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Autore: luxaar    19/03/2018    3 recensioni
Beatrice Macrì è una specializzanda di uno dei più importanti ospedali del Paese. Eppure, nonostante il risultato fino ad ora raggiunto, non è affatto sicura di se stessa, vittima della competizione sprezzante tra colleghi, che la rimproverano di essere troppo debole o comunque troppo poco fredda per quel lavoro così difficile. La passione è ciò che la guida in ogni sua decisione.
Edoardo Della Scala rappresenta, invece, esattamente il contrario di lei, almeno apparentemente.
Cinico, lucido e brillante sul lavoro, è amato da tutti i suoi colleghi e non soltanto perché è il figlio del primario, anche se questo sicuramente non guasta affatto.
Inutile dire che le loro strade si incontreranno e che il tempo dimostrerà loro quanto in realtà, al di là di ogni convinzione e aspettativa, siano inesorabilmente simili.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
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Inspirai.

Mi sentii a casa.

Era il detersivo che usava la mamma.

Sorrisi inconsapevolmente, non realizzando ancora realmente dove fossi.

Soltanto quando aprii gli occhi capii che mi trovavo a casa di Stefano.

Avevo dormito tante volte in quella stanza che sembrava fosse diventata mia; probabilmente presto sarebbe divenuta la cameretta del mio futuro nipote e avrebbe smesso di essere il mio rifugio.

Del resto anche il mio rapporto col padre era cambiato.

Stentavo a riconoscerlo ormai.

E non potei fare a meno di chiedermi se non fossi stata io a idealizzare il nostro legame.

Forse, in realtà, non eravamo mai stati “gemelli mancati”.

Stiracchiandomi un poco scorsi proprio il protagonista dei miei pensieri, addormentato ancora vestito nel mio stesso letto.

Le sue lunghe ciglia facevano ombra su un viso corrucciato.

Cosa lo tormentava?

“Bea” sussurrò destandosi, sotto il mio sguardo insistente.

Il miele dei suoi occhi si fissò su di me, colpevole.

Era consapevole dei suoi tormenti, tanto quanto lo ero io; eppure si mordeva il labbro, quasi a forzarsi di non far trapelare le parole.

Come se esse volessero in realtà scappare.

Ancora una volta il suo rifiuto fu una stilettata dritta al cuore.

Uno schiaffo che sentii quasi fisicamente e che mi obbligò a voltare il viso, a negargli il mio sguardo.

Ci avevo provato a chiuderlo fuori dal cerchio, ma non si poteva semplicemente, da un giorno all’altro, espellerlo dal mio organismo, come fosse un batterio e io avessi assunto un antibiotico.

Al contrario, il batterio ammorbava il mio corpo e l’antibiotico indeboliva il mio organismo.

“Prima che tu lo scopra da sola, c’è anche Edo qui, scusa”

Si scusava per tutto ciò per cui non volevo si scusasse.

“Edo…” mormorai, “ancora neghi di conoscerlo?”

Non stavo urlando, ma mormorando.

Scorsi il suo sguardo spaventato, le mani tremare per stringere poi a pugno le coperte.

Aprì la bocca, come se volesse parlare finalmente, ma nessun suono uscì da essa.

“Ho paura” sussurrò infine a voce spezzata e ad occhi bassi.

Di cosa Stef? Cosa ti terrorizzava così tanto da farti rimanere silente di fronte a me? Era ciò che ti faceva impazzire anche di fronte a Lucrezia? Ciò per cui frantumavi piatti quasi fossero pezzi di te?

L’avevo scorto il tuo intento autodistruttivo.

Così come avevo capito che a quelle domande tu non avresti mai risposto.

Per questo ti abbracciai; non lo meritavi, non per come ti eri comportato fino a quel momento.

Ma io non riuscivo proprio a restare ferma di fronte alla tua sofferenza.

“La verità è che io sono terrorizzato”

******

  

Mio fratello era uscito qualche ora dopo.

Non avevamo parlato. Nonostante tutto era rimasto troppo in sospeso tra noi.

Incontrai Edoardo ben presto però.

Lo osservai muoversi, quasi come si trovasse a casa sua, tra i fornelli.

“Ti piace il pesce spada?” mi chiese ad un certo punto ancora girato di schiena.

Non pensavo mi avesse notata e arrossii a causa dell’imbarazzo.

“Sì, ma non ti preoccupare; non è necessario che tu cucini anche per me, anche perché sto proprio per ritornare a casa mia” affermai di getto, nonostante casa significasse la solitudine assoluta.

“Dobbiamo parlare” si girò di getto, incastrando i suoi occhi nei mei, determinato ed irremovibile come era solo di fronte alle teorie strampalate dei genitori dei suoi pazienti.

Come quella secondo cui il vaccino provocherebbe l’autismo e che tutto è facilmente risolvibile con farmaci omeopatici.

Ero sorpresa.

L’unico da cui mai mi sarei aspettata di ricevere spiegazioni era davanti a me, con una padella in mano e la volontà di dare finalmente adito alle mie domande.

Poco tempo dopo mise di fronte a me un piatto davvero invitante e si sedette di fronte a me.

“Stefano non avrebbe mai voluto che noi due ci incontrassimo. Voglio dire, per lui sei la sorellina da proteggere da tutto e tutti, persino da se stesso.

Ho sempre rispettato questa sua volontà, ma tuo fratello è una delle persone a cui io tengo di più e non posso permettere che faccia l’errore più grande della sua vita.

Per questo ti ho messa alla prova” cominciò a dire con quella sicurezza che emanava solo quando doveva parlare con i genitori dei suoi pazienti.

Questi alle parole del giovane medico comprendevano e ne uscivano rassicurati, mentre io continuavo a non capire.

Parole che avevano senso dal punto di vista sintattico per me erano vocaboli insensati.

“Io… io non capisco” espressi la mia difficoltà.

“Avevo bisogno di capire quanto mi potessi fidare di te.

Per questo ho cercato di provocarti e capire quali fossero le tue reazioni agli stimoli.

Presentarmi a casa tua insanguinato è stata la tua prova finale diciamo.

Mi hai aiutato nonostante fosse chiaro il tuo rancore nei miei confronti e non ne hai parlato in giro.

Esattamente ciò che cercavo.

Capisci ovviamente che non avrei mai cercato aiuto da te se non perché ti volessi testare, no?”

Sentii la necessità di deglutire, mentre le sue parole rimbombavano all’interno della mia testa.

Pensavo che il non sapere nulla fosse doloroso e frustrante, ma una volta che le risposte incominciarono ad arrivare fu molto peggio.

Credevo che quella notte fosse giunto da me perché almeno in minima parte si fidasse delle mie competenze.

Ed invece l’aveva fatto solo per “testarmi”.

Pensavo di poter avere diritto di muovere qualche pedina anch’io all’interno di quell’enorme scacchiera a cui tutti i miei conoscenti sembravano giocare, ma evidentemente mi sbagliavo.

Usata.

Ecco come mi sentivo.

E ancora mi era stata rivelata solo la punta dell’iceberg.

“E se avessi detto qualcosa cosa avresti fatto?” non so da dove uscii quella domanda, ma sentii la mia voce decisa e fissai il mio sguardo nel suo.

Le sue palpebre si chiusero un istante e nel momento in cui potei di nuovo osservare i suoi occhi li vidi offuscati da una patina di malinconica rassegnazione.

“Nulla. Sono già nell’abisso: non puoi spingermi più giù. Ed è proprio perché la mia vita è così devastata che non voglio che anche quella di Stefano diventi così per una colpa che è solo mia.”

La sua voce tremava, come se ogni parola gli procurasse un male fisico; mentre i sensi di qualche colpa ancora a me sconosciuta lo tormentavano.

Di getto strinsi la sua mano tra le mie dita in un gesto di conforto, attraverso il tavolo di legno, dove la sua mano era rimasta poggiata.

Non capivo e non capisco ancora oggi perché lo feci, ma la verità è che io davanti alla sofferenza non so rimanere immobile.

Edoardo allora incastrò i suoi occhi nei miei, sorpreso dal mio gesto.

E seppur ancora si trovasse proiettato in chissà quali tormentati pensieri mi abbozzò un sorriso quasi di gratitudine.

Ma subito dopo ritornò lì, con lo sguardo perso nel vuoto e le labbra strette in morsi di sofferenza, di autocastigazione.

La mano fredda scivolava tra le mie dita mentre le palpebre tremando si chiudevano e il pomo d’Adamo continuava impazzito a fare su e giù come una pallina di un flipper.

E nonostante il suo comportamento indecente nei miei confronti, avrei voluto scuoterlo finché non avesse ripreso il suo ghigno beffardo.

Anche se avevo l’impressione che, persino di fronte alle mie scosse, sarebbe rimasto in quella sorta di trance spaventosa.

Mi sembrava di rivivere quel momento in cui era arrivato a casa mia ferito e continuava a mormorare “Non ce la faccio”.

Sentii la chiave girare nella toppa della porta e sperai vivamente che fosse mio fratello e non Lucrezia.

Rimasi in attesa, ascoltando il rumore dei passi che avevo riconosciuto immediatamente.

“Da quanto tempo è così, Bea?” mi chiese proprio Stefano mentre si avvicinava al suo amico e gli sussurrava “Non è colpa tua” scuotendolo un po’ per le spalle.

“è sempre colpa mia” mormorò lui ancora ad occhi bassi.

Mentre Stefano ed Edoardo comunicavano attraverso dinamiche tutte loro, io osservavo impotente pregando che tutto si potesse risolvere.

Pregavo Dio che qualsiasi cosa stesse devastando e distruggendo senza pietà l’esistenza dei due amici terminasse al più presto.

Non sapevo cosa fosse ma avevo intuito che sicuramente fosse legata ad entrambi.

E mentre mi rivolgevo così strenuamente a Dio sentii la frase che avrebbe cambiato la mia vita.

“Devi metterti in testa che non è colpa tua se mi sono innamorato di te, Edoardo”.

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutte,

spero di riprendere la mano al più presto e spero che, nonostante tutto, abbiate piacere di leggere ancora di Bea ed Edo.

Ho sempre saputo che la trama fosse un po’ ingarbugliata, ma piano piano vi giuro che ogni nodo verrà al pettine e ogni dubbio si dissolverà.

Vi prego di farmi sapere sia in bene che in male,

un abbraccio,

Laura

  
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