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Autore: ale93    21/03/2018    4 recensioni
"Non è nobile. E' da egoisti. E' quello di cui ho bisogno."
Coda!Fic S13E14
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Another story'
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Quello di cui c’è bisogno
So, perhaps the best thing to do
is to stop writing introductions and get on with the book.
—A. A. Milne




Sta bevendo da una bottiglia di birra, quando Dean lo trova seduto al tavolo della cucina. Birra da quattro soldi, senza gusto. Dean ha sempre pensato fosse più un tipo da un dito e mezzo di whisky, whisky schietto in bicchiere di vetro, senza ghiaccio. È così che a volte ha immaginato di incontrarlo, dopo uno dei loro mille addii: in un bar, per caso, con un drink in mano, cercando di sembrare a tutti i costi un uomo qualunque. Vestito come un notaio, con gli occhi delle donne che gli scivolano addosso come lingue di velluto. Una persona diversa, lontana anni luce dal mondo dei Winchester. Con una casa. Con una famiglia.

È un pensiero che lo accompagna da anni, un pensiero su cui non si è mai soffermato più di tanto e che adesso lo colpisce allo stomaco, mentre oltrepassa la porta e lo guarda con attenzione.

Castiel beve un altro sorso, si regge la fronte con una mano. Arrotola ai gomiti le maniche di camicia ed è allora che Dean si rende conto della macchia di sudore sulla sua schiena e del trench caduto sul pavimento.

«Ti sei almeno fermato a pensare a quello che stavi facendo?» chiede.

Castiel continua a fissare la sedia vuota davanti a lui. «No», dice. «Ho fatto quello che dovevo. Quello di cui c’era bisogno.»

Non ha intenzione di ridere, ma lo fa. Amaramente e con rancore. Con rabbia. «Mi sembra di essere tornato a diec’anni fa. Quando eri solo un coglione qualsiasi del Paradiso.»

La luce bassa della lampada getta sul profilo di Castiel un’ombra lunghissima, mentre nasconde il viso tra le mani e prende un respiro profondo. «Non ho intenzione di affrontare questa discussione, Dean. Non è una cosa che ho fatto a cuor leggero, ma dovevo.»

«No, non dovevi» dice. «Dì quello che vuoi, ma non spettava a te decidere. Non spettava a nessuno di noi. E lo sai.»

Castiel sorride in modo strano, dando fondo alla bottiglia. «E quale sarebbe stato il tuo suggerimento? Perdere altro tempo?»

«Avremmo dovuto pensare ad un’altra soluzione. Tutti insieme.»

Alla fine, Castiel si gira a guardarlo. I primi bottoni della camicia aperti su quella che a Dean sembra una di quelle canottiere che indossava suo padre quando andava a caccia d’inverno in Wyomyng, e le sopracciglia inarcate.

Visto in quella luce che lo inonda dall’alto, con quella smorfia sarcastica sulla faccia e quella birra tra le mani, sembra un vecchio idiota. Dean vorrebbe prenderlo a pugni fino a fargli ammettere quanto abbia torto. Invece dice, «perché stai sudando? Tu non sudi.»

Castiel scuote la testa e sbuffa divertito. Non è proprio una risata, non l’ha mai sentito ridere davvero. «Vuoi veramente parlare di questo, adesso? Non è niente.»

«Con te è sempre ‘niente’. È una stronzata che mi propini per ogni problema che si presenta.»

Castiel resta in silenzio e annuisce ironicamente a testa bassa, senza neanche cercare di difendersi dalle sue parole. «Non sei cambiato di una virgola,» continua quindi Dean. «Tutto questo tempo, e sei rimasto sempre lo stesso.»

«Ma davvero.»

«Sì,» insiste Dean, allungando due passi nella stanza, fino a fermarsi a qualche centimetro da lui. Gli sbarra la strada sbattendo una mano sul tavolo. «Fai sempre quello che devi. Non esiti a lanciarti a capofitto nelle cose, anche le più stupide, anche le più sbagliate. Non pensi mai. Prendi una decisione e vai dritto per la tangente, senza ragionare. Perché devi fare quello che c’è da fare. Come un bravo soldatino. Pensavo che tutti questi anni fossero serviti a qualcosa.»

Lo dice con stizza. Lo dice con le parole che pizzicano sul fondo della gola. Con la foga di colpirlo, di scuoterlo in qualche modo. Sente le vene del collo pompare forte. E di nuovo, la voglia di prenderlo a pugni lo investe dalla testa ai piedi; e di nuovo, vorrebbe chiudersi in una stanza con lui per ore, per giorni, forse per settimane, pur di farlo ragionare. Pur di fargli capire che non si tratta solo di attaccare e difendere, che non si tratta solo di combattere.

Si tratta di lui, della persona in cui Dean lo ha visto trasformarsi. Si tratta di quell’uomo in camicia e canottiera che Dean non vuole veder morire sotto il peso dei rimorsi, degli errori, dei pentimenti.

Si tratta del fatto che non vuole che diventi quello che è diventato lui.

«Questo sono io, Dean. È questo quello che faccio. Donatello era un pericolo, ha fatto del male a Sam, ha fatto del male a te. Lo stavi sottovalutando e dovevo risolvere la cosa. Non è colpa mia se mi hai creduto migliore di così.»

Dean scuote la testa. «Sei migliore di così. Sei migliore di tutto questo.»

«No, non lo sono. Non so se ti sei reso conto che questa non è una normale caccia. È una guerra, Dean. E lo sai che una situazione come questa richiede scelte difficili. Pensavo lo capissi, perché al posto mio avresti fatto qualsiasi cosa per difendere la tua famiglia e invece me lo rinfacci – perché, esattamente?»

«Una situazione come questa,» sottolinea, guardandolo negli occhi per la prima volta da quando è entrato nella stanza, «richiede che stiamo tutti dalla stessa parte. È facile perdere la testa, ci vuole poco per cadere nel baratro. E non deve succedere. Abbiamo bisogno di te.»

Castiel sposta lo sguardo oltre la sua spalla, lo evita con testardaggine. «Sai perfettamente che io sono dalla vostra parte. Ogni cosa che faccio sarà sempre per il vostro beneficio. Tuo e di Sam. Non vi terrò all'oscuro di niente, se è questo che ti spaventa.»

Il lampadario sulle loro teste emette un ronzio e la luce li illumina ad intermittenza. Un occhio di Cas, uno spasmo della mano di Dean. Del grigio tra i capelli neri, una macchia di terra sugli scarponi. Il tremore della gamba di uno, le rughe attorno alla bocca dell’altro.

«Credevo avessimo smesso di fare finta che si tratti solo di questo,» dice Dean. L’aria è improvvisamente più pesante e i capelli gli si rizzano sulla nuca e provocano un formicolio. Il suo istinto gli dice di girare i tacchi e andarsene. Ora. La sua testa gli suggerisce che ha appena fatto una cazzata, che si è esposto, e che deve porre rimedio il più velocemente possibile.

Ma le dita di Castiel gli circondano il polso e lo tengono così: non è una carezza, non è una stretta. Cerca qualcosa nei suoi occhi. Qualcosa che è lì, visibile, in superficie, qualcosa che Dean non sa più come nascondere. «Allora hai ragione,» dice piano Castiel. La luce cattura i suoi occhi cerchiati e il labbro superiore umido di sudore. «Non sono cambiato. Non lo farò mai. Se ci pensi attentamente, il motivo per cui mi lancio in ogni battaglia è sempre lo stesso, non posso dire il contrario. Non ci provo neanche.»

Dean deglutisce e sente un fastidio intenso alla gola. Un gonfiore che lo strozza e contro cui deve combattere per parlare di quello di cui c’è bisogno di parlare. «E quale sarebbe questo motivo?»

L’angolo destro della bocca di Castiel si piega in un sorriso un po’ ironico, un po’ malinconico. «Hai veramente bisogno che te lo spieghi?»

«Sì,» dice. Si accorge che le sue dita sotto la stretta di Castiel stanno tremando.

«Usciresti da quella porta senza guardarmi più negli occhi. Questa è l’ultima cosa che ci serve, al momento.»

«Sei diventato un sensitivo? Non psicanalizzarmi,» dice, scostando la sua mano, irritato. «E si può sapere perché cazzo stai sudando così?»

Castiel si asciuga il labbro con il dorso del polso e, con voce bassa, dice: «non ti sto psicanalizzando. Ti conosco. Forse in questi dieci anni i miei modi di fare non sono cambiati, ma ho imparato a capire molte cose. Di te.»

Dean si sporge in avanti. Sposta lo sguardo da un occhio di Castiel all’altro. La lampadina continua a gettare loro addosso un'illuminazione irregolare. La faccia di Castiel sembra una grande luna gialla. «Adesso ho bisogno che ti fidi di me come hai sempre fatto, Dean. Solo questo. Non- non posso rischiare che…»

«Che ti pianti in asso perché sono sempre stato un cacasotto?»

Il sorriso piega di nuovo le sue labbra, in modo più affezionato, questa volta. «Non posso rischiare che tu mi tenga a distanza. Non adesso.» La sua voce si spegne con una nota di rabbia e tensione e qualcosa che Dean registra come paura.

Gli occhi di Castiel tornano a posarsi sulla sedia vuota di Donatello e lui segue la traiettoria del suo sguardo. «Niente di tutto questo sarà mai alle nostre spalle. Potrebbe anche concludersi, questa specie di guerra infinita al soprannaturale, ma non ce lo lasceremo mai veramente alle spalle. Questo è quello che siamo. E non – Cas, non posso perderti strada facendo.»

«Stai dicendo che mi preferisci morto piuttosto che risoluto?»

Dean cerca di nuovo il suo sguardo. Il viso di Castiel è ancora più umido di quando è entrato in cucina, le sue guance più scavate di quando si sono visti l’ultima volta e il grigio nei suoi capelli non è lo stesso di qualche mese fa. Per quanto possa far finta di non vedere ognuna di queste cose, non può mentire a se stesso. Non può impedire al suo stomaco di torcersi per il terrore. «Sto dicendo che so che uomo sei e voglio che te lo ricordi anche tu.»

Gli occhi di Castiel diventano grandi, infiniti, mentre replica piano: «Ti dimentichi che non sono un-»

«Cas. Per favore,» dice, con la voce che trema. «Non sono stupido.»

Castiel getta un’occhiata intorno alla stanza. Esita. «Dean...»

La conferma piove su di lui come un secchio d’acqua gelida. Non dice niente. Non si muove di un millimetro. L’unica cosa che è in grado di fare è continuare a guardare Castiel attentamente, nel timore che cada morto a terra davanti ai suoi occhi. «Da quanto-» dice, toccandosi la bocca per riflesso, mentre la bile risale dal suo stomaco.

«Te l’avrei detto,» dice Castiel, «la mia grazia non è più la stessa da quando sono tornato. Ha smesso di rigenerarsi. Ma non sto morendo. Ho tempo, Dean, probabilmente lo stesso tempo di vita che avete tu e Sam al momento. E posso combattere. Non c’è nessun - »

Dean stringe il ponte del naso tra pollice e indice, cercando di isolarsi fisicamente, di escludere dalla sua vista Castiel e la sua espressione colpevole. Ha bisogno di mantenere la calma. E la lucidità. «Non me ne frega un cazzo se puoi combattere o no. E smettila di parlare come se fossi una specie di asso nella manica da tirare fuori all’occorrenza.» La rabbia con cui gli punta l’indice sul petto lo prende alla sprovvista. «Ti ho dimostrato che non è così. Sai che non è così. Perché non hai parlato fin ora? Perché hai dovuto aspettare che tirassi fuori io la questione?»

Sente il rumore delle mani di Castiel che colpiscono il legno del tavolo. È irritato, è nervoso, e nei suoi movimenti vede una vena di spavento. Dean si domanda se abbiano svegliato Sam o se fosse già sveglio da un pezzo e li stesse ascoltando discutere dalla sua stanza. «Perché non vedo il motivo di parlarne, Dean. Ti ho già detto che non cambierà niente.»

«Non trattarmi come un bambino,» dice, cercando di tenere a bada la voce. «È una cosa enorme, lo so io, lo sai tu, avremmo dovuto parlarne.»

«Per dirci cosa?» Castiel si mette in piedi tra lui e il tavolo. Lo fronteggia come se dovessero fare a pugni da un momento all’altro. Anche questa è una cosa che negli anni non è mai cambiata veramente durate le loro discussioni. «Dici di conoscermi, e allora pensaci attentamente: non sono una vittima. Tutto quello che mi è successo sono andato a cercarmelo. Non sono caduto, mi sono lanciato. Non sono stato cacciato dal Paradiso, sono andato a cercarmi l’esilio. E questa volta non è diverso.»

«Che stai dicendo? Che hai scelto di farti mettere la data di scadenza sulla testa?»

Castiel si spinge nel suo spazio personale, il viso a pochi centimetri dal suo, il suo fiato sulle guance di Dean. «C’era un prezzo da pagare per tornare. Quel prezzo era una grazia che non si rigenera. E io dovevo tornare.» Le sue narici si allargano nel tentativo di respirare più lentamente. «Come ho detto, Dean, il motivo per cui faccio le scelte che faccio è sempre lo stesso. Avevo troppe cose in sospeso.»

Dean deglutisce e pensa a quel tizio che ha visto morire con il cuore che gli schizzava fuori dal petto: potrebbe finire anche lui così. Con il cuore ai piedi di Castiel, senza riuscire a fare niente per impedirlo. «Cas, io,»

Il silenzio si addensa attorno alle loro teste fino al punto in cui Dean avverte la sua pressione sui timpani. È un silenzio pieno del borbottare del frigo, dello scricchiolio delle tubature, è un silenzio domestico. Inadeguato. È il silenzio di una casa che condividono, ma non come dovrebbero.

«Non credermi migliore di quello che sono, Dean,» dice Castiel alla fine. La sua espressione ha perso le linee dure della rabbia e della tensione, il suo viso ora è inondato di tristezza. Per quanto si vergogni di se stesso, Dean vorrebbe baciare gli angoli della sua bocca. «Sto solo cercando di tenere al sicuro le persone che amo. A qualsiasi costo. Non è nobile. È da egoisti. È quello di cui ho bisogno.»

Castiel smette di guardarlo e lo supera, uscendo dalla cucina.

Il suo trenchcoat è abbandonato sul pavimento. Dean resta a fissarlo.
   
 
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