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Autore: Caramell_    24/03/2018    1 recensioni
Ragnar se ne accorge prima che sia tardi; Athelstan è tutta la sua vita e lui non potrebbe chiedere di meglio.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Athelstan, Ragnar Lothbrok
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Questo è quello che mi sento quando mi carezzi.
Come milioni di piccoli universi che nascono e muoiono nello spazio tra il tuo dito e la mia pelle.
Iain Thomas
 

 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
Athelstan se ne accorge in ritardo – a volerla dire tutta, però, la colpa non è proprio tutta sua. È del caffè. Sì, ovvio. Il caffè. L’ultimo mese è stato un inferno; la sua autrice più giovane, Nathalie, ha avuto un blocco improvviso e non c’è stato verso d’aiutarla se non quando ormai la scadenza era bella che andata – e, per inciso, c’è voluta una quantità spropositata di zuccheri e caffeina per farle riprendere in mano una penna senza piangere – e poi via di corsa, a scapicollarsi col manoscritto in mano per farlo correggere, stampare e rilegare in tempo. 200 copie. Ad Athelstan è quasi venuto un infarto. Anzi no, togliamo il quasi.
Comunque, tornando al punto. Lo sta trascurando. Un po’. Ok, tanto. Non riesce a parlargli decentemente da giorni e i baci si sono ridotti all’osso. E dire che avere un appartamento tutto loro avrebbe dovuto avvicinarli. Athelstan sospira, la cornetta del telefono appiccicata all’orecchio.
Ragnar glielo ha chiesto neanche due mesi fa, mentre facevano colazione assieme nella sua caffetteria preferita. Niente frasi smielate né discorsi chilometrici. Ha solo intrecciato le loro dita e, quando Athelstan ha distolto lo sguardo dal menù e gli ha fatto l’occhiolino, così, per vedere i suoi occhi stringersi, ha detto – Vieni a vivere con me, amore
Athelstan arrossisce, al ricordo. Persino la cameriera, scioccata, rimase col braccio a mezz’aria, i loro cappuccini in linea col suo naso. Non ha nemmeno dovuto pensarci, però. Gli è uscito dalle labbra un sì così forte che è sicuro ancora oggi l’abbia sentito l’intero isolato. Arrivare interi a casa – la casa di Athelstan, s’intende, quella sempre piena di gente sconosciuta, dove i suoi coinquilini non trovavano niente di meglio da fare che fumare erba in mutande – ma, soprattutto, arrivarci vestiti, fu davvero un’impresa titanica.
Athelstan ridacchia sotto voce e lancia uno sguardo all’orologio. Poi sospira.
Sarà una lunga giornata.
 
 

 
 
A Ragnar piacciono i suoi capelli – adesso che gli arrivano alle spalle però, che li ha fatti crescere perché la sola idea di alzare il culo dal divano e andare dal barbiere gli faceva venire l’emicrania – ci passa continuamente le mani in mezzo, si arrotola i suoi ricci tra le dita, glieli tira quando, beh-
Ad Athelstan piace, ovvio che sì. Ragnar affonda il naso sotto il suo orecchio, proprio lì, dove il suo profumo si fa più forte, espira e Athelstan arrossisce, pudico fino all’eccesso anche dopo anni di relazione, e Ragnar se lo stringe al petto, gli morde piano una guancia matura. È come un rituale, una routine. Ed è come se la vita di Ragnar si fosse modellata su quei momenti. La sua giornata, realizza, si completa così, con Athelstan nel suo letto e i suoi capelli sparsi addosso.
Ora, sarebbe tutto perfetto, davvero, se non fosse per quell’imbecille. Sono settimane che Athelstan non torna a casa ad un orario decente e, di conseguenza, sono giorni che Ragnar non riesce a regalagli – e a regalarsi, soprattutto – una di quelle buone pomiciate lunghe un secolo che, ore dopo, li vedeva sdraiati sul loro letto, sudatissimi e completamente nudi. La cosa, manco a dirlo, sta cominciando ad essere frustrante.
Ragnar lo sa che è colpa del lavoro, ma non riesce proprio a farsene una ragione. Per un giorno potrebbe mollarlo a qualcun altro, no? O, ancora meglio, smetterla di rispondere a ogni dannata chiamata ad ogni dannata ora del giorno e della notte.
Pensava che vivere insieme avrebbe portato qualche vantaggio, eppure-
Ragnar ci rimugina su tutto il giorno – ha chiuso lo studio per un po’, lui e si è concesso un paio di giorni di vacanza – ci rimugina tanto che non si accorge del tempo che passa.
Athelstan lo trova disteso sul divano in salotto, imbronciato come un bambino. Ridacchia svestendosi piano e poi si allunga su di lui, gli lascia un bacetto sulla fronte.
Mormora – Ciao – e Ragnar solleva gli occhi su di lui, sulla croce d’oro che gli penzola dal collo fuori dai vestiti – Ciao – borbotta, sconfitto. Poi lo afferra per un fianco magro e se lo tira giù, tutto addosso e quasi sibila quando la loro pelle entra a contatto. Athelstan sospira, si lascia andare con la schiena contro il suo petto. Dice – Stai facendo i capricci? – e poi ride e si sfila le scarpe. Ragnar gli fa scivolare un braccio intorno alla pancia, gli afferra il mento con un dito. Ha delle occhiaie tremende e gli occhi così stanchi da fargli pensare che possa addormentarsi da un momento all’altro proprio lì, tra le sue braccia, ma, nonostante tutto, sembra felice, appagato, e, se Athelstan è felice, a Ragnar va bene tutto – anche quel suo stupido lavoro distraente.
Lo bacia piano, a bocca chiusa. Athelstan ha le labbra gelide e le guance che gli vanno a fuoco, gli passa le dita tra i capelli e stringe lì, sulla nuca. Pare sciogliersi quando Ragnar lo accarezza con la punta del naso e si appoggia al suo collo, respira. Le spalle prendono a tremargli e Ragnar lo tira per un braccio, se lo sdraia sulla pancia, tra le gambe. Mormora – Dormi un po’ – e Athelstan gli sorride dal basso, quei suoi ricci scuri incastrati tra le ciglia – Scusa – pigola e gli bacia il petto, la linea dura della clavicola.
Ragnar scrolla le spalle – È ok, ti farai perdonare
La pomiciata selvaggia, si dice, è solo rimandata.
 
 
 

 
La cucina è un buon posto per pomiciare. Tutte superfici disponibili. Ragnar approva. E poi Athelstan ha questa abitudine deliziosa di girare in mutande che lo fa andare fuori di testa.
Quindi; la cucina c’è, Athelstan pure, gambe scoperte e mutande ok. La situazione, ai suoi occhi, non può che apparirgli delle più propizie. Il suo fidanzato ha una pelle bianchissima, morbida e fresca e Ragnar s’attacca al suo collo come se ne andasse della sua vita, si appiccica alla sua schiena mezza scoperta da una delle sue magliette di cotone e gli sospira in un orecchio, contento come un bambino.
Athelstan ridacchia, il barattolo dello zucchero aperto tra le dita e si allunga sul suo petto, gli appoggia lieve la nuca su una spalla, dice – Buongiorno – con quella sua voce roca da prima mattina che gli distrugge tutte le sinapsi.
Ragnar arriccia il naso, il grattare della macchinetta del caffè che gli infastidisce le orecchie – Non sono neanche le sei del mattino – sussurra – Perché sei già in piedi? – e gli appoggia la punta fredda del naso su una clavicola, così, solo per sentirlo contorcersi e ridacchiare.
- Ho una riunione tra due ore – sbuffa Athelstan togliendo il caffè dal fuoco – E devo ancora farmi una doccia.
Ragnar solleva gli occhi al cielo, un pollice infilato nei suoi boxer slavati e lo strattona un poco, lo gira verso di sé. Ghigna – Facciamola insieme – ma Athelstan gli stringe i polsi dietro la nuca, scuote la testa – Finiremmo per fare tutto tranne che lavarci
Al che Ragnar quasi grugnisce e si fionda su di lui. Ah, eccola qua, finalmente. La bocca di Athelstan si schiude come un fiore, mentre Ragnar gli afferra il retro delle cosce, stringe forte. Geme ad alta voce quando riesce a sollevarlo e ad appoggiarlo col culo sul ripiano della cucina.
Lo bacia feroce e se lo stringe addosso, affamato fino a quando Athelstan non si allontana da lui, tutto scarmigliato e col fiatone. Ragnar è sicuro di non aver mai visto niente di più bello.
- A cosa lo devo questo?
Ragnar solleva un sopracciglio, mette su quella sua espressione da monello che Athelstan adora e venera – Hai i miei vestiti addosso – dice come se la ritenesse una buona giustificazione – E poi ho una voglia tremenda di prenderti sul tavolo della cucina.
Lo stomaco di Athelstan, manco a dirlo, si annoda tutto – Non dovresti dire certe cose – lo rimprovera con un fil di voce. È sicuro di essere arrossito. Arrossisce sempre quando Ragnar parla a quel modo. Athelstan non ha mai conosciuto qualcuno più schietto di lui e la cosa, la maggior parte delle volte, lo imbarazza da morire.
Ragnar ridacchia, coi palmi aperti gli percorre i muscoli scoperti delle gambe, lo sente vibrare piano sotto il suo tocco – Voglio farlo davvero, però – e le gambe di Athelstan hanno uno spasmo, per riflesso incondizionato probabilmente, i suoi talloni gli si incrociano alla base della schiena.
- Devo andare a lavoro, Ragnar – ma la sua voce è già più calda e il suo petto non riesce a smettere di muoversi. Ha una voglia matta di accontentarlo, ovvio che ce l’ha, di sentirselo addosso e dentro e di fare l’amore con lui per ore. È quasi un mese che non riescono a concedersi un momento di intimità che possa davvero chiamarsi tale e Athelstan ne soffre terribilmente. Ma. C’è un ma grosso quanto una casa. È una riunione importante, quella, e Ecbert lo ammazzerà se arriva in ritardo. E, dalla faccia di Ragnar e dalle condizioni in cui versano le mutande nuove che si è appena infilato, c’è da pensare che non sarà neppure un ritardo di quelli lievi.
Ragnar lo bacia di nuovo, a bocca aperta e con tanta lingua e Athelstan gli sorride tra i denti.
Oh, beh, mezz’ora in più può anche concedersela. Forse.
 

 
 
Athelstan vorrebbe schiaffeggiargli quel sorrisetto soddisfatto dalla faccia, ma Ragnar lo guarda in quel suo modo bramoso e violento e Athelstan non riesce a far altro se non abbandonarsi contro il suo petto caldo e solido. È tutto confuso, dopo.
Ondeggia i fianchi freneticamente, andando incontro alle spinte di Ragnar. I loro occhi si incontrano per un lungo momento e Athelstan gli sorride morbido, gli circonda le spalle con le braccia. Presto non è che un pasticcio tremante sotto di lui. Ragnar gli regge i fianchi con forza e bacia via ogni suo gemito, ogni lacrima salata che gli rotola via dalle guance. E d’improvviso, mentre Ragnar gli pronuncia parole dolci all’orecchio, Athelstan avverte tutto il dolore scomparire. Il tavolo non è poi così scomodo e le sue gambe non fanno più male. La bocca di Ragnar è calda e morbida e Athelstan gli geme forte addosso, tra la pelle. Guarda in basso verso i loro corpi uniti e la vista gli scioglie qualcosa dentro.
- Ragnar – ansima – io ti- ma Ragnar gli tappa la bocca con la propria, i suoi fianchi si contraggono e ogni cellula del suo corpo prende a tremare. Athelstan se lo tira contro, lo stringe con tutta la forza che possiede – Sì, sì, vieni – pigola senza fiato – prendi tutto quello che è tuo
Ragnar si rilassa tra le sue braccia, ha il fiato spezzato e la voglia matta di ricominciare tutto d’accapo. Il suo respiro scalda il corpo di Athelstan, la fronte sudata, quando lo bacia di nuovo, leggero e delicato. Sente il suo cuore battere come impazzito, il sudore del loro corpi che li tiene appiccicati assieme. Ha la voce bassa e pesante – Anch’io – ruggisce roco. Gli regala un piccolo, tenero bacia all’angolo dell’occhio destro – Lo sai, vero? Quella cosa lì – e Athelstan annuisce, gli sfiora il viso con la bocca umida e il cuore quasi gli scoppia in petto.
È distrutto, ha la schiena tutta intorpidita e le braccia che bruciano, ma Ragnar lo guarda come se non esistessero altro oltre a lui e il lavoro non è poi così importante in quel momento, niente lo è.
Ragnar gli accarezza le guance con le dita – Come stai? Indolenzito? – e Athelstan  arrossisce un poco e il suo viso si colora come una pesca matura – Un po’ – mugola e quasi grida come una donnicciola quando Ragnar lo afferra per i fianchi e lo solleva, lo trasporta facilmente per tutta la cucina. I loro corpi sono ancora uniti e Athelstan avverte un brivido caldo serpeggiargli lungo la schiena. Lo bacia lento, i lati dei polpacci che gli sfregano lungo i fianchi spessi e Ragnar gli percorre la schiena con le dita – Di nuovo? – sogghigna e Athelstan alza gli occhi al cielo, lo zittisce infilandogli la lingua in bocca.
Chiama Ecbert, dopo. Dice che proprio non ce la fa, che è malato. Non specifica di cosa.
 
 
 
 
Ragnar è coperto di tatuaggi. Bellissimi ghirigori e simboli antichi gli ricoprono entrambe le braccia, un polpaccio, la linea sinuosa del petto. Athelstan li conosce tutti. Ci ha passato la lingua sopra, una volta – quando la loro vita insieme era solo un miraggio e Ragnar ancora non lo chiamava amore – uno ad uno, ha sentito il cuore di Ragnar battergli in bocca e un’euforia egoista gli ha scaldato lo stomaco. Parte tutto da lì, l’amore e Athelstan glielo ha confessato quella sera stessa. Dopo, si è sentito molto meglio.
Erano abbracciati come lo sono adesso, stretti l’uno all’altro come se ne valesse delle loro vite. È spaventoso, ragiona, il modo in cui Ragnar lo fa sentire.
Gli stringe una mano, intreccia le loro dita – Credi che potresti tatuare anche me?
Ragnar sbuffa una risata, gli sfiora le clavicole con le dita – Davvero? – Athelstan annuisce - Cosa vuoi? – mormora sulla sua pelle.
- Io –  balbetta – pensavo al tuo nome – e il cuore di Ragnar si ferma per un secondo.
Sorride lento e si lascia sprofondare pesante contro un suo fianco. Mormora – Sei davvero la mia cosa preferita, amore – e Athelstan ride e lo sbuffo caldo del suo fiato gli accarezza un capezzolo.
Ragnar se ne accorge prima che sia tardi; Athelstan è tutta la sua vita e lui non potrebbe chiedere di meglio.
 






















Note: E' una sciocchezza, davvero - sei pagine di vaneggiamenti. Ma vevo bisogno di liberare un po' la mente e così mi sono rimessa a scrivere. Spero sia stata una buona lettura e che i personaggi non siano troppo OOC. 
A prescindere da tutto però, grazie.


 
  
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