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Autore: BabaYagaIsBack    18/03/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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"Yeah, I come alive, I'll survive, take on anything
So paint a target on my back let 'em come for me
I don't fall, don't quit, don't ever sleep
'Cause, I'm on another level that you'll never reach"

- I prevail, Bow Down


Muoversi con il braccio di Zenas intorno alle spalle era difficoltoso, soprattutto in quelle condizioni. Il suo peso la stava schiacciando insistentemente a terra, mentre la gamba malconcia tentava di farli inciampare entrambi ad ogni tentativo di accelerazione - non a caso si stavano muovendo lenti. Troppo.
Alexandria poteva sentire il proprio cuore battere all'impazzata e farle male, ma non avrebbe saputo decretarne con certezza il motivo. Era stanca, ovvio, stava facendo uno sforzo incredibile a trasportare il fratello dopo lo scontro con gli alchimisti e la mutazione, ma oltre a quello c'era anche la paura. E se qualcuno li avesse visti? Erano conciati da far spavento. I visi tumefatti, gli indumenti lisi, la pelle imbrattata di sangue; parevano essere stati vittime del peggiore degli incidenti; ma più degli umani veri e propri Alex era intimorita da altro, o meglio, il Cultus. Potevano ancora rintracciarli, catturarli, rinchiuderli e seviziarli se non si fossero tolti la vita prima, ma in quelle condizioni non era certa ci sarebbero riusciti. E ciò la faceva sentire in gabbia.
Sapeva senza dover avere alcuna conferma che Zenas non avrebbe avuto la forza per iniettarle il suo veleno e, men che meno, che lei avrebbe avuto le palle di recidere la giugulare del fratello. Erano entrambi incredibilmente deboli e tutto per colpa di un'unica persona: Noah. Se quello stupido Hagufah avesse saputo come usare l'Ars, se avesse mantenuto la presa sui ricordi della sua anima millenaria forse non sarebbero stati così fragili. Invece no; aveva perso ogni cosa, dalla sua memoria alla capacità di mantenerli in vita. E se avesse potuto Z'év lo avrebbe maledetto per aver compiuto una simile, riprovevole azione. Possibile che Salomone fosse stato così ingenuo? Possibile che non avesse messo in conto nessuna conseguenza? O forse lo aveva fatto volontariamente?
A quel pensiero il cuore le si strinse, aumentando il dolore che sentiva e facendola inciampare sui suoi stessi piedi - e se non fosse stato per la prontezza di Akràv sarebbero ruzzolati a terra. Con il braccio teso e il palmo premuto contro il muro di un edificio, l'uomo sorresse entrambi, rivolgendole un sorriso che Alexandria in quel momento non riuscì a trovare davvero rassicurante.
«Con calma, akhòt.»
Si morse il labbro, allontanando lo sguardo dal viso di Zenas. Avrebbe voluto dirgli che di motivi per restare tranquilli ce n'erano davvero pochi, che avrebbero fatto meglio a trovare un piano di riserva, eppure tacque, conscia di quanto quei pensieri, probabilmente, stessero facendo capolino anche nella sua mente.

Un piede davanti l'altro si rimisero in moto, stando attenti a qualsiasi rumore o sensazione i loro corpi riuscissero a percepire.
Quando passi insoliti si facevano vicini, Alex si lasciava premere dal fratello contro qualunque edificio avessero accanto. Permetteva alle mani e alle braccia ferite di Zenas di nascondersi sotto ai suoi vestiti, sfiorandole la pelle, così come alle sue labbra di posarsi all'angolo della propria bocca. Celavo il viso di uno a ridosso dell'altro, mentre tra le ciocche di capelli scrutavano i passanti per essere certi di non correre alcun pericolo e, poi, guardinghi, riprendevano il cammino. Mutamente ringraziò più volte i lampioni arancioni, tremolanti e le ombre della sera, la stanchezza, le droghe o l'alcol che gli umani che incrociavano il loro cammino avevano ingerito perché, a differenza del passato, passare inosservati sarebbe stato molto più complicato in una situazione del genere. In silenzio si mossero per le strade senza sapere quanto mancasse alla meta, orientandosi a tentoni in una città che in quelle poche settimane le parve di non aver studiato a sufficienza e più volte, arrivata di fronte a un incrocio, si era chiesta dove andare. Destra? O forse sinistra? E se fossero andati dritti sarebbero comunque stati in grado di ritrovare la strada?
Per fortuna, dove poteva, Zenas aiutava con il suo senso dell'orientamento e, falcata dopo falcata, si ritrovarono a scorgere vie quasi familiari.
Ci volle più di mezz'ora prima che ad Alexandria fosse possibile dire "manca poco", anche se quel "poco" era relativo; in quanto distanza non ne restava molta tra loro e casa di Noah, ma in quelle condizioni il tempo di percorrenza si sarebbe potuto dilatare senza freni. Con suo fratello in uno stato migliore forse quel "poco" sarebbe stato una tempistica rassicurante, reale, ma sfortunatamente non era così e il paio di chilometri che mancavano all'arrivo le parvero estenderei davanti a loro come oceani interi. Quasi le venne la nausea a pensarci.

«Possiamo farcela» sentenziò dopo qualche istante di riflessione, cercando di convincersi - peccato che, in tutta onestà, Alex non si sentiva più sicura di nulla. Da quando Salomone era sparito, e soprattutto ora che c'era Noah al suo posto, l'unica certezza che aveva era proprio l'incertezza. Sarebbe arrivati a destinazione? Probabilmente sì. Zenas avrebbe ricevuto le giuste cure? Forse no. Sarebbero riusciti a fuggire tutti e quattro da Vienna e il Cultus? Difficile a dirsi. Molto.

Akràv mosse una gamba. Il suo passo battè pesantemente sull'asfalto e Z'év si ritrovò nuovamente con la mente sul presente.
Nessuna esitazione.
Stringendo i denti riprese a camminare, costringendosi a non pensare ad altro se non la loro destinazione.

 


 

 

Sentiva l'aria frizzante dell'autunno pizzicargli le guance, ma anche il calore sempre più intenso del corpo di Alexandria contro il proprio. Di certo stava sudando, pensò, perché nonostante la natura alterata della sorella un soggetto della sua stazza era difficile da trascinarsi dietro, soprattutto dopo aver speso tante energie con gli alchimisti del Cultus.
Aveva provato più volte ad agevolarle il lavoro, ma la stanchezza e le condizioni della gamba non avevano fatto altro che intralciare quella brutta versione di una fuga; quindi, tutto ciò che era riuscito a fare per essere d'aiuto, era stato fingere di pomiciare con lei per nascondere agli occhi dei passanti le chiazze di sangue che dal mento le scendevano fino alle cosce. Z'èv sembrava essere uscita dal set di un film splatter, bisognava ammetterlo, e lui in un certo senso non era da meno. Chiunque li avrebbe notati se non fossero stati attenti - e così avevano cercato d'essere. Sicuramente qualche occhio più attento aveva notato parte delle loro ferite mentre si strusciavano l'un l'altra, ma il pudore e l'imbarazzo dovevano aver convinto gli ignari spettatori a non indagare oltre, permettendo loro di arrancare lungo le straße della città. Eppure Zenas non era soddisfatto. Sentiva di non star contribuendo come voluto. E Alexandria era gracile, sfiancata... come riuscisse a procedere senza cedere era per lui qualcosa di incomprensibile.
La Contessa Varàdi, forse più di lui, soffriva la mutazione e la mancanza di cure. Il suo corpo, seppur centenario, non era ancora abbastanza temprato, le avrebbe fatto pagare a caro prezzo uno sforzo del genere ed era certo lo sapesse anche lei - nonostante questo però, non sembrava essere intenzionata a fermarsi.
Merda!, imprecò tra sé e sé rimuginando su quei pensieri. Per quale stupido motivo non avevano recuperato un cellulare? Perché la loro lungimiranza si era assopita tanto da fargli commettere un errore così basilare? A quell'ora avrebbero già avvertito Levi, messo in salvo Noah, capito come agire secondo le indicazioni del fratello maggiore. Invece eccoli lì, ad arrancare lungo una via sempre meno trafficata, in un'area residenziale in cui chiunque avrebbe potuto notarli.

«Stai bene?» Domandò d'improvviso, sentendo il fiato corto rendere le parole instabili.
Alex abbozzò un sorriso senza distogliere lo sguardo dalla strada di fronte a loro: «Ci sono state serate migliori, non posso negarlo» provò a sdrammatizzare, ma era ovvio che fosse ben lontana dallo stare bene. Era paonazza, la fronte leggermente imperlata di sudore. A guardarla con attenzione, seppur dalla sua prospettiva, Zenas notò le pupille dilatate, il colore strano delle iridi e poi il modo convulso in cui le piccole narici si allargavano per poi restringersi. Era allo stremo.

«Lasciami qui e vai avanti. Avverti gli altri, i-»
«Togliti dalla testa questa stronzata, akh» sentenziò dura, molto più di quanto si sarebbe aspettato da lei. Fece altri passi, corrugando la fronte per la fatica: «Non ti lascio alla mercé di quei pazzi o di un qualsiasi enoshiy (umano, inteso dalle Chimere come persona comune). Tu non lo hai mai fatto con me.»
Una stretta dolce gli ghermì il cuore, ma allo stesso tempo si sentì in dovere di insistere, proteggerla dal pericolo; non era forse il compito di un fratello maggiore? Ebbene, allora doveva insistere. Che mancassero dieci, cento o mille metri non gli importava, Z'èz doveva correre da Levi e avvertirlo, solo a quel punto avrebbero potuto pensare a lui.
Deglutì, preparandosi ad agire.
Non era certo delle proprie azioni, sotto sotto forse provava anche una sorta di paura. Non aveva alcuna idea di come si sarebbe potuta evolvere quella notte e, viste le premesse, dubitava di potersi in qualche modo tranquillizzare. E se finalmente fosse arrivato il suo momento? Beh, a essere onesto avrebbe preferito avvenisse in modo diverso, altrove, ma avrebbe accettato quell'evenienza se non avesse coinvolto la sua famiglia e il nuovo Hagufah; così provò a scansarsi da Alexandria.

«Stai buono, akh!» la sentì gemere mentre stringeva la presa su di lui: «non è la situazione migliore per fare il bambino.»
«Allora non farlo, akhòt» puntò i piedi, ribellandosi. Anche se malconcio e malfermo la sua stazza si sarebbe bene opposta alla forza della ragazza al suo fianco, l'avrebbe convinta a procedere senza di lui - eppure, mossa da una grinta inaspettata, Alex lo strattonò tanto da smuoverlo, farlo vacillare, avanzare un passo e sentire il bordo del marciapiede minacciare il tallone.

No!, pensò, ma fu troppo tardi. Non aveva visto il pericolo, men che meno era riuscito a prevederlo; così mentre lei barcollava nel tentativo di evitare la catastofe, Akràv perse definitivamente l'equilibrio. Il dolore che ne seguì fu lancinante, sentì la carne lacerarsi di più a causa dell'osso già rotto. Si morse la lingua con talmente tanto vigore che fu certo essere sul punto di mozzarsela e in un pensiero che aveva l'intensità di un grido imprecò e supplicò.
Possibile che riuscisse a provare tutto quel dolore?

 
   
 
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