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Autore: Tinkerbell92    24/03/2018    1 recensioni
[Magnus Chase e gli Dei di Asgard]
SPIN-OFF PREQUEL SULLA SAGA DI MAGNUS CHASE
Di una cosa sono certa: mai e poi mai mi sarei aspettata di incappare in uno zombie assassino tornando a casa dalla parata Pride di Boston, mentre attraversavo l'Esplanade ancora avvolta nella bandiera arcobaleno. Non mi sarei nemmeno aspettata di venire caricata a forza su un cavallo di nebbia dalla sosia di Sansa Stark, per ritrovarmi poi catapultata tra i protagonisti dei miei libri di mitologia norrena.
Dèi, mostri, eroi... roba da pazzi.
Eppure eccomi qui, invischiata in situazioni più grandi di me con dei compagni d'avventura piuttosto insoliti.
Onestamente non so cosa minerà maggiormente l'equilibrio della mia psiche: se la scoperta delle mie origini o la condivisione di un terribile fardello con una sfortunata dea dal volto sciupato...
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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RILEY JENKINS E GLI DEI DI ASGARD
IL FARDELLO DI SIGYN





CAPITOLO 2

Mangiare il tofu di bestia o non mangiarlo? Questo è il dilemma!






- Tutto a posto, signorina?
Il tizio con la barba incolta e l’ascia appesa alla cintura, Hunding, picchiettò un paio di volte la punta del piede sul pavimento, mentre mi guardavo attorno con aria disagiata: dopo un breve soggiorno alla reception dell’Hotel Valhalla (sì, avevano proprio detto “Hotel Valhalla), dove un energumeno peloso aveva conficcato la punta di un coltello nell’occhio di un altro omaccione della stessa stazza, ero stata condotta al ventitreesimo piano, dove mi attendeva un’enorme e lussuosa camera d’albergo, dal soffitto alto almeno sei metri. Il centro era costituito da un ampio spiazzo di forma quadrangolare, da cui si diramavano quattro larghi corridoi: uno di essi, quello che conduceva al terrazzo, era attraversato da una specie di fiumiciattolo che partiva dalla piscina di acqua salata posta in mezzo al quadrato centrale; il corridoio di destra portava alla stanza da letto, mentre quello di sinistra terminava di fronte a una porta scorrevole verniciata di bianco, che supposi rappresentasse l’entrata del bagno. Nel quarto corridoio, quello in cui mi trovavo, che partiva dal piccolo atrio d’ingresso, c’era uno spazioso salottino, provvisto di televisore a schermo piatto, caminetto già acceso, un comodo divano, una coppia di poltroncine e un’immensa libreria in legno chiaro, che somigliava in modo impressionante a quella che tenevo in casa.
A dire il vero, anche il resto del mobilio, dall’aria curata e un po’ antica, mi ricordava i pezzi d’arredamento della villetta in cui ero cresciuta.
Su una piccola cassapanca erano state poste delle fotografie. Ne afferrai una rimanendo sbigottita: era la stessa che occupava ormai da due anni un posticino sulla mensola accanto al camino, quella che io e mamma avevamo scattato a Londra. Eravamo alla stazione di King’s Cross, io indossavo la sciarpa di Corvonero, lei quella di Serpeverde, e ci eravamo disegnate una piccola cicatrice a forma di saetta sulla fronte (con gli occhiali e i capelli crespi, la me sedicenne somigliava a uno strano incrocio tra Harry Potter e Hermione Granger).
- Signorina?
Riposi la foto incorniciata al proprio posto, scuotendomi dai miei pensieri: - Io… okay, riassumiamo la situazione: il tipo all’ingresso, Helgi, mi ha detto che sono morta, rinata e poi condotta qui, nel Valhalla, da una valchiria. Sono diventata un’einherji, una figura della mitologia norrena, possiedo un corpo nuovo, addirittura “migliorato”, e sono proprietaria di questa incredibile stanza. Le leggende nordiche sono vere e, d’ora in poi, passerò la mia nuova vita allenandomi in previsione del Ragnarok. Ho dimenticato qualcosa?
- Possiedi anche la chiave del minibar – aggiunse Hunding, accarezzando con le dita la punta della propria ascia. Non riuscii a capire se il suo fosse un commento serio o se mi stesse semplicemente prendendo in giro.
- Vorrei almeno poter fare una telefonata a mia madre – borbottai.
- Per dirle cosa? “Ciao mamma, non preoccuparti, sono stata uccisa da un draugr e d’ora in poi passerò la mia nuova vita nell’Hotel Valhalla, dove mi addestrerò per entrare nell’esercito di Odino!”
- Non posso restare qui! – protestai, stringendo con forza le dita tra i capelli. – Sono iscritta all’università, ho degli esami da fare, mia madre ha già pagato tutto! E i miei conoscenti saranno preoccupati per me! Ho una vita là, sulla Terra!
- Avevi una vita sulla Terra, signorina. Adesso sei un’einherji e non c’è modo di tornare indietro – replicò l’omaccione, serafico. – Per quanto mi riguarda, il mio compito si interrompe qui. Prima di congedarmi, mi aspetto una mancia per il servizio.
Decisi di lasciar cadere l’argomento “casa” e mi frugai nelle tasche alla ricerca di qualcosa. Non trovai nulla, nemmeno il cellulare, così mi guardai attorno, venendo colta da un’improvvisa illuminazione.
- Un momento…
Mi diressi rapidamente in camera da letto e aprii il primo cassetto del comodino sistemato accanto al grande giaciglio dalle lenzuola blu. Non mi ero sbagliata: afferrai una manciata di piccole monete antiche, parte di una vecchia collezione, e tornai all’ingresso, offrendole al portiere barbuto.
Quello osservò il pagamento per qualche istante, dopodiché intascò soddisfatto ed eseguì un rozzo inchino, assumendo un tono formale: - Le auguro una buona giornata, signorina.
Non appena uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, restai per qualche istante immobile e in silenzio.
Provai a mettere a fuoco la situazione, cercando di trovare una spiegazione razionale ed evitare di vedere il castello delle mie certezze crollare miseramente, ma fui costretta ad arrendermi all’evidenza: non c’era nulla di logico o razionale in ciò che stavo vivendo, ma non si trattava di un sogno.
Pensai a mia madre, pensai a Dayo e al senso di colpa che avrebbe provato per non avermi riaccompagnata a casa, pensai all’università e agli esami che non avrei più potuto dare, alla carriera che sognavo ormai finita dritta dritta nel… com’è che la valchiria dai capelli rossi aveva chiamato l’abisso che avevamo sorvolato prima di raggiungere l’hotel? Ginnungagap?
Mi accasciai sul divano, accartocciandomi su me stessa, nascosi la testa nell’incavo delle braccia e cominciai a urlare, abbandonandomi a una vera e propria crisi isterica.
Non mi era mai successo di perdere il controllo in quel modo, ero sempre stata una persona tranquilla e ragionevole, ma tutto quel casino andava ben oltre il mio limite di sopportazione.
Mi alzai all’improvviso, scagliandomi contro il muro più vicino e cominciando a tempestarlo di pugni, ma balzai all’indietro spaventata non appena mi resi conto che le mie mani affondavano nella parete a ogni colpo, quasi mi stessi accanendo contro una superficie di cartongesso.
Cercai qualcos’altro su cui riversare la mia ira, ma dei timidi colpetti alla porta spensero momentaneamente il mio sfogo. Mi sfilai gli occhiali, asciugando le lacrime alla bell’e meglio, e mi fiondai sulla maniglia, abbassandola e tirando verso di me.
Mi trovai di fronte una ragazzina sorridente, con i capelli biondi raccolti in due trecce. Non era molto alta, aveva guance tonde e piene, tempestate di lentiggini, grandi occhi celesti e un fisico provvisto di morbide curve.
Indossava una T-shirt verde e un semplice paio di jeans e, tra le mani, reggeva un vassoietto celato da una cupola di cartone rosa, simile a quelli delle pasticcerie.
- Ciao, vicina! – mi salutò allegramente, facendo trasparire un lieve accento tedesco. – Era da un po’ che non arrivavano nuove reclute al piano ventitré. Io sono Liselotte Dashner, ma puoi chiamarmi Lilly. Ti ho portato uno spuntino di benvenuto, spero ti faccia piacere, appena ho saputo del tuo arrivo mi sono messa a sfornare mini bretzel dolci in tempo record.
Feci scorrere lo sguardo da lei al vassoio un paio di volte, poi mi schiarii la voce, riuscendo a gracchiare un impercettibile “grazie”.
Dovevo essere in condizioni pietose, così provai ad abbozzare un sorriso, che somigliò più a una smorfia di dolore.
- Riley B. Jenkins – lesse, osservando la scritta impressa sulla porta della mia stanza. – Di dove sei?
- Di Boston… - ignorai la fitta che mi tormentò lo stomaco non appena mormorai il nome della mia città. – Ti ringrazio per la tua gentilezza… Lilly. Probabilmente avrai sentito le mie urla, prima…
- Oh, ma io adoro dare il benvenuto ai nuovi arrivati!
Il suo sorriso si allargò, scavando due graziose fossette nelle gote morbide: - Non preoccuparti, Riley, è normale dare di matto all’inizio, figurati che c’è ancora chi…
Un urlo di rabbia proveniente da una delle stanze vicine mi fece sobbalzare. Seguì il rumore di uno schianto, accompagnato da altre grida.
- Appunto, Alviss sta di nuovo avendo una delle sue crisi… - borbottò Lilly. – Mi sa che devo proprio andare, non mi fido a lasciarlo solo quando si trova in certe condizioni… ti consiglierei di non guardare, visto che sei nuova… ci vediamo più tardi a cena! Oh, tieni, il tuo vassoio.
- Ehm… d’accordo…
Mi ritirai nella stanza, chiudendo la porta e raggiungendo nuovamente il divano, dove mi sedetti posando il vassoio con i bretzel sulle ginocchia. Mi sentii egoista, ma l’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento era assistere un einherji che dava di matto.
Rimossi il coperchio con cautela, abbozzando un sorrisetto alla vista degli otto dolcetti ancora caldi: erano piccoli, intrecciati e glassati con cura ed emanavano un profumo invitante.
Ne presi uno, staccandone un pezzo con un morso: era ripieno di crema di nocciole.
In qualche modo, quel sapore delizioso mi aiutò a tornare un po’ lucida: cominciai a guardarmi attorno, facendo cadere lo sguardo sul taccuino poggiato sul tavolinetto del salotto. Sulla copertina in cuoio spiccava la scritta“Servizi per gli ospiti”.
Lo afferrai, dando un secondo morso al mio bretzel, e cominciai a sfogliarlo con la mano libera: la piantina dell’hotel attirò immediatamente la mia attenzione.
“Bene” pensai. “Ho una mappa, un elenco di regole, un menù… e un sacco di libri. Manca ancora parecchio all’ora di cena… forse un po’ di studio non mi farà male…”



Un paio di colpi decisi alla porta mi fecero quasi sobbalzare: alzai gli occhi dal testo “Divinità e creature della mitologia norrena”, mentre, senza aspettare il mio invito, la valchiria dai capelli rossi che mi aveva salvata fece il proprio ingresso nella stanza, gettando un’occhiata leggermente stranita alla vista del marasma di libri sparsi sul tavolo.
Portava la lunga chioma ramata raccolta in una treccia che cadeva davanti alla spalla, indossava un abito bianco e un po’ attillato che sottolineava le sue piacevoli forme e, legata a un’elegante imbragatura di cuoio, una lancia argentata faceva capolino da dietro la sua schiena.
- Vedo che ti stai già dando da fare – osservò, incrociando le braccia al petto ben sviluppato.
Mi alzai, sistemando gli occhiali che mi stavano scivolando giù dal naso, e provai a farfugliare qualcosa: - Io… cerco di comprendere meglio quello che mi sta capitando…
- Il mio non era un rimprovero – replicò, facendo un passo avanti, senza sciogliere l’espressione severa. – Io sono Elizabeth, la tua valchiria.
- Ciao… io sono…
- Lo so, Riley Barry Jenkins, figlia adottiva di Margaret Jenkins.
Era piuttosto alta, considerato che io, dal mio metro e settantotto, la superavo di massimo cinque centimetri, ed emanava un profumo fresco di menta e limone.
Non era il mio tipo, sembrava troppo rigida per una persona tranquilla come me, ma dovevo ammettere che era una ragazza affascinante.
- Hai già conosciuto Lilly – disse, accennando al vassioietto che conteneva ancora quattro bretzel. – Penso troverai piacevole la compagnia dei ragazzi del piano Ventitrè. Magari dovrai prima abituarti alle crisi di Alviss e alla stupidità di Jace, ma a parte questo direi che ti è andata piuttosto bene.
- Che cos’ha Alviss? – domandai istintivamente, mentre cercavo di mettere a posto i libri.
Elizabeth sospirò: - Ti spiegheranno tutto i tuoi compagni. Ti consiglio vivamente di cambiarti e indossare la maglietta dell’hotel, tra poco ci chiameranno per la cena e tu dovrai raccontare a tutti le gesta eroiche che ti hanno condotta fin qui.
- Cos…
Prima che potessi protestare, la mia salvatrice si diresse a falcate verso la camera da letto, tornando pochi istanti dopo porgendomi un paio di jeans e una T-shirt verde accuratamente piegati.
- Metti questi – ordinò. – Sì, sono della taglia giusta. Com’è possibile? Magia.
- L’avevo intuito… - borbottai, obbedendo. – Ma riguardo a quello che hai detto prima… raccontare le gesta eroiche…
- I nuovi ospiti del Valhalla devono dimostrare di meritarsi l’onore che hanno ricevuto – rispose, facendosi passare la canotta fucsia e i pantaloncini verdi che indossavo fino a poco prima e adagiandoli su una sedia. – Perciò ti consiglio vivamente di fare bella figura, se non vuoi ritrovarti relegata a compiti ingrati. Senza contare poi che gli einherjar indegni rappresentano la rovina per le proprie valchirie: dovessi farmi fare brutta figura, te la farei pagare molto cara.
- Mi sento molto più tranquilla, adesso – replicai sarcastica. – Forse avrei dovuto leggere subito tutto il taccuino dei Servizi per gli ospiti, invece che limitarmi a studiarne mappa e parte del regolamento…
- Cerca di comportarti bene, io non metto a rischio la mia carriera per qualcuno che non lo merita. Hai dimostrato coraggio affrontando quel draugr. Ricordati di menzionare il bastone che tenevi in mano quando ti ha uccisa, è fondamentale.
- Giusto, un einherji deve morire con un’arma in mano – ricordai, mentre mettevo i breztel avanzati al sicuro, per poi seguire la mia valchiria fuori dalla porta.
Lilly attendeva già in corridoio, insieme ad altri quattro ragazzi che potevano avere massimo diciannove o vent’anni.
- Eccola! – esclamò la biondina, battendo le mani entusiasta. – Vieni, Riley, qui sono tutti ansiosi di conoscerti!
La prima a presentarsi fu una giovane guerriera dalla pelle color bronzo, unica einherji femmina del corridoio oltre a me e Lilly: si aggirava attorno al metro e settanta d’altezza, aveva gambe lunghe e forti, un fisico un po’ spigoloso e capelli corti e neri, con un unico ciuffo più lungo acconciato in una treccina che cadeva sul lato sinistro del suo volto.
- Ciao, io sono Sitala Tel’ula, figlia di Heimdall e ospite dell’hotel Valhalla dal 1986.
Strinsi la mano che mi stava porgendo: aveva parecchi tatuaggi sparsi sul corpo e le sue iridi erano tanto scure da sembrare nere.
- Piacere – risposi. – Figlia di… Heimdall? Quel Heimdall?
- Molti residenti dell’hotel Valhalla sono semidei – soggiunse un ragazzo dalla carnagione olivastra, facendo trasparire un forte accento italo-americano. – Questo, però, non vale per me e Lilly. Mi chiamo Benjamin Levin, ma puoi chiamarmi Ben. Vivo qui dal 1953.
Notai con un certo stupore il ciondolo con la stella di David che spiccava sopra il tessuto verde della sua maglietta.
- Sei ebreo? Come mai ti trovi…
- Invischiato in una realtà estranea alla mia religione?
Sorrise, scompigliandosi distrattamente i capelli scuri. Era alto più o meno come me e i suoi occhi erano color verde ambra, illuminati da una luce benevola.
- Diciamo che ho imparato a convivere con entrambe le cose. Molti di noi si trovano nella mia stessa situazione: una delle compagne valchirie di Lizzie, per esempio, è musulmana, Sita è cresciuta in una riserva, con le tradizioni e la mitologia del popolo Miwok, e Lilly viene da una famiglia cristiana. Tu aderisci a qualche Credo?
- Mmmh, no, sono atea – replicai. – Il che mi rende un tantino difficile credere a tutto questo…
Gettai un’occhiata ai due ragazzi che non si erano ancora presentati: uno era alto e allampanato, con i capelli lunghi e neri raccolti in una coda, malinconici occhi grigi e carnagione chiarissima; l’altro era più tarchiato e di media altezza, aveva la mascella squadrata, vivaci iridi azzurre e una scompigliata capigliatura color rame.
- Tiro a indovinare: Jace e Alviss?
- Naturalmente! – rispose il rosso, spavaldo. – Jason Colbert, per gli amici Jace. Quindi per tutti i presenti tranne che per Liz.
Fece la linguaccia alla bella valchiria, la quale alzò gli occhi al cielo con fare scocciato.
Lilly diede una gomitata all’einherji più alto, il quale face un passo avanti, tenendo gli occhi fissi al pavimento: - Ciao, io sono Alviss, figlio di Nott… ti chiedo scusa per il casino che hai sentito prima e che sentirai spesso nei giorni a venire…
- Ciao, Alviss. Non ti preoccupare, non sono una vicina intollerante e dispotica, spero tu stia meglio adesso.
Ero tentata di chiedergli da cosa dipendessero quelle crisi, ma pensai che fosse meglio prendere un po’ di confidenza prima di estorcere dettagli personali troppo intimi.
Posai distrattamente lo sguardo su una delle porte del corridoio opposto, aggrottando le sopracciglia quando lessi il nome inciso all’interno di un cerchio di rune vichinghe: MIA DE MEDICI.
- Pensavo fossimo tutti qui – osservai. – Insomma, tutti gli inquilini del corridoio… Mia è già andata a mangiare?
I volti dei miei compagni si serrarono in un’espressione tesa. Anche Elizabeth parve piuttosto a disagio.
- Ecco… - cominciò Ben con fare incerto. – Mia non è qui… lei… lei è…
Il suono assordante di un corno mi face sobbalzare, interrompendo il discorso del giovane einherji.
Elizabeth mi afferrò per un polso, trascinandomi via con fare impaziente: - Parlerete dopo cena, non voglio arrivare in ritardo. Stasera siederai al tavolo dei nuovi arrivi, perciò avrai gli occhi di tutti puntati addosso. Meglio essere puntuali.



Non potevo dire di sentirmi a mio agio, mentre prendevo posto a un tavolino che si trovava a sinistra della tavolata principale, dove erano soliti cenare i thanes, i grandi capi.
La sala dei banchetti aveva l’aspetto di un enorme stadio, al centro del quale si ergeva l’imponente tronco di un grosso albero; animali di svariate specie bazzicavano tranquilli sui rami, mentre, su un lunghissimo spiedo, arrostiva una gigantesca carcassa fumante.
- L’albero si chiama Laerdar – mi spiegò Elizabeth, con la sicurezza di una guida turistica. – Su quel ramo pascola la capra Heidrun. La vedi? Dal latte che cola dalle sue mammelle si ricava l’idromele. Mentre l’acqua di quel ruscello che scorre lungo il tronco, formando una cascata, proviene dalle corna del cervo…
- Eikthrymir, giusto?
La valchiria annuì, mentre la mensa-stadio cominciava a farsi man mano sempre più affollata.
- Noi lo chiamiamo Ike. La bestia che arrostisce sullo spiedo è Saehrimnir, ogni giorno viene uccisa per essere mangiata dagli abitanti del Valhalla. Il mattino dopo risorge.
- Come le capre di Thor, quindi – commentai, memore di quanto avevo ripassato poco prima nei libri di mitologia norrena. – Che destino infelice… solo che, ehm… ci sarebbe un piccolo problema… io sono vegetariana…
- Il fianco sinistro di Saehrimnir è fatto di tofu – rispose prontamente Elizabeth, alzando appena un sopracciglio. – Il suo corpo è fatto in modo tale da soddisfare i desideri di qualsiasi commensale.
- Ma… - mi morsi il labbro dubbiosa, gettando un occhio alle persone che si erano accomodate al mio stesso tavolo. Erano tre in tutto, due ragazzi e una ragazza, accompagnati da altrettante valchirie.
- Ma, anche se prendessi il tofu del suo lato sinistro… non starei comunque mangiando un animale?
- La magia del Valhalla si adatta a qualsiasi stile di vita. Non so spiegarti il concetto in modo più chiaro, spero ti basti sapere questo: mangiare Saehrimnir, nel tuo caso, non rappresenterebbe uno strappo alla regola. Anche se viene dal fianco di una bestia sacra, quello è tofu a tutti gli effetti.
Sospirai, indicando poi un imponente scranno sul quale stavano appollaiati due corvi dalle lucide piume color pece.
- Quelli sono Huginn e Muninn, giusto? I corvi di Odino…
- Esatto. E quello è il trono del Padre degli Dèi. Di tanto in tanto viene a farci visita, ma non accade molto spesso…
Un secondo, assordante, suono di corno diede inizio al banchetto: centinaia di valchirie volavano qua e là, servendo gli ospiti con calici di idromele e portate dall’aria invitante.
A me venne presentato un piatto con polpettine di tofu, patate al burro, pane morbido e verdure alla griglia.
Dopo un attimo di esitazione cedetti: il profumo del cibo era troppo inebriante per essere ignorato. E poi Elizabeth mi aveva assicurato che mangiare quelle polpette non mi avrebbe fatta andare contro i miei principi.
Lanciai un’occhiata di sottecchi alla valchiria dal capelli rossi che mi sedeva a fianco: a differenza di molti commensali, rozzi e spartani, aveva un atteggiamento composto e signorile, perfettamente intonato al suo accento inglese.
A giudicare dalla postura dritta e dal modo elegante di mangiare le fette di tacchino adagiate sul suo piatto, intuii dovesse provenire da una famiglia altolocata.
- Senti… - azzardai, dopo qualche minuto di silenzio. – Ben ha detto che molti einherjar sono semidei… sei anche tu una di loro?
La sua mascella si indurì: - Preferirei sorvolare su questo discorso. Tu, piuttosto, hai idea di chi siano i tuoi veri genitori?
Scossi la testa: - No. La persona che mi ha portata in orfanatrofio, che suppongo fosse mia madre, si è presentata con un nome falso: Jane Doe. Figuriamoci. Ha soltanto insistito sul fatto che il mio come completo fosse Riley Barry, senza preoccuparsi del cognome. Chissà come mai. Dici che potrei essere figlia di una divinità nordica?
- Tutto è possibile – replicò Elizabeth. – Qualunque sia la risposta, la scoprirai stasera, dopo la presentazione, quando la vala leggerà il tuo futuro nelle rune.
Avvertii all’improvviso una fitta allo stomaco: il pensiero di mia madre, sola e preoccupata, fu affiancato da uno strano senso di ansia.
In quegli anni, avevo provato a pensare, di tanto in tanto, a chi potessero essere i miei veri genitori, senza mai sperare realmente di scoprire qualcosa di concreto. Si era sempre trattato di una semplice e irraggiungibile fantasia.
Quella sera, invece, avrei potuto addirittura ottenere un nome. Un volto. Un’identità.
Mi trovai scissa tra curiosità e paura.
Quando i capiclan cominciarono a battere i calici, presto imitati dagli einherjar presenti, capii che la cena era finita e che entro pochi minuti avrei dovuto esporre le mie gesta davanti a un’intera sala per poi scoprire, forse, qualcosa in più su me stessa.
Mi morsi la lingua, sperando di non vomitare il tofu per la tensione: avrei parlato per terza, il che mi rassicurò appena, poiché avrei avuto modo di osservare i primi due senza portare sulle spalle l’onere di dover chiudere in bellezza.
La prima a presentarsi fu la ragazza: dimostrava poco più di vent’anni, aveva i capelli corti e il naso un po’ appuntito.
Si presentò come Yara Hansdòttir, lavorava come infermiera in un ospizio: una delle sue colleghe, corpulenta e irascibile, aveva dato di matto e cominciato a picchiare un anziano indifeso in sedia a rotelle, così lei era intervenuta, colpendo in testa la donna con una stampella e tramortendola. Prima di perdere i sensi, però, l’infermiera pazza le aveva dato una spinta, facendola ruzzolare giù dalle scale.
Il direttore dell’hotel, Helgi, dopo aver ascoltato la storia annuì con fare soddisfatto: - Senza dubbio il tuo gesto è stato nobile. Stringevi ancora la stampella in mano, quando sei caduta?
Yara annuì, serrando le mani a pugno per la tensione.
I capi confabularono per qualche istante, poi, Helgi riprese con entusiasmo: - Yara Hansdòttir, ti giudichiamo meritevole del Valhalla. Conosci le tue origini?
- Sì, i miei genitori si chiamano Hans e Yelena - rispose lei, tradendo un fremito nella voce. – So per certo di essere la loro figlia biologica.
Il direttore sorrise appena: - Molto bene, vediamo cos’ha in serbo il futuro per te. A meno che il Padre Universale non voglia intercedere… - si voltò verso lo scranno di Odino, che rimase vuoto. – Bene, chiediamo il responso delle rune.
Una donna anziana abbigliata con una lunga cappa verde, che intuii dovesse essere la vala, si avvicinò al tavolo, ponendosi di fronte a Yara Hansdòttir. Tirò fuori da un sacchetto una manciata di tessere di pietra, facendole cadere sul pavimento dopo aver recitato qualche arcana formula sottovoce.
Helgi batté le mani: - Yara Hansdòttir, nonostante tu non possegga sangue divino avrai modo di dimostrare il tuo valore nel Ragnarok. Domani, alla tua prima battaglia, verrai arsa viva!
Scoppiò uno scroscio di applausi e urla, mentre la giovane si mordeva il labbro, gettando un’occhiata nervosa al ragazzo che le sedeva accanto.
Quello inspirò a fondo, alzandosi in piedi e presentandosi come Lee Fukuhara. Aveva origini asiatiche ed era morto salvando il fratello maggiore durante uno scontro a fuoco. Stava per aggiungere qualcos’altro, quando, all’improvviso, si levò un mormorio di sorpresa: dallo stagno ai piedi dell’albero Laerdar emersero tre donne incappucciate, alte più di due metri, che avanzarono lentamente verso di noi.
Elizabeth si lasciò sfuggire un fremito di tensione: - Le Norne sono qui… e si sono presentate prima che il ragazzo finisse di parlare… non è un buon segno…
Helgi si schiarì la voce con fare innervosito: - Molto bene… a quanto pare questo giovane eroe ha in serbo qualche sorpresa speciale per noi…
Lee sbiancò quando le tre donne pronunciarono il suo nome, parlando all’unisono. Una di loro allungò la mano, affondandola nella nebbia che avvolgeva i loro imponenti corpi, poi, quando la ritrasse, notai che reggeva sul palmo un insieme di candide rune. Le lanciò e, invece che ricadere ai suoi piedi, le piccole pietre si fermarono a mezz’aria. Una di esse si illuminò.

- La runa Kenaz… - mormorò Elizabeth, mentre un brusio concitato si levava per tutta la sala. – Loki…
- Loki? – ripetei incredula.
La valchiria che aveva portato il giovane nel Valhalla si portò le mani ai capelli, scuotendo la testa con aria sconvolta e ripetendo: - No… no… no… non è possibile…
Lee sembrò sul punto di svenire ma, prima che qualcuno avesse tempo di commentare qualcosa, o lanciare un piatto in direzione dello sventurato, le Norne ripresero a parlare, recitando una profezia.

“Il seme del coraggio è tutt’ora disperso
Si traccerà una rotta lungo lo specchio del cielo terso
Fiamme divine fomenterà il sangue dell’immolato agnello
Su terra e mare graverà il crudele fardello
La stirpe del male compirà scelta ardita
Scelta che porterà trista morte o nuova vita.”






***
Angolo dell’Autrice: Ecco il secondo capitolo!
Spero non ci siano incongruenze, non sono sicura sull’ordine dei piani dell’hotel, in caso ci sia qualcosa di sbagliato fatemelo pure notare. Spero anche che la runa di Loki sia giusta XD
Riley sta per conoscere la verità, ma pare che ci siano parecchi misteri da svelare: chi è il ragazzo che ha provocato tanto scompiglio? Cosa significano i versi della profezia? Cos’è successo a Mia De Medici? Perché Alviss soffre di forti crisi?
Grazie per aver letto, alla prossima!

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