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Autore: BabaYagaIsBack    23/03/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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"You pull the trigger just for fun
Forgetting I'm a loaded gun
So hate me for the things I've done
And not for what I've now become
"

- Reincarnate, Motionless in White


 

 

Con il corpo allungato sul divano e un libro stretto tra le dita, Noah tentava di distrarre la mente da qualsiasi cosa avesse a che fare con Salomone: dal fatto che probabilmente fossero la stessa persona alle Chimere - eppure ad ogni paragrafo si mordeva il labbro nell'inutile speranza di restare concentrato. Così, all'ennesimo affondo degli incisivi, spostò lo sguardo sull'orologio appeso alla parete della cucina.
Le due e venticinque.
Dove erano finiti Zenas e Alexandria? E perché Levi sembrava non interessarsi in alcun modo alla loro assenza?
I suoi occhi passarono dalle lancette al profilo aguzzo dell'uomo. La luce fioca della lampada accanto alla libreria metteva in risalto il lieve strato di sudore che gli imperlava la fronte e inumidiva il braccio che poggiava a terra, intento a piegarsi ogni manciata di secondi e scandendo la quarta serie di flessioni a cui si stava dedicando.
Aveva i capelli scompigliati, tirati indietro in chissà quale momento degli allenamenti, quando ormai le sue parole avevano smesso di riempire l'aria lasciandogli modo di evitare il discorso su di sé, il suo hagufah e tutte quelle novità che aveva cercato di comprendere e poi ignorare. Lo osservò attentamente, perdendosi in ogni dettaglio come se non lo avesse mai visto prima.
Aveva ciglia lunghe che incorniciavano iridi di un verde che a tratti pareva oro, il naso dritto e le labbra ben proporzionate. Gli zigomi alti davano al suo volto un taglio duro, maturo che tentava di essere smorzato dalla rasatura perfetta della barba. Il pomo d'adamo si muoveva lungo il collo come il pendolo di una campana e i suoi muscoli - tutti - si tendevano a ogni nuova risalita. Li vedeva sotto la pelle nuda e riusciva a immaginarli oltre gli indumenti, quasi come uno scultore li avesse modellati lui. Era statuario senza apparire eccessivo e, certamente, molto più guizzante di quanto ci si sarebbe potuti aspettare.
«Non sei preoccupato?» domandò Noah d'improvviso, soffermandosi sull'espressione concentrata di lui.
Le labbra di Levi si tesero, incurvandosi appena: «Per cosa?» chiese con fare quasi canzonatorio, come se il suo quesito in qualche modo lo divertisse.
L'Hagufah strizzò gli occhi, confuso: non era ovvio a cosa si stesse riferendo?
«Per Zenas e Alexandria.»
«Tu lo sei?»
Si umettò le labbra secche. Lo era? Ad essere onesto, sì. Era già da qualche pagina, persino prima di guardare l'orologio, che una certa irrequietezza si era fatta strada in lui. Una sensazione lieve, certo, ma costante.
«Sono usciti ore fa...»
Nakhaš si fermò. Con il braccio teso a sorreggere tutto il resto del corpo voltò il viso verso di lui, un'espressione bonaria a contrastare i lineamenti duri e seducenti. Noah non faticò a immaginare quanti cuori, nei secoli, quel tizio doveva aver ghermito.

«Non farlo, Noah.»
«Cosa?»
«Preoccuparti troppo per loro.» Il suo mento tornò quasi a sfiorare il pavimento: «Zenas cammina su questa terra da quando Omero ha scritto l'Odissea, Alexandria invece è più vecchia dei tuoi ultimi quattro corpi» gli fece notare, come se quella fosse un'attenuante. Eppure lui non ci riusciva. Più la sua mente tornava all'orario e al modo in cui si erano lasciati, più l'irrequietezza si agitava, aizzando il suo sesto senso.

«Siete immortali, non invincibili.»
A quelle parole il braccio di Levi ebbe un fremito. Lo vide cedere, poi notò la contrazione lieve della mascella.
«Già, ma sappiamo badare a noi stessi.»
«Questo lo so, ma...» affondò i denti nel labbro inferiore, distogliendo lo sguardo.
«Arriveranno, fidati» e così dicendo Nakhaš terminò il proprio allenamento, rimettendosi dritto. Con l'orlo della maglia si asciugò la fronte e il volto, guardò l'orologio a sua volta e infine sospirò: «Vado a farmi una doccia, okay? Non ti arrovellare troppo su quei due. A Zenas piace bere e Alex perde la cognizione del tempo quando è in sua compagnia.» Noah annuì. Anche se non si sentiva sereno provò comunque a riaprire il libro e scorrere qualche altra riga, ma appena i passi di Levi smisero di risuonare per la stanza e la porta del bagno si chiuse, lui fece altrettanto col romanzo che teneva tra le mani. Qualcosa non andava. Era certo che Salomone lo stesse mettendo in guardia - così si alzò e in punta di piedi si avvicinò alla scarpiera: forse una boccata d'aria gli avrebbe fatto bene. Afferrò le converse usurate, le infilò veloce e si spostò verso l'ingresso: «Esco un attimo, ci vediamo quando finisci» e senza dar modo a Levi di fermarlo o semplicemente rispondere sgattaiolò fuori.
Svelto scese la rampa di scale che lo separava dal portone, gettandosi fuori come un fuggitivo a cui viene ridata la libertà. Sentì la brezza serale accarezzargli le guance e scompigliargli i capelli, riempirgli le narici e dargli un lieve, anzi, lievissimo senso di leggerezza.

Magari gli serviva veramente una passeggiata, forse Nakhaš aveva ragione a dirgli che le sue erano paranoie inutili...

Le gambe presero a muoversi da sole. Non ragionò né sul percorso da fare né sulla meta da raggiungere, semplicemente iniziò a camminare. Un piede dopo l'altro si inoltrò tra le ombre notturne, avanzò lungo le strade della periferia Viennese e, d'improvviso, la casa alle sue spalle sparì dietro ad altre.
L'urgenza di andare lontano, di muoversi, lo stava spingendo inconsciamente verso qualcosa d'incerto e quando infine attraversando l'ennesimo passaggio pedonale, girò un poco lo sguardo, capì. O meglio, ci mise qualche istante a realizzare cosa avesse di fronte, ma quando nella mente i pezzi si andarono a unire, completando il puzzle, la prima cosa che fece fu portarsi la mano alla bocca per trattenere un conato. Il calore del vomito invase la gola, il sapore acido gli pizzicò la lingua, eppure dalle labbra non uscì più di qualche rantolo.

Sangue, si disse. Sangue ovunque, pensò. Carne lacerata, aperta, corpi lividi.
Saká̇náh (pericolo), sussurrò poi una voce nella sua mente, stringendogli con più vigore lo stomaco.

Che diamine era successo?

 

Zenas intravide un'ombra. Aveva gli occhi stanchi per la fatica, il corpo indolenzito e la mente persa sulla ferita che Alex faticava a toccare forse per paura di peggiorare la situazione, così non seppe riconoscere più dei contorni sfocati della figura alle spalle della sorella. Si limitò a fissarla per qualche istante con il cuore bloccato in gola, scongiurando in tutte le lingue che conosceva il peggio. E se fosse stato un membro del Cultus? Un enoshiy (umano)? In che modo avrebbe affrontato la situazione?

«Al posto di cacarti sotto vieni qui, Noah» la voce di Z'èv spezzò la sua ansia. Così, spostando lo sguardo e riuscendo almeno a mettere a fuoco lei, Zenas si accorse che da sopra la spalla sua sorella stava fissando nel punto in cui si trovava l'ombra. Nemmeno le chiese come avesse fatto a riconoscerlo, sapeva che doveva averlo sentito in qualche modo e, ovviamente, fu grato di sapere che fosse lui e non qualsiasi altra persona - amica o nemica.
In un moto di sollievo portò la testa all'indietro e nel farlo quasi si perse le ultime parole della Contessina: «Bevaqashah, Shelemah hamelekhe... (ti prego, Salomone)» seguito subito da un rumore sempre più intenso di passi.

Akràv sorrise. Nel dolore e nonostante la gamba completamente deturpata, mezzo sdraiato sull'asfalto, non riuscì a capire da cosa fosse più intenerito: se dalla richiesta di sua sorella, dal modo in cui si era rivolta a Noah, da lui che era corso in loro soccorso oppure dal fatto che, infine, Levi aveva ragione. Quel tizio era davvero il Re.

Sentendo la sua presenza ormai a ridosso della propria, l'uomo tornò a fissare davanti a sè.

«Ch-che d-diamine è-» lo vide trattenere un conato, come chiunque fronteggiasse per la prima volta uno spettacolo raccapricciante come quello.
Alex ringhiò: «Se vomiti ti ammazzo, hai capito?» Aveva gli occhi lucidi, lo si notava persino da lì: «Dobbiamo portarlo in salvo, c-ci stanno cercando e... » finì la frase deglutendo con forza, quasi volesse mandar giù le parole. Noah a quel punto corrugò le sopracciglia. Non chiese chi fosse alle loro calcagna, men che meno sul momento volle altre spiegazioni. La sua espressione cambiò e con una risolutezza insolita annuì, quasi avesse capito tutto: «Okay. Okay, ci penso io adesso.» 
«Come?» Gli occhi di Z'èv lo seguirono mentre si alzava da terra guardandosi intorno con circospezione. La sua confusione era ancor più evidente delle lacrime che stava cercando di trattenere.
«Aiutami a tirarlo in piedi» le ordinò l'Hagufah prima di rivolgersi a lui: «L'altra gamba come è messa?» Zenas sorrise scrollando il capo, poi tese un braccio nella sua direzione come se non fosse ridotto uno schifo. C'era qualcosa di drammaticamente divertente in quella situazione, anche se c'erano in gioco le loro vite.
La stretta di Noah lo colse alla sprovvista, così come la forza con cui lo sollevò da terra. Con un unico movimento si mise il suo braccio intorno alle spalle e con l'altro gli cinse la vita: «Z'èv, tafus oto (afferralo)» le ordinò con un tono tanto secco e autoritario da farlo sobbalzare come un animale colto alla sprovvista.
Aveva sentito bene? Akràv gli lanciò un'occhiata confusa, incerto sull'esattezza di ciò che gli era parso di udire. Ebraico, si disse, ancora. I lati della sua bocca si alzarono maggiormente, mentre un calore dolce e rassicurante gli saliva dalle viscere verso il cuore - e nel volgere il capo verso di lui, ora così vicini da notare ogni singolo dettaglio del suo viso, si accorse di come lo sguardo del ragazzo fosse deciso, intenso, vivo...

Shelemah hamelekhe, pensò, rievocando le parole della sorella poco prima. E più tempo passava, più la convinzione che Salomone sarebbe presto tornato si faceva concreta, tanto da rendere la sua ferita un neo in tutta quella situazione. Sì, lo avrebbe sistemato, ne era certo. Una volta in salvo Noah avrebbe dimostrato di essere un Hagufah degno di quel ruolo - dovevano solo raggiungere l'appartamento prima che il Cultus potesse individuarli...
 

   
 
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