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Autore: CHAOSevangeline    24/03/2018    2 recensioni
{ Viktuuri | AU }
In un tempo lontano, un tempo in cui ancora le leggende erano credute vere da tutti, esistevano delle creature speciali la cui pelle riluceva e il cui corpo era circondato da un’aura luminosa.
Esse erano le costellazioni, abitanti del firmamento. Degli esseri senza età e senza tempo dall’origine incerta.
Uno di questi abitanti della volta celeste era conosciuto per la propria bellezza: i suoi capelli corvini e il suo volto latteo mozzavano il fiato a chiunque lo guardasse. I suoi occhi a mandorla portavano a fremere persino il cuore più forte.
Un sorriso e uno sguardo erano sufficienti a stregare.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Rika, che l'ha letta per prima perché è sempre raccomandata e che con la sua Viktuuri mi ha fatto tornare la scintilla per concludere questa. Segui ogni mio sclero e mi sopporti sempre, nel bene e nel male. Questo vuole essere un ringraziamento, per quanto piccolo, per tutto.



 
"You taught me the courage of stars before you left.
How light carries on endlessly, even after death.
With shortness of breath, you explained the infinite.
How rare and beautiful it is to even exist."


Zodiac
 
 
I. Bellezza

 
“In un tempo lontano, un tempo in cui ancora le leggende erano credute vere da tutti, esistevano delle creature speciali la cui pelle riluceva e il cui corpo era circondato da un’aura luminosa.
Esse erano le costellazioni, abitanti del firmamento. Degli esseri senza età e senza tempo dall’origine incerta.
Vagavano sulla terra senza timore, camuffandosi tra le persone o talvolta senza nemmeno curarsi di nascondere il proprio bagliore; erano viste come un segno di buon auspicio, una benedizione.
Uno di questi abitanti della volta celeste era conosciuto per la propria bellezza: i suoi capelli corvini e il suo volto latteo mozzavano il fiato a chiunque lo guardasse. I suoi occhi a mandorla portavano a fremere persino il cuore più forte.
Un sorriso e uno sguardo erano sufficienti a stregare.”
 


« Voglio catturare una stella! »
La frase preferita del piccolo Viktor era quella.
Chiara, coincisa.
Voleva una stella e nella sua innocenza di bambino era legittimo che un desiderio tanto intenso e bruciante venisse espresso una, cinque, dieci volte al giorno. Lo ripeteva quasi fosse un mantra e servisse a darsi la forza necessaria per riuscire nell’intento.
Nessuno osava contraddirlo o fargli presente quanto fosse irrealizzabile il suo sogno perché sarebbe stato inutile e crudele.
« Addirittura? » domandò una donna dai lunghi capelli biondo cenere seduta di fronte alla finestra e con un telaio in mano. « Fino a ieri sera dicevi che ti saresti accontentato di vederne una e basta. »
Stava ricamando dei punti dorati su sfondo blu. Un notturno campo di fiori di scarso interesse, per Viktor.
Il bambino annuì con energia.
« Ma non ci si deve mai accontentare. »
Era così, Viktor: rubava qualche frase agli adulti e la ripeteva, lasciando tutti sbalorditi dimostrando di averne compreso il senso.
« Su questo hai ragione », rispose la donna con un lieve sorriso.
Viktor era un bambino che non odiava la compagnia: era circondato da amici, ma non disdegnava nemmeno la solitudine, starsene per conto proprio a leggere i libri che tanto gli piacevano. I libri sul firmamento, che suo nonno Yakov gli portava dai luoghi lontani in cui si avventurava durante la bella stagione.
Tornava con il freddo, il ghiaccio e la neve, portando con sé qualche dono che Viktor attendeva sempre con impazienza. Se solo fosse stato vestito di rosso e con una lunga barba bianca avrebbe saputo a chi associarlo, ma per contro Yakov non era tanto gioviale e amichevole come la persona con cui voleva metterlo a confronto.
« Vado a vedere se lo zio Yakov arriva! »
Era la sua scusa per tutto.
Sapeva che il ritorno dell’uomo era previsto almeno per il mese successivo, così come lo sapeva sua madre. Questa sapeva anche quanto Viktor ne fosse cosciente, perché pur essendo giovane ed innocente non era uno sciocco.
Quella era la scusa che usava per correre dovunque gli andasse ad esplorare, talvolta con un libro sotto braccio. Si ritagliava un angolo di tranquillità in cui stare, mentre i suoi vispi occhi azzurri sbirciavano, ammiravano.
« Non fare tardi. »
Una raccomandazione, ma Viktor era già sgusciato fuori dalla casa.
Con calma, perché poteva essere curioso, ma non era un bambino troppo irrequieto.
Avrebbe raggiunto la collina, quella dietro casa propria, e all’ombra dell’albero che lì sorgeva avrebbe guardato l’orizzonte: la pianura che si estendeva a perdita d’occhio, le case che punteggiavano la prateria con il loro grigiore.
La linea degli alberi e poi le montagne, a nord. Avrebbe seguito il confine dei cocuzzoli innevati con il cielo e poi avrebbe sbirciato il sole dalle fronde rigogliose dell’albero.
Ecco cosa voleva fare il piccolo Viktor.
Solo questo.
Aveva scelto le scorciatoie più rapide e defilate per giungere all’enorme albero. Una sequoia secolare, su cui suo padre gli raccontava spesso delle storie quando lo portava lì tenendolo sulle proprie spalle.
Ci si arrampicava anche, sentendosi invincibile con delle forti braccia pronte a sorreggerlo nel caso fosse caduto.
Non c’era nulla di nuovo da scoprire su quella collina, su quell’albero. Era bella proprio perché la conosceva, perché Viktor aveva la garanzia del paesaggio da osservare da lì. Non si aspettava di incontrare qualche tesoro e non era nemmeno ciò che cercava, quel giorno.
Dopo essersi seduto tra le radici nodose che si tuffavano sottoterra, disposte quasi a creare un trono solo per lui, Viktor alzò lo sguardo verso l’alto, puntandolo fra i rami che sembravano abbracciare la sua visuale.
Un luccichio.
Qualcosa a pochi metri di altezza sopra di lui aveva riflesso la luce del sole. Un riflesso caldo, luminoso.
Viktor si mise in piedi.
Cosa avrebbe dovuto fare? Provare ad arrampicarsi?
Non era un bambino irrequieto, ma non era nemmeno un bambino pauroso, capace di rifiutare una sfida.
L’incavo nel tronco d’albero in cui si trovava il prezioso oggetto che già Viktor pregustava di portare a terra con sé era ai suoi occhi uno scrigno inestimabile. Cosa avrebbe trovato? Un vecchio orologio? Degli orecchini? Una gemma?
Non lo avrebbe mai scoperto aspettando.
Prima una mano, poi l’altra. Un piede, un altro ancora.
Abbracciando l’albero dapprima un po’ goffamente, aggrappandosi ai pezzi di corteccia che pregava fossero abbastanza solidi da sostenerlo, Viktor provò ad arrampicarsi.
Un fallimento.
Si sbucciò le ginocchia nella caduta, ma non si arrese.
Così salì su una radice sporgente, elevata sopra il terreno. Vi salì in punta di piedi, poi saltò.
Un tentativo, un altro ancora.
Al settimo salto finalmente le sue dita raggiunsero qualcosa.
Una catenina.
Mentre i suoi piedi tornavano ancorati per terra Viktor si rigirò il misterioso oggetto tra le mani. Lo pulì con il polpastrelli, la terra sotto le unghie, allontanando le briciole di foglie secche, la polvere e la sporcizia dal ninnolo.
Sembrava un guscio di un qualche metallo prezioso che non credeva di aver mai avuto occasione di vedere. Oro e argento non avrebbero retto il confronto. Lo avrebbe confuso con il platino, se solo quel materiale non gli fosse sembrato quasi costellato da una miriade di puntini colorati. Pareva quasi brillare di luce propria, all’ombra delle fronde dell’albero. Le fibre di materiale si intrecciavano come una gabbia d’edera intorno ad una pietra levigata e incastonata al centro.
Viktor vi si specchiò, chiedendosi ancora una volta di che pietra si trattasse.
Brillava come un astro, quel ciondolo.
Non aveva catturato una stella, ma era un buon inizio.
 
*
 
Giorno dopo giorno a pendere dal collo di Viktor c’era la confortante sicurezza di trovare quel medaglione.
Il prezioso medaglione che il bambino aveva osato mostrare solo alla madre, anche se non senza timore.
Viktor aveva paura. Paura che potesse dirgli di consegnarglielo per poterlo vedere.
Ancora una volta era un bambino, era innocente, non uno stolto.
La sua famiglia non era povera, ma nemmeno ricca; il materiale con cui era stato forgiato il suo pendente avrebbe anche potuto fare la differenza.
Era egoista volerlo tenere, lo sapeva, ma non poteva fare a meno di soddisfare in tal modo la propria avida sete di conoscenza.
Però Viktor si dimenticava in fretta di tutti quei problemi, perché pensare che quello era il suo pendente, ora, non poteva che farlo riflettere su chi lo avesse posseduto prima: chi lo aveva nascosto nell’incavo del tronco d’albero? Chi aveva affidato alla sequoia sulla collina il compito di proteggerlo?
Magari qualche principessa, o un mago che prima o poi sarebbe tornato a riscuoterlo. Si sarebbe arrabbiato con lui per averlo rubato?
Solo preso in prestito o custodito, si sarebbe difeso lui se fosse successo.
Viktor pensava che sarebbe potuto partire per un lungo viaggio, volgendo a proprio vantaggio la situazione: l’orologio in cambio della conoscenza.
Gli sembrava equo.
Mentre attendeva che il proprio destino – da lui in tutto e per tutto deciso – si realizzasse, Viktor leggeva.
Lo stava facendo anche in quel momento, mentre suo padre e Yakov finivano di cenare.
Erano tornati da qualche settimana e Viktor, come di consueto, era stato lasciato in disparte qualche momento affinché gli adulti potessero godersi una discussione in pace.
Allontanato in modo metaforico, s’intende: Viktor era seduto al tavolo, gli occhi che in altezza superavano a malapena il ripiano di legno nodoso il cui colore veniva scaldato dal riflesso scoppiettante delle fiamme strette nel camino. L’unica parte davvero lontana da loro, dai loro discorsi, era la sua mente. Stava studiando con lo sguardo ceruleo un atlante cosmico, osservando le tracce precise delle costellazioni e i loro nomi.
Aveva letto e riletto informazioni su di loro e conosceva a memoria ogni leggenda. Conosceva il ragazzo che aveva fronteggiato la siccità del proprio paese, la costellazione del fiume; conosceva l’uomo che aveva vagato sulla terra per anni e anni sconfiggendo nemici di ogni sorta. Era un eroe mercenario, di cui Viktor sapeva anche il nome. L’unico dettaglio che aveva scordato, però. Iniziava con la C… o con la J, forse? Avrebbe dovuto controllare.
Il suo racconto preferito però riguardava la costellazione della bellezza.
Una sorta di stella fatta di stelle, forse un fiocco di neve.
Inciso sul medaglione gli era parso di aver visto un simbolo simile, sotto la cupola levigata della pietra che supponeva preziosa.
Nel vederla sulle pagine del libro portatogli in dono da Yakov e suo padre, Viktor provò l’istinto di stringere tra le dita il proprio tesoro.
Sua madre si era battuta affinché potesse conservarlo, contro ogni sua aspettativa. Erano modesti e a conti fatti non avevano la sicurezza che quel gioiello, di materiali per certo non conosciuti, potesse essere di qualche valore.
Avere per padre un cercatore di tesori, un viaggiatore, gli aveva dato la garanzia ultima di non aver nulla da temere.
Nello stringere tra le dita la catenina la manica di Viktor si sollevò, rivelando la pelle candida del suo braccio.
Un momento e sua madre fu subito su di lui, stringendo tra le dita il suo polso.
« E quello cos’è? »
La pelle di Viktor era sempre stata lattea, priva di imperfezioni.
Sul suo avambraccio, ora, spiccavano dei segni. Delle voglie, così piccole da sembrare lentiggini.
Una, due… in otto punti.
Viktor le congiunse con la mente.
Un simbolo.
La costellazione. La sua preferita.
Perché fosse comparso, perché se ne fossero accorti ora, era un mistero.
« Sei destinato a grandi cose, Vitya », gli disse suo padre.
Gli occhi di Viktor brillarono.
Si narrava che chiunque portasse il marchio di una costellazione sul proprio corpo fosse destinato a grandi imprese, che fosse protetto da tale entità.
Viktor non possedeva quel marchio dalla nascita, ne aveva sempre sofferto e ora non poteva non pensare che fosse un onore.
Se l’era guadagnato, perciò valeva ancor di più.
Magari l’aveva ottenuto proprio grazie al medaglione. Magari quel gioiello non apparteneva ad un mago o una principessa che non voleva venisse trovato, magari era stato nascosto da una costellazione che aspettava solo l’arrivo di un prescelto capace di trovarlo.
Ciò che Viktor non sapeva era quanto i sogni di un bambino potessero talvolta assomigliare alla realtà.



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Volevo pubblicare questa storia a gennaio, perché l'idea mi è venuta prima di Natale e credevo sarei stata di gran lunga più rapida nel realizzarla. Chi ha letto l'altra mia storia in corso sa che sono in una fase di rallentamento generale per le storie e anche questa ha risentito degli sbalzi di ispirazione.
Devo dire però di essere felice di aver aspettato, perché il risultato mi piace molto più di quanto sarebbe potuto piacermi se mi fossi imposta di concluderla a gennaio.
Questa vuole essere una breve fiaba, mentirei spacciandola per una storia senza pretese, ma posso dire che è un esperimento. È già conclusa e i capitoli saranno sette. Conto di postarli in date alquanto ravvicinate per non lasciare troppa attesa!
Se vi va vi consiglio di ascoltare la canzone Saturn dei Sleeping at last: mi ha ispirata tantissimo per la storia.
Ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fino a qui e spero davvero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e vi vada di dirmi che cosa ne pensate: mi fareste davvero felice.
Alla prossima!
   
 
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