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Autore: Signorina Granger    20/03/2018    8 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
[Prequel di “Magisterium”]
Hogwarts, 1933: prima di Harry Potter, dei Malandrini, di Tom Riddle, quando Albus Silente non era ancora Preside e il nome di Grindelwad spopolava in Europa, disseminando terrore.
Quando Charlotte Selwyn, Regan Carsen e William Cavendish invece che insegnanti erano solo tre studenti come tanti altri, alle prese con studio, amicizie e non, obblighi e soprattutto demoni da affrontare.
[Per leggere e/o partecipare non è necessario aver letto “Magisterium”]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Magisterium '
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Capitolo 18: Gravidanze inattese
 
Lunedì 10 Marzo 


Ad Aurora Temple studiare era sempre piaciuto, aveva atteso il giorno in cui sarebbe salita sull’Espresso per Hogwarts con trepidazione e aveva scritto fiumi di parole ai genitori nei primi tempi, raccontando alla madre che mai aveva messo piede al castello ogni singolo dettaglio delle lezioni, dei compagni di classe e del bellissimo paesaggio che sembrava essere uscito da una pagina di un libro di fiabe. 
Le lezioni non le erano mai pesate particolarmente, a parte qualche raro caso, e in particolare trovava da sempre Storia della Magia molto interessante… eppure quella mattina si trascinò fuori dalla Sala Grande con un muso lungo stampato sul volto, silenziosa e cupa come se morisse dalla voglia di tornare a letto in vece di andare a lezione con Rüf. 

Aveva persino ordinato ad Evangeline e a Jack di precederla per raggiungere l’aula, stanca della loro nauseante felicità, minacciandoli con un toast imburrato e scatenando così l’ilarità di Charlotte. 

“Ridi pure, cara, ma tu con Adela ed Hector non te la passi certo meglio!”
“Hai ragione, ma sono comunque felice di non dover più sopportare Heslop… beh, io vado a perdere il mio tempo nella Torre Sud, ci vediamo a pranzo.”


Stava salendo i gradini della scalinata principale, chiedendosi perché da un paio di settimane i giorni sembrassero durare un’eternità, quando sentì una voce familiare chiamarla, chiedendole di fermarsi:

“Aurora?”
La ragazza si voltò di scatto, senza riflettere, ma si pentì di averlo fatto quando si ritrovò gli occhi verde-azzurri di Sean Selwyn puntati addosso mentre il Serpeverde cercava di raggiungerla, districandosi fra una folla di primini. 

“Ciao Sean… scusa, ma credo di essere già un po’ in ritardo…”
“Beh, non credo che per Rüf farà molta differenza, fa l’appello una volta ogni due mesi. Posso parlarti per un momento? So che adori le ore di Storia, ma non ti ruberò molto tempo.”

Sean la raggiunse e le si piazzò davanti, una mano sulla ringhiera di pietra e gli occhi chiari fissi nei suoi con insistenza. Disgraziatamente Aurora sapeva che non avrebbe accettato volentieri un no come risposta, così annuì dopo un attimo di esitazione, sospirando leggermente:

“Va bene.”

Sean era solito ribadire quanto lui e la sorella fossero diversi, e probabilmente era vero, Aurora li conosceva entrambi da un decennio e poteva benissimo confermarlo… ma in quanto a testardaggine, forse lui riusciva persino a battere Charlotte, il che era tutto dire. 


*


Charlotte teneva i gomiti appoggiati sul tavolino, lo sguardo malinconico mentre si teneva il viso tra le mani, gli occhi verdi puntati dritti sulla sfera che aveva davanti.
Era una bella giornata e questo non aiutava a migliorare il suo umore: di tanto in tanto la giovane strega lanciava qualche fugace occhiata alle finestre della torre, scorgendo la luce che filtrava attraverso il vetro e il cielo relativamente sgombro da nuvole. Sembrava che dopo mesi il tempo avesse finalmente deciso di graziarli con una bella giornata, nonostante fosse ancora Inverno, e Charlotte si stava chiedendo da quasi mezz’ora perché dovesse sprecare quella giornata chiusa dentro quattro mura… specie considerando dove si trovava in quel momento, probabilmente nell’aula che odiava di più in assoluto.


Charlotte Selwyn era, senza alcun dubbio, una strana ragazza. Per la maggior parte del tempo non la sopportava e per quello restante non riusciva a capirla, per quanto ci provasse.
William stava deliberatamente ignorando le parole dell’insegnante, non gli era mai importato di quella materia e continuava a seguire il corso puramente per inerzia, dopotutto ogni tanto prendere in giro l’insegnante o I compagni era divertente…. Sotto quel punto di vista probabilmente lui e la Corvonero erano affini, visto che nemmeno lei stava prestando attenzione alla lezione, come sempre del resto. 

Ronald, seduto di fronte a lui, teneva gli occhi fissi sulla sua sfera con aria torva alternando occhiatacce in direzione di un Hector Grayfall apparentemente incurante mentre lui, invece, era voltato verso sinistra, osservando la compagna di classe impegnata a fissare a sua volta la sfera con il viso tra le mani ed un’espressione quasi cupa sul volto, un po’ come se infondo le sarebbe piaciuto poter vedere qualcosa, magari sul suo stesso futuro. 

Charlotte non si accorse del suo sguardo, o in alternativa non se curò, e William continuò a guardarla con la fronte leggermente aggrottata, quasi come se stesse riflettendo su qualcosa: Ronald praticamente non la sopportava, un po’ come lui, ma una volta l’aveva sentito definirla “decisamente attraente”. Dopo anni passati a detestarsi apertamente William aveva quasi smesso di fare caso all’aspetto di Charlotte (o di considerarla a tutti gli effetti una ragazza) e di fronte alle parole dell’amico, pronunciate una sera con una scrollata di spalle mentre parlavano di Adela e di come le due fossero straordinariamente amiche, era rimasto quasi turbato, suggerendo all’amico con un borbottio si prestare attenzione all’aspetto della sua fidanzata invece di quello delle altre ragazze prima di augurargli frettolosamente la buonanotte, destando sconcerto da parte dell’ amico per la sua strana reazione.

In effetti, ora che la guardava bene, doveva ammettere che era molto graziosa… peccato avesse un terribile carattere, certo.
William focalizzò la sua attenzione sullo sguardo cupo della ragazza, rendendosi conto che non era la prima volta in cui gli capitava di scorgerle quell’espressione sul viso… a volte sembrava quasi triste, quando credeva che nessuno la guardasse.
Chissà a cosa stava pensando….



“Non posso credere di continuare a perdere le mie ore qui dentro…”

Charlotte roteò gli occhi, parlando in un sussurro mentre continuava ad ignorare le parole dell’insegnante, che mai aveva ascoltato – ed era decisa a continuare su quella strada – mentre Hector, seduto poco distante, sembrava invece ascoltare con discreto interesse e Katherine, seduta di fronte a lei, tratteneva a fatica uno sbadiglio: 

“E perché non l’hai lasciata lo scorso anno? Beatrix ha fatto così, anche lei la considera completamente inutile.”
“Lo so bene e l’avrei imitata volentieri, ma non ho potuto.”

Charlotte sospirò, affranta, guadagnandosi un’occhiata di sbieco dalla Grifondoro, che parlò a bassa voce per non farsi sentire da nessuno al di fuori della compagna: 

“E perché? Non dirmi che i tuoi genitori te l’hanno vietato!”
“Ma certo che no, non gliene importa nulla di Divinazione… no, ho fatto un patto con Sean. Lui l’anno scorso mi ha parzialmente coperta con una cosa e io gli ho promesso che non avrei lasciato questa materia come punizione.”
“Ti riferisci a quando sei stata bandita dal Club dei Duellanti?”
“Sì, una misura esagerata, a mio parere… in ogni caso, non ho potuto lasciare il corso, purtroppo.”

“Esagerata, dici? So che non dovrei dire nulla in proposito, ma ti sei infiltrata di nascosto dopo esserti auto-applicata un Incantesimo di Disillusione e hai iniziato a lanciare Incantesimi contro certe persone…”

“Ho potuto mandare Cavendish al tappeto, quindi ne è valsa la pena! Ora, cambiando argomento… perché continuano a propinarci queste sfere, sappiamo tutti che non ci vediamo nulla e mai accadrà il contrario!”

La Corvonero roteò gli occhi, esasperata, lanciando un’occhiata torva in direzione dell’insegnante subito dopo, stentando a credere di dover seguire quel corso per ancora più di un anno… bruciare il libro dopo gli esami le avrebbe dato sicuramente un’immane soddisfazione.

“Noi lo sappiamo, ma LEI ancora si illude.”
“Beh, io non ho intenzione di perdere altro tempo, Silente ci ha riempiti di compiti e potrei prendermi avanti invece di restare qui!”

“Hai intenzione di fingere un malore improvviso?”

Katherine inarcò un sopracciglio, parlando con un tono che trasudava scetticismo mentre la compagna scuoteva il capo di riflesso, gli occhi chiari improvvisamente animati da un luccichio e le labbra carnose piegate in un piccolo sorriso:

“Oh, no, quello è per i dilettanti.”

Katherine aggrottò la fronte e fece per chiederle cosa volesse dire, ma Charlotte si era già messa a sedere dritta sulla sedia, sgranando gli occhi verdi con studiato stupore prima di dire qualcosa ad alta voce, attirando immediatamente l’attenzione di tutti su di sè: 

“Professoressa, scusi se la interrompo, ma credo di vedere qualcosa!”

Il silenzio calò immediatamente nell’aula e l’insegnante rivolse alla Corvonero un’occhiata a dir poco perplessa, piuttosto sicura di non aver mai sentito Charlotte Selwyn intervenire di sua spontanea volontà negli ultimi tre anni e mezzo:

“Signorina Selwyn?”
“Sì, insomma, credo di vedere qualcosa.”

Katherine inarcò un sopracciglio ma non disse nulla, decidendo di godersi lo spettacolo mentre Charlotte annuiva con fare concitato, abbassando nuovamente lo sguardo sulla sfera che aveva davanti mentre l’attenzione del resto della classe si catalizzava su di lei. Hector roteò gli occhi chiari, immaginando cosa stesse facendo l’amica mentre William guardava la Corvonero con un’espressione di puro scetticismo, chiedendosi cosa avesse intenzione di fare la compagna quella mattina. 

“Aspetti, ora è decisamente più chiaro… sì, non mi sbaglio.”
“Davvero? Cosa vedi, cara?”

“Direi… una stanza molto simile a questa. E una ragazza che…”

Charlotte smise di parlare per un paio di secondi, creando una sorta di suspence che fece sospirare sommessamente Hector, intuendo cosa stesse per dire o fare l’amica, mentre Katherine invece cercava di trattenersi dal scoppiare a ridere.

“Sì, una ragazza che sta uscendo dall’aula nel bel mezzo della lezione! Riesce a crederci?”
Charlotte strabuzzò gli occhi, la voce carica di stupire mentre si voltava verso l’insegnante e prendeva al contempo la sua borsa, alzandosi dalla sedia senza dare il tempo alla classe di realizzare pienamente cosa stesse succedendo per poi sfrecciare verso la botola, esclamando qualcosa:

“Cielo, sembra che si stia avverando!”

Hector si mise le mani sul viso, scuotendo debolmente il capo e chiedendosi sinceramente se l’amica non passasse le notti a scriversi e programmare quelle uscite mentre la Corvonero scendeva frettolosamente la scaletta a pioli e si lasciava sfuggire un’ultima esclamazione prima di sparire definitivamente:

“Prof, mi deve una E!”


L’aula improvvisata venne attraversata da un risolino generale, specie da parte di Katherine che faticò a trattenersi mentre l’insegnante alzava gli occhi al cielo con esasperazione, consigliando caldamente alla classe di tornare a concentrarsi mentre William, seduto di fronte ad un Ronald quasi seccato, fissò il punto in cui Charlotte era sparita con la fronte aggrottata prima di scuotere il capo con disapprovazione: di certo non sarebbe mai riuscito a capire quella strana ragazza… cosa gli era passato per la testa pochi minuti prima?


*


“Di che cosa mi vuoi parlare?”
“Beh… come stai, intanto? È da un po’ che non parliamo.”

Sean abbozzò un sorriso mentre si appoggiava al banco, lasciando la borsa accanto a sè e tenendo gli occhi chiari fissi sul volto dell’amica, che gli stava davanti con le braccia conserte e appoggiata a sua volta ad un banco nell’aula vuota dove Sean l’aveva trascinata per parlarle.

“Bene.”
“Sicura? Perché ho la sensazione che tu mi stia evitando dalla gita in paese.”
“Forse.”
“Posso sapere il motivo?”

Aurora sbuffò debolmente, abbassando lo sguardo e fissando i propri piedi con ostinazione, non sapendo sinceramente cosa rispondere a quella domanda: perché era a dir poco stanca di pendere dalle sue labbra e poi stare male? Perché non sopportava più di vederlo sorriderle ed essere gentile ma sapere non si trattava di un trattamento speciale, ma che la reputava solo la sua migliore amica?
O forse perché sapeva che non sarebbe riuscita ancora a lungo a non dire apertamente quello che provava standogli sempre vicino… voleva e allo stesso tempo aveva il timore di farlo, così si era ritrovata ad evitarlo quasi senza volerlo. 

“Perché… Sean, davvero me lo stai chiedendo?! Sei un ragazzo brillante!”
“Beh, hai smesso di parlarmi da un giorno all’altro, all’inizio ho pensato di averti offesa in qualche modo… ma poi ho parlato con mia sorella. E mi ha fatto capire che forse l’ho fatto in un certo senso, mi dispiace, sai che non era mia intenzione, vero?”
“Cosa ti ha detto tua sorella?”

Aurora deglutì, irrigidendosi e sentendosi il volto andare a fuoco mentre Sean sfoggiava un lieve sorriso e una seria di immagino cruente con Charlotte come protagonista iniziavano a susseguirsi nella mente della Corvonero:

“Beh… diciamo che mi ha aperto gli occhi su alcune cose. E ripeto che non era mia intenzione farti soffrire, davvero, sai che tengo molto a te. Non credo di essermene mai accorto.”
“Sei proprio un idiota.”
“Beh, pensavo che tenessi a me come amico, credo… andiamo Aurora, mi conosci bene, sai che non sono bravo con queste cose.”

Sean sbuffò debolmente, incrociando le braccia mentre il turno di abbozzare un sorriso spettava finalmente ad Aurora, che annuì leggermente: oltre alla testardaggine, se c’era qualcosa che vedeva i fratelli Selwyn molto simili era una forte ottusità sul fronte “sentimenti”.

“Sì, lo so. D’accordo, sai che ti dico? Sono pronta, avanti, dimmelo.”
“Dirti cosa?”
“Che tieni a me, che non vuoi farmi soffrire ma che mi vedi solo come un’amica e speri che possa continuare ad essere così… posso reggere, davvero, mi passerà. Tu cerca solo di essere meno carino, ok? Ma per superarla penso di aver bisogno che tu me lo dica apertamente.”

Aurora sospirò, chiudendo gli occhi quasi come se si dovesse preparare ad una dolorosissima puntura mentre Sean, dal canto suo, rimase immobile ed in silenzio per qualche istante, limitandosi ad osservare la ragazza con una una punta di perplessità prima di sorridere, avvicinandolesi di un paio di passi per metterle le mani sulle spalle:

“Aury? Apri gli occhi.”
“Selwyn, ti dai una mossa?! Questa storia va avanti anche da troppo e mi sto perdendo la Rivoluzione dei Folletti!”

Aurora aprì gli occhi, sbuffando con esasperazione e rivolgendo un’occhiata quasi torva al ragazzo, che invece le sorrise di rimando, inarcando un sopracciglio:

“Ma io non ti ho ancora detto cosa ne penso o cosa provo. Non ti interessa?”
“Lo so già.”
“Davvero? Come sei presuntuosa, Temple.”

Il sorriso divertito di Sean non vacillò mentre una mano si spostava sul viso pallido della ragazza:

“Ma se preferisci la compagnia di un branco di Folletti morti alla mia, buono a sapersi.”
“Puoi smettere di sorridere?! Ti ho chiesto di essere meno carino!”
“Sono semplicemente me stesso!”
“Allora dovrò continuare ad evitarti, temo.”

“Non sarà necessario.”



“A cosa stai pensando?”
Charlotte sedette accanto a lui sul divano, accoccolandosi sulla sua spalla e rivolgendogli un’occhiata carica di curiosità mentre il ragazzo osservava distrattamente il fuoco scoppiettare nel camino. 

“Ad Aurora.”
“Oh, ti sei deciso a parlarle?”
“Prima di parlarle e cercare possibili ed ulteriori danni dovrei fare chiarezza con quello che provo io, non credi?”
“E l’hai capito, fratellino?”

“Non saprei. È da un po’ che provo… sensazioni contrastanti. È quello che mi hai detto mi ha fatto riflettere molto.”
“Cerca solo di non riflettere troppo Seannie… sai come si dice, chi dorme non piglia pesci.” 



Aurora esitò, confusa, mentre una specie di ronzio si impossessava nella sua testa, impedendole di formulare pensieri dotati di senso: Charlotte, pochi giorni prima, le aveva chiesto con candida curiosità perché non avesse praticamente mai considerato la possibilità che il fratello potesse essere interessato a lei.

“Perché, ti sembra che ne abbia mai dato prova?!”
“Ma lui è così Aurora, è mio fratello! Il mio modo di dimostrare affetto è prendere in giro, lui è semplicemente gentile… sai che non esprimiamo molto affetto a parole, ci conosci. E con te è sempre gentile, si interessa quando non ci sei o quando ti vede giù di corda, cerca la tua compagnia… Ho a che fare con due idioti, di questo passo mi ritirerò a fare l’eremita con i Fennec!”


Aurora non aveva saputo cosa rispondere e Charlotte si era allontanata alzando gli occhi al cielo, ma quella conversazione le tornò immediatamente alla mente in quel momento, quando si sentì nuovamente arrossire di fronte allo sguardo insistente del ragazzo che aveva davanti.

Ragazzo che si chinò leggermente per baciarla, ma Aurora si ritrasse e scosse il capo, parlando con un filo di voce ed evitando di guardando:

“Sean, non lo devi fare per pietà o…”
“Pietà?! Aurora, puoi stare zitta e darmi il diritto di dire quello che penso?!”

Aurora fece per intimargli di non zittirla ma Sean non gliene diede il tempo, zittendola a tutti gli effetti con un bacio.


*


Evangeline era solita seguire le lezioni di Storia con grande attenzione, ma quella mattina faticava ad ascoltare la spiegazione di Rüf, arrovellandosi su ciò che le aveva detto Jack una settimana prima e sulla domanda che, sorridendo, sua madre le aveva rivolto una sera durante le vacanze di Natale: le aveva chiesto, senza preoccuparsi minimamente di girarci intorno, se ci fosse un ragazzo che le piaceva. Sul momento Evangeline aveva sbuffato, liquidando il discorso con un gesto della man e suggerendo alla madre di evitare quelle domande irritanti, ma ora che ci rifletteva si chiedeva come sarebbe stato parlare di Jack ai suoi genitori:

“Mamma, papà, Jack è un ragazzo intelligente e molto brillante, gioca a Quiddicth e mi piace molto… oh, vi ricordo che suo zio sta scontando una pena ad Azkaban, e lì rimarrà per i prossimi cinque anni!”

Per quanto i suoi genitori potessero essere di mentalità aperta, non era certa di come l’avrebbero presa, in effetti. Era felice che lui glie ne avesse parlato subito, senza nasconderle nulla per evitare spiacevoli malintesi in futuro, ma le aveva comunque dato parecchio su cui riflettere. 


“Spero che per te non sia un problema, non troppo almeno.”
Jack, seduto accanto a lei, la guardava con gli occhi chiarissimi carichi di nervosismo, pregandola silenziosamente di parlare: non aveva ancora detto una parola da quando le aveva spiegato cosa fosse successo a suo zio una quindicina d’anni prima. 
Evangeline, invece, evitò di guardarlo e si concentrò sulla fodera del divanetto, disegnando distrattamente figure astratte sul tessuto con un dito mentre pensava a cosa dirgli: 

“Hai detto che a trovarlo è stato tuo padre?”
“Sì, quella sera era di turno al Ministero… lo ha portato lui al Processo e lo ha anche scortato fino ad Azkaban. È stato difficile per i miei genitori, mia madre era molto legata a mio zio, ma mio padre vuole che non ci abbiamo più nulla a che fare.”

Evangeline annuì come se capisse prima di abbozzare un sorriso, sollevando finalmente lo sguardo per incontrare quello del ragazzo e prendergli una mano, creando un forte contrasto tra la sua carnagione molto pallida e quella più scura del ragazzo:

“Grazie per avermelo detto, mi fa piacere.”
“Beh, è il più grande scheletro che la mia famiglia tiene chiuso dentro un armadio, voglio che tu lo sappia. Spero solo che non ci siano problemi, anche per… la tua famiglia.”
“Ammetto che potrebbero non prenderla particolarmente bene, dopotutto che tuo zio sia ad Azkaban non è un segreto di Stato, ma potrebbero storcere il naso per il motivo… Ad ogni modo non importa, possono pensare quello che vogliono, conta ciò che penso io e basta. E per me non è un problema, è tuo zio e tu l’hai a malapena conosciuto, dopotutto. E poi c’è di peggio al mondo, in fin dei conti non ha ucciso nessuno.”

“No, certo, ma con quelle cose avrebbe potuto, immagino. Una volta ho chiesto a mia zia perché l’avesse fatto, ma non mi ha risposto, e nemmeno mia madre… forse non lo sanno neanche loro, ma mio padre assicura che non si è pentito per niente.”
Jack scosse debolmente il capo, incupendosi leggermente mentre ripensava a quando suo padre gli aveva raccontato cosa fosse successo a suo zio, quando lui era piccolo. Una notte William Starble aveva pensato bene di infiltrarsi al Ministero senza alcun permesso e aveva prelevato qualcosa dall’Ufficio Misteri… cosa fosse di preciso suo padre non aveva voluto dirglielo, ma da quel che aveva potuto capire aveva a che fare con dei manoscritti rimasti intoccati da anni e che contenevano, tra le altre cose, incantesimi ormai vietati.

Evangeline sorrise e anche il volto di Jack si rilassò, stendendo le labbra in un sorriso quasi sollevato prima di abbracciarla, dandole un bacio sulla tempia:

“Visto? Sotto la corazza sei davvero adorabile, Evie.”
“Quindi a primo impatto sembro insopportabile?! Buono a sapersi.”

La Caposcuola sbuffò ma non sciolse l’abbraccio e sorrise nel sentire la debole risata di Jack, senza allontanarsi frettolosamente da lui dopo pochi istanti, come avrebbe fatto con chiunque altro. Aurora infondo non si era sbagliata – anche se non glie l’avrebbe mai detto apertamente –, con lui si sentiva incredibilmente a proprio agio.



Evangeline si voltò verso la porta, la fronte aggrottata: dov’era finita Aurora? 
Accanto a lei, Jack sbirciò i suoi appunti per cercare di capire di cosa stesse parlando il fantasma/insegnante, guadandosi un’occhiata torva da parte della Corvonero:

“Non riesci a prendere appunti da solo?”
“Sai che non mi piace Storia, Evie, ma sembra che oggi nemmeno tu sia molto attenta… A cosa stai pensando, comunque?”
“Aurora è in ritardo, strano… non è da lei.”

La Caposcuola si voltò di nuovo verso la porta, accigliata, appena in tempo per vederla aprirsi e permettere ad Aurora e a Sean di entrare nell’aula, affrettandosi ad occupare due banchi vuoti in ultima fila senza farsi notare dall’insegnante, che continuò imperterrito la sua lettera senza dare segno di essersi accorto dei due ritardatari.

La bionda rivolse un’occhiata scettica all’amica, inarcando un sopracciglio come a volerle chiedere spiegazioni, ma Aurora si limitò a sfoggiare un gran sorriso, facendola sorridere a sua volta mentre si rimetteva a sedere dritta sulla sedia:

“Com’è che sembri improvvisamente tanto allegra, Evie?”
“Uhm, ho solo capito perché Aurora ha fatto tardi.”
“E come se non vi siete rivolte la parola?”

“Non pretendo che tu lo capisca, lascia stare, la nostra forte telepatia è al di fuori della tua portata.”
Evangeline sfoggiò un sorrisetto, guardandolo sbuffare e scuotere il capo con affetto: infondo non le importava che cosa avesse fatto suo zio, proprio per niente. 


*


Quando non aveva visto Elena raggiungere la Sala Grande per la colazione Gabriel si era detto che probabilmente si era svegliata tardi, immaginarla prendersi a letto non risultava difficile, pigra com’era… il Serpeverde iniziò a preoccuparsi alla fine dell’ora di Storia della Magia, quando della ragazza ancora non c’era traccia. Aveva cercato di rintracciare Stephanie per chiederle spiegazioni – forse Elena stava male? –, ma della bionda nessuna traccia, e il ragazzo non aveva intenzione di perlustrare tutto il castello per cercare l’amica della fidanzata, così quando raggiunse l’aula di Trasfigurazione per la seconda lezione del giorno il Serpeverde entrò ancor prima del suono della campanella, avvicinandosi alla cattedra già occupata dal Vicepreside con aria risoluta:

“Professore? Scusi il disturbo, saprebbe dirmi se è successo qualcosa alla Signorina MacMillan? Non la vedo da ieri nel tardo pomeriggio, nemmeno a cena si è presentata.”

“La Signorina MacMillan è tornata in Inghilterra.”
Silente, che stava leggendo distrattamente un libro, rivolse al ragazzo un’occhiata quasi perplessa di fronte alla sua domanda, quasi stupito del fatto che Gabriel non lo sapesse. Ma il suo stupore non fu nemmeno paragonabile a quello che balenò sul volto del Serpeverde, che sgranò gli occhi chiari quasi con orrore, stentando a credere alle sue orecchie:
“Come?!”
“Ieri sera, ha preso una Passaporta… il Professor Dippet le ha dato un permesso speciale. Mi spiace Signor Greengrass, non so altro. Potrebbe aprire la porta e chiedere ai suoi compagni di entrare in classe, per favore?”

Gabriel annuì distrattamente, voltandosi per esaudire la richiesta dell’insegnante senza quasi pensarci: Elena era tornata a casa? Doveva avere a che fare con i suoi genitori… forse una cosa improvvisa se non glie ne aveva fatto parola. 
Probabilmente non fu mai felice di vedere Axel Farrel come quel giorno quando lo vide entrare nell’aula, piazzandoglisi davanti prima di dare al Grifondoro il tempo necessario per prendere posto:

“Ciao Axel. Sai dirmi cosa è successo ad Elly?”
Axel gli rivolse un’occhiata scettica prima di parlare, stringendosi nelle spalle e usando un tono di voce relativamente basso, come se non volesse farsi sentire dai compagni di classe che stavano prendendo posto intorno a loro:
“È tornata a casa ieri sera, ma non ne so molto… forse dovresti chiederlo a Steph. Da quello che ho potuto capire doveva vedere un avvocato, per la faccenda del divorzio.”
“Lo farei, ma oggi la tua amica sembra introvabile! Reg, hai visto Stephanie?”
“Starà arrivando, immagino. Come mai così agitato?”

“Elena… ma perché non mi ha scritto, quella testa di rapa?!”

Gabriel sbuffò, lasciandosi scivolare sul banco accanto a quello di Regan e maledicendo mentalmente la Grifondoro, appuntandosi al contempo di scriverle non appena arrivata la pausa pranzo. 


*


Londra 


“Onestamente, non capisco perché abbiate insistito per farmi venire qui. La mia posizione è stata piuttosto chiara fin dall’inizio, ovviamente testimonierò a favore di mia madre… sono stata io a spingerla a chiedere il divorzio, come già saprà.”

“Naturalmente, suo padre me l’ha detto. È sicura di voler fare questo a suo padre, di schierarsi con sua madre?”
“Certo. Ha paura che possa ricordare troppe cose, forse? Mi creda, è tutto perfettamente chiaro nella mia testa, e non vedo l’ora di snocciolare date e fatti… il divorzio è possibile solo in caso di adulterio, abbandono del tetto coniugale e maltrattamenti e le assicuro che per quando avrò finito di parlare nessuno avrà dubbi sul primo punto. E anche sul secondo.”

Elena abbozzò un sorriso mentre, una gamba accavallata sull’altra e le mani strette sul ginocchio coperto dalle calze, teneva gli occhi castani fissi sull’avvocato che le sedeva di fronte, oltre la scrivania. 

“Se è quello che vuole… ci saranno ripercussioni, lo sa? La sua vita cambierà quando i suoi genitori non saranno più sposati, Signorina MacMillan.”
“È come se non lo fossero già da tempo, mi creda. E mia madre potrà benissimo provvedere al mio mantenimento, come già sa… la nostra non è una vera vita familiare da anni, ora voglio metterci una pietra sopra per sempre. Dica a mio padre che può risparmiarsi di usare il suo avvocato per cercare di convincermi a restare neutrale.”

“Mi ha detto che avrebbe parlato così, e mi ha chiesto di riferirle che non userebbe questi mezzi se lei rispondesse alle sue lettere. Sa che al momento è a Londra, avrebbe piacere di vederla.”
“Beh, non vale per me. Con permesso, devo proprio tornare a scuola… posso usare il suo camino?”


Elena fece per alzarsi, prendere il suo mantello e raggiungere indispettita il camino spento alle spalle dell’uomo, ma quando la porta si aprì di scatto si voltò quasi senza riflettere, sfoggiando una lieve smorfia di disappunto nel trovarsi suo padre davanti. 
Henry fece saettare gli occhi azzurri sul volto della figlia, abbozzando un sorriso quasi sollevato come se fosse felice di vederla prima di fare un passo avanti, avvicinandolesi:

“Elly…”
“Non chiamarmi così. Sto tornando a scuola, non voglio parlare con te.”
“Non puoi usare quel camino… temo proprio che dovrai fare due chiacchiere con me, Elena.”

Prima di dalle il tempo di ribattere suo padre l’aveva già presa per un braccio, ignorando le sue proteste e costringendo la figlia a seguirlo fuori dall’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle.

“Non ho niente da dirti!”
“Beh, IO sì, e sono ancora tuo padre, quindi ascoltami.”

Elena sbuffò, divincolandosi dalla sua stretta mentre si infilava il mantello, seguendolo di malavoglia fino all’ingresso dello studio legale, scendendo insieme a lui sulla strada trafficata di Londra. Una vera disgrazia che non ci si potesse Materializzare all’interno dei confini di Hogwarts, altrimenti l’avrebbe già fatto. 
 
“Vieni.”

Suo padre la prese delicatamente sottobraccio, invitandola a camminare mentre Elena restava in religioso silenzio, il capo chino.

“Hai letto le mie lettere?”
“No.”
“Non ti interessa quello che ho da dirti?”
“Evidentemente no. Ti senti in colpa nei miei confronti, credo, ma non mi importa: tutte le volte in cui hai abbandonato la mamma hai abbandonato anche ME, te ne rendi conto?!”
“Non sono sparito nel nulla Elena, sapevi dove fossi da mesi, ti ho scritto milioni di lettere da Ottobre… sai che ti voglio bene.”

“Ora sì che mi sento meglio.”
“Elena… ascoltami. In una delle ultime lettere c’era una cosa importante, immaginavo che non le leggessi quindi sono venuto per dirtelo di persona, non puoi restare all’oscuro.”

“Bene, dimmi. Ti sei stancato di lei e sei in crisi perché questa volta non puoi tornare dalla mamma con la coda tra le gambe? Perché le ho assicurato che le toglierò il saluto se dovesse perdonarti, questa volta.”
“No, Elena.”  Suo padre scosse il capo, rivolgendole un’occhiata torva di fronte alla sua ironia poco velata mentre smetteva di camminare, fermandosi davanti a lei e guardandola con attenzione prima di schiarirsi la voce, distogliendo lo sguardo come se fosse a disagio:

“No, in realtà… Victoria è…”

Henry non finì la frase, lasciandola in sospeso e sospirando, passandosi una mano tra i capelli ormai brizzolati mentre Elena, sentendosi raggelare, annuiva, deglutendo a fatica e facendo un paso indietro:

“Bene. Congratulazioni.”
“Elly, fammi parlare, ti prego…”

“Spero che sia un maschio, così avrai finalmente quello che vuoi.”

Un’ultima occhiata gelida e Elena scorse brevemente l’espressione quasi implorante di suo padre prima di sparire, Materializzandosi nella sua camera per poi lasciarsi scivolare sul letto, senza nemmeno togliersi il mantello.
E poi, silenziosamente come aveva imparato a fare anni prima, iniziò a piangere.


*


Adela sorrise quando, entrata nella sua Sala Comune, scorse Hector seduto in un angolo dell’ampi stanza, impegnato a giocare una partita a scacchi in compagnia della Dama Grigia.

“Ciao… stai vincendo?”
La ragazza gli si avvicinò, sorridendogli e chinandosi per dargli un bacio su una guancia, mettendogli entrambe le mani sulle spalle mentre Hector le sorrideva debolmente di rimando, alzando lo sguardo per incontrare il suo:

“Lo spero. Cerchi Charlie? Credo che sia in camera vostra.”
“Vado da lei, ultimamente temo di averla un poi trascurata… buona fortuna!”

La ragazza sorrise prima di allontanarsi, dirigendosi verso le scale per raggiungere la sua camera, nel Dormitorio femminile. Quando aprì la porta trovò Charlotte seduta sul suo letto con un libro sulle ginocchia e Rami accanto, che stava cercando di attirare la sua attenzione per giocare, ma senza grandi risultati. 

“Ciao! Thor mi ha detto della tua improvvisata di stamattina, a cena. Perché non sei venuta?”
“Non mangio di sera. Dove sei stata finora?”

Charlotte parlò senza nemmeno alzare lo sguardo dalla sua lettura mentre l’amica le si avvicinava, alzando gli occhi al cielo per poi lasciare la borsa sul letto dell’amica, sedendole di fronte:

“Carsen mi ha placcata e incastrata in un cambio di turno per le ronde, dannazione… quel ragazzo sa essere schifosamente convincente!”
Fece per aggiungere una ramanzina sulla tendenza dell’amica di fare molto spesso solo due pasti al giorno, ma decise di lasciar perdere mentre Charlotte, sbuffando, alzava lo sguardo dal suo libro con una smorfia:

“Questo libro non mi piace per niente.”
“Di cosa parla?”
“Di un idiota narcisista che fa una specie di patto vedendosi l’anima pur di mantenersi bello e giovane in eterno… mi ricorda qualcuno che conosciamo. Comunque, sì, oggi mi sono defilata da Divinazione.”
“Ti sei presa una punizione?”
“Non mi sono ancora fatta intercettare da Mrs Sfera di Cristallo.”

La ragazza si strinse nelle spalle, chiudendo il libro e abbassando lo sguardo sul Fennec che le stava picchiettando una gamba con la zampa, reclamando attenzioni che non tardarono ad arrivare come sempre:

“Volete che vi lasci soli alla vostra intimità?!”
“Taci Quested, passi le giornate a fare gli occhi dolci ad Hector, mi risulta! E credo anche che sia successo qualcosa tra mio fratello ed Aurora, sai? Mi spiace solo per Kat, voglio bene anche a lei dopotutto.”

“Qualcuno sarebbe uscito da questa storia con il cuore in pezzi Charlie, lo sapevi. E comunque non preoccuparti, Hector o no la mia anima gemella rimani comunque tu.”

Charlotte si strinse nelle spalle alle parole dell’amica, alzandosi dal letto borbottando che non le interessava e che non voleva impietosirla prima di sparire dietro la porta del bagno, lasciando Adela a rivolgere un sorrisetto complice a Rami, grattandogli le orecchie e dicendo qualcosa a bassa voce:

“Certo che le importa di noi, ma non lo ammetterà mai, vero?”


*


“Qualcuno mi sa dire cosa sta succedendo?! Non vorrei risultare sgradevole, ma sono piena di cose da fare e non posso perdere troppo tempo.”

Davina Morgan sbuffò debolmente mentre, tamburellando con impazienza le dita sul tavolo, si guardava intorno in cerca di qualche traccia della sorella maggiore, ma senza risultati. 
Katherine, seduta di fronte a lei al tavolo in Biblioteca, si strinse nelle spalle alle domanda della cugina, asserendo di non avere idea di cosa volesse parlargli Beatrix:

“Non ne so niente, mi ha semplicemente chiesto di vederci qui ieri, ma non pensavo avesse chiamato anche voi tre.”
“Beh, se ha indetto una “riunione” dev’essere importante… la scorsa settimana ha ricevuto una lettera da nostro padre, avrà a che fare con quello.”

Markus roteò gli occhi, parlando con un tono che trasudava acidità e risentimento mentre il fratellino gli rivolgeva, come da manuale, un’occhiata piuttosto torva:

“Parli con quel tono perché tu sei bello che sistemato, Mark.”
“Te l’ho già detto mille volte, piccoletto, se vuoi facciamo cambio anche adesso… farei volentieri a meno di portare il peso di questo cognome, sai? Senza offesa Kat.”
“Oh, nessuna offesa. Ma non discutete, per favore.”

La Grifondoro rivolse un’occhiata in tralice ai due, ammonendoli di lasciare le discussioni per dopo considerando che erano lì per Beatrix proprio mentre la Tassorosso raggiungeva il tavolo quasi di corsa, lasciando la borsa sul pavimento per poi prendere posto tra la cugina e il fratello maggiore:


“Eccomi, scusate l’attesa… c’era la riunione per stabilire i turni e abbiamo fatto tardi. Ed, tu non dovresti essere qui! Chi l’ha chiamato?!”
“Nessuno, si è imbucato.”

“Non vedo perché non posso partecipare, sono vostro fratello, se ti ha scritto nostro padre ho il diritto di saperlo.”  Il giovane Serpeverde rivolse un’occhiataccia alla sorella, incrociando le braccia al petto con aria di sfida mentre la bionda roteava gli occhi chiari con esasperazione:
“Per lo stesso motivo per cui ho detto a Kat di non portare Nate: siete piccoli e avete lingue molto lunghe. Ma visto che ormai sei qui, non importa, resta pure. Allora… in primis, sembra che la nostra armoniosa famiglia allargata stia per… allargarsi ulteriormente.”

Katherine ammutolì, sgranando gli occhi mentre Davina, al contrario, piegò le labbra in una smorfia quasi disgustata:

“Oh, ma che bello… parli di nostra madre, la moglie di nostro padre o ne è saltata fuori una nuova, per caso?”
“La zia di Kat.”

“Oh, bene, ci mancava giusto un altro mini Adrian per completare il quadretto… scriverò sicuramente a nostro padre per congratularmi.”

Markus parlò con un tono sprezzante che, di norma, la sorella minore gli avrebbe rimproverato, ma non quel giorno: non poteva dargli tutti i torti, in effetti, lei stessa ci era rimasta di sasso. 

“Beh, questo spiega perché Adrian è così di pessimo umore da qualche giorno, non ama i bambini e credo sia stanco di avere fratelli tra i piedi.”
“Sono d’accordo con lui, per una volta, nostro padre ha già cinque figli escludendo noi quattro, a che gli serve continuare a sfornarne altri?!”

“A me stupisce che l’abbia detto a Beatrix e non a te, Mark.” Edward aggrottò la fronte, guardando la sorella maggiore con leggera perplessità e cercando di mascherare il più possibile la cocente frustrazione che provava. Suo padre non l’aveva mai considerato particolarmente a prescindere, ma se stava per avere un altro figlio – legittimo, tra l’altro – lui sarebbe passato ancor più in secondo piano.

“Perché lei è la più buona e comprensiva, ecco perché. C’è altro?”  Davina sbuffò, guardando la sorella maggiore con impazienza e sperando vivamente che la conversazione stesse per giungere al termine: non aveva assolutamente intenzione di perdere tempo per suo padre più di quanto non avesse già fatto precedentemente.

Beatrix però annuì, cupa in volto, e Markus sgranò gli occhi quasi con orrore, allarmandosi ulteriormente:

“Ti prego, dimmi che non intende trascinarci da qualche parte a Pasqua e usarci come graziosi soprammobili.”
“Peggio.”
“Non mi dirai che anche nostra madre è di incinta, perché io questa volta espatrierò, dopo Edward non so cosa potrebbe venir fuori!”
“Grazie tante Davina!”

Edward fulminò la sorella con lo sguardo e la Corvonero fece per ribattere, ma venne zittita sul nascere da Katherine, che fece segno ai due di tacere per far parlare la cugina: Beatrix scosse il capo, parlando quasi come se avesse preferito quell’opzione:

“No, la mamma non è incinta. A dire il vero riguarda me. Sembra che il Signor Burke abbia deciso di riconoscere anche me… perciò, la domanda è: che si fa adesso?”

“Beh, tu vuoi che ti riconosca?”
“Sai benissimo che la risposta è NO, Kat.”
“Beh, allora fai in modo che non accada: io non ho avuto scelta, mi hanno fregato riconoscendomi da neonato, ma al posto tuo non lo permetterei. Sei maggiorenne, digli che non ti importa avere il suo cognome, che può benissimo tenerlo per il figlio in arrivo.”

Markus liquidò il discorso con un sbrigativo cenno della mano, sperando vivamente per la sorella minore di riuscire ad imporsi sul padre mentre Edward, al contrario, interruppe Beatrix sul nascere alzandosi in piedi, guardando entrambi come se non capissero qualcosa di naturale:

“Come puoi dire così?! Perché non riesci a renderti conto della fortuna che hai, Mark?!”
“Per quanto mi riguarda non è una fortuna, Ed. È il mio punto di vista, e forse se fossi nei miei panni lo condivideresti.”

“Sai benissimo che vorrei essere nei tuoi panni! Eppure non fai altro che ripetere quanto sia una disgrazia essere stato riconosciuto, avere il cognome di nostro padre. Se pensi che contare qualcosa sia una disgrazia, Mark, allora sei veramente un idiota!”

“Piccoletto, non parlare di cose che non capisci, d’accordo?” 
“Io capisco benissimo invece! Sei tu a non capire, sei sempre troppo impegnato a commiserarti!”

Edward girò sui tacchi e si allontanò senza dare al fratello il tempo di rispondere, ma quando Markus sbuffò e fece per alzarsi a sua volta e seguirlo Katherine scosse il capo, facendogli cenno di non farlo:

“Lascia stare, non peggiorare le cose… Ci penso io.”


*


Gabriel Greengrass, dopo aver trascorso la giornata a vagare per il castello come un’anima in pena, cercando di carpire informazioni da una Stephanie Noone risoluta a farsi gli affari propri, giaceva esausto e seccato su una poltrona nella sua Sala Comune, immusonito e a braccia conserte, gli occhi fissi con ostinazione sul camino spento: era in pensiero per Elena, e lo irritava molto il fatto che lei non gli avesse detto una parola prima di lasciare il castello.

Aveva avuto una pessima giornata, persino per gli standard del lunedì, e non aveva alcuna voglia di chiacchierare con nessuno dei suoi compagni: era sicuro che il loro buonumore lo avrebbero solo seccato ulteriormente.
Così, quando Regan gli si avvicinò chiamandolo il Cacciatore alzò lo sguardo con un’espressione piuttosto cupa stampata sul volto, grugnendo qualcosa di indefinito come risposta:

“Sì?!”
“C’è Elena qui fuori, chiede di te.”
“Ah, bene, vedi che si è ricordata della mia esistenza! Buono a sapersi.”

Gabriel sbuffò mentre si alzava, superando l’amico e dirigendosi verso l’entrata della Sala Comune a grandi passi, pronto a fare un bel discorsetto articolato alla Grifondoro per esprimere tutto il suo profondo disappunto per il modo in cui se n’era andata senza dirgli nulla. 
Tutti i suoi propositi, però, crollarono come il più precario dei castelli di carte non appena si ritrovò nel corridoio debolmente illuminato dalle fiaccole appese alle pareti di pietra umida, con Elena di fronte. 

“Ciao.”
La voce della ragazza giunse alle sue orecchie sotto forma di un flebile sussurro, gli occhi lucidi e arrossati come se avesse pianto molto e l’aria stanca. 
Gabriel per tutta risposta spalancò gli occhi, dimenticandosi di essere arrabbiato con lei:

“Cos’è successo, Elly?!”

Elena però non rispose, limitandosi a cancellare la distanza che li separava per abbracciarlo, appoggiando il capo sulla sua spalla e lasciandosi sfuggire un singhiozzo che risuonò per tutta la lunghezza del corridoio: 

“È incinta.”

Gabriel per un attimo non si mosse e non disse nulla, poi sospirò e la strinse in un abbraccio a sua volta, appoggiando il mento sul suo capo coperto da una distesa di lunghi capelli profumati:

“Ok… adesso mi racconti tutto. Piangi, poi mi racconti, ok?”


*


“Se ti ha mandato mia sorella, lascia perdere.”
“Non mi ha mandata Beatrix, sono venuta di testa mia.”

Katherine sedette accanto al cuginetto su un gradino della scala, sentendolo sbuffare debolmente mentre evitava di guardarla in faccia, tenendosi le ginocchia con le braccia. 

“Ed, so che è difficile… e anche se tutti ti trattano come se non potessi capire so perfettamente che capisci eccome. Sapere che tuo padre avrà un altro figlio ti ha turbato?”
“No.”
“Io penso di sì, e se anche così fosse non te ne devi vergognare o nasconderlo, Ed, è del tutto comprensibile. Nella mia famiglia Nate, essendo il più piccolo, è sempre stato messo su un piedistallo, ma tu hai ricevuto lo stesso trattamento… tua madre ti adora, certo, ma tuo padre ti ha dato scarsa considerazione. A Davina non pesa, credo, ma tu sei diverso e va bene. Non siamo tutti uguali.”

Katherine sollevò un braccio per metterlo sulle spalle del cuginetto, che sbuffò debolmente e parlò con un filo di voce:

“Sono stanco di essere l’ultima ruota del carro, Kat.”
“Lo so… in po’ ti capisco, sai? Mio fratello Maxi è il primogenito, lodato, idolatrato, viziato e amato da tutta la famiglia, tutte le speranze e l’orgoglio riversati su di lui. E Annabelle? Lei è la figlia che famiglie come la mia vorrebbero, che ha fatto tutto quello che ci si aspettava da lei e l’ha fatto in fretta, senza mai opporsi. C’è Mate, il piccolo principe intoccabile, e ci sono io. Non sono la piccola di casa come te, Ed, ma sono sempre stata un po’ lasciata in disparte, messa in ombra dai miei fratelli… non devi avercela con Markus, però, non è colpa sua se è stato riconosciuto da vostro padre. Io voglio comunque molto bene a Maxi e a Nate, anche se mi hanno privata di molte attenzioni.”

“Non ce l’ho con lui perché è stato riconosciuto, non l’ha scelto lui dopotutto… solo non capisco perché non riesce a vedere che non è poi la maledizione che decanta. Non si rende conto che è una fortuna perché non è mai stato l’ultima ruota del carro.”

Katherine abbozzò un sorriso, annuendo e guardando il cuginetto incupirsi e guardarsi i piedi con ostinazione con fare comprensivo:

“È vero, bisogna sempre guardare entrambe le facce… ma lo stesso vale per te: lui non può sapere come sia non venir considerato dal proprio padre, e tu non saprai mai come sia portare il nome di una persona che non sentì parte della tua famiglia, una famiglia che magari disprezzi. Dovreste ascoltarvi l’un l’altro con più tranquillità e ascoltare i rispettivi punti di vista, credo.”

“Grazie Kat. Quando sei diventata così giudiziosa?”  
Edward alzò lo sguardo per la prima volta da quando la ragazza lo aveva raggiunto, rivolgendo alla cugina un’occhiata curiosa che venne ricambiata con un largo sorriso e un abbraccio:

“Beh, leggo molto. Vuoi che ti presti qualcosa?”







………………………………………………………………………
Angolo Autrice: 

Buonasera a tutte! 
Sì, so che con il titolo vi ho fatto prendere un colpo ma non mi riferivo alle nostre care OC… per carità, facciamo che ai figli ci pensano tra qualche annetto.
Allora, un paio di note di servizio… innanzitutto, vi comunico che alla fine della storia mancano sette capitoli, Epilogo incluso. E chiedo scusa se da quando sono “tornata” dalla pausa sto pubblicando capitoli a raffica, ma vorrei concludere la storia per la metà di Aprile, abbiate pazienza. 
Detto questo, visto che vorrei scrivere la Raccolta di OS per questa storia, ho un paio di domande per voi: 
•    Cosa vuole fare il vostro OC dopo Hogwarts? (Ovviamente se l’avete già segnato nella scheda non occorre che mi scriviate)
•    Se volete, potete iniziare a darmi qualche indicazione per il suo “futuro”, nel senso se volete che si sposi se il vostro OC non fa già parte di una coppia, se avrà dei figli, quanti a grandi linee e qualche nome di vostro gradimento visto che dopo tutte queste storie ho esaurito la fantasia per i nomi dei pargoletti.
Ricordate che siamo negli anni 30, quindi si sfornavano bambini come pagnotte!

Ovviamente amilcara è esentata dal rispondere.
In questo capitolo non sono comparsi i Tassi – eccetto Beatrix – ma si rifaranno nel seguito, non temete.

Vi auguro una buona serata, 
Signorina Granger 



   
 
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