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Autore: Laylath    20/03/2018    4 recensioni
(Seguito di Un anno per crescere).
Da quel fatidico anno che unì in maniera indissolubile un gruppo di ragazzi così diversi tra di loro, le stagioni sono passate per ben cinque volte.
In quel piccolo angolo di mondo, così come nella grande città, ciascuno prosegue il suo percorso, tra sorprese, difficoltà, semplice vita quotidiana. Si continua a guardare al futuro, con aspettativa, timore, speranza, ma sempre con la certezza di avere il sostegno l'uno dell'altro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 31. Interferenze

 


 
L’entusiasmo per l’avvenuta ripresa di relazione con Rebecca fu tale che Jean si premurò di riempire di dettagli la lettera che spedì ad Heymans la settimana successiva. Proprio lui, che se scriveva due pagine scarse era tanto, inviò una missiva di dieci fogli buoni dove, con parole confuse e orgogliose, spiegava all’amico la sua geniale trovata che aveva fatto riappacificare Riza e Rebecca e riportato la sua storia d’amore (sebbene mai questa parola venne scritta) a gonfie vele.
Ricevere quella lettera fu per il rosso una gradita sorpresa: nelle ultime settimane si era spesso rammaricato di non esser stato vicino al suo miglior amico in un momento così delicato della sua vita e diverse volte aveva pensato di prendersi una pausa per poter tornare in paese per un mese buono e non per i pochi giorni che si poteva concedere ogni tanto e che comunque non gli lasciavano il tempo necessario per dedicarsi davvero alla famiglia e agli amici.
A dire il vero dietro quell’insistente voglia di tornare a casa c’era anche un altro motivo: il periodo che stava vivendo non era proprio sereno. La causa di questo malessere non era da cercarsi certo nella sua vita cittadina e universitaria che, anzi, lo appagava completamente: aveva dato buona parte degli esami previsti in quei mesi, avvantaggiandosi rispetto alla maggior parte dei suoi compagni di corso che invece arrancava nelle materie più ostiche del diritto. Studiare non gli pesava per nulla, aveva sempre avuto una mente pronta e vivace: i meandri della giurisprudenza lo affascinavano e si soffermava sulle più piccole sfaccettature della Costituzione di Amestris.
A tutto questo si era aggiunta una novità non da poco: il giudice Doyle gli aveva proposto di seguire alcune delle sue cause, collaborando con i suoi assistenti. Poter imparare da un’autorità come il padre di Arthur era una grande occasione, senza contare che era stata un’iniziativa proposta solamente a lui.
“Totalmente slegato dall’Università, sarebbe un qualcosa al di fuori del curriculum scolastico che ti porterà vantaggi una volta finiti gli studi. Te lo propongo perché vedo che hai talento e so che fornire della pratica è sempre utile. Anche se sei al secondo anno hai dato gli esami necessari per districarti e soprattutto hai quel dannato buon senso che ormai sta sparendo nella giurisprudenza”.
Heymans si era trovato ad accettare in nemmeno dieci secondi, merito anche di quegli occhi chiari che lo sfruttavano con intensità, pronti a valutarlo qualunque fosse stata la risposta o l’esitazione. Per una frazione di secondo aveva dubitato che si trattasse solo di un mero trucco per spronare in qualche modo Arthur, colpevole di non essere ancora rientrato nella dimora paterna, ma poi si era riscosso: quell’uomo così austero e onesto non si sarebbe mai abbassato ad una cosa simile. Certo restava l’incognita di una reazione scontrosa di Arthur ad una simile notizia. Non tanto per gelosia, quanto per l’irritazione nel vedere il padre immischiarsi in qualche modo nel loro rapporto di amicizia. Ma per come la vedeva lui, l’amicizia si misurava anche da queste cose: essere felici per gli altri a prescindere da quanto costava ingoiare il rospo.
Comunque, frenato da un lieve senso di colpa, non ne aveva ancora parlato con l’amico e l’unica ad aver saputo della grande notizia era stata un’entusiasta Erin.
 
Ed il motivo del malessere mentale del rosso veniva proprio dal suo tirocinio presso il tribunale.
Non che ci fosse qualcosa che non andava, anzi i due assistenti del giudice l’avevano accolto con grande educazione ed erano pronti ad aiutarlo nel caso avesse qualche dubbio. Lo stesso lavoro che gli veniva affidato era interessante e stimolante: poter toccare con mano dei veri casi gli dava una scarica d’adrenalina che nessun libro gli aveva mai procurato.
Ma dopo una settimana questa medaglia brillante aveva mostrato il suo retro più oscuro. Era tutto iniziato con un semplice faldone che gli era stato consegnato, con la richiesta di mettere in ordine tutte le deposizioni ed i documenti dato che in cancelleria avevano fatto un mezzo disastro. Non c’era niente di complicato: i fascicoli non erano troppi e serviva solo un minimo di organizzazione.
Tuttavia il suo sguardo non aveva potuto fare a meno di cadere sul titolo della causa.
Morris contro Loris – causa di separazione e affidamento dei figli.
Una semplice frase, nella prima riga di un foglio leggermente spiegazzato sull’angolo per via di una graffetta inserita male. Ma era stata capace di far salire uno strano magone alla gola di Heymans. Di colpo quella causa non era più un mero esercizio: ombre del passato l’avevano obbligato a leggere con attenzione ogni singolo foglio, ogni testimonianza, cercando similitudini con la sua vita.
Perdita di soldi al gioco, infedeltà... Le pagine si susseguivano impietose, tracciando il quadro di un matrimonio infelice durato fin troppo, fino a quando la donna aveva trovato il coraggio di denunciare dopo l’ennesimo affronto. In tutto questo due bambini di mezzo, il più grande di nemmeno dieci anni,  motivo principale della disputa. Il padre apparteneva ad una delle famiglie più in vista della città e questo spiegava perché le deposizioni erano relativamente poche: si stava ovviamente cercando di far passare tutto nell’ombra senza che la stampa scandalistica si immischiasse troppo. I due figli erano eredi di una grande fortuna e, nonostante tutte le sue pecche e le sue mancanze come padre, l’uomo voleva che restassero in seno alla propria famiglia. Nella sua dichiarazione sosteneva, senza troppi giri di parole, che i bambini avevano diritto all’educazione e all’agio che solo la sua casata poteva offrire dato che la moglie proveniva da un ceto meno abbiente e col divorzio avrebbe avuto uno stile di vita molto più modesto.
E ad Heymans questo aveva molto male perché si rendeva conto che la legge era dalla parte dell’uomo. Adesso aveva dalla sua quasi due anni di studi, ma aveva già imparato tempo prima che non sempre la vita era giusta: ci aveva pensato il signor Fury a spiegarglielo, ponendolo davanti a quelli che erano gli effettivi diritti di Gregor – quanto gli aveva fatto male pensare a quel nome, a quella figura che tornava dal passato – su lui ed Henry.
“E’ vostro padre, per la legge ha più diritti su di voi, specie perché non siete così piccoli. Ha mai picchiato te ed Henry?... ha mai fatto qualcosa che concretamente vi ha danneggiato? E non parlo di indifferenza o diversità di trattamento… parlo di cose fisiche e materiali, perché sono queste che hanno maggior peso nella separazione. Non è facile, Heymans, il cognome che portate tu e tuo fratello è una catena che vi lega strettamente a lui. Anche se è ubriaco, non ha lavoro, non c’è prova che lui sia un cattivo padre… un cattivo marito sì, perché c’è il tradimento. Ma riguarda Laura e non te ed Henry: non è per niente scontato che la vostra custodia vada a lei.”
Dunque, per quanto si sforzasse di restare emotivamente distaccato da quella causa, Heymans non era riuscito ad evitare un cambiamento d’umore più che evidente. L’idea che una buona madre venisse separata dai figli per un puro capriccio legislativo gli sembrava totalmente ingiusta: una buona educazione non poteva competere con il vero amore di una genitrice attenta, senza contare che quella donna non andava certo a vivere nella miseria: l’ex marito forse le avrebbe anche dovuto pagare una rendita. Ma per i figli non c’era molto da fare: trattandosi di una famiglia importante e comunque salda la legge guardava con maggior favore a quest’ultima per quanto concerneva il benessere dei bambini.
 
“O ti sei accorto di aver sbagliato qualcosa nella tesina che abbiamo presentato stamane, cosa che ritengo assai improbabile dal primo del corso, o qualcosa ti turba e non me lo vuoi dire”.
Le parole di Arthur, dette con la solita noncuranza, fecero quasi sobbalzare Heymans dal suo letto, un pomeriggio in cui si era messo a rimuginare per l’ennesima volta sulla questione. Si girò ad osservare il suo compagno che, seduto alla scrivania, sfogliava con aria annoiata il testo del loro prossimo esame.
“Si vede così tanto? – rispose con ironia, fermo nel suo proposito di non far trapelare nulla sul suo passato – Beh, succede anche al primo del corso, mi dispiace distruggere le tue certezze”.
“Ci sono ben poche certezze a questo mondo, Heymans Breda – sogghignò Arthur lasciando del tutto il libro e girandosi verso di lui, un lampo di malizia che appariva negli occhi chiari – e dunque non mi sorprendo mai di nulla. Però mi piace osservare e cercare di capire cosa frulla nella tua testa complicata: dovresti essere contento che ti trovi degno di tali attenzioni”.
“Contento? Perdonami se ti contraddico: spesso essere degno delle tue attenzioni vuol dire finire nei guai, come ammetti tu stesso”.
“Oh dai, mi bastano dei laconici si o no. Accontentami in questo piacere personale: magari ne trai dei benefici pure tu”.
“Che sarebbe? Una variante di obbligo o verità?”
“Ma no, semplici conferme alla mia deduzione. Allora, c’entra per caso la collaborazione che stai facendo con mio padre e che stai pateticamente cercando di tenermi nascosta?”
Se ci fosse stato Jean avrebbe spalancato la bocca per la sorpresa, ma Heymans riuscì a mantenere un discreto autocontrollo, sebbene nella sua mente iniziasse a cercare da dove fosse fuoriuscita la notizia. Possibile che si fosse sbagliato così tanto sul giudice Doyle?
“No, non me l’ha detto il mio vecchio, se è questo che credi – lo corresse subito Arthur, seguendo i suoi pensieri – a dire il vero non parlo con lui da una decina di giorni. Quando passo a casa a salutare mi assicuro che non sia presente e credo che i nervi di mia madre ne traggano parecchio beneficio”.
“Forse avrei dovuto parlartene da subito – scrollò le spalle il rosso, decidendo che non era il caso di nascondere quella che ormai era un’evidenza – ti chiedo scusa…”
“Ma no, in fondo per te è una grande occasione – rispose il moro, senza alcun rimprovero nella voce, segno che non era minimamente colpito dalla decisione paterna – e anche se ho problemi a relazionarmi con lui, sono il primo a dire che mio padre è un grande giudice e che si può solo imparare a lavorare sotto la sua direzione. Sono solo ribelle, mica stupido. Se ti ha scelto vuol dire che ha grande stima di te e per una volta tanto, stranamente, sono d’accordo con lui”.
“Crollerà il mondo…”
“Comunque torniamo al nostro gioco… vediamo, non è il fatto di aver tenuto nascosta questa collaborazione al sottoscritto, vero? Però c’entra qualcosa: all’Università non hai nessun problema e di certo non saresti così turbato per un esame. Ed inoltre quando hai letto le ultime lettere ricevute dal paese ero presente pure io e non ti ho visto minimamente turbato, anzi sembravano belle notizie”.
“Dovresti fare il detective, lo dico sempre e continuerò a ripeterlo…” sbuffò Heymans, senza nascondere l’ammirazione per le capacità del suo compagno di studi.
“Dovrei? Allora fammi continuare ad allenarmi… con la graziosa cugina che mi hai presentato qualche settimana fa pare andare tutto bene: ti ha persino portato una torta due giorni fa, ottima devo dire. Non sono un grande amante della crema ma era davvero buona. Comunque, tornando a noi, andando per esclusione, resta la parte delle tue giornate di cui ancora non mi parli: l’aiuto che dai a mio padre”.
Heymans sbuffò, mettendosi a braccia conserte: certe volte le capacità di deduzione di quel ragazzo lo lasciavano davvero sconcertato. Era abituato ad essere lui stesso quello intuitivo del gruppo ed essere messo spalle al muro in questo modo non era per nulla piacevole.
Questo qui se si mette d’impegno è capace di ricostruire la mia storia in un paio d’ore.
“Sì – concesse – è per l’aiuto che do a tuo padre. Niente che riguardi la sua persona o quelle dei suoi collaboratori, intendiamoci. Semplicemente ho a che fare con un caso piuttosto antipatico e la cosa mi mette di cattivo umore”.
“Patteggi per la parte destinata a perdere? Non saresti così cupo altrimenti – lo stuzzicò Arthur, intuendo di essere arrivato al nocciolo della questione – mio padre tende spesso a fare la morale su quanto possa essere ingiusta, almeno in apparenza, la legge. Ogni tanto, quando ancora spera che diventi un giudice famoso, mi dice che all’inizio della carriera sarò costretto a scontrarmi con la dura realtà che non potrò dare giudizi secondo i miei personali gusti. Uno dei tanti motivi per cui non mi ci vedo proprio a stare in un’aula di tribunale ad ascoltare dei litiganti”.
“Uomo saggio tuo padre. Forse mi ha proposto di fare questo tirocinio con lui anche per farmi sbattere la testa contro quanto mi aspetta”.
“Gli piaceresti molto come figlio – ammise Arthur, per nulla turbato – hai la testa sulle spalle, intelligenza, buonsenso: anche se non farai il giudice avrai una grande carriera nel campo dell’avvocatura. E sarei felice di averti come fratello maggiore: in questo modo tutte le aspettative sarebbero su di te e io non sarei costretto ad andare via di casa per respirare un po’ di aria pura”.
“Gli piacerei come figlio, eh?” Heymans rifletté su questa beffa del destino. A quanto pare diversi genitori lo consideravano come figlio perfetto, persino uno particolarmente esigente come il giudice Doyle. Solo Gregor non l’aveva pensata in questo modo.
“Comunque sono arrivato ad una conclusione – disse ancora il moro, distogliendolo da quei pensieri – hai bisogno di svagarti. Considerato che adesso ti dai da fare anche in tribunale, è più che salutare che ti prenda delle pause: la tua testa imploderà con tutti questi pensieri e non puoi certo aspettare le rare volte che scendi nel tuo paesello, no?”
“Proponi una cena fuori?”
“Certo, ma a quattro: tu hai bisogno di una bella ragazza che ti faccia divertire… niente di sconveniente, non fare quella faccia. Guarda che sono dinamiche normalissime: si esce, si va a mangiare da qualche parte, si fa un bel giretto per le vie del centro e finisce lì. Se poi la storia prosegue sono fatti vostri. Può anche risolversi con un nulla di fatto ma con delle ore passate in piacevole compagnia”.
Heymans scosse il capo con forza: l’idea di uscire con una ragazza lo spaventava, anche se era da stupidi avere dei simili timori. Sapeva benissimo che Arthur aveva ragione: non c’era niente di male nel passare un paio di ore con una di loro, sebbene non avesse la minima idea di come si sarebbero potute evolvere le cose. Paradossalmente l’essere figlio di suo padre arrivava a condizionarlo anche in questa sfera della sua vita: non che credesse che in lui ci fosse qualche seme di cattiveria, ma preferiva evitare l’argomento ragazze. E poi…
“… andiamo, non sono bello come te. In una cena a quattro sfigurerei e la mia compagna rimpiangerebbe la mia presenza”.
“Sottovaluti il tuo fascino – strizzò l’occhio Arthur, con la sicurezza di chi è consapevole di essere bello – sei una persona interessante che può parlare di decine di argomenti. Tu tendi a…”
“Buon pomeriggio! – salutò Erin, entrando – Oh, scusatemi! La padrona di casa mi ha detto che eri in camera e ho pensato di salutarti, Heymans. Non pensavo fossi in compagnia del signor Doyle!”
“Signor Doyle! – esclamò il moro con aria offesa – quello va bene per mio padre! Per te sono Arthur, signorina Erin”.
“Se tu sei Arthur allora sono solo Erin” ridacchiò lei, recuperando i suoi soliti modi affabili.
“Avevamo un appuntamento che mi sono dimenticato?” le chiese Heymans.
“No, ma sono passata per invitarti a casa a pranzo domenica prossima”.
“Più che volentieri, riferisci pure a tua madre che…”.
“Ehi, Erin, senti – la invitò Arthur, facendole cenno di unirsi alla conversazione – ci sono tutti gli indizi che tuo cugino in questo periodo sia un po’ stressato per lo studio e per il lavoro che sta facendo per mio padre”.
“Sai che iniziavo a pensarlo pure io?” rispose lei seriamente, quasi fosse un medico che si consulta con un collega.
“Vedi, Heymans? Se pure tua cugina la vede in questo modo vuol dire che ho ragione. Erin, pensavo che uscire con una ragazza non gli farebbe male, che dici?”
“No, senti…” iniziò il rosso, iniziando a sentire un imbarazzante calore sulle guance.
“Devo dire che mi pare una buona idea – lo interruppe la giovane – Ci ho pensato ogni tanto, Heymans: insomma pare che le tue uniche frequentazioni siamo io e Arthur, non va proprio bene. Specie ora che il tuo amico dell’Accademia, Roy, è in paese per quell’incidente”.
“Secondo me tu e Arthur state correndo troppo” protestò lui, cercando di recuperare il controllo di quella situazione che, nell’arco di un minuto, era diventata più pericolosa del previsto. Per qualche strano motivo gli ricordava il disastroso episodio della caccia al fantasma, più di cinque anni prima, quando una semplice chiacchierata era degenerata in un’avventura finita decisamente male.
“Ma dai, che cosa vuoi che sia! – Erin scosse il capo, muovendo i suoi bei capelli rossi – Anche io sono uscita con dei ragazzi quando ero a scuola, sai? Non c’è niente di compromettente. Possibile che in paese non succeda niente del genere? Dai, eppure mi parli spesso di quella festa del primo dicembre!”
“Hai qualche amica da presentare al nostro buon Heymans?” le chiese Arthur.
“Credo di conoscere la persona giusta – gli occhi grigi di Erin brillavano di entusiasmo, segno che la stava prendendo la faccenda estremamente sul serio – a volte ho pensato che Heymans e Kate sarebbero davvero una bella coppia. Era mia compagna a scuola e ora fa l’insegnante privata: è davvero intelligente e si interessa a tanti argomenti. Potreste parlare per ore con lei”.
“Dobbiamo assolutamente organizzare – dichiarò il moro, con la medesima serietà – l’occasione perfetta sarebbe un bel pranzo a quattro, con tanto di passeggiata finale al parco. Erin, ti va di essere mia complice e compagna in questa crociata di salvezza per il periodo buio di tuo cugino?”
“Ovviamente, Arthur!”
“Ehi, no… non vorrete fare un uscita a quattro coi voi due assieme!” si preoccupò Heymans. Gli sembrava la più pericolosa e scellerata alleanza che fosse mai apparsa sulla faccia della terra. Senza contare che l’idea di Erin in compagnia di Arthur, che di santo aveva ben poco, non gli piaceva molto.
“Non ti preoccupare! Organizziamo tutto noi! – lo bloccò Erin – In questi giorni parlo con Kate e le chiedo se le va bene, ma non penso che ci siano problemi. E adesso scusatemi, ma devo proprio andare!”
“O scappare da eventuali opposizioni da parte mia?” commentò il cugino con sarcasmo.
“Probabile” sorrise con malizia lei, guadagnando la porta.
La stanza si fece improvvisamente silenziosa, solo una lieve risatina di Arthur risuonava allegra.
Heymans non sapeva cosa dire: era accaduto tutto quanto così in fretta che non aveva avuto molta possibilità di reazione. Non avrebbe mai immaginato che Arthur ed Erin potessero tramare alle sue spalle, anzi davanti a lui, in maniera così spudorata.
“Ehi, Doyle…” mormorò con serietà.
“Dimmi”.
“Metti mia cugina nei guai e ti anniento”.
 
Heymans non aveva mai avuto esperienze d’amore, tanto che si poteva tranquillamente dire che la sua esperienza più vicina all’avere una ragazza era stata quando Janet si era proclamata sua fidanzatina. Questo dettaglio non l’aveva mai preoccupato perché, a conti fatti, non aveva mai sentito l’esigenza di trovare la famosa altra metà. In paese la questione era quasi fuori luogo: per quanto la maggior parte della gente non avesse più problemi a parlare con lui, sentiva che comunque era in qualche modo marchiato da quanto era successo alla sua famiglia. Ed inoltre era stato lui stesso a non cercare di approfondire quelle che potevano essere chiacchierate occasionali con le amiche di Riza e Rebecca.
In città la situazione era ancora diversa, nel senso che non aveva avuto materialmente tempo e voglia per dedicarsi all’amore, come invece facevano diversi suoi compagni di corso. Il suo obbiettivo era laurearsi, diventare giudice o avvocato: si era totalmente immerso nella sua vita universitaria, specie ora che Vato ed Elisa erano tornati in paese, da non aver minimamente contemplato qualcosa che andasse oltre la semplice cena tra colleghi.
“Rilassati – gli disse Arthur, la settimana successiva, mentre prendevano posto nel tavolo che avevano prenotato al loro ristorante preferito – vedrai che andrà tutto bene”.
“Guarda che sono tranquillissimo: non sono un adolescente che entra in crisi per una lettera d’amore passata da una compagna durante la lezione”.
“Perfetto, allora pensa solo a goderti la giornata: finalmente il tempo ha deciso di essere dalla nostra parte e questa mattinata è già tiepida, non trovi?”
Il rosso convenne che era vero: quel giorno di inizio aprile iniziava finalmente a regalare un po’ di vero calore dopo quell’inverno particolarmente rigido e ventoso. Finalmente ci si poteva permettere una camicia più leggera ed anche sciarpa e guanti non erano più indispensabili. La decisione di prendere un tavolo all’aperto era più che perfetta per godere di quel sole così bello.
“Chiariamo subito una cosa, anzi due. Numero uno, tu ed Erin non fate gli scemi, va bene? Sto partecipando a questo pranzo più per fare un favore a voi che per reale interesse, va bene?”
“Mai pensato di forzare le cose” commentò con ingenuità Arthur.
“Numero due, e forse più importante: non fare l’idiota con mia cugina, intesi? Siete qui solo come poco più che conoscenti: questo pranzo non si deve trasformare in un appuntamento per voi due”.
“Mi ritieni così poco di buono? Ora mi offendi! Erin è tua cugina ed è una fanciulla più che rispettabile: non mi sognerei mai di avere comportamenti sconvenienti con lei… ad onor del vero, mi hai mai visto fare lo scemo con qualche ragazza?”
“No – gli concesse Heymans – e vedi di non iniziare proprio oggi”.
“Mai pensato… oh! Ma ecco le nostre graziose ospiti – un seducente sorriso apparve sul volto del giovane Doyle – buongiorno Erin, oggi sei più splendente del solito. Sarà il sole che finalmente decide di comparire per rendere omaggio alla tua chioma?”
“Dongiovanni…” sibilò il rosso, prima di sfoggiare un sorriso ed andare incontro pure lui alla cugina e all’amica. Il suo sguardo acuto iniziò a studiare la sua presunta compagna, sperando che Erin dicesse il vero quando aveva spiegato che la sua compagna di scuola era tranquilla ed intelligente. Oggettivamente se gli fosse stata presentata una ragazza sulla lunghezza d’onda di Rebecca sarebbe fuggito a gambe levate.
Aveva la stessa età di Erin, quindi un anno meno di lui, ma c’era qualcosa nel suo portamento che la faceva sembrare più adulta. Indossava un cappotto marrone chiaro, dal taglio dritto, che le conferiva una certa classe, al contrario della spigliatezza dell’amica accanto. Il viso non era bellissimo, ma aveva quelli che si definivano lineamenti interessanti, tesi a dare carattere più che essere un difetto: mento generoso, naso dritto, sorriso leggermente sghembo… un po’ ricordava quello di Roy nei suoi momenti di malizia. I capelli erano lisci, di un biondo molto vicino al castano e la fronte era tenuta libera da alcune forcine che fermavano diverse ciocche ribelli. Gli occhi, castani, fissavano senza paura sia lui che Arthur, nemmeno una traccia d’imbarazzo.
“Heymans, posso presentarti Kate?” fece Erin.
“Ciao, Heymans – si presentò lei, tendendo la mano. Aveva la voce bassa ma accattivante, quella che sa come tenere l’attenzione degli studenti – immagino che sia stato difficile sottrarti all’entusiasmo di tua cugina: quando decide qualcosa c’è ben poco da fare”.
“Non hai sbagliato di una virgola la situazione – sorrise il rosso, stringendo la mano che gli era stata offerta – Aggiungi anche l’insistenza del mio amico Arthur e capirai come siamo stati praticamente obbligati a questo pranzo”.
“E allora tanto vale goderselo, no?” dichiarò con semplicità Arthur, intromettendosi con eleganza ed indicando loro il tavolo.
Ma sì – pensò Heymans, mentre si avviavano e prendevano posto nelle sedie – alla fine tanto vale godersi il pranzo. Almeno Kate mi ha fatto una bella impressione.

 



_________________________
Nda

Rieccomi qua a postare, dopo un tempo che sembrava infinito. Quanto è passato? Sui cinque mesi mi pare... per me sono come un'eternità. 
Anyway, veniamo a noi. Ecco che entra in scena Kate... una vecchissima conoscenza, quasi finita nel dimenticatoio, creata per la mia terza long in questo sito (parliamo quindi di un 4-5 anni fa). Ero rimasta nel dubbio fino all'ultimo se inserirla o meno nella trama di Heymans, ma alla fine ho deciso che ne poteva valere la pena.
In ogni caso, ovviamente questa trama proseguirà nel prossimo capitolo, così vedremo l'evolversi della storia.
Bene, spero di aggiornare in tempi più brevi rispetto a quest'ultima volta.

Enjoy :D

 
  
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