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Autore: The Custodian ofthe Doors    19/03/2018    3 recensioni
Sei volte in cui Robert Lightwood è stato un padre esemplare ma solo Alec se n'è accorto ed una in cui tutti lo hanno visto.
♦ First memory.
♦ A little secret for us.
♦ The fourth son.
♦ Have a quality.
♦ Eyes of glass.
♦ Remember.
♦ Father.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Robert Lightwood
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. First memory.


 

Quando Alec era nato per Robert era stato normale portare il figlio dal suo parabatai. Nel momento in cui si era ritrovato davanti alla porta di quella casa, però, qualche dubbio gli era sorto, dopotutto i rapporti con Michael erano diventati più distanti, più freddi, dopo quello che era successo. Eppure non era riuscito a tornare indietro, era rimasto bloccato davanti alla soglia di casa, sul vialetto, proprio ad un passo da quei due gradini che conducevano alla porta della grande residenza. Alec tra le sue braccia riposava tranquillo come lo era da quando era venuto al mondo, gli occhi blu tipici dei neonati ora celati dietro alle palpebre minuscole e sottili, così bianche da sembrar trasparenti.
Si era dato del cretino, dello stupido per essersi presentato lì a quel modo, cosa si aspettava che sarebbe successo? Che Michael sarebbe stato felice di vederlo? Che avrebbe accolto a braccia aperte quel simbolo così evidente, ora innegabilmente tangibile e reale dell'amore suo e di Maryse?
Stupido, stupido Robert, tu e le tue idee. Aveva anche discusso con la moglie su quanto fosse appropriato portare in giro un bambino di appena due settimane, si erano quasi urlati contro mentre lei lo sgridava della sua avventatezza e lui le diceva che non poteva capire, che lei non poteva comprendere il bisogno viscerale di mostrare al suo parabatai il suo primogenito, mostrare ad entrambi un pezzo di lui. Oh, si, perché Robert non si illudeva, era lì per presentare tanto Alexander a Michael, quanto Michael ad Alexander, sperando che entrambi si piacessero.
Dovevano piacersi, ne aveva bisogno.

Era rimasto fermo per quelle che gli parvero ore, un tumulto nel petto paragonabile solo all'ansia di quando Michael si ferì per la prima volta dopo la cerimonia, a quando Maryse lo aveva chiamato a gran voce in preda alle contrazioni. Neanche il giorno del suo matrimonio era stato così in ansia, neanche lì.
Alexander si mosse tra le sue braccia, la coperta celeste che lo avvolgeva lo faceva sembrare un piccolo fiocco di neve in un cielo invernale, coprendogli la testolina minuscola come ogni cosa in quel bambino. Non aveva mai pensato che un neonato potesse essere di quelle dimensioni, sua suocera l'aveva guardato con apprensione dicendogli che in effetti il nipotino era troppo piccolo, che non ne aveva mai visti di bambini così minuti, forse qualche femminuccia, ma di maschi mai.
Piccolo e delicato, tutto in lui suggeriva la cautela che si userebbe sul cristallo più fine e Robert aveva avuto paura che non fosse abbastanza forte, che non sarebbe diventato un bravo combattente perché non era il suo destino, perché la natura, lui e Maryse, lo avevano generato troppo fragile per un mondo violento come il loro, che sarebbe stato come lui, che avrebbe sofferto come lui.
Un vagito basso lo richiamò fuori dai suoi pensieri, persino quando si lamentava Alexander lo faceva piano, quasi un sussurro, come se avesse paura di disturbare, sottovoce.
Lo cullò con movimenti appena accennati, il terrore del cristallo fisso nella sua mente, troppo occupata ad affrontare mille demoni tutti assieme e della razza peggiore: i propri. Non si rese conto neanche che quella runa che tanto tempo fa lo rese la persona più felice del mondo ora era tornata nera e marcata, che pizzicava un poco sulla pelle del suo costato, che i suoi problemi, i dubbi, le paure, le stava condividendo con qualcuno. Che la porta della villa si era aperta, prima socchiusa appena, come se qualcuno si stesse sincerando che quello che sentiva non fosse solo una sua impressione, con quel misto di timore e scetticismo, per poi spalancarla completamente quando si era reso conto che non stava sognando, che malgrado tutto quello che era successo, che si erano detti, che avevano fatto, lui era lì, davanti a casa sua, con un minuscolo fagotto celeste tra le mani, una cosa così piccola che sarebbe potuto benissimo essere un pugnale ma mai una spada. Una cosa piccolissima che si era resa conto di ciò che stava accadendo prima dell'uomo e che aveva cercato di avvisarlo muovendosi con grazia e leggerezza, soffiando un vagito delicato come la brezza che soffiava quel pomeriggio.

Robert teneva il volto piegato verso la stoffa, mormorando parole gentili, domande che non avrebbero mai ricevuto una risposta, non nell'immediato e purtroppo per lui, neanche in futuro, quando avrebbe chiesto al suo primogenito cosa ci fosse che non andava, se stava bene, per sentirsi dire che era tutto apposto che non aveva nulla.
Alzò una mano, allungando poi solo il mignolo per spostare un lembo della coperta e scoprire un esserino pallido come il vetro delle torri antidemone.
Michael trattenne il fiato, guardingo, scese i pochi gradini che lo dividevano dal selciato e allora Robert non poté non sentirlo. Si bloccò in ogni sua azione, deglutendo e muovendo lentamente la testa verso di lui, verso quell'uomo che era una parte di sé da sempre, gli pareva, e che da troppo tempo ormai gli era lontano. Quando poi incontrò finalmente il suo sguardo, dopo averlo esaminato per bene e essersi reso conto che era cresciuto fin troppo dall'ultima volta che si erano visti, Robert si rese finalmente conto che tra tutti i problemi, le domande e le sensazioni che gli mulinavano in corpo, alcune non erano sue, alcune erano della persona di fronte a lui, che finalmente riusciva a risentire come un tempo e che, con grande gioia che seppe di non aver bisogno di esprimere a parole, condivideva molti dei suoi stessi sentimenti.

 

<< Si chiama Alexander.>>

 

La runa parabatai sembrò bruciare come il giorno in cui venne incisa quando Robert strinse a sé Michael, ricambiando l'abbraccio che avvolse Alexander tra le braccia dei due fratelli, facendogli muovere le manine verso le maglie di entrambi e serrando i pugni piccoli come noci proprio all'altezza della loro runa. Abbassando lo sguardo, con le fronti premute l'una contro l'altra, i capelli mischiati ed i volti felici, Robert e Michael rimasero senza parole quando il bambino aprì gli occhi, unica nota grande in quel tripudio di miniature, fissandoli con quelle iridi blu come il mare, come il cielo di notte illuminato dalle stelle, come i colori di una tavolozza, come i quadri nei grandi maestri, come i fiori più rari e delicati. Occhi innocenti e cristallini, velati di curiosità ma tranquilli, sicuri nelle braccia del padre e ora anche in quelle del parabatai di quest'ultimo.
Robert non ebbe alcun dubbio in quel momento, mentre Michael prendeva con cautela il neonato dalle sue braccia: Alexander si fidava di Michael e il suo parabatai, il suo migliore amico, suo fratello, amava già il suo bambino, completamente ammaliato e soggiogato da quell'infante che aveva ridotto in ginocchio anche lui.

Si portò una mano al petto, dove la runa spiccava scura e forte, rinvigorita da un'immagine semplicemente giusta, un'immagine che Robert avrebbe conservato per sempre nel cuore, che mai sarebbe sbiadita nella sua memoria, neanche negli attimi più neri.
Avrebbe risolto ogni problema, avrebbe parlato con Michael, avrebbero trovato la soluzione, sarebbero stati padri assieme, avrebbero fatto conoscere i loro figli, li avrebbero portati al parco, gli avrebbero insegnato a combattere e forse, chissà, magari un giorno anche loro sarebbero diventati parabatai. Sorrise finalmente tranquillo, tutto stava tornando apposto e Michael che faceva versi stupidi ad un incredibilmente divertito Alexander ne era la prova concreta.

 

 

Alec ha ricordi sbiaditi nella sua testa, non sa cosa siano, né da che epoca provengano e per tutta la sua infanzia crede fermamente che siano solo sogni, non gli da' poi così tanta importanza, non ve ne vede.
Ricorda però una distesa verde, colline dai pendii dolci e mossi dalla brezza come da una carezza, li osservava dall'alto, qualcuno lo portava in braccio e anche se ricorda solo una spalla coperta di blu ed un collo chiaro, con i capelli scuri, è sicuro, di quella strana sicurezza che danno i sogni, che si trattasse di suo padre. Ricorda parole sussurrate come un segreto, la voce gli parla di qualcuno che sta per incontrare, un uomo, ricorda un nome ripetuto all'infinito, troppe volte in un solo discorso per ignorare la felicità e l'attesa di quell'incontro. “Mich”
Mich.

Mich.
Zio Mich, forse?

Il cielo è limpido e velato di poche nuvole pigre che si attardano a seguire le compagne, una villa grande, bella e chiara e proprio sulla soglia, ad attenderli consapevole della loro venuta, un uomo, grande come il suo papà, ma dalla figura più fine. Non ha paura, Alec conosce quell'uomo, non lo sa con certezza, ma è lui che associa a quel nome.

Lo zio Mich non vede l'ora di rivederti.

Ha i capelli castani e la pelle rosea, gli occhi marroni, una sfumatura calda e dolce, il sorriso smagliante, la gioia nella voce quando li chiama.
Visto? Cosa ti avevo detto? Starà li ad aspettarci da almeno un'ora.

Scende i gradini che lo dividono dal selciato e gli viene incontro, è vestito di colori chiari, la camicia è celeste ma Alec non può sapere che è lo stesso identico celeste del tessuto della sua coperta, quella che lo avvolgeva la prima volta che era arrivato in quella casa.

Tra poco anche lui diventerà papà, sono sicuro che ti piacerà quanto ti piace lo zio.
Allarga le braccia e attende che sia lui che il suo papà arrivino abbastanza vicini da poterli stringere in un abbraccio e Alec non vede l'ora, adora gli abbracci di quell'uomo perché sono caldi e perché non sono mai solo suoi, ma c'è anche papà che lo stringe, così si sente come quelle rare volte in cui correndo a salutare i genitori tornati da un viaggio i due lo abbracciano contemporaneamente.

Tu sarai il più grande e quindi probabilmente non ti piacerà subito, ma so che poi cambierai idea, lo adorerai e ti prenderai cura di lui, lo difenderai contro tutto e tutti, come facciamo io e Mich.

La casa la conosce, il salotto dove si trovano ha una libraria piena di libri e lui se ne sta in braccio a suo padre che tiene una mano attorno alla sua vita e in un'altra tiene un biberon, vuole dargli da mangiare a quanto pare, ma poi Mich lo blocca e gli dice che vuole provarci lui.
Alec non crede sia una buona idea ma è un bambino buono e lascia che sia l'altro a prenderlo in braccio e reggergli quella bottiglietta gigantesca.
Dovrò pur imparare no? Tra poco arriverà Jonathan e non voglio finire come mio padre, che non sapeva neanche cosa fosse un pannolino. Mi insegnerai qualcosa tu Bobby, e mi eserciterò un poco con questo piccoletto qui, va bene?
Suo padre ride e vorrebbe farlo anche Alec ma non crede di esserci riuscito bene, sente solo un gorgoglio come quello che fa Isabelle quando soffia con la cannuccia nell'acqua.

Povero bambino allora! Non farti false speranze Mich, non sono tutti angeli come Alexander.

Ride anche l'altro, ridono tutti e ci riprova anche lui, a quanto pare il suono che produce diverte i due uomini che ridono ancora di più, prima che suo padre lo riprenda dalle braccia dell'amico che come illuminato da un'idea scatta a prendere qualcosa di indefinito.


Alec ha ricordi sbiaditi dal tempo e dalla lontananza, quel ricordo non proprio ricordo che appartiene ad un'infanzia troppo distante e che è più una sensazione, un'idea che ti sei fatto e che non sai se sia vera o no, di quelle che potrebbero diventare concrete e aggiungersi di particolari e dettagli se qualcuno sapesse che ricordi e ti aiutasse descrivendoti l'evento. Ma nessuno lo sa, nessuno sa che ricorda e Alec è abbastanza convinto che nessuno sappia di quegli incontri, o per lo meno non sappia cosa succedesse. Ha come la sensazione che sia un ricordo così caro e doloroso per suo padre che neanche alla moglie lo ha riferito, che sia il suo segreto, che se per lui è lontano e sbiadito per Robert invece è chiaro e vivido come quando lo ha vissuto, come la prima volta.
Alec ha ricordi sfocati di un uomo castano, gli occhi caldi e dolci, il sorriso smagliante di chi sapeva cosa stava per succedere e non vedeva l'ora che succedesse, ricorda che era felice come lo era suo padre, ricorda che strimpellava con una chitarra assieme a suo padre, i volti concentrati per dar da mangiare a lui e per azzeccare gli accordi, le risate perse nella sala piena di libri e le parole sicure che spiegavano passaggi e metodi di ogni cosa, dalla posizione delle dita sulle corde a come chiudere un pannolino, - anche se questo Alec non lo sa- ricorda persino una donna bionda, con una pancia gigantesca che gli sorrideva dolcemente, che gli raccontava di qualcuno che sarebbe arrivato presto per giocare con lui, che doveva solo attendere qualche altro mese e poi in quella stanza sarebbero stati in due ad ascoltare la musica di una chitarra immersi in tanti libri.
Alec ha questi ricordi che potrebbero essere un sogno o solo un miraggio, che potrebbero non essere veri, che potrebbero essere solo la concretizzazione della sua mente di un racconto se solo qualcuno gli avesse mai raccontato com'era la loro vita prima di essere esiliati da Alicante.
E' più una sensazione, calore, sicurezza, amore, fratellanza, unione, felicità, casa, la stretta di quattro braccia, due toraci ampi collegati da un filo invisibile che lo avvolgevano rendendolo parte di un patto antico e arcano, potente ed effimero, indistruttibile e labile.
Ricordi, sogni, sensazioni, miraggi, suo padre e zio Mich, i volti felici di due fratelli che non pensavano minimamente di doversi dividere da lì a poco per sempre.







 

 
Non si nasce sempre il giorno in cui veniamo al mondo. Spesso si nasce quando si guarda in faccia un genitore e si capisce quanto ci ami, quando tuo fratello tende la mano verso di te, o quando si incontra il primo vero amico, quando si riesce in qualcosa e ci si rende conto che è quello che vorremmo fare per il resto di quella vita appena iniziata.
Alcuni credono che si inizi a vivere all'incontro del vero amore. Troppi non credono nel vero amore.
Alcuni pensano che si cominci a vivere quando ci si realizzi, quando si arrivi dove volevamo arrivare, ma vedo così tante persona ancora in viaggio e mi domando se si arrivi mai alla fine.
Chiedete ad una sposa, vi dirà che la sua vita, la sua nuova vita, è iniziata il giorno del suo matrimonio.
Chiedete ad uno sposo e vi dirà che la sua è iniziata quando ha visto quell'anima affine sorridergli giurando i essere al suo fianco fino alla fine.
Chiedete a vostra madre e vi dirà che ha cominciato a vivere quando ha realizzato che aveva una nuova vita in sé, quando dopo tutto quel tempo in cui eravate solo voi due vi ha potuto finalmente stringere tra le braccia.
Chiedete a vostro padre e vi guarderà senza sapere cosa dire. Non saprà quando ha cominciato a vivere ma potrà dirvi con certezza quando è nato davvero. Quando è entrato in una stanza da cui proveniva un pianto dirotto e vi ha visto per la prima volta.
Nasce con noi nostro padre, perché fino a quel momento è stato uno, era stato l'uomo che vostra madre aveva amato ma non un padre.
Nasce con noi e cresce con noi, impara dai nostri errori e noi dai suoi. Lo conosceremo come un eroe incrollabile e lentamente ci renderemo conto che non lo è, che sbaglia anche lui, che ha fatto degli errori madornali e che pretende anche di dirci come comportarci. Non ci capirà, o forse noi non capiremo mai lui, non lo faremo sino al giorno in cui non saremo padri anche noi. Quando crescendo ci renderemo conto che anche lui è umano e che questa è la più grande dimostrazione del suo eroismo.
Un padre nasce con suo figlio e con lui diventa adulto, con lui cresce e diventa davvero un padre,.
Noi diventeremo padri quando vedremo nostro figlio e decideremo che lo proteggeremo da tutto e tutti, ad ogni coso.
Un padre nasce quando diventa un eroe.
E quando noi scopriremo che non lo è, allora probabilmente ameremo ancora di più nostro padre.
 
   
 
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