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Autore: _Black or White_    17/03/2018    2 recensioni
Germania, 2003
Accadono cose strane sulla piccola isola di Hiddensee, e ormai sono in tanti ad affermare di averne vista una.
Esistono veramente? E che aspetto hanno? Parlano, capiscono, amano?
Le sirene sono un mistero per la razza umana fin dall'alba dei tempi: nemiciamici da sempre, non possono fare a meno di cercarsi l'un l'altro.
Sarà proprio quell'attrazione irresistibile a portare il giovane Ludwig a conoscere una vera sirena.
Riusciranno i rappresentanti di due mondi tanto diversi a gettare un ponte per la conoscenza pacifica?
Riuscirà un'amicizia tanto impossibile, un amore tanto proibito, a trovare un lieto fine?
[Gerita | Spamano | accenni Pruhun]
[Merman AU]
[Lime HumanxMerman]
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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SING FÜR MICH

3
“LA CASTAGNOLA ROSSA DELL’ITALIA”



Il maestro stava spiegando cose vagamente importanti, ma la testa di Ludwig era da tutt’altra parte, quella mattina.
Non faceva che osservare la finestra accanto al suo piccolo banco, seguendo il volo di un paio di martin pescatori che giocavano a inseguirsi tra i rami degli aceri.
Di tanto in tanto, sul quaderno scarabocchiava qualche appunto udito a mezza voce, disegnandovi poi accanto una coda di pesce che s’immergeva tra le onde, o un fanciullo impaurito che faceva capolino dalla schiuma.
I battiti del cuore acceleravano ogni volta che si soffermava sul suo ricordo, e le gambe gli tremavano, tanto era forte l’impulso di balzare in piedi e correre da Jeliel, per vedere se fosse arrivato.
Magari lo stava aspettando, e non lo vedeva arrivare, e se ne andava deluso, senza tornare mai più…
Il ginocchio di Ludwig cominciò a scattare su e giù, mentre i suoi occhioni azzurri fissavano nervosamente le lancette dell’orologio appeso sopra alla lavagna.
Ancora due ore, che scatole.
Il maestro srotolò un’enorme cartina della loro isola, la fissò al muro e cominciò a indicare le varie cittadine con un bastoncino metallico; quando si fermò sul Dornbusch, per la prima volta in tutta la lezione, Ludwig gli dedicò la sua attenzione.
« Non è raro poter assistere agli spostamenti delle colonie di foche grigie, in questa stagione. Quelle che vengono chiamate “isole di riproduzione” saranno i luoghi dove le femmine gravide daranno alla luce i loro cuccioli. La nostra piccola isola è l’ideale per i rinnegati, dove i maschi troppo giovani o troppo deboli si riuniscono per darsi una mano l’un l’altro, scacciati dagli alfa, che si prendono i territori migliori. »
Ludwig scribacchiò svogliatamente un paio di appunti, ma all’improvviso si bloccò.
Soppesò le parole del maestro, strappò la pagina del quaderno e lisciò con impazienza quella dopo.
Gli era appena venuta un’idea brillante… beh, niente di così strano, dopotutto era un piccolo genio; ma aveva bisogno di prepararla con cura, per farla funzionare.
Trascorse le restanti due ore a scrivere, cancellare furiosamente, strappare la pagina, appallottolarla e buttarsela alle spalle con uno sbuffo d’insoddisfazione, grattando ininterrottamente la penna sulla carta.
Quando la campanella trillò allegramente, i suoi compagni balzarono in piedi e si riversarono sciamando fuori dall’aula, mentre il maestro ripuliva la lavagna e arrotolava con cura tutte le mappe.
« Oh, Ludwig, che cosa c’è? » gli chiese, quando si vide comparire accanto il migliore dei suoi allievi.
« Maestro, vorrei chiederle una cosa. »
L’occhialuto damerino infilò con cura tutti i suoi libri e le sue carte in una lustrissima valigetta di pelle, « Sì, me n’ero accorto che qualcosa ti stava turbando. Oggi te ne sei rimasto insolitamente in silenzio, senza rispondere a nessuna delle mie domande. »
Ludwig arrossì un poco e abbassò lo sguardo, scatenando una risatina nel professore.
« Non fare quella faccia, Ludwig, non ti abbasso certo i voti per così poco. Allora? Che cosa volevi chiedermi? » e si sedette sul bordo della cattedra, tanto era in confidenza con i suoi esigui allievi.
Ludwig si strinse con forza il quaderno al petto, il cuore che gli pulsava indeciso nella gola.
Poteva fidarsi? Ma quello era il suo maestro, era una brava persona… e poi, Ludwig sarebbe stato attento a non lasciarsi scappare alcun indizio.
« Uhm, è una domanda difficile. Non so come porgliela. »
Sempre più incuriosito, il professore si spinse gli occhiali su per il naso, « Provaci. Io farò del mio meglio per risponderti, come sempre. »
Che volesse sapere del Patto d’Acciaio, di Roberto* o di come venissero al mondo i bambini, non c’era niente di più soddisfacente che nutrire l’intelligenza di quel piccolo tedesco promettente, così il professore incrociò le braccia sul petto e lo incoraggiò con un sorriso.
« Oh, d’accordo… allora, diciamo che ho trovato un posto segreto sull’isola. Diciamo che in questo posto segreto ci vengono spesso le foche a riposarsi e… diciamo che vorrei osservare tutto questo. Cosa dovrei fare? »
Il maestro sollevò le sopracciglia, sorpreso: « Ma davvero? E dove sarebbe questo posto segreto, Ludwig? »
« L-la mia era solo una curiosità! » protestò prontamente il bambino, « E comunque non posso rivelarglielo: è il mio posto segreto, no? »
« Oh, giusto, giusto… scusami. Beh, se intendi osservarle, ti suggerisco di trovare un nascondiglio sopraelevato e al riparo dal vento, in modo da poterle guardare senza che sentano il tuo odore. Fai qualche fotografia, senza flash e senza troppo rumore. Prendi appunti, fai come se fossi a scuola. Non disturbarle però, mi raccomando. »
Ludwig annuì, serio e appassionato: « Potrei provare a lasciare loro qualcosa da mangiare? »
« Beh, suppongo che potresti… ma le foche sanno riconoscere l’odore dell’uomo, probabilmente si spaventeranno se gli porti qualcosa che hai toccato. »
« Ma mio fratello sa pescare, maestro. Mi farò dare qualche pesce appena preso e li trasporterò in un secchio d’acqua di mare. Cosa ne pensa? »
Il professore sbatté le palpebre, sbalordito: « Mi sembra una buona idea. »
« Bene. Maestro, la ringrazio per l’aiuto. »
Ludwig chinò educatamente la testa e corse fuori dalla classe, il quaderno ancora ben stretto tra le braccia.
« Posso chiederti almeno perché vuoi osservare delle foche? » gli gridò dietro il maestro, e la voce eccitata del suo miglior allievo rimbombò per i corridoi bianchi della scuola.
« Un progetto extrascolastico! »
Ma come faceva a conoscere già una parola del genere?
« Crescono così in fretta. » sospirò il professore, infilandosi il pesante cappotto e buttandosi la valigetta su una spalla, mentre usciva dalla classe ormai perfettamente silenziosa.
Beh, almeno non gli aveva chiesto delle api e dei fiori.


« Bruder, andiamo a pesca? » gli chiese improvvisamente Ludwig, posando la tazza ancora mezza piena di caffelatte.
« A pesca? » Gilbert sollevò lo sguardo dal giornale.
« Sì, per favore? »
« Beh… d’accordo West, ma come mai vuoi andare a pescare adesso? »
Ludwig fece prontamente spallucce: « Così… oggi a scuola mi sono annoiato un po’ e mi è venuta voglia di sgranchirmi le gambe. »
Gilbert ridacchiò soddisfatto: « Cosa stavate studiando? »
« La flora e la fauna della nostra isola. »
« E non t’interessa l’argomento? »
« Ma certo che m’interessa! Lo adoro, mi piace un sacco sapere dei pesci che nuotano nel nostro tratto di mare e che ci danno da mangiare, di come riconoscere il nido dell’aquila dalla coda bianca da quello del falco pescatore, di quali funghi si possono e non si possono raccogliere… »
Il volto di Gilbert si aprì in un gran sorriso scanzonato, si appoggiò al palmo di una mano e, mentre ascoltava i discorsi appassionati del suo fratellino e guardava i suoi occhioni azzurri bruciare d’amore, si rese conto di un’assoluta verità.
« West, lo sai… tu dovresti proprio seguire questa strada. »
« Eh? » Ludwig interruppe il suo sproloquio e sbatté confuso le palpebre, « Quale strada, bruder? »
« Quella da ricercatore. Ti piace osservare creature e piante, no? Beh, potresti farlo. Farlo come lavoro, dico. »
Ludwig rimase come folgorato, così Gilbert ripiegò il giornale e si alzò dal tavolo: « Bah, scusami West, è ancora troppo presto per parlarne. Chi lo sa… magari potresti scoprire che la vita da topo di biblioteca non fa per te, e che preferisci curare i computer, o disegnare case, o inventare nuove leggi per i tedeschi. »
Visto che Ludwig non voleva decidersi a seguirlo, Gilbert gli fece un cenno con il pollice verso la porta della sala da pranzo: « Quindi, andiamo a pescare? »
Il suo fratellino si riscosse, balzò giù dalla sedia e gridò: « Vado a mettermi il cappotto! » ed era talmente esaltato che si dimenticò completamente del caffelatte.


« Preso! » ruggì trionfante Gilbert, strattonando verso l’alto la bella canna laccata di nero e afferrando saldamente il terzo merluzzo del pomeriggio.
« Bruder, sei proprio bravo, eh? » osservò ammirato Ludwig, chinandosi per osservare il pesce che ancora si dibatteva nel secchio pieno d’acqua di mare.
« Ma è ovvio, West, io sono magnifico, no? » si pavoneggiò il maggiore, riavvolgendo il filo e lanciando l’amo con un ampio gesto del braccio.
« M’insegnerai un giorno, vero? » si raccomandò il fratellino, immaginandosi una sirena super felice che divorava una montagna di pesci, pescati da Ludwig stesso.
Gilbert scoppiò nella sua tipica risata simile a un latrato, si tolse il cappello da pescatore e lo calcò sui capelli biondissimi del fratellino, « Quando sarai più grande, West. Ci vuole un po’ più di forza, per poter tirare su questi bei figlioli. »
Ludwig sbuffò: « Ma io sono forte… »
« Non abbastanza. Finiresti col farti pescare tu dal pesce! » e rise ancora più forte, ignorando le proteste del fratellino.
Strano: non era da Ludwig essere così impaziente.
Passò un’altra ora, e il sole cominciò a rimboccarsi le coperte nella trapunta blu del mare.
« Bene, direi che per oggi può bastare. » annunciò Gilbert.
Tirò su la canna, si sgranchì le spalle e gettò un’occhiata soddisfatta ai tre secchi ricolmi di pesci: « Gran bel bottino, no? Il tuo fratellone è sempre il migliore! »
Ludwig afferrò uno dei secchi e lo sollevò con qualche difficoltà: i merluzzi che aveva preso Gilbert erano belli grassi, chissà se gli sarebbero piaciuti…
« Questi ce li facciamo fritti stasera, eh West?! » e si leccò i baffi, sollevando gli altri due secchi pieni di aringhe e papaline ancora boccheggianti.
Mulinando i secchi stracolmi sotto al naso degli altri pescatori, Gilbert attraversò la passerella di legno vantandosi a tutta voce, con Ludwig che arrossiva per il gran baccano.
Quando raggiunsero il marciapiede e la strada asfaltata, a qualche chilometro dal porto, il giovanotto lanciò un’occhiata preoccupata alla baia di Jeliel, lontana e invisibile.
Chissà se si sarebbe fatto rivedere, quella notte.


« Bruder, posso chiederti una cosa? » cominciò Ludwig, qualche ora dopo cena.
« Mh? »
Suo fratello stava guardando la televisione, spaparanzato sul divano a isola del salotto.
Solitamente crollava entro le undici; i suoi occhi rossastri, infatti, si stavano già chiudendo.
Gilbert fece uno sbadiglio enorme: « Di che si tratta, West? »
« Uhm, ecco… ci-ci sarebbe questo posto sulla spiaggia, un posto ben nascosto e segreto. Penso che sia diventato il raduno preferito delle foche stanche… e allora volevo provare a… sai, quello che mi hai detto anche tu, no? Il topo nella biblioteca e tutto il resto… »
Esitò, arrossendo quando il fratello maggiore gli indirizzò un sorriso enorme.
« Ma certo, è un’idea magnifica. Non quanto me, ma pur sempre una gran bella idea. »
Ludwig tirò un sospiro di sollievo.
« È il posto dove sei andato ieri notte? »
Si era rilassato troppo presto.
Tentò in fretta di nascondere la propria espressione colpevole, mentre borbottava confusamente: « No, non è quello. »
« E allora dov’è? »
« Un po’ più… a ovest. È al porto di Kloster. »
« Oh, ecco: è ancora più vicino. Bene bene, vai pure allora. »
Ludwig raccolse il giubbotto pesante e si diresse in tutta fretta verso la porta principale, con le guance in fiamme: prima di conoscere quel bambino, non aveva mai mentito a suo fratello. Mai.
« Ti sei preso il cellulare? »
« Sì, bruder. »
« E la torcia? »
« Sì. »
« Torna per mezzanotte, eh West? »
Un’ora sola da poter passare insieme a lui… sempre che si fosse fatto vedere.
« Va bene, bruder. »
« E digli che nemmeno loro pescano bene quanto me! »
Il giovanotto fece un nervoso cenno di saluto e si chiuse la porta alle spalle con attenzione.
Tese le orecchie, e ascoltò: attese il momento in cui Gilbert alzò il volume della tv per dirigersi verso il capanno degli attrezzi, in un angolino riparato del parchetto.
L’interno era buio, polveroso e occupato da un sacco di aggeggi e utensili, legna per il camino conservata bene all’asciutto, il tagliaerba e la vecchia barca di Gilbert: un po’ sverniciata e rugginosa, ma ancora perfettamente usufruibile.
Ludwig accese la potente torcia da escursionista - quella che usavano sempre quando arrivava una tempesta particolarmente forte, e qualche blackout faceva esplodere le lampadine in casa - e cercò attorno, tra le cassette sovraccariche di cacciaviti e chiavi inglesi, scatoloni pieni di libri e un paio di biciclette risalenti alla seconda guerra mondiale.
Alla fine individuò il gigantesco frigorifero per le scorte, incastrato tra una libreria e il generatore a gasolio; lo aprì e ne tirò fuori il secchio pieno di merluzzi, uno dei trofei prestigiosi che suo fratello si era guadagnato quel pomeriggio.
Si ficcò la torcia nella tasca esterna del cappotto invernale e sollevò il pesante tesoro con entrambe le braccia.
Presto, presto! Lui poteva già essere arrivato, sicuramente era così, e lo stava aspettando in ansia.
Ludwig caracollò fuori dal capanno - che chiuse con un tallone - e di nuovo in giardino, fermandosi giusto un momento per tirare a Blackie, Berlitz e Aster i loro tre bocconcini di carne appetitosa, e poi oplà!, oltre il cancello e già sulla strada asfaltata.
Quanto pesavano quei merluzzi! Però lasciarli a mollo nell’acqua pura di mare, nel refrigeratore del capanno, si era rivelata un’idea vincente: profumavano ancora intensamente e né gli occhi né le scaglie si erano sciupate.
Ludwig scrutò fiero il proprio dono, col foglio del quaderno ben piegato e riposto al sicuro nella tasca dei jeans.


Tremò d’eccitazione, quando riconobbe le chiome sempreverdi dei larici e degli abeti bianchi.
S’intrufolò tra i tronchi e i cespugli di olivello spinoso, scivolò cautamente lungo il pendio e si fermò sul limitare della sabbia, guardandosi attorno sospettoso.
Bene: nessuno sembrava averlo seguito.
A ovest dei tetti blu di Hiddensee sopravviveva un unico alone violetto, e nonostante l’avvicinarsi dell’estate, le giornate erano ancora corte e piuttosto freddine.
Il giovane tedesco si gettò il cappuccio impellicciato all’indietro e trotterellò verso Jeliel, incapace di fare piano, di avvicinarsi con cautela per non spaventarlo, di trattenere quel frenetico desiderio di rivederlo.
Giunse ai piedi dello scoglio col fiatone, ma il sorriso gli morì sulla bocca.
Non c’era.
Fu una delusione cocente, e il secchio gli scivolò dalle dita doloranti, atterrando sulla sabbia blu con un tonfo e una pioggia di goccioline.
Improvvisamente, Ludwig si sentì molto stupido.
Poteva anche assomigliare a un essere umano, poteva imitare i suoni di un essere umano, poteva mangiare il cibo di un essere umano… ma era pur sempre un animale.
Un mostro - come lo avrebbero chiamato gli abitanti di Hiddensee - non ha l’etica di un uomo, non conosce alcuna etichetta e di certo non si fa problemi a infrangerle.
Ludwig, forse, aveva ingenuamente pensato di aver trovato finalmente un amico, ma quel mostriciattolo non era stato nient’altro che un passatempo… come un animaletto domestico.
O era più come una bestia selvaggia, visto il modo in cui lo aveva tradito e se n’era andato chissà dove, dopo aver mangiato dalle sue mani?
Ludwig si strofinò gli occhi con rabbia e scattò in piedi.
Molto meglio che fosse successo così, all’improvviso: come quando si strappa via il cerotto da una ferita, e bisogna farlo prima che il corpo, o la mente, possano prepararsi al terribile dolore.
Così non avrebbe sofferto nel non rivederlo mai più.
E allora perché… perché piangeva in quel modo?
Mollò un calcio furioso al secchio, e vi fu uno splash improvviso alle sue spalle.
Che cosa poteva essere? Una focena? Una tartaruga? Magari una foca vera?
O forse… uno dei fantasmi del faro, riemerso dalla sua tomba di fango e alghe putride per trascinarlo con sé negli abissi gelidi dell’oceano?
Terrorizzato, Ludwig si voltò verso il mare… e per poco non cacciò un urlo.
Non di paura, ma di gioia.
« Sei… sei tu. » balbettò, incredulo.
Era lì, era davanti a lui, con la faccia fuori dall’acqua, a qualche metro dal piedistallo semisommerso di Jeliel.
Lo osservava con quei bellissimi occhioni gialli sgranati, come se nemmeno lui potesse credere al ritorno dell’umano.
E fu guardando la sua espressione di puro stucco, che la paura, la rabbia, il senso bruciante dell’abbandono si sciolsero nel petto di Ludwig, come pezzi di ghiaccio insignificanti.
« Sei tornato veramente! Non posso crederci… »
Oh, si sentiva così bene, adesso! Così sollevato!
Si vergognò da morire di tutte le cose orribili che aveva pensato di lui.
Ludwig si accucciò sui talloni, dove la risacca schiumava sotto a Jeliel, e fece un sorriso enorme al piccolo tritone.
Lui, però, non gli si avvicinava.
« Hai ancora paura di me, vero? Però sono felice che tu sia tornato per vedermi. Tu… avevi voglia di rivedermi? »
La sirena emise un fischio dolce e musicale, e Ludwig lo prese per un sì.
« Anch’io avevo voglia di rivederti. » gli sorrise di nuovo.
Chissà perché, sorridere a quel bambino gli riusciva più naturale che con gli esseri umani.
« Ehi, guarda che ti ho portato. »
Afferrò il secchio puzzolente e lo spinse verso di lui.
La sirena drizzò le orecchie, allargò le narici, e si avvicinò un po’ di più.
« È un regalo, un segno di pace. Lo mangi il pesce, vero? »
Non voleva toccare i merluzzi e appiccarci il suo odore da umano, così se ne rimase indietro, ad attendere una sua reazione.
Funzionò: incuriosito, il giovane tritone si fece piano piano appresso, fino a posare la pancia sulla sabbia della spiaggia.
Fiutò con grande interesse il contenuto del secchio, e all’improvviso vi affondò la faccia, addentò un merluzzo e fuggì sotto a Jeliel, lasciando Ludwig a bocca aperta.
Al riparo dello scoglio, si sentiva sgranocchiare con grande impegno.
« Allora ti piace! » Ludwig era al settimo cielo, « Sai, non sapevo se la tua specie fosse carnivora, erbivora, oppure onnivora, come noi esseri umani. Mangiate anche altre cose, là sotto? Chessò… alghe, crostacei, magari plancton? »
Una manina palmata sbucò da dietro Jeliel, afferrò un altro merluzzo e Ludwig dovette soffocare una gran risata.
« Peccato che non sai parlare la mia lingua, avrei così tante cose da chiederti… »
Il visino della sirena si affacciò timidamente.
« Qual è il tuo nome, se hai una famiglia, come si vive nel mare, come comunicate, se ci sono altri di voi nel mondo… »
Ludwig sospirò sconsolato, ma s’irrigidì quando la sirena nuotò verso di lui e si arrampicò sulla spiaggia, fermandosi dove l’acqua raggiungeva appena le quattro dita.
Il giovane tritone prese un bel respiro, e poi esclamò: « Lllluuuuuudddwiiiiiiig! »
Fu così inaspettato il suono della sua voce, il modo sicuro con cui lo aveva chiamato, che Ludwig boccheggiò a lungo, cercando di trattenersi con tutte le sue forze.
Non ci riuscì, e scoppiò a ridere.
Questa volta, però, la sirena non scappò: lo fissò intensamente con i suoi grandi occhi gialli, poi spalancò la bocca e fece una serie di guaiti, un surrogato di risata umana.
Ancora una volta, Ludwig rimase a bocca aperta: lo stava imitando, e quella era una notizia incredibile.
« Allora forse… »
Ce l’avrebbe fatta. Gli avrebbe insegnato a parlare.
Divenne rapidamente rosso come un pomodorino maturo, abbassò lo sguardo a terra e borbottò, rivolto alle proprie scarpe: « Se-senti… »
La sirena scrollò le lunghe orecchie cartilaginose, in attento ascolto.
« Ma… se-secondo te… noi siamo… a-a-amici? »
Era stato difficile e imbarazzante proprio come si era aspettato, e il silenzio che seguì fu assordante come lo scoppio di una bomba.
Ludwig si mordicchiò il labbro inferiore, ma a un certo punto non resistette più: sollevò lo sguardo, e quasi poté leggere il dubbio sul volto della sirena.
Amico di un umano suonava strano, e pericoloso, se ne rendeva conto lui stesso.
Chissà cos’avrebbero detto i suoi simili…
Probabilmente quello che avrebbero detto a Ludwig gli esseri umani, se fossero venuti a sapere che parlava con una sirena, e che le portava cioccolato e pesci invece di fotografarla, di catturarla e mostrarla al mondo intero.
Ludwig scrollò il capo con rabbia: che pensieri orribili, ma non gli importava di passare per egoista o anche per pazzo.
Quel mostriciattolo, quella cosa non umana, era stato il primo essere vivente sulla Terra a cercarlo di sua spontanea volontà.
Quella creatura mitologica era stata in grado di accettare Ludwig per quel che era: musone, silenzioso, schivo e inquietante.
Una bestia, nata dalla fantasia e dalle fiabe, era riuscita a farlo ridere come nessun essere umano al mondo.
Non poteva essere malvagia, una bestiola così sensibile.
La sirena allungò una mano e toccò quella di Ludwig, facendogli drizzare i capelli in testa per la sorpresa.
« Amih… amic… amico. »
Dopo un paio di tentativi riuscì a ripeterlo, gli si fece così vicino che il cuore di Ludwig saltò un battito, e premette la propria fronte contro la sua.
Oh, com’era fresca la sua pelle, e liscia, e umida, e luminosa…
Quello doveva essere il modo in cui le sirene si promettevano qualcosa, si disse Ludwig; ma poi non fu più in grado di pensare a nient’altro, stordito dal sollievo, da una felicità che sembrava troppo grande da poter contenere.
Aveva un amico, un vero amico, per la prima volta!
« Luuudwiiiig, amico! » esclamò la sirena, agitando in aria le braccia e sollevando una fontana di spruzzi verso il cielo blu cobalto.
Il giovane tedesco annuì, incapace di parlare, di muoversi.
« Luudwiig? »
« Sto… sto bene. » e si asciugò le guance velocemente, « Mi è andata… solo un po’ di sabbia negli occhi. »
« Saaaabia? »
Ludwig sorrise: « Sabbia. S-a-b-b-i-a. » e ne prese una manciata con la mano, lasciando che gli scorresse tra le dita.
« Saaaabbbbbbbbia. »
« Esatto, bravissimo. »
La sirena afferrò l’ultimo merluzzo e lo scrollò con impazienza.
« Oh, quello? Quello è un pesce. »
« Peeeeeessie. »
« No, non “s”, ma “sh”. Guarda come muovo le labbra: “shhh”. »
« Ssssssssshhhhhhhhhhhhh! »
« Bravo! Ora riprova: p-e-s-c-e. »
Imparava in fretta: sembrava molto intelligente, e molto curioso.
Trascorsero tutta l’ora a imparare diverse parole, fin quando la sveglia della mezzanotte non squillò nel cellulare di Ludwig, facendo trasalire il giovane tritone.
« Ah, accidenti, è già mezzanotte? »
Non aveva nessunissima voglia di tornare a casa… ma doveva, oppure avrebbe fatto preoccupare il suo bruder.
« Mi dispiace, devo andare. » gli disse, e un’ondata di gioia lo investì, quando riconobbe il dispiacere anche sul suo visino.
« È stato divertente, vero? Sei bravo a imparare. »
La sirena arrossì, e Ludwig quasi si sciolse, perché era troppo carina.
« Se continuiamo di questo passo, imparerai il tedesco in un baleno! »
Un pensiero improvviso lo colpì.
« Ehi, di’ un po’… eri tu che cantavi di notte, qui, su Jeliel? »
« Sce… Ieeeee… Jieliellll… ? »
« Esatto, il mio posto segreto. » e Ludwig accarezzò amorevolmente il fianco incrostato di finocchio di mare, « Jeliel piace anche a te, vedo. Allora eri davvero tu? »
La sirena inclinò il viso, poi annuì.
« Capisco… tu canti, come nelle nostre storie. » gli occhi di Ludwig brillarono, « Senti… adesso devo proprio tornare a casa, però… domani. Domani ci sarai, vero? »
Lo vide esitare, come se fosse schiacciato dal peso di quel che stava combinando, come se avesse paura di fidarsi di quell’essere umano.
Ludwig fece per parlare, ma all’ultimo istante si morse la lingua, e tacque.
Doveva essere una sua scelta, e sua soltanto.
Alla fine, dopo una lunghissima pausa, la sirena annuì una sola volta.
Ludwig non riuscì a trattenere il sorriso: « Davvero? Oh bene… »
Gli si erano inumiditi di nuovo gli occhi.
« Allora… allora se domani verrai, mi canterai una canzone, va bene? »
La sirena abbassò le orecchie e avvampò, scrollando furiosamente la testolina rossa.
« Dai, per favore? Io ti insegnerò il tedesco, ma tu dovrai cantare per me. È uno scambio. »
Ludwig si alzò in piedi, prima che potesse rifiutarsi; raccolse il secchio e si arrampicò sul pendio erboso.
« Ci vediamo domani notte, d’accordo? Hallo! »
« Luuudwiiig, haaaalllllooooo! » gli gridò, sbattendo un palmo sulla superficie dell’acqua, forse il suo modo per salutarlo, o forse un buffo tentativo di imitare il gesto degli umani.
Ludwig raggiunse la cima del pendio, si fermò e rimase in piedi, immobile per un istante.
Quando si voltò, osservò con un groppo alla gola la sua coda oro e rossa che si tuffava tra le onde.
Si afferrò con mano tremante il cappotto, cercando di calmare i battiti del cuore, di trattenerlo nel petto, perché di lì a poco gli sarebbe scappato fuori.
La cosa aveva iniziato a farsi emozionante.
Con un intenso sospiro di felicità, il giovane tedesco si avviò verso casa saltellando, roteando il secchio con una mano, e già non vedeva l’ora che fosse il giorno dopo.


« Io vado, bruder! »
« Ohi, West, aspetta un momento! »
Ludwig si bloccò davanti alla porta d’ingresso, saltellando impaziente, « Bruder, insomma, faccio tardi… »
« Oh, sono certo che le tue foche possano aspettare un minuto in più. » e Gilbert gli infilò in tasca il Nokia 3310, « Ti stavi dimenticando questo. Non fare tardi, mi raccomando. »
Gli arruffò i capelli biondi, osservandolo scappare fuori con un sorriso soddisfatto.
« Mamma, anch’io ero così iperattivo da piccolino? » sussurrò alla foto di una donna bellissima, incorniciata d’argento.
Fuori, Ludwig salutò i tre cagnoni con qualche carezza e grattatina dietro alle orecchie, poi si fiondò fuori dal cancello e corse sulla strada, il cuore a mille per l’eccitazione.
Presto, verso Jeliel, di nuovo da lui.
Non vedeva l’ora di rivederlo, non vedeva l’ora di sentirlo cantare.
Chissà com’era la voce di una sirena?
Provò a immaginarsela, ma riusciva soltanto a visualizzare un giovane tritone che fischiettava in modo incomprensibile; e fu un’immagine talmente buffa che Ludwig non si rese conto di ridacchiare tra sé e sé, come uno stupido.
Pensare a lui lo faceva stare bene, stare con lui lo faceva stare bene, parlare con lui lo faceva stare bene… aveva trovato il suo primo, vero amico.
Non era neanche sceso dal pendio, quando notò il suo profilo sdraiato su Jeliel, rivolto verso l’orizzonte.
Era un’immagine perfetta, commovente: lasciò che gli marchiasse dolcemente il cuore, con la certezza che non l’avrebbe mai più dimenticata.
La sirena udì il suo affannato sdrucciolare sul terreno e si voltò.
« Luudwiig! »
« Hallo, amico. » gli sorrise di rimando Ludwig, col fiatone, fermandosi proprio sotto a Jeliel.
« Hallo, amico! »
« Esatto. Sei proprio bravo. »
La sirena arrossì, scrollando le orecchie.
Più sforzava la gola e le corde vocali, più queste si scioglievano e articolavano sempre meglio il suono umano.
Adesso la sua voce aveva una forma più precisa, acuta, simpatica e piacevole, con uno strano accento poetico che Ludwig aveva imparato ad associare ai latini, forse per pregiudizio.
« Sono felice di rivederti anche stasera. » gli disse, guardandolo dal basso con gli occhi che luccicavano, « Sai… forse non dovrei essere qui, insieme a uno della tua specie… »
Le sue orecchie cartilaginose sbatacchiarono nervosamente, e per la prima volta guardò Ludwig con durezza.
Non gli era piaciuto quel modo con cui aveva chiamato il suo popolo, così il giovane tedesco si affrettò a fare marcia indietro.
« Uhm, no… volevo dire che forse non dovrei essere insieme a una sirena, ecco. »
La sua espressione si rilassò, e lui annuì piano; si toccò il petto e poi indicò Ludwig.
« Neanche tu dovresti, vero? Siamo proprio due bambini cattivi. » Ludwig scrollò il capo e si sedette sulla sabbia asciutta, « Io prego soltanto che non ci scoprano mai. »

Perché, Ludwig? Se ci scoprissero, che cosa accadrebbe?
Voleva chiederglielo, lo desiderava con tutte le sue forze… ma non sapeva come fare.

« Ah, giusto! » Ludwig ammiccò nella sua direzione, « Avevi promesso di cantare per me, ti ricordi? »
La sirena avvampò fino alla punta delle orecchie ossee, scrollò furiosamente la testa e Ludwig ridacchiò.
« Avevi promesso, non puoi rompere una promessa! »

Cantare? Per un essere umano?
Non lo aveva mai fatto, e c’era un motivo più che valido.
Il canto del suo popolo era speciale, e fuori dall’acqua diffondeva potenti vibrazioni a bassissima frequenza, in grado di colpire i tessuti molli a una velocità pazzesca.
Ciò significava che avrebbe potuto stordire Ludwig, o assordarlo, o ferirlo… o incantarlo.
Non voleva che niente di tutto ciò accadesse al suo amico, perché Ludwig era un Nuota nel Sopra stupendo, gentile e generoso; non come quegli altri, che urlavano, torturavano il mare in mille modi orribili, trascinavano enormi trappole ad anelli piene di pesci che ancora vivi si dibattevano per la vita… il peggiore incubo di Efelién.
No, Ludwig era diverso… se lo sentiva nel ventriglio.
Ed era per questo che non avrebbe voluto cantare per lui…

La sirena scosse di nuovo la testa, ma Ludwig non si arrese.
« Ehi, guarda un po’ cos’ho qua. » e s’infilò una mano nella giacca, tirandone fuori un’intera barretta ricoperta di stagnola.
Gli occhioni del giovane tritone si spalancarono.
« Scioccolattooo! » squittì, sporgendosi da Jeliel per afferrarlo, ma Ludwig lo allontanò dalle sue manine palmate.
« Eh no, troppo facile così! » e rise, quando la sirena gli scoccò un’occhiataccia offesa, « Tu canta per me, e potrai averne quanto ne vuoi. »

Che ingiustizia, Ludwig! fischiò arrabbiato Efelién, ma il suo amico rise ancora più forte, probabilmente perché non poteva capirlo.
Non c’è proprio niente da ridere! Dammi il scioccolato!
« Niente cioccolato, se prima non mi canti qualcosa. »
Uffa, non voglio cantare per te!
« È inutile che fischi così, non capisco un bel niente. »
Si stava divertendo da matti, lui, a lasciarlo con quel dubbio tremendo.
Scioccolato o canzone?
Beh… se avesse fatto attenzione, cantando a bassa voce, controllando le vibrazioni nel suo ventriglio, cauto affinché non salissero troppo d’intensità, forse…

La sirena annuì una sola volta, dopo una lunghissima pausa.
« Davvero? » Ludwig era al settimo cielo, « Allora, ti ascolto. »
La sirena buttò la pinna oltre la roccia porosa e si sedette proprio sul bordo di Jeliel; sollevò lo sguardo sul mare, chiuse perfettamente le branchie e poi la pellicola semitrasparente scivolò sopra alle sue iridi dorate.
Ludwig trattenne il respiro, e poi lo udì.
Lui socchiuse le labbra, ma non le mosse: era la sua gola a pulsare, molto velocemente, in modo simile a come accadeva ai rettili quando gorgogliavano.
Il petto magro gli faceva su e giù, le punte della pinna caudale si muovevano sinuose come capelli nell’acqua, e le orecchie si erano appiattite all’indietro.
Ludwig si era sbagliato: non era un fischio, e nemmeno un grido, o un cinguettio, o un qualsiasi suono conosciuto all’udito umano.
Era unico nel suo genere.
Basso, musicale, viaggiava nell’aria in un modo che Ludwig non avrebbe saputo descrivere.
Che cosa dicevano gli alberi quando il fuoco divorava il loro legno? Com’era il pianto del vetro quando si spezzava? Cosa gemeva la gemma appena nata, quando la brina del primo mattino gocciolava dalla roccia, punzecchiandola?
L’acuto richiamo del falco, il ruggito di un leone, il sibilo del serpente, il lamento di una balena…
Ludwig chiuse gli occhi, e lasciò che il canto della sirena lo circondasse, lo avvolgesse come una calda trapunta, divenisse parte di lui per sempre.
Si rese conto che non avrebbe mai potuto udire voce più bella, triste e preziosa di quella.
La sirena tacque, e Ludwig riaprì gli occhi.
Lui lo stava osservando, un po’ spaventato.
« Che cosa…? Oh. » Ludwig si rese conto di avere le guance bagnate, e se le asciugò con impazienza, « Non devi preoccuparti, sto bene. È che… mi sono solo commosso un po’. »
La sirena si diede la spinta con la coda e si tuffò in mare, riemerse e nuotò verso di lui, trascinandosi sulla sabbia per stringergli una mano tra le proprie.
« Davvero, sto bene. » gli sorrise, « Piango perché mi piace. Mi piace il canto delle sirene. »
Lui parve rilassarsi, e scrollò le orecchie soddisfatto.
Ludwig tossicchiò imbarazzato, scartò la barretta e gliela offrì: « Tieni. Tutta tua. »
La sirena sbatacchiò la coda per la felicità, sollevando una fontana di spruzzi, e Ludwig scoppiò a ridere, proteggendosi la faccia: « Smettila, è gelida! »

Efelién non prese la barretta con le mani, limitandosi a sgranocchiarla direttamente in pugno a Ludwig: con i pesci sapeva come fare, ma con il cibo estraneo non aveva idea di come approcciarsi.
Scioccolato… non aveva mai assaggiato niente di simile.
L’unico cibo che assomigliava a quello strano blocco marrone erano le uova di tartaruga, che se recuperate dal ventre di una tartaruga morta erano ancora dolci, fangose e scricchiolanti.
Gli piaceva da impazzire, ma era già finito.
Cominciò a fiutare Ludwig dappertutto, cercando altro scioccolato, ma lui disse qualcosa e poi parve quasi arrabbiarsi, allontanandogli il viso mentre faceva quegli strani guaiti ansimanti, che erano il suo modo di ridere.
« Non ce n’è più, smettila! Mi fai il solletico! »
Come non ce n’era più? Per mostrargli il suo disappunto, Efelién schiaffò la coda sul pelo dell’acqua e schizzò in faccia a Ludwig, che questa volta si arrabbiò davvero.
« Ti ho detto di non farlo, è freddissima! »
Efelién si rotolò sulla risacca, si raddrizzò e sgrullò velocemente le orecchie, investendo Ludwig con una pioggia di granelli umidi e gocce salate.
Altri guaiti ansimanti e proteste, Ludwig balzò in piedi ed Efelién scappò in acqua, per sfuggire alla sua vendetta.

« Oh, dunque è così, eh?! »
Ludwig esitò, ma la sirena lo stava osservando con grande aspettativa.
Così decise.
Si tolse le scarpe e il cappotto, ripiegandolo con cura e posandolo su una sporgenza di Jeliel, in modo che non si sporcasse di sabbia.
Si arrotolò i jeans sui polpacci e pizzicò con un alluce la risacca schiumosa, prima che gli arrivasse in faccia un’altra schizzata gelida.
« La vuoi smettere?! » protestò, tentando di raggiungerlo, ma il giovane tritone si allontanò prontamente, giusto un centimetro oltre la sua portata.
Ludwig lo guardò storto, con il mento che gocciolava, poi si chinò sulle ginocchia e finse di giocherellare con l’acqua.
La sirena ci cascò in pieno: curiosa di vedere quel che stesse facendo, si avvicinò imprudente, e Ludwig scattò senza dargli il tempo di fuggire.
« Ah! » e gli schizzò una manciata d’acqua in faccia.
Il giovane tritone balzò all’indietro per la sorpresa e atterrò di schiena nell’acqua bassa, ma si riprese subito e sollevò la coda, investendo Ludwig con una cascata di spruzzi.
Giocarono a quel modo, un po’ cauti e un po’ timidi, ancora turbati dalle loro numerose differenze.
Non era facile dire che cosa significassero i gesti dell’altro, se fossero un segno di rabbia o di felicità, un invito a continuare o a fermarsi… però era bello.
Ogni tanto, Ludwig si fermava per spiegare una parola alla sirena, e quella la ripeteva fino a pronunciarla correttamente, poi lo ripagava con uno schizzo negli occhi e Ludwig gli correva dietro furibondo… per poi fermarsi di nuovo, spiegargli cosa volesse dire “basta”, o “mi bruciano gli occhi”, o “è fredda” e poi prendersi un’altra schizzata addosso.
Il Nokia squillò nella tasca del suo cappotto, e fu soltanto allora che Ludwig si fermò, il fiato corto e la pancia che doleva per le risate.
« È già mezzanotte? » protestò con grande disappunto, e la sirena nuotò verso di lui.
« Ludwig, via? » gli chiese, inclinando il mento nell’acqua bassa.
« Mi dispiace, devo tornare a casa. »
La sirena si voltò verso il mare aperto.
« Io. Casa. »
« Sì, anche tu. »
Ludwig si buttò la frangia bagnata via dagli occhi, le costole che rimbombavano per i battiti impazziti del cuore, « Hai imparato molte parole oggi. Bravo. »
La sirena sbatacchiò la pinna, come un cagnolino felice.
« Sai già pronunciare bene il mio nome, però hai un accento così insolito… »
Lo aveva già sentito, forse, da qualche parte, in qualche film… forse aveva una buona idea per dargli un nome.
Ludwig ritornò sulla spiaggia e s’infilò il cappotto, mentre la sirena si appoggiava al basso fondale per osservarlo.
« Non sapresti dirmi come ti chiami, vero? » gli chiese il giovane tedesco, mentre si srotolava i jeans e si rimetteva le scarpe.
Lui inclinò il viso.
« Provaci. Pensa a come ti chiamano i tuoi simili in acqua, e traducilo in un suono umano. »
Il giovane tritone gonfiò la gola, come un rospetto, fischiò qualcosa e poi osservò Ludwig.
« Mi dispiace, non ho capito. »
Ci riprovò, questa volta con una vocale ben precisa.
« Feeeee! »
« “Fe”? “Fe” come? Ancora. »
« Feeeeeiiiiiii! »
“Fei?”
Ma per quanto ci provasse e riprovasse, non riusciva a dirgli più di così.
Ludwig se lo annotò con cura sul pezzo di carta del quaderno.
« Non temere: ti troverò un nome. Non posso continuare a chiamarti “sirena” per sempre, no? »
« Shire… shia… sireeeenaaaaaa. »
« Esatto. Perché io sono Ludwig, no? L’essere umano Ludwig. Quindi, anche a te serve un nome. »
« Ludwig! Ludwig… amico. Ludwig, domani, hallo! »
Ludwig ridacchiò.
« Hallo, Fei, ci vediamo domani. »
Si arrampicò sul pendio, e come sempre si voltò un’ultima volta per guardare la sua coda sparire tra le onde.


Ludwig non accendeva spesso il computer di casa, ma quando lo faceva, era sempre per qualcosa di serio e importante.
Gilbert lo chiamò dalla cucina per la colazione, mentre lui scorreva con la rotellina del mouse lungo una lista tanto improbabile quanto interessante.
“Lingue indoeuropee”, eh?
Più Ludwig ripensava alla cadenza della voce del suo amico, più l’occhio gli ricadeva su quelle due.
La domanda giusta era: quale?
« Com’è andato ieri il tuo appostamento? » gli chiese sbadigliando Gilbert, posandogli davanti un piatto di uova fritte, formaggio quark e pane di segale.
« Bruder, tu sei mai stato fuori da Hiddensee? » gli chiese di rimando Ludwig, giocherellando con le uova.
« Sì, dai diciotto ai ventitré anni, per studiare un po’ all’estero. Poi, quando il nonno morì, scelsi di tornare a Hiddensee per prendermi l’incarico di direttore della Henni Lehmann. Sono due generazioni che se ne occupano i Beilschmidt, non potevo lasciare che la tradizione si spezzasse proprio con me. »
Gilbert notò lo sguardo preoccupato di Ludwig, scoppiò a ridere e gli batté un colpo formidabile sulla schiena, mandandogli di traverso il succo d’arancia, « West, non fare quella faccia! Nessuno ti obbliga, e io di certo non ti passerò l’incarico se non vorrai. E comunque, io sono ancora giovane e magnifico, è inutile preoccuparsene adesso. »
« Bruder, farai mai dei figli? »
« Mah, chi lo sa… »
« La signorina Elizaveta mi ha confidato che le piacerebbero tanto. Con te. »
Gilbert divenne rosso come un peperone, e la sua fronte cominciò a fumare: « Ah, ehm, dunque, io… Eliza ti ha davvero detto questo? »
« Beh, sì. » Ludwig divorò le uova, « Anche a me piacerebbero. Sarebbero… miei nipoti, giusto? Metà ungheresi e metà tedeschi… a proposito, bruder, dov’è che hai studiato di preciso? »
Gilbert si scrollò come un cane bagnato, nel tentativo di riprendersi dall’imbarazzo: « In Italia, a Roma. »
« Oooh, in Italia? Perché non me l’hai mai detto prima? »
« Non sapevo che fossi interessato all’Italia. »
Questa volta fu il turno di Ludwig di arrossire: « No, sì… beh, non soltanto all’Italia… ero solo curioso… »
Gilbert portò via il piatto vuoto, « E come mai questa domanda, West? »
« Volevo sapere come suonassero gli accenti latini. Com’è l’italiano? »
Gilbert si sedette sul bordo marmoreo del piano cottura, mentre corrugava la fronte nello sforzo di ricordare.
« Mmmh… è passato un po’ di tempo, e a furia di vivere qui, in mezzo a tutti questi vecchiacci che parlano soltanto il basso sassone*, non è facile ricordare… »
Gilbert si massaggiò il mento, lo sguardo rossastro perso in qualche glorioso e bizzarro ricordo, con Ludwig che attendeva sulle spine.
« Beh, posso solo dirti che le parodie sugli italiani e sulla loro lingua sono tutti pregiudizi. Fanno ridere, ma non sono molto realistiche. » disse alla fine, annuendo gravemente.
« Ah no? » ripeté stupito Ludwig.
Quindi gli italiani non se ne andavano in giro gesticolando con la mano chiusa a becco d’anatra e ripetendo “mammamia” con i baffoni al vento?
« Nah. Non proprio. Quando li sentivo parlare tra loro, per strada o all’università, non ci capivo un fico secco. Altro che scandito e nasale e “pizza, pasta e mandolino”… le frasi italiane sono assurdamente versatili. Possono essere lunghe o corte, dolci o dure all’orecchio. Le loro parolacce sono buffe da morire ma quando parlano in modo formale usano un sacco di vocaboli complicatissimi. »
Ludwig era affascinato, il succo d’arancia completamente dimenticato nel bicchiere.
« Era bello? L’italiano, dico, era bello da sentire? »
Gilbert sorrise, un po’ malinconico: « Molto. »
« Non è che sapresti imitarmi una loro frase? Una che ti ricordi? »
Suo fratello incrociò le braccia e la sua faccia assunse la stessa espressione di quando si concentrava sul gabinetto: « Mmmmh… ah già, quella! Quella non me la dimenticherò finché campo… »
Gonfiò il petto e ruggì, con voce chiara, ferma e scanzonata: « Porca di quella puttana, Fra, quante volte devo dirti di non prendere la Barilla?! Mi fa schifo! » e poi scoppiò a ridere, davanti all’espressione stordita di Ludwig.
« Cosa vuol dire? » gli chiese il fratellino.
« Non ne sono sicuro. Lo sentii da dentro una finestra aperta, mentre attraversavo la strada. Penso che fosse una litigata riguardo a una marca di pasta. »
« Ooh, perché? Ce n’è più di una? »
« Ce ne sono a centinaia. Alcune di qualità sembrerebbe. »
Gilbert fece spallucce: « E tutte queste domande, West? Cosa stai combinando? »
Ludwig sussultò, come punto da un calabrone, finì in fretta il suo succo e balzò giù dalla sedia: « È una ricerca per la scuola. Io vado, che faccio tardi! »
« Quando torni, passa da Nicki e compra un luccio: gliel’ho fatto mettere da parte apposta. » e gli lanciò una sacchetta piena di monete, che Ludwig afferrò al volo e infilò in fretta e furia nella cartella.
« Lo facciamo in salsa? »
« Se studi sodo, sennò pane e acqua. »
« Che divertente, bruder. » sbuffò Ludwig, « A dopo! »


Italiano… italiano… possibile?
Non bastava un sospetto, però: aveva bisogno di più certezze.
Quando lo incontrò, quella notte, era già appollaiato sul bordo di Jeliel.
« Ludwig, hallo! » squittì eccitato, scrollando la coda, « Nome? Sì?! »
« Hallo! No, non ti ho ancora trovato un buon nome. » sorrise Ludwig, sedendosi ai piedi dello scoglio, « Però ci sono vicino. Sai, il tuo modo di parlare mi ricorda qualcosa di umano. Dimmi: da dove vieni, tu? »
La sirena inclinò la testa.
« Non sei originario del mar Baltico, vero? La tua spe… il tuo popolo, migra come le balene, per caso? »
« Noi, via, casa. Noi, qui, ora. Mare freddo. Bello però. » sbatacchiò contento le orecchie, « Io felice qui. »
Ludwig annuì: « Sono contento che ti trovi bene. Spero che… spero che rimarrai qui con me, per sempre. »
« Sempre. Ludwig amico! »
« Sì. » gli sorrise, « Sei già capace di farti capire, hai visto? Stiamo andando bene. »
Tutto soddisfatto per i complimenti, il giovane tritone emise una serie di gorgheggi e Ludwig provò a imitarli.
« Come sono andato? »
« Ludwig, tu dire “tanto cibo”, non “felice”! » lo rimproverò la sirena, e Ludwig scoppiò a ridere.
« Il tuo linguaggio è così difficile per noi umani! Però mi chiedo perché tu possa capirmi… è come se, un tempo, foste stati come noi. Ma adesso non più. »
Il suo amico gli scoccò un’occhiata indecifrabile, poi si tuffò in mare, nuotò fin sulla spiaggia e allungò una mano.
Ludwig esitò, poi vi posò contro la propria.
« Ludwig, vedi? Io, te… uguali. »
Avevano le stesse mani, le stesse dita, si parlavano e si capivano, mangiavano le stesse cose, respiravano la stessa aria.
Forse aveva ragione lui.
« Ti va di cantare per me? » gli chiese all’improvviso Ludwig, forse solo per cacciare via quei pensieri strani e dolorosi.
Fu difficile convincerlo, ma alla fine, dopo molte resistenze, la sirena cedette.
Si sdraiò nel bel mezzo della risacca, questa volta, e cantò la stessa canzone del giorno prima.
Ludwig la ascoltò in adorante silenzio.
Quando il suo amico si zittì, il giovane tedesco riaprì gli occhi, si asciugò le lacrime e disse, con voce spezzata: « Vorrei tanto che tu potessi dirmi di che cosa parla, questa tua canzone. »
La sirena drizzò le orecchie: « Ludwig, me, tedesco. Io dire te. »
« Va bene, allora. Non penso che sarà così difficile. »
Più che imparare, era come se si stesse man mano ricordando.
Trascorsero la loro ora così, giocando nell’acqua bassa e ripetendo un termine dopo l’altro.
Il suo amico squamoso era un tipetto allegro e vispo, uno che non era capace di studiare in silenzio, fermo e composto, come invece era abituato Ludwig… ma doveva ammettere che quel modo così insolito d’imparare non era poi tanto male, anche se poco serio.
Non erano ancora abbastanza fiduciosi dall’arrivare a toccarsi apertamente, e si limitavano a spruzzarsi addosso l’acqua e a rincorrersi sulla battigia, però era la cosa più divertente che Ludwig avesse mai fatto.
Quando l’allarme squillò, l’amarezza arrivò a prenderlo come al solito, e si rese conto che non ne avrebbe mai avuto abbastanza di quel giovane tritone canterino.
« Ludwig, domani, hallo! » lo salutò, un po’ triste, la sirena, « Domani tu scioccolato, sì? »
« Va bene. » gli sorrise Ludwig.
Questa volta rimase a guardarlo mentre nuotava nell’acqua profonda e poi s’immergeva con un arco perfetto, quasi senza sollevare uno spruzzo.
Finora non ci aveva ancora pensato, ma quelle pinne e quel colore non li aveva mai visti prima, su nessun pesce della sua isola.
A che specie potevano appartenere?


Ludwig si afflosciò sulla tastiera del computer, gli occhi che bruciavano.
Gilbert russava nella sua stanza, e a parte lui, l’unico rumore udibile in tutta la casa era il lieve ronzio del computer.
Erano le tre di notte, e se suo fratello lo avesse trovato ancora sveglio…
Ludwig si tirò fuori dalla tasca il foglio già malconcio del quaderno, lo lisciò sulla scrivania e vi ricopiò sopra quell’accozzaglia di lettere così strane da pronunciare.
Dopo estenuanti ricerche, aveva trovato finalmente una soluzione.
La forma delle sue pinne, il colore rosso acceso e giallo oro, il suo accento e il fatto che considerasse fredde le acque del mar Baltico…
Grazie a google translate e a wikipedia, Ludwig aveva scoperto il luogo di nascita della sua amica sirena, una sua probabile specie e un nome carino da dargli.
Spense il computer, mise al sicuro il foglietto stropicciato nella tasca dello zaino e s’infilò sotto alle coperte con un sospiro esausto, ma soddisfatto.
Non vedeva l’ora di parlargliene domani, di sapere cosa ne avrebbe pensato, di sentire come suonasse quel nome sul suo visino delicato.
Ah, e non doveva dimenticarsi del cioccolato… anzi, scioccolato.


« Ludwig, hallo! » lo salutò ventiquattr’ore dopo, appollaiato sul cocuzzolo di Jeliel.
Ludwig quasi inciampò per la fretta di raggiungerlo, e si fermò col fiatone sotto allo scoglio, « Hallo! »
« Scioccolato, sì? »
« Te l’ho portato. » e gli mostrò la barretta ricoperta di stagnola, « Per fortuna che posso comprarlo con la mia misera paghetta da cinque euro, oppure chissà cosa direbbe mio fratello, con tutte queste tonnellate di cioccolata che sto prendendo ultimamente… »
La sirena si tuffò di testa in acqua, riemerse e lo guardò con due enormi occhioni imploranti: « Scioccolato, per favore? »
« Ma non ti farà male? Non è il tuo cibo naturale, no? »
« Io, bene. Scioccolato, per favore?! »
Ludwig rise, e il suo amico aggrottò le sopracciglia rossicce: « No divertente. Scioccolato, per favore! »
« Non vuoi sentire il nome che ti ho scelto, prima? »
La sirena spalancò la bocca e drizzò le orecchie: « Nome, per me?! »
« Sì. Ci sono stato su quasi tutta la notte. » Ludwig prese un gran respiro e si sedette sulla sabbia umida, « Spero… spero davvero che ti piaccia. »
E se così non fosse stato?
Stritolò la stagnola tra le mani e cercò d’ignorare quei due fari gialli puntati addosso.
« Hai un accento particolare, che mi ha ricordato una lingua umana ben precisa. Ho fatto delle ricerche, e ho scoperto che, probabilmente, tu vieni dai mari mediterranei. In particolare, forse dall’Italia. »
Sollevò lo sguardo su di lui, che lo stava ascoltando molto attentamente.
« La tua vecchia casa era calda, e azzurra, e piena di vita? »
« Sì. »
Lo disse tranquillamente, però chiuse per un momento le doppie palpebre semitrasparenti; gesto che Ludwig aveva imparato ad associare a uno stato emotivo o molto felice o molto triste.
« Capisco… e sai niente della castagnola rossa? »
« Pesce? »
« Sì. È una specie che vive nel Mediterraneo. La forma delle tue pinne è identica alla sua, il colore pure. Insomma, penso che tu sia una castagnola rossa dell’Italia. » Ludwig gli sorrise, « È una specie bellissima. »
La sirena sorrise imbarazzata e arrossì così tanto che le sue guance divennero dello stesso colore delle squame.
« E siccome ridi sempre, ho deciso di chiamarti Feliciano. Significa “felice, contento” in italiano. » Ludwig si grattò la nuca, a disagio, « Cosa… cosa ne pensi? Ti piace? »
Fu allora che vide le prime lacrime di sirena della sua vita.
Feliciano tremò, preso dal violento impulso di saltare al collo del suo amico umano e abbracciarlo stretto stretto.
Tentò di darsi un contegno, e scrollò le orecchie per riprendersi: « Ludwig, grazie. Feliciano… mi piace. »
« D-davvero? Meno male! Che guaio, pensavo, se non ti fosse piaciuto. Io non lo so pronunciare molto bene, però penso che ti stia a pennello, no? Ah, giusto, il cioccolato. »
Glielo allungò, ma Feliciano non lo prese.
« Non lo vuoi? » chiese stupito Ludwig, ma il suo amico scrollò la testolina rossa.
« Scioccolato, lo voglio. Però… » si posò una mano palmata sulla gola e gli sorrise, « Per grazie, nome, canto. Sì? »
Il cuore del giovane tedesco si strizzò come una spugna.
Ormai… ormai la sua voce era come una droga. Non bastava mai, ne voleva ancora, e ancora, e sempre di più.
Sicuramente, doveva avergli fatto un incantesimo; ma a Ludwig andava bene così, perché quello era il periodo più bello, felice e strano di tutta la sua noiosa vita.
« Sì, Feliciano. Canta per me. » e si accomodò meglio sulla sabbia, affondando le dita nelle dune granulose e sfuggevoli, mentre il suo amico ripiegava la pinna, raddrizzava la schiena bruna e vibrava dolci note senza suono, senza voce, senza tempo.
Un giorno, molto presto, avrebbe saputo dirgli anche le parole.
Fino ad allora, Ludwig avrebbe continuato semplicemente a immaginarne il significato; perché non era tanto imparare il tedesco, o le parole della sua canzone… quanto passare più tempo possibile insieme a lui.
Lui… Feliciano, la sua amica sirena.


CONTINUA…



Note:

Roberto: ovvero Roma-Berlino-Tokio. Nome con il quale venne battezzato il patto tripartito nel 1940

Basso sassone: dialetto del basso-tedesco


E siamo al terzo capitolo!
Come stiamo andando? Vi sta piacendo?

Qualche giorno fa mi hanno tolto l’ultimo punto dell’operazione: sono ancora in fase di cicatrizzazione, ma come vedete ciò non basta a fermarmi >:D MHUAHAHAHAH

Pubblicherò ancora due disegni, e due soltanto.
Uno di questi forse sarà un po’ forte visivamente (non per sporcizie yaoiose ma per la “violenza” della scena in sé) quindi devo ancora decidere se mettere un link esterno o fregarmene e spattacarvelo in faccia brutalmente.

Ditemi, siete molto sensibili alla violenza visiva?

Spero proprio di no… altrimenti quello che accadrà più avanti vi provocherà un trauma a vita.

Oddio, non denunciatemi, vi prego D: amanti di Lovino bello, non venite a cercarmi sotto casa, per favore! >_<

Qui lo dico qui lo nego, è colpa di LB Shadow! Non so esattamente per cosa… ma cisti, tanto è sempre colpa sua!

Ci rileggiamo al quarto capitolo!
  
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