Sopporterei tutto, ma non vederti così".
Marco a quel punto accennò ad un sorriso e la sua mano si posò sul mio braccio, in un modo affettuoso. "So come sono quelle feste. Stai attenta e non dare confidenza a nessuno. Hai capito?" mi intimò, puntandomi un dito contro.
Mi portai una mano alle labbra per soffocare una risata e lo scrutai allontanarsi nel corridoio. Le sue spalle larghe e quel portamento fiero che lo facevano sembrare un galletto.
Mio fratello non lo sapeva, ma l'unico motivo per cui volevo andare a quella festa, era solo rivedere quel ragazzo.

Mi preparai con smania a quello che mi aspettava. Osservai il mio vestito, appeso all'armadio, e lo presi tra le mani. Lo appoggiai al mio corpo e feci finta di indossarlo. Feci una giravolta su me stessa, entusiasta.
Mia madre entrò proprio in quel momento in camera. Il suo arrivo fu così inaspettato che per un attimo temetti di cadere dallo spavento.
"Mamma, mi hai spaventato!" mi lamentai, lasciandomi cadere sul letto, sbuffando.
Mia madre rise brevemente, portando gli occhi all'abito tra le mie mani. Il suo sguardo si addolcì e io la immaginai pensare con nostalgia alla sua adolescenza.
"È molto bello quell'abito" mi sorrise.
Non potetti fare a meno di ricambiare e, abbassando lo sguardo alle dita delle mie mani, le parlai: "Mamma, non dici nulla riguardo alla festa?".
La mia voce aveva un tono esitante, ma sapevo di non dover aver paura del giudizio di mia madre. Lei aveva il dono di capirmi, sempre.
Allora lei mi si avvicinò, finché non fu abbastanza vicina, e prese ad accarezzarmi con affetto un braccio.
"Tuo padre non è molto contento, sai. Ma io mi fido di te, non che lui non lo faccia, ma lo conosci. Gli piace fare il finto burbero".
Si interrumpe per aprirsi in una fragorosa risata e io la seguii. Il malumore era stato spazzato via.
"Anita, so che non vai a quella festa per ubriacarti o fare sciocchezze. Ma se così dovesse essere mi arrabbierei molto, ti avverto" il suo tono mi sembrò d'improvviso serio.
"Puoi stare tranquilla, mamma" la rassicurai.
Mia madre mi circondò con un braccio le spalle e appoggiò la testa sul mio braccio. "E poi so meglio di chiunque altro quanto tu in questa giornata abba bisogno di svagarti" ammise premurosa.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. All'improvviso tutto quello che avevo cercato di reprimere, era tornato a galla.  E mia madre se ne accorse nel momento in cui mi strinsi a lei. Una lacrima solcò la mia guancia e lei se è possibile, mi abbracciò ancora più stretta. Le sue braccia erano rassicuranti.
"Mi manca così tanto..."ammisi in un sussurro.
"Lo so tesoro, lo so" replicò, accarezzandomi il capo. Allora la guardai negli occhi e mi resi conto che per quanto si stesse trattenendo, i suoi occhi erano lucidi. Due anni prima, lei aveva perso suo padre.
"Ma adesso preparati, che poi ti passano a prendere e tu sei ancora così" mi fece notare, dandomi una lieve spinta.
Accennai ad un tiepido sorriso e imitai un gesto militare : "Agli ordini, capitano!"
Mia madre uscì poco dopo dalla mia stanza, lasciandomi il tempo per prepararmi da sola, ma io giurai di averla sentita soffocare le lacrime, appoggiata al muro fuori la porta.

Diedi un'occhiata veloce allo specchio che rifletteva la mia figura. Scrutai con eccessiva attenzione il vestito che fasciava il mio corpo.
Quell'abito che mi era piaciuto dalla prima volta che l'avevo visto, ma che su di me faceva un effetto completamente diverso.
Forse dipendeva solo da me e dal mio non sapermi accettare completamente. Perché le mie gambe, quelle gambe brutte e tozze, erano troppo scoperte e non le sopportavo. Ormai, però, era troppo tardi per tirarsi indietro.
Avevo deciso di puntare sul makeup, con un trucco sobrio e naturale ma che facesse risultare i miei lineamenti. Nel contesto il mio viso era soddisfacente e mi appuntai mentalmente che se l'avessi incontrato, avrei dovuto sperare che lui non guardasse oltre la mia faccia.
Tirai un lungo sospiro, indossai la giacca che si abbinava all'abito e infilai la borsa a tracolla, lasciandola penzolare dalla spalla.
Le mie scarpe ticchettarono mentre scendevo le scale. Ne avevo scelto un paio basse e dal tacco quadrato. Non indossavo mai tacchi, non osavo immaginare quanta tortura avrei dovuto sopportare con un paio alto.
La sala era invasa dal gustoso profumo di pollo e patate al forno. I miei genitori si apprestavano a gustarsi la cenetta da soli. Me li immaginavo comportarsi come due ragazzini innamorati, alla nostra assenza: un po' di intimità se la meritavano anche loro.
Li raggiunsi in cucina, dove mio padre non si astenne dal farmi notare il suo disappunto.
"Anita, ma non è troppo corto quel vestito?"
In verità mi arrivava appena sopra il ginocchio e non c'era niente che non andasse, ma lui, come tutti i padri che si rispettino, era un grande brontolone.
"Papà..."mi limitai a dirgli, roteando gli occhi al cielo.
Mia madre intervenne in mia difesa, appoggiando le mani sulle mie spalle. "Alfonso, lasciala stare, Anita sta bene così".
Mio padre dischiuse le labbra, pronto a replicare, ma un clacson da fuori mi fece sobbalzare.
"È arrivata Lottie, devo andare!" esclamai,frettolosa.
Ed ero pronta ad uscire se mio padre non mi avesse richiamata.
"Anita, non lo dai un bacio a papà?" mi domandò, con la voce più dolce.
Mi venne da sorridere alle sue parole e mi avvicinai per potergli baciare la guancia. Il suo profumo al pino silvestre mi invase le narici e il contatto con la barba  ispida mi provocò il solletico e glielo feci notare, come sempre.
"Papà, fatti la barba!" ammisi, ridendo.
Lanciai un ultimo sguardo a mamma che divertita osservava la scena.

"Ciao!" urlai in corridoio prima di uscire di casa.

L'automobile del fratello di Lottie era parcheggiata poco più in là e mi apprestai a raggiungerla. Salutai le mie amiche nei sedili posteriori e Carlotta seduta al fianco di suo fratello.
Cantammo per tutto il tempo le canzoni che passavano alla radio, Simone che si lamentava di aver accettato di accompagnare delle adolescenti scatenate come noi.

La casa dell'amico di Michele distava circa mezz'ora da casa mia, ma con la guida spericolata di Simone ci mettemmo la metà.
Eravamo così emozionate all'idea di partecipare a quella festa e una volta fuori dalla villa tutte e quattro ci prendemmo per mano.
Quella casa era magnifica, una di quelle che si vedono nei film.
Poiché era notte non riuscii a definirne i dettagli, ma dava l'impressione di essere imponente. Si estendeva su tre piani, con le ringhiere dei balconi, intarsiate in ferro battuto, che gli conferivano uno stile antico.
Era circondata da un giardino tenuto con cura e il vialetto ghiaioso era illuminato da lanterne che proiettavano ombre sull'erba fresca di tosatura.
Percoremmo la strada verso l'ingresso, sentendo i sassolini scricchiolare sotto il peso delle nostre scarpe. Le portefinestre che affacciavano sull'esterno, davano già un'idea molto chiara di cosa stesse succedendo all'interno, ma trovarsi immerse nella festa fu tutt'altra cosa.
Gli occhi si invasero di sorpresa. Avevamo appena quindici anni ed eravamo ancora ignare di cosa potesse succedere a quel tipo di feste.
Mi guardai intorno spaesata e mi resi conto che fosse un bene con me ci fossero anche le mie amiche, altrimenti mi sarei sentita persa. Lasciammo vagare i nostri sguardi su tutto ciò che circondasse e, promettendoci di non perderci di vista, ci mettemmo all'opera per cercare la nostra classe.
Trovai Nicola, intento a sorseggiare una birra con dei ragazzi più grandi. Avevamo la stessa età, eppure quella sera mi sembrò totalmente diverso; si atteggiava a più grande.
"Anita!" le sue parole furono accompagnate da un gran sorriso mentre si allontanava dal gruppo per venirmi incontro.
"Ciao, Nicola"mormorai. "Vedo che ti sei ambientato bene".
Lui accennò ad una risata, annuendo. "Ne vuoi un po'?" mi domandò, facendo riferimento alla bottiglia tra le sue mani.
"No, grazie".
Nicola si prese un momento per osservarmi a lungo. Di solito se qualcun'altro mi avesse guardato nel modo in cui fece lui, mi sarei sentita in imbarazzo e avrei abbassato lo sguardo. Con lui non successe, non succedeva mai.
"Wow, Anita, io...tu sei bellissima" si complimentò con me.
Lo ringraziai silenziosamente e presi ad osservarlo a mia volta.
Nicola era di una bellezza ancora acerba e l'assenza di barba sul suo viso lo facevano sembrare più piccolo di quanto fosse, ma nel contesto risultava molto carino e affascinante.
"Anche tu stai molto bene" ammisi.
Lui sembrò sorpreso dalla mia affermazione e potei notare dell'indugio nel suo sguardo.
"Hai visto gli altri?" gli domandai, cauta.
Nicola sorseggiò un po' della sua birra prima di rispondere. "Dovrebbero essere da qualche parte" mi sorrise. "Ma le ragazze?".
"Oh, sono lì" mi presi un attimo per indicarle in mezzo alla gente. "Le ho abbandonate per venirti a salutare".
"Hai fatto bene" ammise, prendendomi una mano.
Il suo tocco mi colpì, c'era qualcosa in quel nostro giocherellare con le dita, nel suo sfiorarmi il palmo con il pollice. A distanza di anni adesso so decifrare il perché dei suoi gesti.
Misi una mano sul suo petto e sfoderai un'occhiata di rimprovero. "Ci vediamo dopo, ma tu non esagerare con questa birra. Ok?".
Mi allontanai, sentendolo ridere divertito alle mie spalle.
"Agli ordini, capitano!" esclamò.
Alzai un braccio in risposta, salutandolo con la mano.

"Cos'è, si diverte a fare l'uomo vissuto?" mi chiese Carlotta, non appena gli andai incontro.
Scrutai il cipiglio sulla sua fronte e, se non avessi saputo che a lei piacesse Federico, avrei scambiato la sua irritazione per una cotta.
"Lascialo stare" ammisi, guardandomi intorno.
Mi ricordai il motivo principale per cui fossi a quella festa e mi resi conto che sarebbe stato difficile trovarlo lì, in mezzo a tutta quella gente.
"Cris e Giuls?" domandai, notando l'assenza delle mie amiche.
"Sono andate a prendere da bere. Anzi, andiamo anche noi?".
Seguii Carlotta senza dire nulla e insieme raggiungemmo le nostre amiche.
Il piano bar e il tavolo che avevano allestito contava più alcolici di quanto potesse offrire un locale intero e pensai che ci dovessero essere anche dei maggiorenni per procurarsi tutte quelle bevande.
Riuscii ad individuare della coca cola e mi accontentai di quella. Tutto quell'alcool mi faceva venire il voltastomaco.
Anche le mie amiche furono del mio avviso e ci perdemmo in chiacchiere e risate, scrutando divertite i presenti alla festa. Ci dilettava commentare gli abiti succinti delle altre ragazze, il modo in cui alcune coppie finivano ad amoreggiare in modo esplicito sui divanetti della stanza.
La sala era scarna di arredamento segno che i mobili fossero stati accantonati per lasciare spazio. Delle casse erano state sistemate al centro e da esse si trasmettevano le note di un brano pop che avevo sentito già in radio.
Cristina e Giulia decisero di andare a ballare e un po' le invidiai per quella voglia di libertà, di volersi sentire per una sera come gli altri.
"Dai, Anita, vieni anche tu!" urlò Giulia, per sovrastare la musica.
Le sorrisi di rimando, divertita dal suo entusiasmo. Lei era così gioiosa, solare. Il suo modo goffo di muoversi mi faceva ridere. Cristina al suo fianco cercava di imitarla e insieme cominciarono a muoversi tra la gente. Giulia rischiava di colpire qualcuno con i suoi movimenti di braccia, ma non sembrava importarle più di tanto. Lei e Cristina sembravano così, così spensierate.
"Quelle due sono pazze!" ammise Carlotta, ma senza nascondere quanto fosse divertita.
"Già" le feci presente.
"Io non avrei mai il coraggio" continuò lei con gli occhi intrisi di malinconia.
Il coraggio di lasciarmi andare, continuai per lei nella mia mente.
Sapevo muovermi, avevo fatto danza fino all'anno prima, quindi il coordinamento non mi mancava. Più che altro, mi mancava la spinta di sapermi lasciare andare senza badare a quanti mi stessero guardando. Era sempre stata una cosa imbarazzante per me, il sapere di essere osservata. A danza non mi era successo, avevo solcato il palcoscenico con sicurezza, ma le due realtà erano così diverse.
Mentre ci pensavo, sentii un senso di inadeguatezza prendere possesso di me. Io non ero per quelle feste, se qualcuno mi avesse vista mi avrebbe definita una bacchettona. Ma cosa ci potevo fare, io i miei coetanei con la loro voglia di libertà, di ubriacarsi e fare pazzie non li capivo proprio. A me per essere felice bastava poco, la compagnia dei miei amici, ma anche la solitudine di una serata a casa, a leggere un libro.
Improvvisamente mi chiesi perché fossi lì, avevo voluto dimostrare a me stessa qualcosa di cui non ero capace. E diavolo, il lui che tanto cercavo non c'era nemmeno.
Carlotta, poco dopo, a malincuore, mi lasciò sola. Martina, una nostra compagna di classe, arrivò a prenderla, tirandola per un braccio.
"Devi assolutamente venire con me" le fece presente, con urgenza. La mia amica protestò, ma si lasciò andare non appena sentì pronunciare il nome di Federico.

Sbuffai, lasciandomi cadere su un divanetto dietro di me. Ero rimasta sola, ma non ero per niente arrabbiata con le mie amiche, che mi stessi annoiando dipendeva solo da me.
Iniziava a farmi male la pancia per tutta la coca cola che stavo bevendo. Avrei potuto farmi venire a prendere, ma non ero lì da nemmeno da un'ora e sarei risultata patetica.
Ma in quel momento successe una cosa. Non potrei mai dimenticarla.
Lo vidi arrivare, farsi spazio tra la gente e io avvertii il mio cuore accelerare i suoi battiti alla sua vista. Lui era lì e io stentai a credere che fosse vero.
Gli altri lo accolsero come se fosse una pop star, e io sentii di voler far parte della sua cerchia di amici.
Lo osservai spalleggiarsi con i ragazzi, scambiarsi pacche sulle spalle e scrutai la sua espressione, le labbra incurvate in un sorriso sincero e gli occhi intrisi di entusiasmo. Mi ritrovai a fare un paragone tra lui e Nicola, e a differenza del mio amico, la sua bellezza non passava di certo inosservata. Il suo viso presentava una maturità e viralità dei tratti, accentuata dalle sopracciglia scure e folte, l'accenno di barba. Doveva avere all'incirca diciassette anni, ma il suo portamento sicuro e lo sguardo gli conferivano un'aria vissuta. Era bello e sapeva di esserlo.
Improvvisamente la nostra diversità mi colpì come uno schiaffo in pieno viso. Mentre io mi stavo annoiando, lui aveva tutta la faccia di uno che si sentiva protagonista e padrone del mondo. Mi chiesi come uno come lui avesse potuto accorgersi di una come me.
Il suo sguardo vagò per la stanza e io mi ritrovai a pensare che i suoi occhi si accorgessero di me. Ma questo non successe e io ebbi modo di notare una ragazzina che gli si avvicinò. Lei con audacia posò una mano sul suo petto. Dalla distanza in cui mi ritrovavo, riuscii a notare il suo corpo sinuoso che cercava il suo e il suo sorriso ammaliante. Gli sussurrò qualcosa all'orecchio e lo spinse con disinvoltura in pista da ballo.
Lui incespicò sorpreso nei suoi passi, rise brevemente, ma non protestò. Le sue attenzioni dovevano piacergli e io non mi accorsi fino a quel momento di stare stringendo il bicchiere tra le mie mani, così tanto.
"Bello, non è vero?".
Mi voltai spaventata nella direzione della persona che aveva parlato e lo spavento si tramutò in sorpresa non appena mi resi conto che al mio fianco ci fosse Alessia.
Io e Alessia frequentavamo la stessa classe, ma ci conoscevamo dall'asilo. Per uno scherzo del destino ci eravamo trovate a dividere sempre i banchi di scuola, ma a parlarci mai. E se mai l'avessimo fatto, le nostre parole non erano state tanto carine.
Alessia era una di quelle persone che viveva di finzione e gossip. Era una ragazza tremendamente pettegola e il suo aver le giuste conoscenze le permetteva di saper vita, morte e miracoli di un intero liceo. Non mi avrebbe sorpreso se da un momento all'altro si fosse messa a elencarmi la storia di quel ragazzo.
C'era da dire su di lei che fosse anche bella, di una bellezza prorompente e a tratti finta. Non mi meravigliai che tutti si voltassero a guardarla.
Non sapevo cosa rispondere, avevo paura che le mie parole fossero potute diventare un' arma a doppio taglio.
"Avanti, Anita" cantilenò lei, gesticolando con una mano. "Non ti mangio mica. Luca Franzese è straordinariamente bello, ti prenderei per pazza se tu mi dicessi il contrario".
Ascoltai la sua risata, tutto in lei mi faceva pensare a quanto fosse costruita. Eppure era grazie a lei se adesso sapevo qualcosa su di lui.
Luca, si chiamava Luca.
Ripetei il suo nome nella mia mente, ripetutamente.
Ma Alessia era ancora lì, e pretendeva una risposta.
Mi portai le braccia al petto in un gesto di protezione, da lei e dai suoi occhi taglienti.
"Io non ho detto niente" ammisi, accigliata.
Alessia sorseggiò un po' della bibita dal suo bicchiere. Lentamente e in modo studiato passò ad ispezionarmi, quasi come se volesse scorgere un tentennamento in me. Faceva suoi dei modi da donna vissuta. Una donna vissuta intrappolata nel corpo di un'adolescente.
Ma non l'avrebbe vinta, non le avrei mai rivelato che quel ragazzo, che lei sembrava conoscere così bene, mi piacesse.
Aveva la capacità di farmi sentire a disagio e sostenere il suo occhio critico non fu facile. Improvvisamente mi chiesi cosa volesse da me. Non ci eravamo mai rivolte la parola, perché presentava tutto quell'interesse nei miei confronti?
Mi venne da pensare se il suo fosse un tentativo di mettermi in ridicolo.
"Sai, lo conosco bene. Se vuoi, posso presentartelo" replicò, con un sorriso malizioso.
Era un suo aiuto che mi stava offrendo?.
L'idea di scambiare solo una parola con Luca mi allettava, eppure sapevo che se solo mi fossi trovata davanti a lui, non sarei riuscita a biascicare proprio niente.
La ragazza al mio fianco sembrava infastidita dalla mia titubanza. "E dai, Anita! Quante storie che fai, volevo solo fartelo conoscere. Mica ti ci devi sposare. Però se non vuoi, me ne vado, eh!" mi fece presente.
"No, Alessia, aspetta!" la fermai.
Lei si lasciò andare a un sorriso provocatorio.
"Allora, ci vieni?"
E alla fine non so spiegarmi perché, io la seguii.

Prendemmo a muoverci tra la gente e mi ritrovi a scansare ragazzi che ballavano, che si baciavano, incuranti di ciò che li circondava.
Non riuscivo a vederlo e mi chiesi se non si fosse allontanato con quella ragazza, ma poi lo scorsi e il fiato quasi mi mancò.
Stava bevendo una birra e io mi ritrovai a seguire una goccia che sgorgò dalla sue labbra e percorse la linea della sua mascella per scomparire al di sotto del collo.
Luca indossava una camicia bianca, e nonostante non avesse un fisico assai muscoloso, il tessuto gli delineava un corpo asciutto e allenato.
"Luca, che piacere!".
Fu la voce di Alessia a riscuoterci entrambi e io capii una cosa, che non mi ero resa ancora conto di cosa potesse provocarmi la sua vicinanza.
Lui era lì. Così vicino a me tale da sentire le gambe tremarmi e il cuore battermi così forte che temevo potesse uscire dal mio petto.
Luca non si accorse subito di me, Alessia mi era davanti e con la sua figura mi nascondeva ai suoi occhi. La osservai parlargli con disinvoltura e malizia.
"Lei è una mia amica, si chiama Anita".
Gli occhi di Luca si posarono su di me e il modo in cui mi guardò, mi sorprese. I suoi occhi verdi sembravano volessero scavarmi a fondo. Lui mi guardava e io guardavo lui. Accarezzai con lo sguardo quei dettagli che poco prima avevo potuto scorgere solo da lontano. Scrutai i suoi capelli, acconciati in un doppio taglio, i suoi occhi chiari che risaltavano sui lineamenti così scuri, il profilo del naso, la pienezza delle sue labbra.
Lui accennò un sorriso nella mia direzione e mi chiesi se mi avesse riconosciuta. Quel gesto però, mi diede la conferma che nemmeno lui fosse così perfetto come si voleva pensare e che portasse un apparecchio. Uno di quelli trasparenti, di ceramica.
Quel dettaglio però, se è possibile, lo rese ancora più bello ai miei occhi.
"Ciao, Anita. Piacere, Luca"
Mi parlò con un tono gentile e io mi accorsi in un secondo momento della mano che aveva teso verso di me. Mi premurai di stringerla in imbarazzo.
Alessia, al mio fianco, rise divertita: doveva risultarle strano per lei che era abituata a guardare i ragazzi con impertinenza e malizia.
"Piacere mio"ammisi con la voce flebile.
"Allora, Luca" si intromise lei, accarezzandogli un braccio e facendo in modo che l'attenzione ricadesse su di lei.
"Non ci offri da bere?" chiese con la voce stucchevole.
Ma mi resi conto che Luca stesse guardando ancora me. Nel momento in cui mi accorsi che lui stava facendo percorrere i suoi occhi sul mio corpo, mi sentii tremare. Non ero abituata a essere guardata in quel modo, in cui feci lui, ma le sue attenzioni mi lusingavano. Mi chiesi se io avessi suscitato in lui dell'interesse.
"Volentieri" replicò lui, divertito.
"Cosa prendi?" mi chiese.
Non seppi cosa rispondere e mi sentii a disagio.
"Della vodka andrà bene anche per lei. Vero?" ammise Alessia, facendo un occhiolino nella mia direzione.
No, che non andava bene, ma io non avevo voce in capitolo a riguardo. Me ne resi conto quando strinsi il bicchiere tra le mie mani. Il solo odore mi faceva vomitare.
I loro sguardi  si puntarono su di me e io mi chiesi cosa pensasse lui. Doveva riternermi una sciocca ragazzina alle prime armi.
"Avanti, Anita, bevi" mi invitò Alessia con un'espressione sorniona in viso.
E io lo feci, ignorando quella sensazione di bruciore che il liquido mi provocò, lo feci. La mia parte razionale mi fece notare che non avevo mangiato niente e non dovevo bere a stomaco vuoto.
Ma io volevo solo sentirmi diversa, volevo sentirmi libera e leggera dai pensieri che affollavano la mia mente.
Guardai Alessia e capii il suo intento di farmi sentire inadatta alla situazione. Perché lei era bella e sapeva di esserlo, perché ci sapeva fare con i ragazzi e non inorridiva davanti agli alcolici.
Non avrei mai voluto essere come lei, così finta e artefatta, ma avrei voluto che quella sicurezza che abitava nei suoi occhi e che governava il suo corpo, per una volta, investisse anche me.
Io ero così diversa, ero estremamente razionale, la classica ragazza che va bene a scuola e non fa sciocchezze. L'idea che davo era quella di una brava ragazza e non ci trovavo niente di male in questo, volevo solo smetterla di sentirmi così insicura. Ma sentirmi padrona di me stessa.
E avrei voluto che Luca, circondato da ragazze come Alessia, scorgesse in me, l'eccezione.

Nicola arrivò a salvarmi e, mai come in quel momento, riconobbi di essergli grata.
Sopraggiunse alle mie spalle, circondandomi la vita, e mi fece prendere davvero un bel colpo, ma cercai di nasconderlo con della tosse.
Il suo sguardo si posò subito Luca e prese ad osservarlo con occhi di sfida. Ero sicura che lontani dai loro sguardi, il mio amico avrebbe preteso delle risposte.
Luca sostenne il suo sguardo in un modo fiero e sicuro di sé. La tensione tra di loro era palpabile.
"Ciao, Nicola" lo salutò Alessia.
Lui badò poca attenzione a lei, simulando un misero ciao e tornò a guardare me. La sua mano si strinse alla mia e a distanza di anni posso assicurare che stesse marcando il territorio. Nicola credeva che Luca potesse rappresentare per lui un rivale in amore.
Alessia al nostro fianco sbarrò gli occhi a quella stretta, ma non osò replicare.
"Scusate se ve la rubo" ammise il mio amico in un sorriso birichino e poi mi portò via da lì, da Luca e dai suoi occhi che guardavano me.
Ma io ammisi a me stessa che ero troppo felice solo per poter protestare.
"Chi era quello?" chiese, con uno sguardo furbo e indagatore.
"Quello chi?" replicai, con un'aria da finta ingenua. Volevo provocarlo e ci stavo riuscendo bene.
Nicola allora sbuffò, allontanandosi, anche se per poco, da me.
"Quello con cui stavi parlando. Ti piace?" domandò, indispettito.
Mi lasciai andare ad un sorriso. "Forse" ammisi con non curanza.
Nicola era sbalordito e confuso dalle mie parole. "Cosa significa forse? Potrebbe piacerti, quello là?" insistè.
Sbuffai, roteando gli occhi al cielo, ma senza nascondere quanto il suo disappunto mi divertisse. Adesso che stava iniziando a piacermi la festa non me la sarei lasciata rovinare.
"E dai, Nicola!" lo spintonai, scherzosamente. "Non lo so e al momento non mi interessa. Voglio solo divertirmi".
Quando lo portai con me in pista, lui non protestò più.
Conoscevo benissimo quella canzone: Everybody dei Backstreet Boys. L'avevo ballata lo scorso anno a danza e mi metteva addosso un'energia pazzesca.
Iniziai a muovermi a ritmo, cercando il suo sguardo tra la gente. I miei movimenti erano dettati dal desiderio di essere guardata ancora una volta da lui, da attirare l'attenzione su di me.
Lo fecero, perché nel momento in cui mi accorsi che Luca mi stesse guardando, che stesse guardando me e nessun'altra, io mi sentii tremare. Perché lui mi guardava come nessuno aveva fatto mai ed era capace di farmi sentire bella.
Non sapevo ancora decifrare cosa fosse quello che provavo, sicuramente non era amore. Era impossibile che potessi innamorarmi di lui dopo averlo visto e averci parlato a stento, ma ero sicura che quelle sensazioni che mi faceva provare non erano da sottovalutare. Con nessuno mi era capitato di avvertirle.
Nel momento in cui lui mi sorrise, io capii che di lui avrei potuto innamorarmi, sul serio.
Avevo sperato un anno di poterlo incrociare di nuovo e ora che era successo, volevo vivermi tutto ciò che la vita mi avrebbe riservato.

Ma allora, ancora non sapevo a cosa quella situazione ci avrebbe portati.

ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti!
Questa one-shot era in cantiere da un bel po' di tempo. Fin da quando ho iniziato a scrivere "Ricominciamo da qui" ho pensato a come sarebbe stato raccontare del primo incontro di Luca e Anita.
Però per mancanza di fantasia e di tempo, è rimasto tutto in sospeso finché oggi non ho deciso di metterci una parola fine.
È stato bello poter scrivere di quello che ha provato Anita e spero di essere riuscita a trasmettere le sue insicurezze e le sue emozioni. Io adoro scrivere di lei, perché la nostra Anita mi rispecchia parecchio e posso assicurarvi che in quello che dice, c'è molto di me.
Non trovo altre parole da dire, se spero che possa piacervi ed emozionarvi e se volete ritrovare i nostri protagonisti e vi va di sapere come andrà finire non dovete fare altro che cliccare qui:
Ricominciamo da qui
Aspetto le vostre opinioni! <3












  
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