23.
I pacchetti di
sigarette acquistati aumentarono con l’andare dei giorni. Riccardo sembrava non
accorgersi di quello che stava succedendo al suo nuovo coinquilino (Brian non
era sicuro che Riccardo lo considerasse suo fidanzato, per via di tanti segnali
che recepiva), perciò tutto quello che faceva era limitarsi a un semplice Credo che tu stia fumando un po’ troppo in
questi giorni.
Dalla conversazione
con Carlo passarono alcuni giorni, durante i quali il rapporto con Riccardo
continuò a essere altalenante: c’erano giorni in cui lo ricopriva di
attenzioni, facendolo partecipe di nuove mostre e altri incassi (in una seconda
mostra era stato più prodigo di attenzioni nei suoi confronti) e facendogli
anche dei regali. L’ultimo che gli aveva fatto era un vestito nuovo, molto
elegante. Brian di solito non indossava abiti così formali, non essendovi mai
stato abituato. Le poche volte in cui si era vestito “bene”, erano circoscritte
a delle occasioni speciali: qualche matrimonio, un battesimo, la laurea di suo
fratello Alex. Tuttavia Riccardo si era fatto promettere che l’avrebbe
indossato qualche volta, ma ovviamente Brian non l’aveva mai fatto. Oltre ai
regali materiali, c’erano anche le occasioni in cui dopo aver fatto l’amore gli
riservava le sue attenzioni riempiendolo di coccole e complimenti, così che
Brian tornava a stare tranquillo ed a convincersi che non ci fosse nulla che
non andasse.
Ma poi Riccardo
riprendeva ad essere freddo e distaccato, a rispondergli tardi o a non
rispondergli per niente quando era fuori casa (Brian si chiedeva che cosa
facesse fuori così tanto tempo, ma non gli veniva in mente nient’altro che il
suo lavoro). Tutte cose che, messe insieme, stavano incominciando a fargli
male.
Una mattina uscì
dalla doccia con l’accappatoio indosso, in preda ai prodromi di un’emicrania.
Si asciugò i capelli in fretta, credendo si fossero un po’ scoloriti, tornando
al loro colore rossiccio naturale, seppur chiazzato da qualche filo bianco.
Nonostante tutto,
erano ancora tutti al loro posto, ben saldi sul cuoio capelluto. Si rallegrò di
ciò, ma al tempo stesso si fermò a guardarsi nel grande specchio del bagno.
Tra due mesi
avrebbe compiuto ventotto anni. Era ancora bellissimo e desiderabile, e inoltre
era stato così fortunato a cambiare vita dopo dieci anni d’immobilismo. Si
complimentò con sé stesso, ma ciò non servì a far passare la sensazione di cui
aveva parlato a Carlo: si sentiva disorientato, smarrito.
Disorientamento. Smarrimento.
Erano quelli gli
unici nomi con cui chiamava quella sensazione di tensione che si accompagnava
all’infelicità…
Ancora una volta si
ritrovò a darsi dello scemo, perché questa era la vita che voleva e non quella
di prima, fatta di noia.
Si toccò la testa,
sentendo che il mal di testa cominciava a martellare. Era giunta l’ora di
prendere una bella dose di analgesico.
Uscì dal bagno e
andò a vestirsi.
*****
Tra le altre cose,
l’unico consiglio che era riuscito a dargli Carlo era stato quello di provare a
parlargli.
Un pomeriggio, approfittando
del fatto che Riccardo fosse a casa, ci provò. Riccardo stava lavorando nel suo
studiolo sottostante il soppalco, con la porta scorrevole aperta. Ciò suggerì a
Brian che fosse disposto ad ascoltarlo, al che si fece avanti.
Gli si avvicinò con
quella solita circospezione inconscia, come di chi si avvicina a una belva
feroce pronta ad attaccare, e si fermò a guardarlo.
Lui non lo degnò di
uno sguardo fino a che Brian non si schiarì la voce. In quel momento Riccardo
si voltò e sorrise, come se fosse stato sorpreso di vederlo lì.
- Ciao, Bri –
lo salutò, sorridendogli.
- Ciao Ricky. Cosa
stai dipingendo? –
- Un nuovo lavoro.
Di cos’hai bisogno? – rispose lui, telegraficamente, mentre ancora dava
pennellate.
- Avrei bisogno di
parlarti. –
Brian restò lì ad
aspettare una sua risposta, che però non arrivò. Come faceva di solito.
- Riccardo…? Ci
sei? -
- Perdonami, ma
adesso proprio non posso. –
Ignorando
totalmente la sua richiesta, Brian cominciò a parlare. – Ho bisogno di
parlarti di una cosa. Vorrei chiederti se va tutto bene. Va tutto bene, tra di
noi? –
- Brian, per favore
– disse, in tono assertivo Riccardo – Sono concentrato. –
- Io credo che tra
di noi vada tutto bene, ma vorrei averne la conferma da te, perché, vedi, ho
bisogno di comunicarti delle cose che mi lasciano perplesso. –
Non era sicuro che
Riccardo avesse ascoltato tutta quella frase, dal momento che continuava a
lavorare come se nulla fosse.
- Riccardo? Ho
bisogno che tu mi ascolti. –
A quell’ultima
frase, Riccardo s’interruppe bruscamente, lo guardò con i denti stretti dietro
la bocca e prese un gran respiro. Poi alzò la tavolozza coi colori e la sbatté
via alla sua sinistra, tanto che Brian dovette scansarsi per non beccarla
diritta sui piedi nudi. Brian fece per aprire bocca, ma Riccardo soppresse sul
nascere il tentativo.
- Ti ho detto che sono concentrato, cazzo!
Quando ti dico che sono concentrato, non devi rompermi i coglioni! Capito?
Non-devi-rompermi-i-coglioni!!! Adesso mi hai fatto sbagliare un particolare,
dovrò correggerlo e mi ci vorrà un casino di tempo per rifarlo come lo volevo.
E non sarà mai come doveva essere! Cazzo! Cazzo! Cazzo!!! – urlò,
pestando i piedi e incominciando ad andare avanti e indietro per la stanza.
- Cosa sei, un paranoico? Hai bisogno di
conferme per sapere che va tutto bene? sì, cazzo, va tutto bene! Ecco! Adesso sei
contento? Rompicoglioni di un bambino viziato! –
Mentre camminava,
si alzò per andare in bagno, e lì sbatté la porta con fragore, chiudendocisi
dentro. Rimasto solo, Brian osservò impietrito la porta del bagno, spaventato
dall’eventualità che potesse riaprirsi e che lui potesse uscirne. Rimase lì un
bel po’ di minuti, fino a che non abbassò lo sguardo, vedendo il suo piede
sinistro sporcato da una quantità di macchie gialle, arancioni e rosse. Si
allontanò lentamente, andando verso il mobile della cucina per prendere uno
straccio, quindi raccolse la tavolozza e pulì i colori sparsi per il pavimento,
cercando di trattenersi dall’incominciare a piangere.
*****
Si era seduto sul
divano, coprendosi con una coperta per combattere la sensazione di freddo che
l’aveva improvvisamente ghermito. Senza accorgersene, aveva incominciato a
rannicchiarsi sempre più in sé stesso, cercando di raccogliere quanto più
calore possibile dalla coperta che lo avvolgeva, finché non si era
addormentato. Come al solito aveva sognato, e ciò che aveva visto non era stata
una bella visione: aveva sognato che Riccardo lo cacciava di casa e lo
abbandonava per averlo disturbato mentre lui cercava di chiedergli scusa ma
senza risultato. Stava ancora sognando quando Riccardo gli fece una carezza sulla
guancia e gli diede un bacio sulla fronte per svegliarlo.
Trovandosi davanti
il suo faccione, Brian gli rispose con un mezzo sorriso, essendogli grato per
averlo svegliato da quel sogno così terribile. Era ancora lì con lui, non
l’aveva cacciato da casa sua.
- Ben svegliato,
dormiglione – disse, dolcemente. Il suo viso sembrava essere tornato
quello di prima, non c’era più traccia della rabbia che fino a poco fa l’aveva
alterato.
- Grazie… che ore
sono? –
- Le sette passate.
–
- Oh… ho dormito
tanto, allora. –
- Quasi tre ore.
–
- Già… vuoi che ti
prepari qualcosa per cena? –
- A dire il vero…
pensavo che… - Riccardo abbassò lo sguardo - …pensavo che potremmo andare a
cena fuori. Scusami se prima ti ho trattato così, è che quando sono concentrato,
non rispondo di me. –
- Non fa niente
– rispose Brian, contravvenendo a quanto gli aveva detto il suo amico
Carlo, che sicuramente, fosse stato al suo posto gli avrebbe ficcato una
ciabatta in bocca e risposto di sbattersi la sua cena fuori dove non batte il
sole e, ancor prima di tutto ciò, non si sarebbe certo addormentato sul divano
di uno stronzo del genere.
- Pizza o
ristorante? Si potrebbe fare una pizza, magari… conosco un bel locale, molto
rustico. Si chiama Il Muretto. Lo
conosci? –
A quel nome, Brian
avvertì i capelli drizzarglisi sulla testa. Voleva davvero portarlo lì, nel
ristorante dove s’incontrava con Corrado i primi tempi? Si toccò la testa,
fingendo un capogiro, quindi si mise a sedere.
- Bri, tesoro.
Cos’hai? –
- No… no, niente.
Non preoccuparti. A dire il vero stasera non ho voglia di pizza. Potremmo
andare ad un cinese, che ne dici? –
- Dico che va bene
– rispose Riccardo, sorridendo. Brian gli sorrise, tirando mentalmente un
sospiro di sollievo. Non sapeva nemmeno lui perché, ma non voleva farsi portare
da Riccardo nel locale di Corrado. Forse perché non voleva rivivere i bei tempi
passati insieme a lui, o più probabilmente perché voleva preservare un luogo
così felice e significativo dalla sua persona.
- Mi cambio e
andiamo subito – disse Brian, alzandosi dal divano e dirigendosi verso il
soppalco.
*****
Non era vero che
per Brian non era successo niente. Le scene dell’episodio avvenuto nel
pomeriggio continuavano a ricorrergli nella mente, sebbene Riccardo quella sera
stesse facendo di tutto per dimostrarsi amabile e gentile. Per un po’ riuscì,
ma inevitabilmente Brian continuava a ricordare ciò che aveva detto e fatto
prima, e manteneva le distanze. In più, sentiva di nuovo i prodromi di
un’emicrania. Si domandò se anche quando era insieme a Corrado ne soffriva così
tanto, ma scacciò quel pensiero dalla mente: la risposta, purtroppo, era no.
Per tutta la serata
Riccardo aveva parlato dei progetti che aveva in mente di fare insieme a lui:
cambiare casa e trasferirsi in un appartamento più signorile, o magari
addirittura una villa (i soldi non stanno
facendo fatica ad entrarmi, aveva detto), insieme a lui formalmente
vincolati da un’unione civile. Brian aveva annuito e sorriso di tanto in tanto,
ma la domanda di fondo era se voleva davvero seguire Riccardo nei suoi
progetti. Qualcosa gli diceva di sì, che lo voleva con tutto sé stesso perché
era il ragazzo dei suoi sogni ed era disposto al piccolo sacrificio di evitare
di seccarlo quando era concentrato e di non cucinargli pancakes a colazione;
un'altra parte di sé invece gli diceva che un fidanzato non doveva essere così
violento nei confronti del suo partner, invece doveva essere aperto al dialogo
e più accomodante… e apprezzare gli sforzi che venivano fatti per amore. Cose
che Riccardo (almeno per il momento) non era sembrato in grado di fare.
- Riccardo, io … -
lo interruppe, sul più bello mentre parlava della cerimonia post-unione civile.
Riccardo gli lanciò un’occhiata neutra ma carica di rimprovero perché l’aveva
interrotto, quindi Brian si affrettò a scusarsi e a dirgli di andare avanti,
che tanto si era dimenticato ciò che voleva dirgli.
In realtà avrebbe
voluto dirgli che forse stava correndo un po’ troppo. Se Corrado non gli aveva
mai proposto nulla per dieci anni, un motivo c’era: era stato più discreto? No.
Credeva piuttosto che Corrado volesse prima vedere se potevano essere
compatibili (…e lo siamo stati; per dieci
anni, lo siamo stati, pensò Brian), prima di fargli una proposta così
impegnativa come una formale unione civile… Perché Corrado avrebbe voluto solo
il bene per il suo ragazzo.
Invece Riccardo già
stava costruendo montagne di castelli in aria. Per la prima volta nella sua
storia con Riccardo, si sentì sfinito da una conversazione insieme a lui.
Terminata la cena,
si avvicinarono all’auto. Brian fece per aprire il suo sportello, ma Riccardo
lo prese da dietro e provò a baciarlo. Brian si oppose, fermandolo.
- Aspetta –
gli disse – Non adesso, c’è un po’ troppa gente. –
- Ma cosa te ne
frega…? Lasciali che guardino, no? –
Per qualche strana
ragione, dopo quella serata non aveva più tanta voglia di farsi baciare da lui.
Non glielo disse direttamente, ma la sua reazione fu la stessa di come se
gliel’avesse detto in faccia, sbattendoglielo chiaro e tondo: si svincolò
dall’abbraccio, sbattendolo leggermente contro la portiera della sua Smart. Sorpreso
Brian aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma Riccardo era già montato
e aveva addirittura acceso il motore (senza aspettare che salisse!!!). Brian fece
appena in tempo a entrare nell’auto: aveva la netta sensazione che se non
avesse fatto in fretta, l’avrebbe lasciato lì.
Per tutto il
tragitto non si scambiarono una parola. Brian però pensò di riparare
offrendogli la sua mano sinistra mentre guidava. Riccardo la prese e gliela
strinse dolcemente.
Arrivati a casa, si
tolsero i cappotti e lì Riccardo incominciò ad abbracciare e baciare Brian
spingendolo verso il divano. Per un po’ Brian rispose, ma poi cercò di
divincolarsi quando Riccardo incominciò a toccargli il sedere e a baciarlo con
una foga degna di chi fosse stato in preda a un raptus di follia.
- Mmm… Brian…
amore… - diceva Riccardo mentre lo baciava.
- R..Ricc… amore…
non … Aspetta… -
- Voglio farmi perdonare.
Dammi l’occasione di riparare. –
- Ho… ho mal di
testa, Riccardo. S…scusami. –
Ignorandolo
totalmente, Riccardo incominciò ad armeggiare con il bottone dei jeans di
Brian, cercando di toglierglieli mentre era sul divano. Per la verità era più
come se cercasse di strapparglieli, in preda ad un desiderio compulsivo di
possederlo, che lo spaventò leggermente.
- Lasciami
Riccardo, mi-mi stai facendo male! – esclamò, prendendo il coraggio per
afferrargli i polsi e stringerglieli.
A quella
dimostrazione di forza, Riccardo si fermò, guardandolo negli occhi e smontando
velocemente da lui, come se avesse avuto qualche strana malattia.
E di nuovo, si
rimise a urlare per la seconda volta quel giorno.
- Merda! Si può sapere che cazzo ti prende,
tutto d’un tratto, Brian?! Che cazzo significa questo??? Se non volevi scopare
potevi anche restartene insieme a quella scoreggia fritta del tuo ragazzo e non
rompere i coglioni a me!!! – urlò, mollando un calcio al tavolino al
centro dell’angolo salotto che fece volare alcune delle riviste che vi erano
poggiate sopra.
Brian si tenne la
testa con le mani, sentendo l’emicrania farsi sempre più forte date le
sollecitazioni sonore. Forse intuendo che gli stava facendo più male che bene, Riccardo
rincarò la dose di urla.
- Che cazzo vuoi da me, eh?! Che cosa cazzo ci
sei venuto a fare qui? Sai cosa vuoi dalla vita o non lo sai e vieni a cercare
aiuto da me? È ora che cresci, hai capito?! –
A quel punto,
finita la litania di insulti e parolacce, Riccardo si allontanò, salendo
velocemente le scale che portavano al soppalco. Brian allora corse in bagno,
prese due aspirine e bevve con le mani a coppa l’acqua del rubinetto per
mandarle giù. Si sentì umiliato, offeso, dolorante. Avrebbe voluto piangere, ma
si trattenne. Anziché piangere, si guardò allo specchio.
Lentamente, come un
automa, incominciò a spogliarsi. Prima le scarpe, poi i calzini… i jeans… e
tutto quanto. Uscì dal bagno nudo, quindi salì le scale. Riccardo era lì seduto
sul letto, la testa bassa. Sembrava un barbone che chiedeva l’elemosina. Gli
andò dietro, inginocchiandosi sul letto e toccandogli una spalla.
Lui non si mosse né
disse nulla.
Brian riprovò, ma
ancora Riccardo non fece nulla.
Sapendo che
insistere con lui era controproducente, Brian si mise sotto la coperta. Forse
per quella sera Riccardo avrebbe rinunciato al suo divertimento.
Ovviamente era una
vana speranza: Alcune ore dopo che si erano messi a letto entrambi, Riccardo
l’aveva svegliato entrando di prepotenza nel suo corpo, facendogli un male
terribile. Brian mandò qualche gemito di dolore durante la penetrazione, che
per fortuna durò poco, perché Riccardo smise dopo appena cinque minuti. Uscito
dal suo corpo, gli diede le spalle e si addormentò.
Sull’altro lato,
Brian era ancora sveglio. Avvertiva la sensazione di caldo umido in mezzo alle
gambe, ma non soltanto lì: calde lacrime di disperazione avevano incominciato a
rigargli il volto, e questa volta non si sarebbero asciugate tanto facilmente.