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Autore: BrokenSmileSmoke    22/03/2018    0 recensioni
Biglietto di sola andata per Londra, una valigia fatta all'ultimo momento, check-in, e solo tanta speranza per un futuro diverso dal suo presente e dal suo passato.
È così che Mara Vileri, 26enne torinese, decide di dare una svolta alla sua vita, lontana dagli orrori dell'uomo che diceva di amarla.
Non ha molto con se, solo i soldi che era riuscita a mettere da parte senza farsi scoprire, un diploma, una laurea in lingue ed una valigia con dentro i suoi pochi effetti personali.
Non ha più amici, ne famigliari. Nessuno è disposto ad aiutarla, ma è il rischio che ha deciso di correre quando ha capito che non c'era più nessun miracolo da attendere.
Spera solo di avere fortuna, e di non farsi mai più trovare dall'uomo che l'ha distrutta psicologicamente.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Mi risvegliai con il campanello della porta che suonava, a quanto pare era arrivato qualcuno. Ma chi?
Ero arrivata a Londra da pochi giorni, non mi conosceva nessuno e l’unica persona che poteva sapere il mio indirizzo era la signora Lily, ma dubitavo che le interessasse sapere dove abitavo e probabilmente non avrebbe nessun motivo per venire a cercarmi nella mia abitazione.
Indossai velocemente una vestaglia e corsi alla porta per vedere chi fosse, e ne rimasi veramente sorpresa.
«George! Cosa ci fai qui?»
«Scusami se sono arrivato qui all’improvviso e a quest’ora, avevo anche provato a chiamarti ma il tuo telefono risultava irraggiungibile, quindi ho pensato di farti visita di persona...» si scusò evidentemente dispiaciuto.
«Sì, ieri sera ho dimenticato di mettere in carica il cellulare, anzi, onestamente dovrei dire che nemmeno ricordo dove sia, ma ora che mi hai rintracciato dimmi tutto, devo vestirmi e correre in agenzia?» domandai un po’ alterata, va bene che avevo trovato a filo quel lavoro, però farmi venire a chiamare a casa per fare un turno anticipato lo trovavo esagerato.
George si fece leggermente rosso in volto, e non mi piacque affatto. Che diamine voleva dire?
«A dire il vero no.. Anzi, pomeriggio l’agenzia resterà chiusa quindi sei libera, inoltre la gita di domani è sospesa»
«Come mai? Va tutto bene?»
«Sì assolutamente, solo che oggi Lily ha un incontro con i Tour Operator, e domani ci sarà brutto tempo»

Col passare delle settimane ero sempre più fiera del lavoro che svolgevo all’agenzia. I sorrisi soddisfatti dei miei gruppi di turisti mi rincuoravano facendomi dimenticare il dolore ai piedi che mi veniva camminando a lungo, e le loro mance riuscivano ad aiutarmi a mettere qualche soldo in più da parte.
Oltretutto il mio accento era diventato completamente inglese, e nessuno con cui avevo modo di parlare chiedeva più se fossi straniera.
Il mio orgoglio man mano si ricostruiva, ed ogni violenza subita nella mia città natale era ormai un lontano ricordo.
O almeno quando ero sveglia.
Di notte i pensieri e gli incubi mi mangiavano viva, ogni senso di tranquillità dei primi giorni era svanito. Gli incubi mi tormentavano al punto da farmi stare perennemente in allerta, non permettendomi di riposare il necessario.
Mi facevano sentire sotto minaccia, il mio sesto senso mi diceva che il pericolo era sempre dietro l’angolo ed aspettava solo il momento giusto.
In quelle settimane non ero riuscita a fare amicizia con quasi nessuno, ad eccezione di Lily, George e i turisti.
Avevo sempre voluto vivere in una città in cui le persone non cercavano una minima scusa per attaccare bottone, ma allora perché la reale freddezza degli abitanti di Londra mi aveva fatta ricredere?
Le giornate iniziavano a diventare monotone, quando non erano previste escursioni passavo più tempo in agenzia ad aiutare Lily. Un po’ perché mi dispiaceva lasciarla da sola, d’altronde era divorziata con due figli che erano entrambi all’estero, e un po’ perché volevo entrare il più possibile nelle grazie di Lily, per ridurre al minimo il rischio di perdere il lavoro in caso si presentasse un candidato più giovane o con più esperienza.
Ma in fin dei conti stare all’agenzia mi piaceva, e dopo qualche giorno ero già riuscita a convincere Lily del fatto che l’agenzia avesse bisogno di una sistemata.
Fortunatamente era consapevole di essere disordinata, così mi aveva lasciata libera di fare a modo mio e nel giro di pochi giorni l’agenzia era come nuova. Tutte le locandine, mete e dépliant erano raggruppate per colore, formando un piacevole arcobaleno.
Non c’era alcuna traccia di polvere o sporcizia, e lo squallido stanzino dove avevo fatto il colloquio era diventato un lussuoso back office, dove avevo lasciato solo la fotocopiatrice, la macchina del caffè, la scrivania e blocchi di dépliant.
Ovviamente oltre a Lily c’era George, che ormai vedevo come un classico londinese: estremamente riservato. Però sembrava apprezzarmi come collega, capitava spesso che ci trovassimo insieme a bere caffè in un locale e a parlare del più e del meno durante le visite guidate.
Non me ne facevo un problema, ormai mi sentivo nuovamente sicura di me, pronta a ricominciare da capo.
Ma era una cosa che avevo fatto già da tempo.
Avevo voltato pagina nel momento in cui avevo deciso che era quella la notte in cui fuggire, il diventare amica di George era solo un piccolo dettaglio.
Il mio appartamento, nonostante fosse solo un monolocale, mi sembrava troppo grande per una persona sola, così avevo avuto la brillante idea di adottare un cane.
Ne parlai con Lily, scoprendo anche che lei è un amante degli animali, e dopo varie ricerche avevo trovato un canile non troppo distante da Piccadilly.
Chiamai, compilai un modulo online con tutte le mie esperienze legate agli animali – in realtà avevo solo avuto un pesce rosso – e fissai un appuntamento con una volontaria.
Nei giorni precedenti alla visita avevo sperato con tutto il mio cuore che tutto andasse per il meglio, di essere idonea e che soprattutto lo fosse stato il mio appartamento.

«Allora, ti hanno già chiamata?» mi aveva chiesto Lily.
Erano passati pochi giorni dalla visita della volontaria a casa, e ancora non sapevo se fossi idonea o meno.
Negai con la testa mantenendo lo sguardo chino sui fogli che avevo fra le domani.
L’indomani c’era una visita guidata, e dovevo revisionare l’ordine delle varie tappe. Era assurdo, ogni volta che trovavo un errore nel testo e lo andavo a correggere, per poi ristamparlo, ne appariva un altro. Così mi ero munita di pazienza e rileggevo varie volte.
Sentì l’aria farsi pesante tra me e Lily, aspettava una risposta.
«A dire la verità ho anche paura non chiamino proprio» annunciai, ed era vero. Il dover aspettare mi aveva fatto capire che forse non ero la candidata migliore per tenere un animale in casa.
«Ma cara, non essere troppo dura con te stessa» cercò di confortarmi Lily «Vedrai che chiameranno»
Continuai a correggere le bozze, sperando che fosse veramente così. Una volta finito spazzai a terra ed aiutai a Lily a chiudere l’agenzia. Poi rientrai a casa.

Non appena avevo chiuso la porta a chiave mi squillò il cellulare, ed io risposi senza nemmeno guardare chi fosse.
«Pronto?»
«Signora Vileri?»
Mille pensieri mi pervasero, non riuscivo a capire a chi appartenesse la voce.
Poteva essere un call center, ma anche una chiamata importante.
Balbettai involontariamente fino a riuscire a dire che Vileri ero io.
«È successo qualcosa?»
«Cosa? Oddio, no, mi perdoni. Sono Zaira, la chiamo dal canile. Abbiamo appena elaborato, risulta idonea. Vuole fissare un appuntamento?»
Ci pensai qualche secondo. Durante la mattina c’era una visita guidata, ma nel pomeriggio sarei stata libera.
«Domani pomeriggio, per le sei»
«Va benissimo, la aspettiamo. Scusi ancora il disturbo per l’orario»
La salutai chiudendo la chiamata, poi sospirai.
Cenai, mi feci una doccia e poi andai a dormire, addormentandomi subito.
Alle 7 in punto suonò la sveglia, mi alzai ed alle 8 in punto ero già insieme a George nella reception di un B&B ad aspettare i turisti.
Mi domandai come sarebbe stato lavorare sempre dietro una scrivania, senza dover camminare a lungo.
Noioso, già lo immaginavo.

Tra una tappa e l’altra era ora di pranzo, ci fermammo in un chiosco a Regent’s Park a mangiare. Ciò diede a me e George la possibilità di chiacchierare senza farci interrompere dai turisti.
Mangiavo tranquillamente fino a quando George non mi domandò se ero già stata chiamata dal canile. Per poco non mi strozzai, dovevo ammettere che Lily era proprio una chiacchierona.
«Sì, proprio ieri sera»
«Sono felice per te, allora quando vai a prendere la bestiolina?»
Il termine che usò mi fece sorridere, mi piaceva la sua compagnia. O almeno per il momento.
Non era invasivo, non usava stupidi approcci, anzi, era abbastanza riservato. E poi faceva quelle stupide battute che mi facevano sorridere sia quando le diceva, che quando per caso mi tornavano in mente.
«Pomeriggio, una volta finita la guida»
«Se vuoi ti ci porto io» si propose.
Lo guardai stupita.
«Cosa?»
«Per questioni di comodità, in fin dei conti non hai una macchina, no?»
Restai dubbiosa.
«Sì, per comodità… Allora ci vediamo da me per le sei, non più tardi. Ricordi ancora dove abito?»
George fece sì con la testa.
Riprendemmo a mangiare, poi continuammo la visita.
Nel tragitto continuavo a pensare alla proposta di George ed andai in panico. Era da anni che non avevo amici, e mi imbarazzava non poco. Oltretutto non sapevo come comportarmi visto che con George non ci eravamo mai visti al di fuori del lavoro nemmeno per motivi lavorativi.
Sperai di non mettermi in ridicolo.
La giornata trascorse velocemente, ed ero riuscita a tornare a casa anche prima.
Mi ero divertita – come sempre d’altronde – ed il pensiero che a poche ore avrei incontrato la mia bestiolina mi rendeva euforica come una bambina.    

George non tardò ad arrivare, l’orologio aveva da poco segnato le cinque quando aveva citofonato.
Era straordinariamente in anticipo.
«Come mai così presto?» domandai curiosa «Il canile non è molto distante da qui»
«Beh, pensavo prima di andare a prendere un caffè insieme, poi dirigerci»
Le lusinghe di George mi rincuoravano.
Dopo anni… Sembrava che fossi di nuovo importante per qualcuno.
Mi fece accomodare nella sua macchina, un’utilitaria nera, prendemmo un caffè da Starbucks e poi andammo al canile.

Una ragazza bionda mi salutò non appena varcai la soglia della porta d’ingresso, presentandosi subito dopo.
George era rimasto in auto, e non appena avevo aperto lo sportello si sentirono dei latrati provenire dall’edificio.
Nella stessa stanza in cui ero io c’era la stessa volontaria che era venuta a fare il sopralluogo a casa mia, mi salutò e tornò a parlare con la famiglia che aveva davanti.
«Salve, sono Zaira, responsabile delle adozioni»
Mi presentai a mia volta, e la ragazza sembrava lieta che fossi io quella con cui aveva parlato al telefono e fissato l’appuntamento.
«Ah, perfetto, la signora Mara, mi segua così le faccio vedere i nostri amici a quattro zampe»
Ovviamente aveva sbagliato la pronuncia del mio nome, ma non me ne feci un problema.
Aprì una porta e subito il volume dei latrati aumentò.
Passammo in un corridoio dove ai lati c’erano molte reti con dei cani di tutte le età dietro, ognuno di loro si avvicinava cercando di far passare i musetti attraverso le maglie delle reti.
Uno di loro mi colpì in particolare. Non si avvicinava alle sbarre come tutti gli altri, se ne restava accovacciato rivolto al muro. Come se non gli importasse se qualcuno fosse interessato a lui, sembrava offeso.
«Perché è così triste?» domandai a Zaira, la risposta non tardò ad arrivare.
«Lei è la prima che nota Faith, è il nostro angelo, ed ha una storia difficile»
Mi raccontò di quante volte quella cagnolina fu adottata e riportata indietro qualche giorno, settimana o mese dopo. Mi mise tristezza. Come si poteva essere così crudeli nell’adottare una povera anima e poi riportarla indietro come se fosse un oggetto?
Non era più nemmeno un cucciolo, ma era comunque piccola e abbastanza carina da farmela scegliere. Aveva un pelo lungo e maculato, sembrava un peluche.
Zaira rimase perplessa quando le dissi che volevo adottare proprio lei.
«Beh, Faith è una cucciolona difficile, ci vorrà molto tempo prima che inizi a fidarsi di lei»
Rimasi a pensare. Sarei mai riuscita a farla tornare felice, a fidarsi?
Sì..
«Saprò prendermene cura» affermai convinta.
La ragazza aprì lo sportello della cuccetta di Faith, la prese e me la porse. Era leggerissima.
«Le vado a compilare i moduli, fate amicizia intanto» mi sorrise la ragazza per poi sparire da dietro la porta.
Nel frattempo avevo provato ad attirare l’attenzione di Faith, e dopo qualche minuto di carezze si era voltata ad annusarmi.
Zaira era tornata, dicendomi che i documenti erano pronti e bastava solo la mia firma per portare a casa Faith.
Misi almeno una ventina di firme su vari fogli, poi mi lasciò un post-it con scritto il numero e l’indirizzo della veterinaria che da sempre seguiva Faith.
«Non esiti a chiamarci se succede qualcosa» mi raccomandò la bionda.
Salutai e tornai in macchina dove c’era George ad aspettarmi, scusandomi per averci messo tanto tempo.

George ci lasciò davanti casa, poi andò.
Rientrai in casa con Faith in braccio, poi la poggiai a terra in modo che esplorasse il monolocale.
Ero contenta di ciò che avevo fatto, e sperai lo fosse anche lei.
Cenai ed andai a dormire con Faith che dormiva accanto a me, l’indomani pomeriggio ci sarebbe stata un’altra visita guidata.

Mi svegliai che erano appena le 8, qualcuno aveva suonato al campanello. Indossai velocemente la vestaglia che tenevo ai piedi del letto e corsi alla porta.
Non c’era nessuno. Non appena mi stavo voltando il mio piede calpestò della carta.
Era una lettera rossa.
La aprì con curiosità e rimasi stupita.
Era un avviso di sfratto.

 
   
 
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