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Autore: Bubbles_    24/03/2018    4 recensioni
When the moon fell in love with the sun
All was golden in the sky ~
.
"Posso farla innamorare di te in un batter d’occhio e tu potresti ricambiare il favore"
"E trasformarti nella ragazza dei sogni di Bright?"
"Io sono già la sua ragazza dei sogni, deve solo rendersene conto"
"Quindi mi stai offrendo il tuo aiuto, quando in realtà sei tu a voler qualcosa da me"
"Siamo sulla stessa barca, sfigato"
"La tua sta decisamente affondando per chiedere aiuto a me, principessa"
.
All was golden when the day met the night ~
La solita vecchia storia - Blue Moon.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rein, Shade
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11


Strinsi al petto i quaderni che tenevo in mano, mentre osservavo quel ragazzo davanti a me come se fosse uno sconosciuto. Il suo volto era così stanco che per un attimo feci fatica a riconoscerlo. I capelli spettinati e arruffati erano liberi dal solito berretto, gli cadevano sul viso, nascondendo in parte due occhi spenti, contornati da occhiaie scure e marcate.

Non lo avevo mai visto così vulnerabile. Rimasi immobile ad osservarlo, incapace di proferire parola. Un groppo pesante mi si formò nel petto e subito capii di trovarmi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Tutto mi urlava di andarmene, lasciargli la torta e i compiti di matematica e scappare lontano e lui forse se ne accorse, perché il suo sguardo si fece più duro, serrò la mascella e ogni traccia di fragilità scomparve dal suo volto. Io e Shade non eravamo confidenti, forse non eravamo neanche amici. Io non avrei dovuto vederlo così e questo lo sapevamo entrambi. 

Invece, contro ogni logica, lo sorpassai in silenzio e mi invitai in quella casa tanto grande quando vuota. I miei passi rimbombarono sul pavimento di marmo. Mi fermai solo una volta al centro della stanza. Volevo mettere abbastanza distanza tra me e la porta, perché il mio messaggio doveva essere forte e chiaro: io sarei rimasta e Shade non sarebbe stato più solo. 
 
“Ho fatto una torta” ripetei con voce piccola cercando il suo sguardo “E ti ho portato i compiti degli ultimi due giorni” aggiunsi quando non ebbi nessuna risposta.

Shade rimase immobile accanto alla porta ancora aperta. Gli occhi puntati su me, le braccia lungo i fianchi con i pugni serrati.  

“Posso aiutarti con i compiti, se vuoi” azzardai ancora.
 
“Rein io…” si interruppe, le parole lente e pesanti. Potevo vedere l’incredibile sforzo che stava facendo per raccogliere i pensieri nei suoi occhi corrucciati e nelle labbra tese.
 
“Shade, posso aiutarti, davvero” e non solo con i compiti. Non sapevo come, né se ne ero in grado, ma sapevo che non potevo lasciarlo solo. Avevo deciso che non me ne sarei andata nel momento in cui aveva aperto la porta ed era comparso davanti a me esausto e disorientato.
 
Shade aprì di nuovo la bocca per parlare, ma prima che potesse dire anche solo una parola il suo sguardo si spostò u qualcosa alle mie spalle. Mi voltai curiosa e mi ritrovai davanti a due grandi occhi confusi. Quella che doveva essere la sorellina di Shade era a pochi passi da me con indosso un adorabile pigiamino turchese e in mano quello che doveva essere un peluche di un gattino.
 
“Milky! Cosa ci fai sveglia?” lo Shade di qualche attimo prima era scomparso. La voce stanca era stata sostituita con un tono autoritario, ma dolce. Mi superò veloce e cercò subito di prenderla in braccio, ma la bimba si divincolò e mi corse in contro. Mi afferrò un lembo della gonna mentre continuava a fissarmi.
 
“Ciao Milky” commentai accucciandomi per guardarla in viso “Io sono Rein. Sono un’amica di tuo fratello” si aprì finalmente in un sorriso, abbandonando quell’espressione confusa, e mugugnò qualcosa con voce felice. Prima però che potessimo continuare la nostra conversazione, Shade approfittò di quel momento di calma per prenderla in braccio. Milky si aprì in mugolii di dissenso e allungò una manina nella mia direzione.
 
“Vuoi che ti porto a letto anche io?” chiesi dolce e la bimba ridacchiò di nuovo. Quando spostai lo sguardo verso Shade, lui mi osservava confuso, probabilmente incapace di capire il perché mi stessi comportando in quel modo.
 
“Non guardarmi così, è Milky che ha deciso” scherzai facendogli l’occhiolino con tutte le intenzioni di alleggerire l’atmosfera.
 
Shade non disse nulla, sistemò la sorellina tra le braccia e cominciò a salire le scale alla sue spalle. Io senza aspettare nessun invito, appoggiai torta e compiti su un tavolino lì vicino, e lo seguii.
 
Mentre salivamo gradino dopo gradino, Shade mi lanciava occhiate furtive come per controllare che davvero lo stessi seguendo e nonostante mi sentissi incredibilmente fuori luogo in quella villa così elegante e così grande, fingevo un sorriso ogni volta intercettavo il suo sguardo. Una parte di me era consapevole che ero entrata in quella casa senza nessun invito, abbandonando ogni buona regola di comportamento che mi era stata insegnata e invadendo la sua vita privata, ma sapevo anche quella fosse l’unica cosa giusta da fare. 

Lo seguii in lungo corridoio, mentre la mia mente si meravigliava davanti all’immensità delle stanze, e poi dentro una camera in penombra. Era grande quanto metà del mio appartamento, piena zeppa di giochi e con un adorabile lettino bianco al centro. Rimasi sulla soglia, rispettando quel briciolo di buona educazione che mi era rimasto, e osservai Shade rimettere a letto la sua sorellina. Per un attimo desiderai conservare quel ricordo per sempre. Il modo in cui le rimboccò le coperte, o il bacio che le diede sulla fronte prima di allontanarsi silenzioso. L’osservai fare tutto con un sorriso stanco sul viso, che però non vacillò mai. 
 
Uscii dalla stanza cercando di fare il meno rumore possibile e dopo qualche attimo Shade mi raggiunse. Chiuse la porta e quello che seguì furono parecchi secondi di totale silenzio. Fui io a mettere fine a quella tortura.

“Shade, tutto bene?” chiesi cercando il suo sguardo che non faceva altro che evitarmi.  Al suo silenzio mi avvicinai a lui e gli posai una mano sul braccio e subito lo sentii diventare teso sotto il mio tocco. 

“Shade, da quanto tempo non dormi?” chiesi di nuovo e ancora nessuna risposta.  I suoi occhi però questa volta non scapparono. Confusi, certo, ma fermi su di me. E con un coraggio che mai avrei pensato di avere, eliminai ogni distanza tra di noi e lo abbracciai. Lo strinsi forte a me. 

Shade rimase immobile, ma quella sua sorpresa durò meno di un secondo. Non appena le mie braccia lo avvolsero, la sua testa trovò la mia spalla. Si lasciò andare nell’abbraccio e lo sentii ispirare forte tra i miei capelli, per poi lasciarsi andare in un lungo sospiro. 

Si lasciò cullare tra le mie braccia e io per un attimo feci lo stesso. Mi feci avvolgere dal suo calore e dal suo profumo, ma non mi permisi di lasciarmi andare, con piedi piantati saldamente a terra e spalle dritte lo sostenni. Volevo potesse capire che non doveva portare tutto quel peso da solo, adesso c’ero io, poteva, doveva condividerlo con me.  

“Sono solo stanco” sussurrò trascinando ogni parola, il suo respiro che mi solleticava il collo.  

“Possiamo riposare un po’, allora” con un mano disegnavo motivi astratti sulla sua schiena. Lo sentii sorridere, le sue labbra sulla mia pelle. 

“Mi sei mancata” soffiò in un sussurro quasi impercettibile, voce profonda e stanca, e le mie carezze si bloccarono, incapace di processare tutta quella onestà, ma solo per un attimo. Ripresi ad accarezzarlo e, se possibile, lo strinsi ancora più forte a me. 

“Ora sono qui”.

Rimanemmo così per un’eternità, la sua testa sulla mia spalla, le mie braccia intorno al suo corpo e il suo respiro che si faceva sempre più lento. 

“Shade, ti chiedo un ultimo sforzo, va bene?” con una forza che non sapevo di avere mi staccai da lui, lo spinsi dolcemente con le mani sulle sue spalle e cercai il suo sguardo. Annuì proprio come avrebbe fatto un bambino e non riuscii a trattenere un sorriso. 

“Mi mostri dov’è camera tua?”.

Con palpebre pesanti Shade sembrò riacquistare un po’ di lucidità per condurmi verso una porta in quello stesso corridoio. Quando l’aprì, lo seguii in una stanza buia e più vuota di quello che mi aspettavo. Era un po’ più piccola di quella di Milky, ma l’assenza di oggetti dava l’impressione fosse molto più grande. Oltre ad un grande armadio in legno, vi era un letto matrimoniale al centro, una scrivania ordinata e un libreria stracolma di libri.  Nient’altro. 

Shade si fermò al ciglio del letto, prima di cercarmi nella stanza. Subito gli fui accanto e contro ogni sua protesta, lo obbligai a sdraiarsi. Gli rimboccai le coperte come gli avevo visto fare poco prima, e cauta rimasi in piedi accanto a lui. 

“Non andartene” sussurrò e io sentii il cuore battermi in gola.

“Ti sei forse scordato quanto sia difficile sbarazzarti di me?” scherzai, vidi un sorriso comparire sul suo volto e un attimo dopo Shade si era spostato verso il lato opposto del letto. 

Cauta salii anch'io e lentamente mi sdraiai accanto a lui. Io sopra le coperte e lui ben sotto. Sapevo fosse una situazione compromettente, ma in quel momento non vi era null’altro se non la consapevolezza che aveva bisogno di me lì, accanto a lui.

Rimanemmo in silenzio, il ritmo dei nostri respiri che scandiva il tempo e io mi ritrovai ad accarezzargli distratta i capelli. Avevo iniziato perché gli cadevano fastidiosamente negli occhi, ma erano così soffici e spessi tra le mie dita che mi ero ritrovata a prolungare ogni carezza. I suoi occhi mi osservano attenti, ma potevo vedere le palpebre farsi sempre più pesanti. Sapevo stesse facendo una fatica immensa nel cercar di restare sveglio. 

“Ho rovinato tutto, non è vero?” lo sentii dire all’improvviso.

“Cosa intendi?”

“Tra di noi” rimasi sorpresa, confusa quasi.

Ritirai piano la mano e abbassai lo sguardo. Sapevo perché Shade ero convinto fosse colpa sua. Nelle passate settimane avevo fatto di tutto per evitarlo. Avevo ignorato ogni suo messaggio e finto di non vederlo o cambiato direzione ogni qual volta lo incontravo nei corridoi della scuola. 
Shade mi aveva visto confusa, vulnerabile e imperfetta, e io ero scappata. 
 
E la verità è che avevo odiato ogni singolo giorno senza di lui. Mi ero sentita una persona orribile, tutto quello che avrei voluto fare era correre da lui, raccontargli la mia giornata, lamentarmi di una qualsiasi sciocchezza e arrabbiarmi alla sua inevitabile presa in giro. 

“Sai perché sono venuta? Perché avevo bisogno di te” sussurrai con occhi puntati al soffitto, non sarei riuscita a dire quelle parole guardandolo in viso “Non c’è stato giorno in cui non avrei voluto parlarti, chiederti consiglio, o semplicemente averti al mio fianco. Sei diventato parte della mia vita in un modo così naturale, che ho dovuto starti lontano per capire quanto davvero io non voglia fare a meno di te” mi aprii in una risata breve e nervosa e finalmente cercai il suo sguardo.

Shade dormiva, gli occhi chiusi e il respiro pesante e io non potei fare a meno che sorridere.

“Quello che voglio dire è che mi sei mancato anche tu Shade” 

 
*

 
Avevo sempre amato cucinare. Cucinavo spesso per mamma, che tra un turno e l’altro faceva ore senza un boccone, a volte per Fine, terrorizzata dalla possibilità che potesse lei cucinare qualcosa a me, e  quasi sempre per me stessa. Inutile dire che non avevo mai cucinato per Shade. Non solo, non avevo mai cucinato in una cucina non mia. Come il resto di quella casa, era splendida. Una cucina di prima categoria, provvista di qualsiasi cosa potessi immaginare: ripiani di quarzo, pentole di ogni dimensione, un set di coltelli da far invidia a qualsiasi televendita e un sacco di aggeggi dalla dubbia utilità. Non era stato così difficile, il frigorifero era stracolmo di cibo e Milky, la quale aveva finito il suo pisolino pomeridiano da un pezzo, era stata un’aiutante fondamentale.

Quando verso le quattro, ero uscita dalla stanza di Shade sicura lui stesse dormendo, me l’ero ritrovata sulla soglia della sua cameretta che mi guardava con occhi vispi e decisamente poco assonnati, segno che il suo pisolino si era concluso. Non ero brava con i bambini, quella era Fine, ma cercai di fare del mio meglio. Avevo promesso a Shade che l’avrei aiutato e non me ne sarei andata da quella casa finchè non fossi stata sicura di averlo fatto. 

Così io e Milky avevamo passato il resto del pomeriggio insieme, prima a guardare cartoni animati, e poi a cercare di mettere qualcosa insieme per la cena. Il suo aiuto consisteva principalmente nell’indicarmi dove trovare ciò che mi serviva e riempire le pareti di passata di pomodoro. L’arrivo poi di una donna decisamente troppo felice di vedermi, che rispondeva al nome di Dolores, avevo reso le cose ancora più facili. Dopo avermi ringraziato almeno quindici volte in due minuti per aver aiutato il “signorino Shade”, era partita alla carica. Aveva indossato un grembiule alla velocità della luce e quella che doveva essere una semplice cena, era diventato un banchetto per dieci persone.

Quando Shade fece la sua comparsa sulla soglia della cucina, Dolores era appena uscita per fare il bagnetto a Milky. Il “signorino” aveva occhi gonfi, capelli spettinati e l’adorabile segno del cuscino su tutta una guancia. Erano le nove, aveva dormito per quasi sei ore ed ero sicura avesse ancora bisogno di sonno. 

“C-che sta succedendo?” balbettò confuso camminando verso di me.

“Hai fame?” chiesi mostrandogli le numerose pentole sui fornelli. Ignorò completamente tutto quel buonissimo cibo e continuò a camminare verso di me finché non mi fu davanti. Senza esitazione mi prese una mano e ancora confuso cercò i miei occhi.

“Che ci fai qui?” 

“Mi hai chiesto di restare ricordi?” la mia mano ancora stretta tra la sua. 

Shade sembrò riflettere su quelle parole e poi finalmente si aprì in sorriso “Muoio di fame. Cosa mi hai preparato?".

Non scherzava. Mangiò come non lo avevo mai visto fare. In realtà, come non avevo mai visto nessuno fare. Sedutagli accanto l’osservai mandare giù una quantità inaudita di cibo e mentre faceva tutto questo, non smisi un attimo di toccarmi. La sua mano era sempre in contatto con me, sulla mia spalla, sul fianco per poi finalmente decidee di riposare sul mio ginocchio. Era un comportamento insolito, come se mi volesse tenere vicino a lui per paura scappassi. Non era un movimento cosciente o fatto di proposito, ma qualcosa di naturale e spontaneo e io non obbiettai. 

Parlammo del più e del meno, dei compiti che aveva da recuperare e di qualche compagno di scuola. Stavamo entrambi evitando abilmente l’elefante nella stanza e quando quello divenne troppo grande da ignorare feci un lungo sospiro e richiamai la sua attenzione. 

“Shade, adesso che stai un po’ meglio, ti va di raccontarmi cos’è successo?”.

Shade posò la forchetta e allontanò da sé il piatto ormai vuoto. Lo osservai mordersi le labbra e stringere inconsciamente la presa sul mio ginocchio. 

“Cosa sai?” i suoi occhi ovunque tranne che su di me. 

“So solo che tua madre non sta molto bene” avevo cercato le parole più delicate, quello che si era creato tra di noi era fragile e instabile.

“Mia madre ha una salute cagionevole e alcuni periodi sono peggio di altri… e questo è uno di quei periodi” fece un respiro profondo e continuò “Io e Dolores ci diamo il cambio per andare a trovarla, portarle quelle che le serve e farle compagnia. Quando non sono in ospedale mi prendo cura di Milky” parlò in modo robotico, come se fosse stata una parte recitata decine di volte. La mano sul mio ginocchio si strinse ancora di più. 

“Mio padre?” chiese come se mi avesse letto la mente “Tre giorni fa è tornato da un viaggio d’affari mentre io ero all’ospedale, ha fatto una nuova valigia ed è ripartito. Sai cosa ha lasciato?” non si aspettava una vera risposta e infatti rimasi in silenzio. Shade scosse la testa e si aprì in una breve risata sarcastica “Ha lasciato un biglietto. Proprio quello di cui suo figlio e sua figlia avevano bisogno, non trovi?”.
 
Finalmente Shade mi guardò. Si voltò verso di me e tutto ciò che vidi fu il suo viso stanco e pieno di rabbia.

Non sapevo così dire. Da persone che non potevano sopportarsi eravamo arrivati ad aprirci l’uno all’altro in un modo così onesto. Shade si era confidato con me e mi stava ora guardando senza difese. Io potevo scegliere di rifiutare quella confessione o accoglierla e visto che le parole mi mancavano, feci l’unica cosa che mi sentii di fare. Mi avvicinai di più a lui e lo abbracciai, di nuovo.

Un abbraccio maldestro quella volta, io seduta sulla mia sedia, lui sulla sua. La sua mano ancora sul mio ginocchio, le mie braccia attorto al suo collo. Lo sentii respirare tra i miei capelli e io strinsi più forte.  
 
“Rein la mia famiglia disfunzionale non è tuo problema” sussurrò al mio orecchio.

Avrei voluto dirgli che sì, lui era un mio problema. Lo era stato dal giorno in cui eravamo diventati malauguratamente amici. Che meritava una famiglia che lo supportasse, di dormire abbastanza ore la notte e di avere le preoccupazioni di ogni ragazzo della sua età. Non quel peso opprimente che si era ritrovato a gestire solo, o quasi. Invece, tutta quella raffica di parole mi si arrotolò sulla lingua e quello che ne uscì quando mi staccai da lui mi lasciò insoddisfatta e con quel familiare peso di cose non dette nel petto.
 
“Ho fatto una torta”.

A prova della mia affermazione spinsi verso di lui il piatto con su il mio dolce, decisamente non all’altezza di quello che aveva preparato Dolores. Mi feci piccola sulla sedia e osservai con eccessiva attenzione le venature del legno del tavolo. 

Shade non sembrò non curarsi della svolta che aveva preso la discussione, si tagliò un’abbondante fetta per far subito un generoso morso. Per un attimo dimenticai tutto quello che era successo e sentii un forte imbarazzo invadermi, un forte calore partire dal petto per arrivare a guance e orecchie, che ero sicura fossero diventate paonazze.  

Shade stava mangiando la mia torta e mai avrei pensato una cosa del genere potesse mettermi in imbarazzo, ma evidentemente sì. Stavo morendo di vergogna. E fosse stata troppo secca? O forse poco dolce? E se l’avesse odiata? Mi sentii all’improvviso incredibilmente vulnerabile, esposta e mi ritrovai ad osservarlo con occhi grandi e una velata preoccupazione sul viso e quando Shade si aprì in un mugolio di piacere, mi lasciai andare in un sospiro di sollievo. 

“Torta al limone, la mia preferita” la cosa peggiore? Shade sembrava essere perfettamente al corrente della mia ansia. Mi sorrise sornione e la mano che non teneva in mano la forchetta tornò sul mio ginocchio.

“L’hai fatta tutta per me?” chiese civettuolo, avendo persino l’audacia di farmi l’occhiolino. La mia preoccupazione sparì e io mi ritrovai a roteare gli occhi. 

“Goditela perché è l’ultima che ti faccio” ma il sorriso che mi si formò sulle labbra invalidò quella minaccia.
 
Shade sorrise a sua volta e per un attimo rimanemmo in silenzio, il rumore della forchetta sul piatto come unico suono. Giocò con l’ultimo boccone, ma invece di portarselo alla bocca si voltò verso di me e il suo sguardo si fece serio.

“Perché sei venuta?”.
 
“S-scusa?” mi aveva colto impreparata. Distolse veloce lo sguardo e mangiò velocemente l’ultimo pezzo di torta. Invece di posare la forchetta, si tagliò un’altra fetta e se la portò sul piatto.

“Perché sei venuta da me?” domandò nuovamente senza però guardarmi questa volta. Io rimasi per un attimo in silenzio. Combattuta sul dirgli la verità o meno. 

Perché non auto-sufficiente nelle relazioni amorose? Perché non ero in grado di mandare avanti la mia relazione (se così potevo definirla) con Bright? Perché avevo bisogno di lui per sistemare i pensieri nella mia testa? 

Sì, sì e sì. 

Era tutto vero e voleva dire una cosa ben precisa: io non era venuta lì per lui. Non inizialmente. Forse ero rimasta per lui, ma non mi trovavo in quella casa perché avevo desiderato passare del tempo con Shade. Ero lì per me. E proprio perché avevo deciso di rimanere per lui, non potevo dirgli la verità. Shade era la mia priorità in quel momento e sarebbe stato egoista parlare dei miei problemi, soprattutto quando i suoi erano decisamente più grandi dei miei. 

Avevo promesso che l’avrei aiutato e l’unico modo in cui l’avrei potuto fare era distrarlo. Offrirgli qualche ora di pausa da quel casino che era la sua vita e di certo non avrei sprecato quell’opportunità parlandogli di Bright. 

“Una sciocchezza sul compito in classe di storia. Ne riparleremo quando le cose si saranno calmate, non preoccuparti” agitai una mano in aria per minimizzare le mie parole e forzai un sorriso.

Il modo in cui Shade mi guardò, alzando appena un sopracciglio, mi fece capire non fossi la sola a sapere quella fosse una bugia. Rimase però in silenzio, si portò un altro boccone di torta alla bocca senza però mai smettere di guardarmi. 

 
*

 
Dopo aver pulito la cucina alla bene e meglio e tre fette di torta più tardi, Shade mi stava mostrando il resto della casa, ovviamente sotto mia richiesta. Come avevo immaginato, era splendida in ogni suo angolo. Era enorme, stanza dopo stanza, sembrava non finir mai, ma più stanze scoprivo, più si faceva spoglia, fredda e buia. 

Intere camere erano coperte quasi interamente da lenzuoli bianchi. La casa in sé era meravigliosa, degna dei magazine più prestigiosi, e tale rimaneva. Una bellissima casa da rivista, ordinata, elegante e incredibilmente priva di vita. 

Tenni per me quella sensazione e continuai a mostrarmi curiosa, mentre seguivo Shade per quel labirinto di scale e corridoi.  Erano le dieci passate e la mia permanenza cominciava a farsi sempre meno logica, ma nessuno dei due sembrava voler anche solo prendere in considerazione quel fatto. 

Per la prima volta da quando lo conoscevo, realizzai che passare tempo con Shade non mi dispiaceva affatto. Mi ero divertita al centro commerciale, in spiaggia e persino a piantare piantine nella sua serra. Forse poteva risparmiarsi qualche battuta nei miei confronti, ma a mala pena ricordavo perché lo avessi detestato tanto prima di far quell’assurdo patto.
 
“Sei sicuro che non hai sonno?” la mia voce suonò molto più alta di quello che in realtà fosse nel silenzio che ci circondava. Shade sbuffò con gli occhi rivolti al soffitto, ma non riuscì a trattenere un sorriso divertito.

“Per la quinta volta, sto bene".

“Perché se hai sonno, posso lasciarti riposare, oppure potr-” fui letteralmente ammutolita dalla sua mano sulla mia bocca. 

“Rein, l’ultima cosa che voglio è che tu te ne vada. Capito?” cercò un cenno di assenso e solo al mio annuire mi lasciò andare.

“Posso essere sincera al 100%? Non ho nessuna intenzione di andarmene” non c’era nessuna altra persona al mondo con cui avrei voluto essere in quel momento. Sentivo di essere nel posto giusto, al momento giusto. 

Shade per poco non inciampò. Cercò di ricomporsi velocemente, ma aumentò involontariamente il passo. 

“Bene” le orecchie gli si erano fatte bordeaux e istintivamente cercò di sistemarsi il berretto sulla testa, per non trovarvici nulla. 

“Bene” imitai con voce allegra per prenderlo un po’ in giro e con due saltelli gli fui di nuovo al fianco “Non ci posso credere che ci siamo incontrati a casa mia, quando tu vivi letteralmente in un palazzo”. 

“E ancora non hai visto niente”.

“Vuoi dirmi che c’è qualcosa di meglio dell’enorme vasca del tuo bagno?”.

“E tu come-”.

“Hai dormito per parecchie ore, sii grato abbia avuto un minimo di autocontrollo. Se mi ci fossi tuffata dentro, a quest’ora sarei ancora a mollo circondata da bolle”.

“Stai certa che non me ne sarei lamentato” fu il mio turno di arrossire e Shade fu gentile abbastanza da non far ulteriori commenti. 

Mi piaceva quell’equilibrio che si era instaurato tra noi. Non avevamo fatto altro che flirtare e prenderci in giro da quando si era svegliato. Realizzavo lontanamente che stessimo camminando sul filo di un rasoio, ma tutte quelle battute erano innocue, non nascondevano un vero interesse e mi divertivo a farlo arrossire ed ero sicura per lui fosse lo stesso. Il sorrisetto beffardo che mi lanciò me ne diede la conferma.
 
Salimmo le scale fino ad arrivare a quello che doveva essere l’ultimo piano della casa, ad attenderci però non vi era un corridoio come nei precedenti piani, ma un grande portone a due ante. Non dovetti fare nessuna domanda perché prima ancora che potessi apri bocca Shade le spalancò entrambe. Mi fece segno di entrare e io così feci.

Vedevo poco della stanza, che era completamente avvolta nel buio, se non per la luce della città che riusciva ad entrare dalla tende chiuse e che formava motivi rettangolari sul pavimento ed essendo un’intera parete ricoperta di tende, l’intera stanza era un susseguirsi di motivi di luce per tutta la sua lunghezza.
Nella penombra, potevo vedere i mobili coperti con quei familiari lenzuoli bianchi, il legno scuro del parquet e grandi lampadari adornati da cristalli riflettere quel poco di luce che riusciva ad entrare nella stanza. 

“Dove siamo?” parlai al vuoto, non riuscendo a distinguere la sagoma di Shade da nessuna parte. Ero sicura mia avesse seguito, ma quando mi voltai non era accanto a me.
 
“Quando ero piccolo, la usavamo per grandi feste, mamma adorava organizzarle e curarle in ogni piccolo particolare. Finivano sempre con un ballo. Avevo cinque, forse sei anni, e l’unica cosa che desideravo era ballare insieme ai grandi, invece ero obbligato ad andare a letto presto e perdermi quella che era per me la parte più bella della festa” la sua voce non era distante e potevo sentirlo sorridere, girai su me stessa e lo cercai con gli occhi, ma nulla.

“La casa è grande e da quando mamma si è ammalata, abbiamo iniziato ad usare sempre meno stanze. Questa è una della prima che abbiamo chiuso” potei sentire un pizzico di rammarico nella sue parole, che però aveva cercato di soffocare abilmente.

“È splendida” commentai più per gentilezza, che per vera meraviglia.  

“Non ti ho portato fin quassù per vedere una vecchia stanza impolverata” e a quelle parole tutte le tende magicamente si aprirono e io mi ritrovai con occhi grandi e spalancati e la bocca aperta a mezz'aria. 

L’intera città era lì ai miei piedi. Tutte le sue luci decoravano il buio della sera formando uno spettacolo mozzafiato. 

Mi avvicinai lentamente alle finestre che ricoprivano l’intera parete fino a trovarmi con entrambe le mani sul vetro. Potevo vedere il mio riflesso ondeggiare trai quei tanti piccoli fuochi nell’aria nera e immobile. 

Quando mi voltai lo spettacolo era altrettanto magico, i cristalli dei lampadari riflettevano tutto in torno a loro  tanti piccoli motivi astratti e in mezzo a quel gioco di specchi Shade mi guardava con un sorriso soddisfatto, ma appena accennato. 

“Ripeto: tu hai permesso che ci incontrassimo nel mio minuscolo appartamento, quando tu hai tutto…questo?” agitai le mani in aria come a supporto delle mie parole e Shade scosse divertito la testa. 

“Ehi, io amo il tuo appartamento” sussurrò a bassa voce. 

“Lo amo anche io” ammisi.

Tornai ad osservare l’orizzonte e una volta al mio fianco, Shade mi imitò. Il mio sguardo si alternava tra la città sotto di noi e il suo viso, tela di un gioco di ombre e luci. Rimanemmo così per parecchi secondi, finché non riuscii più a trattenermi. 

“Quindi il piccolo Shade amava ballare.”

“Mamma mi ha obbligato a prendere lezioni per anni” 

“Sai ballare davvero?” quasi urlai, la serenità di quel momento completamente dimenticata.

“Tu sai ballare? Allora balliamo!” Shade indietreggiò sorpreso, forse un po’ spaventato, a quel mio cambio repentino d’umore. 

“Mi hai appena confessato di saper ballare. Tu! Il ragazzo che fino a cinque secondi fa pensavo aver due piedi sinistri e il senso del ritmo di un pinguino, quindi sì! Insegnami!” il mio ragionamento non faceva una piega. 

“Non abbiamo la musica”.

“Erano principalmente balli da sala”.

“Devo davvero? Rein non stai scherzando?”.

La mia espressione di completa adorazione non vacillò per neanche un secondo. Shade si passò entrambe le mani tra i capelli prima di scuotere le spalle e fare un passo nella mia direzione. Un attimo dopo mi ritrovai con una sua mano sulla vita e l’altra incrociata alla mia.

“Sai quello che devi fare?” mi chiese mentre osservava i nostri piedi.

“Nessuna idea” ruotò gli occhi e mi sorrise rassegnato.

“Allora segui me".
 
Cominciò a contare, sempre guardando i nostri i piedi e per i primi cinque secondi cercai di imitarlo, ma i miei occhi tornavano inevitabilmente su di lui, sulla sua espressione concentrata, il labbro inferiore stretto tra i denti e le sopracciglia corrucciate. Espressione che mutò velocemente e si trasformò in una di dolore.

“Scusa” commentai mesta ripuntando il mio sguardo a terra. Shade non si lamentò, riprese a contare e questa volta cercai con tutta me stessa di concentrarmi.

“Bravissima, proprio così” le sue parole mi rilassarono e prima che potessi realizzarlo ci stavamo muovendo intorno alla stanza. La sua mano sempre stretta sulla mia vita. Quando i miei piedi sembrarono aver preso il ritmo e muoversi per conto loro, alzai lo sguardo ed ad accogliermi c’era il suo.

Shade mi osservava divertito, mi fece l’occhiolino e meno di un secondo dopo mi ritrovai piroettare su me stessa una, due, tre volte. Mi lasciai scappare uno squittio sorpreso e di nuovo mi ritrovai a girare per la stanza guidata da lui. Mi fermai giusto il tempo di sentire il suo petto contro la mia schiena, prima di essere sollevata in aria con entrambe le sue mani sulla vita.  
 
“Questo non è walzer” commentai una volta toccato terra, finalmente guardandolo negli occhi. 

“No, ma è decisamente più divertente”.
 
I nostri visi erano così vicini che la punta del mio naso sfiorava la sua e come quel giorno in mare, la mia attenzione gravitò sulle sue labbra. Pensavo ancora ogni singola parola. Sarebbe stato tutto molto più facile se per caso le nostre strade si fossero incrociate in un altro modo, se per davvero, per puro caso, mi fosse innamorata di lui. Perché con Shade potevo essere me stessa, senza ansie o paure. Potevo comportarmi senza pensare ad ogni mia singola azione o parola, era tutto così facile.

Tutto quello durò meno di un secondo, un attimo dopo ero a testa ingiù, i capelli che sfioravano terra e schiena inarcata, le sue labbra ora ben distanti dalle mie. 

Dolcemente, mi aiutò a risalire, la sua mano che piano scendeva dalla mia schiena fino a tornare alla vita e che fu presto accompagnata dall’altra. Le mie invece trovarono posto intorno al suo collo e inconsciamente i nostri corpi iniziarono ad ondeggiare al ritmo di una musica silenziosa. 

“Sei davvero un ragazzo pieno di sorprese” avevo la mente confusa e leggera per tutte quelle giravolte. Il corpo di Shade era caldo e il suo profumo dolce e penetrante mentre mi cullava in silenzio. Mi ritrovai ad appoggiare la testa sul suo petto, occhi chiusi e il suo cuore che batteva ritmato sotto di me. 

“Se avessi saputo prima di questa tua dote nascosta, mi sarei innamorata di te” scherzai giocosa realizzando le mie parole solo una volta pronunciate. Aprii immediatamente gli occhi, ma non mi mossi. Anche lui si bloccò, ma solo per un secondo. Un attimo dopo, sentii la sua risata risuonargli nel petto. 

“Sei sempre in tempo”.

“Attento a quello che dici. Con una casa del genere, potrei farci davvero un pensierino”.

“Sapevo tu fossi in grado di riconoscere le cose importanti in una relazione”.

“Sempre”.

Scherzavamo, era così che funzionava. Tutto quel flirtare era innocuo, innocente, non avrebbe mai portato a nulla. Era quello l’equilibrio che si era formato fra noi. Sì, scherzavamo giusto?

Continuammo ad ondeggiare, i nostri movimenti si fecero sempre più lenti, finché non ci fermammo del tutto. 

Avrei dovuto allontanarmi, staccarmi da lui e mettere fine a tutto quello, perché sapevo fosse sbagliato. Io e Shade eravamo amici. Nulla di più. 
Tutto quello era sbagliato e forse lo era già da un po’. Da quella giornata in spiaggia in cui avevo guardato le sue labbra e desiderato sfiorarle. Eppure, la forza mi mancò. Ero pur sempre una ragazza tra le braccia di un ragazzo che la stava toccando come se fosse la cosa più preziosa al mondo, mentre insieme danzavano su note immaginarie con la città risplendeva davanti ai loro occhi.

Quel momento era troppo magico per fare la cosa giusta. Forse in quel momento, ballare abbracciata a Shade era l’unica costa giusta da fare.  

“Milkshake".

Sorprendentemente, non dovetti fare proprio un bel nulla. Ci pensò Shade. Mi sentii spingere lontano da lui in modo incredibilmente pacato e confusa cercai la conferma di aver capito bene, notando subito quella distanza che si era formata tra noi. 

“Milkshake?”.

“Ho voglia di un milkshake, ti va?". 

“C-certo”. 

Raggiunse la porta quasi correndo e in un attimo realizzai di aver oltrepassato il limite. Non solo io e Shade eravamo solamente amici, eravamo anche perdutamente innamorati di altre persone. Non c’era spazio per quella infantile ricerca di conforto, perché altro non era che un abbandonarsi ad una sensazione piacevole, sì, ma a lungo andare pericolosa. Shade se ne era accorto prima di me. Stava scappando e forse lo avrei dovuto fare anche io.
 
 
*

 
Seduta nel retro del pick-up di Shade, lo osservavo inzuppare una patatina fritta nel suo milkshake al cioccolato. 

Non mi ero mai ritrovata in un parcheggio di un fast-food a tarda notte a mangiare schifezze. Forse c’era un qualcosa di romantico in quella situazione, come il godersi i primi caldi della stagione sotto un cielo di stelle, ma tutto si perdeva nella luci al neon della catena di cibo spazzatura accanto a noi e nell’odore di fritto che aleggiava nell’aria. 

Inutile dire che sarebbe stato impossibile dimenticare una serata del genere. 

“È disgustoso” commentai senza che venisse richiesta la mia opinione.

“Lo dici solo perché non lo hai mai provato".
 
“Lo dico solo perché è un abominio culinario".

“Patatine fritte? Buone. Milkshake? Buono. Buono più buono fa buonissimo” tese verso di me una patatina grondante di cioccolato e la mia curiosità ebbe la meglio.

“Com’è?”.

“Disgustoso”. 

Lo sentii ridere mentre cercavo di togliermi quell’orribile gusto dalla bocca con un grosso sorso di frappè. L’imbarazzo provato poco prima a casa di Shade riposava in una parte remota della mia testa. Ovviamente, avevo fatto di tutto per evitare di parlarne. Ad un certo punto mi ero persino messa a parlare a vanvera di Poomo, il mio gatto, e delle sue abitudini alimentari.  

“Indossi i tuoi vestiti” la voce di Shade mi risvegliò dai miei pensieri e mi ritrovai ad osservare la mia gonna confusa.  

“Indosso sempre i miei vestiti” il suo sguardo incredulo mi diede la conferma che quella non fosse la risposta che si aspettava. Attese paziente che la mia testa facesse due più due e quando capii cosa volesse dire annuì lento sorridendomi appena, proprio come avrebbe fatto con un bambino. 

“Sono stanca di dover vestirmi di nero” sbuffai esasperata “È un colore così deprimente! Per non parlare dei pantaloni aderenti e delle magliette scollate. Non mi si addice, non mi sento…” 

“Te stessa?”

“Già”.

Un silenzio carico di parole non dette scivolò tra noi. Né io né Shade osavamo guardarci negli occhi, ma non avevo bisogno che parlasse per sapere quello che stava pensando. 

“Abbiamo fatto una cavolata?” più che una domanda verso di lui era un modo per testare per la prima volta ad alta voce quella possibilità. 

Shade alzò entrambe le spalle e si sistemò meglio contro il lato del pick-up, allungando le gambe dritte davanti a sé. 

“L’idea era tua” a quelle parole non riuscii a trattenere un grugnito incredulo.

“Ma tu mi hai assecondato!".
 
“Lo sai come si dice no? Sul fatto di assecondare sempre i matti” il modo in cui sorrise furbo mi fece capire fossi caduta in una delle sue solite trappole. Sbuffai indispettita e mi ritrovai involontariamente a sorridere a mia volta.

Lo imitai, appoggiai la schiena e alzai lo sguardo verso il cielo. Non c’erano molte stelle, eravamo in una zona troppo illuminata perché si vedessero. 

“Il punto è…” sussurrai piano, occhi puntati in alto e mani incrociate sul ventre “Se mi presentassi domani da Bright così come sono, lui cosa farebbe?”.

Silenzio. Quel cielo sopra le nostre teste si fece ancora più immenso, ancora più nero. 

“Per me sei perfetta così come sei”.

Nessuna esitazione. Nessun sussurro. Aveva parlato con voce chiara e forte, come se credesse fermamente ad ogni singola parola e io non riuscii a trattenere un sorriso, forse un po’ triste, ma pieno di gratitudine.

“Ora dovresti dire lo stesso di me” dimenticai ogni preoccupazione e risi di gusto.

“Non lo so, quelle felpe oversize erano davvero orribili” commentai girandomi su un fianco ed ad attendermi Shade, che mi guardava anche lui sorridente. 

“Sì, abbiamo fatto un bel casino” dichiarai senza più indecisione, ufficializzando la cosa. Shade annuì e di nuovo cademmo in silenzio. Fu sempre Shade a romperlo. 

“Perché sei qui?” a quella domanda sentii il battito del cuore accelerare, non ero mai stata brava a mentire. 

“Te l’ho già detto”.

“Rein, mi hai aiutato più di quanto tu possa immaginare, ma non sei venuta per me. Sei rimasta per me, lo so, e questo lo apprezzo”

“Io…io avevo bisogno di te” la voce mi si fece piccola, piccola. Avevo fatto di tutto perché Shade fosse la mia priorità quella sera, ma in quel momento mi ritrovavo con le spalle al muro. 

“Per Bright” lo disse lui.

Annuii silenziosa. Shade lo aveva sempre saputo. In fondo, la nostra amicizia su quello si basava, il collante tra noi erano Bright e Fine. 

Mi tirai a sedere, schiena dritta e gambe incrociate. Feci un lungo sospiro e mi ritrovai a guardare qualsiasi cosa non fosse Shade.  

“È una sciocchezza, davvero. In realtà è una sciocchezza incredibilmente imbarazzante, quindi penso passerò” Shade mi aveva imitato e ora, sedutomi di fronte, mi guardava con un’espressione rassicurante nel tentativo di spingermi a parlare.

“Io e Bright… sì ecco, io e Bright… il tuo amico e io…”.

“Ok, tu e Bright, andiamo avanti”.

“Ci siamo baciati”.

“Oh”.

Persi completamente la reazione di Shade, i miei occhi che vagavano senza sosta ovunque intorno a me. Le guance che, ne ero sicura, erano diventate paonazze mi andavano a fuoco e mi ritrovai a cambiare posizione almeno tre volte prima di decidere di rimanere in ginocchio.  

“E se pensavo che questa prima parte fosse difficile da sputar fuori, sottovalutavo quando imbarazzante fosse la seconda parte di tutto ciò” stavo blaterando e non avevo idea di come Shade stesse ricevendo quella mia confessione perché in quel mio stato di semi-panico l’unica persona su cui riuscivo concentrarmi era me stessa. 

“Tu sai quanto io desiderassi baciarlo? Quante volte io abbia immaginato quell’esatto momento e altri molto più piccanti in realtà, ma sto divagando. Il punto è che tu sei testimone di quanto io non vedessi l’ora accadesse, giusto?” finalmente lo guardai negli occhi. Shade mi osservava con un’espressione indecifrabile sul volto, un misto tra rassegnazione e curiosità. 

“Ecco, allora capisci anche tu quanto difficile è stato per me quando le nostre labbra si sono finalmente toccate io non ho sentito assolutamente nulla”.

Ecco lo avevo detto. Avevo sputato quell’orribile rospo. Vivere era troppo difficile, non ne ero in grado, ero un completo fallimento. 

“Nulla?” era forse un sorriso quello che gli spuntò in viso? Se avesse osato anche solo fare un singola battuta a riguardo sarei saltata giù da quella macchina e tornata a casa a piedi.  

“Nulla. Niente farfalle, ginocchia molli, o mani sudate”.

“Nulla?” Shade sembrava sorpreso quanto me. Mi guardava incredulo mentre quello strano sorriso non faceva altro che allargarsi.  

“Non farmelo ripetere”. 

“Scusa. Continua” respirò profondamente e la sua espressione si fece più seria. Lo ringrazia con gli occhi e cercai dentro di me il coraggio di andare avanti e continuare quel racconto che stava diventato sempre più una storia degli orrori. 

“Sono rimasta immobile, con occhi aperti a desiderare solo che… finisse?” nel pronunciare quell’ultima parola non riuscii a trattenere una smorfia. Ero davvero una persona orribile. Non mi meritavo quell’anima pura che era Bright.  

Cercai una qualsiasi reazione in Shade, ma lui rimase in silenzio. Quell’espressione seria e artificiosa incollata sul suo viso, il fantasma di un sorriso abilmente tenuto nascosto. Fortunatamente, aveva capito che non vi era posto per le use battutine sarcastiche.

“Allora?” chiesi con un velo di esasperazione nella voce. 

“Le opzioni sono due: o Bright bacia male o sei tu quella che non ci sa fare.” parlò dopo un lungo sospiro, Come se stesse svelando una soluzione ovvia, ma concepita dopo una profonda analisi e io mi ritrovai a serrare la mascella e a stringere i pugni. Non ero mai stata una persona violenta, ma Shade riusciva sempre a tirare fuori quel lato me. 

“Chiedo scusa?” abbandonai ogni vergogna e quasi lo urlai “Nessuno si è mai lamentato dei miei baci!”. 

“Ovviamente non con te” sapevo Shade stesse cercando di farmi innervosire. Era una delle cose che più amava fare, ma in quel momento presi quella consapevolezza, l’accartocciai tra e mani la gettai, metaforicamente parlando, fuori dalla finestra insieme all’ultima mia briciola di ragione. 
Io mi ero aperta con lui e tutto quello che sapeva fare era insultarmi? 

“Sei incredibile! Cosa puoi saperne te?” mi ritrovai a fronteggiarlo, mento alto e petto in fuori, mentre involontariamente mi avvicinai di più a lui. 

“Hai ragione, non so nulla di baci mediocri, d’altronde io bacio alla grande” mi fece l’occhiolino – che simpatico! - e io ebbi la tentazione di cavarglielo quell’occhio. 

“Pensi di essere migliore di me?!".

“Non sono io che sono rimasto con le labbra a pesce davanti a Bright”.

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. 

Sapevo solo che un attimo prima lo stavo guardando negli occhi con la rabbia che mi ribolliva nel petto e un attimo dopo le mie labbra erano premute contro le sue. Quasi mi feci male tanta era la forza con cui mi ero lanciata addosso a lui. 

Rimanemmo immobili, come pietrificati, ma solo per un millesimo di secondo. Non so chi iniziò il bacio vero e proprio, sapevo solo che le mie labbra iniziarono a muoversi. Sentii le palpebre farsi pesanti, incapaci di rimanere aperte, e io mi lasciai andare senza più ascoltare quella vocina nella mia testa che si faceva sempre più lontana. 

E in quell’attimo provai tutto quello che era giusto provare. Sentii lo stomaco capovolgersi, il cuore scoppiarmi nel petto da quanto veloce batteva, e ogni pensiero razionale abbandonarmi la mente. 

Le sue labbra giocavano con le mie, le tentavano, morbide e proibite e io mi lasciai guidare e forse un po’ fu io a condurre quel gioco. Gli bastò leccarmi tentatore il labbro inferiore perché subito, senza controllo, le dischiudessi. Chiusi ancora più forte gli occhi, come a voler amplificare quella miriade di sensazioni che stavo provando e involontariamente portai le braccia intorno al suo collo per stringerlo ancora di più a me. Volevo prolungare quel contatto il più possibile, perché non sapevo se mai sarei riuscita a farne più a meno. 

Quando mi sentii delicatamente allontanare, quando Shade trovò la forza, con mio grande rammarico, di porre fine a quella pazzia, io mi ritrovai ad osservarlo con occhi lucidi, labbra gonfie e cuore in gola.

“Ok, posso confermare non sia tu il problema tra i due”.

“Oh stai zitto” e prima che i pensieri potessero raggiungermi, prima che quella vocina tornasse a dirmi quanto sbagliato fosse quello che stavo facendo, mi lanciai tra le sue braccia e di nuovo cercai le sue labbra una seconda volta.

Lo baciai finché il mio corpo me lo permise. Finché quel piacevole vuoto nello stomaco si trasformò in senso di colpa. Finché la realtà non si fece prepotentemente spazio tra noi e io mi ritrovai con fiato corto e occhi sbarrati a contemplare quello che avevo appena fatto.

 
 






Chi non muore si rivede parte millesima.
Avevo promesso un capitolo più lungo del solito e... eccolo qui?
Sono abbastanza orgogliosa del risultato, questo è quello che mi piace fare! Scrivere clichés uno dopo l'altro haha <3
Scusate per il numero spropositato di scene zuccherose, ma probabilmente ne avevo bisogno.
La scena del bacio è anche quella che ha dato vita alla fic e non posso credere di averla finalmente scritta yay.
Detto questo, è stato mooolto lavoro scrivere questo chap quindi fatemi sapere se lo odiate, amate o entrambi :P


 
 
 
 
  
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