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Autore: 09Chia    25/03/2018    0 recensioni
Questo dove e questo quando sono lontani da quelli che conosciamo. Lunghi giorni ci separano dall’uomo in nero e dal pistolero che lo seguì nel deserto, diciamo pure delah.
Nel Mondo Cardine il 1999 è ancora perso in un nebuloso futuro; questo mondo, quello con il nostro pistolero e la città di Rud, ha solo iniziato ad andare avanti: la stirpe dell’Eld non ha ancora conosciuto Roland Deschain, e nemmeno suo padre. O forse sì, ma li ha dimenticati: il Ka è una ruota e chi non impara dal passato è condannato a ripeterlo.
(Spoiler saga della Torre Nera!)
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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!!! Spoiler: saga La Torre Nera!!

 

 

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                                                           Come-Commala

 

Il sole è quasi tramontato e il cielo tinto di rosso filtra la vista dell’uomo che cammina verso il villaggio: le case, i pochi alberi affaticati e finanche la polvere del deserto sembrano disegni su braci ancora calde, che hanno conservato il colore della fiamma.

Questo dove e questo quando sono lontani da quelli che conosciamo. Lunghi giorni ci separano dall’uomo in nero e dal pistolero che lo seguì nel deserto, diciamo pure delah.

Nel Mondo Cardine il 1999 è ancora perso in un nebuloso futuro; questo mondo, quello con il nostro pistolero e la città di Rud, ha solo iniziato ad andare avanti: la stirpe dell’Eld non ha ancora conosciuto Roland Deschain, e nemmeno suo padre. O forse sì, ma li ha dimenticati: il Ka è una ruota e chi non impara dal passato è condannato a ripeterlo.

Ci sono i pistoleri, molti più che uno, ma già molti meno che un tempo; c’è la Torre, al centro di un campo di rose; ci sono i Vettori, più forti di quando li conoscevamo noi; Shardik ha solo iniziato ad impazzire e il Re Rosso trama nell’ombra, nascosto nel suo angolo deserto.

C’è il Ka, vento che trascina uomini e mondi senza prestare orecchio ai lamenti; lui sì che conosce Roland di Gilead, lo conosce bene e lo aspetta.

Se i nomi e i luoghi che avete letto non vi dicono nulla, se Roland figlio di Steven è ancora oscuro per voi, se nella vostra vita di lettori non avete ancora incontrato il Medio-Mondo e il Fine-Mondo, se sai King è poco più che un illustre sconosciuto, forse è il caso di rimandare: tornate alle vostre occupazioni, dico grazie per il vostro tempo e invoco perdono se sono scortese ma questo, tra noi, potrebbe solo essere un incontro infausto.

Se invece le mie parole hanno evocato memorie, se un sorriso triste ha sfiorato le vostre labbra, allora potete guardare l’uomo che si avvicina al villaggio e salutarlo come un pistolero. Nay, non arricciate il naso così presto: non è Roland, non ci somiglia nemmeno un po’, se non perché proviene dal luogo che chiameranno Gilead, ma è un pistolero.

L’uomo che sta entrando in Rud al tramonto porta un nome sconosciuto alla storia: si chiama Ariel Andrus. Ha capelli neri, lunghi per un uomo, raccolti in una coda con un nastro di cuoio; porta un cappello largo calato sugli occhi, un foulard per proteggersi dal vento, camicia, jeans scoloriti e un cinturone da cui pendono due rivoltelle con l’impugnatura in sandalo e un otre. Appesa alla spalla tiene una sacca marrone. Gli occhi che si stringono sotto il cappello, incavati in un volto abbronzato, non sono blu: sono verdi come le praterie di Mejis, ma credete a me se vi dico che sono occhi verdi da bombardiere, dico il vero.

Se avete viaggiato con Roland, riconoscerete nel passo di Ariel il passo di chi è spinto dal Ka.

Aspettate ancora un istante, se vi aggrada, e attendete sai Ariel all’ingresso di Rud con me. Cammina da giorni ed è felice di incontrare finalmente un villaggio; spera in un incontro fausto, e spera di non dover seminare altra morte sulla sua strada, ne ha già vista troppa nell’ultimo mese.

 

 

Ariel lesse il cartello di legno che spuntava dalla sabbia all’ingresso della città: una vernice ormai scolorita diceva “RUD, della via del Vettore”. Un sorriso si fece spazio sulle labbra del pistolero, mentre alzava lo sguardo sopra la sua testa, verso la scia di nuvole che correvano tutte dalla stessa parte, verso la Torre Nera, sul vento del Vettore.

Rud della via del vettore. Buffo come gli uomini amassero sottolineare l’ovvio.

Se Ariel fosse stato del nostro mondo, avrebbe detto che la cittadina di Rud somigliava parecchio al set di un Western. Per Ariel però, somigliava solo parecchio a molte altre piccole città che aveva attraversato e la cosa lo confortava: da qualche parte, doveva esserci una locanda. C’era sempre una locanda.

Lungo la strada polverosa la maggior parte dei negozi era già chiusa. In una nicchia tra due edifici, un gruppo di ragazzini giocava con delle piccole biglie di vetro; se si erano accorti del pistolero, non lo diedero a vedere.

Ariel si spinse il cappello indietro, lasciando che gli si appoggiasse sulla schiena, e abbassò il foulard che gli copriva il volto fino al naso.  Si sentì osservato e sollevò lo sguardo: dal primo piano di una delle case vicine alla strada, un uomo anziano lo fissava. Ariel non gli vedeva le mani, erano oltre il livello della finestra, ma seppe che in una delle due stringeva una pistola.

«Hile, pistolero» disse il vecchio, con l’ombra di un interrogativo nella voce. Ariel sfiorò con due dita la tesa del cappello.

«Hile» rispose, lasciando poi che fosse lui a continuare. Il vecchio sembrò preda a uno scontro interiore, poi raddrizzò le spalle e parlò:

«Se porti la morte con te, pistolero, continua sulla tua strada e lasciaci in pace, io prego» disse «il nostro villaggio ne ha già conosciuta troppa».

«Porto con me strumenti di morte, ma rimarranno a dormire se non mi obbligherete a svegliarli. Se posso chiedere ospitalità, sarebbe gradita una notte al riparo»

Il vecchio annuì: «Se dici il vero, la locanda di Andy è a due isolati davanti a te»

«Grazie-sai, lunghi giorni»

«Che il tuo soggiorno ti sia gradito»

Il fatto che i pistoleri fossero obbligati a rassicurare sulle loro intenzioni era un indizio di quanto il mondo fosse andato avanti, pensò Ariel mentre allungava il passo. Individuò la locanda, una costruzione dai vetri polverosi sulla destra, dalla quale provenivano fioche risate. Ariel calcolò di essere arrivato nell’ora di punta.

Batté gli stivali fuori dalla porta, più per educazione che per altro: stimava di avere sabbia anche tra le dita dei piedi, ormai, per liberarsene sarebbe servito ben altro che un batti-piedi all’ingresso.

Quando entrò nella locanda pochi si voltarono, ma quelli che lo fecero non distolsero più lo sguardo. Nella stanza erano spente le lampade: la luce del sole era ancora abbastanza forte per illuminare la stanza, nella quale una decina di uomini erano sparsi per i tavoli. Nessuno di loro era più abbastanza giovane per avere un figlio piccolo, ma questo non sorprese Ariel più di tanto: in tutti i villaggi da cui era passato, gli uomini adulti e i ragazzi erano partiti.

Ariel entrò nella locanda senza ricambiare gli sguardi, se non quello del barman.

Chiese qualcosa da mangiare, ignorando il misto di terrore e venerazione sul volto dell’uomo. Lasciò una moneta d’oro sul banco e andò a sedersi ad uno dei tavoli più defilati. Il suo piatto arrivò qualche minuto dopo e il pistolero cominciò a mangiare con metodo, più simile ad una macchina che necessita di rifornimento che ad un uomo preso a gustarsi il piacere del cibo.

Gli uomini del locale sembrarono dimenticarsi di lui dopo qualche minuto, ma Ariel notò, senza doverli veramente guardare, gli sguardi che gli lanciavano di tanto in tanto. Calcolò che almeno tre di loro fossero armati, ma sperava non fossero tanto impauriti da fare sciocchezze.

 

 

Mentre il pistolero è seduto a mangiare e le ombre si allungano nella stanza, lasciate che vi racconti qualcosa di lui. Se avete riconosciuto il Ka nel suo passo, potreste sapere anche dove è diretto. E se ci pensate, sapete anche quale sarà la sua fine. Ariel della stirpe dell’Eld è sulla via della Torre, cammina sul vettore dell’Aquila da quando l’ha incrociato, ma mai arriverà alla Torre. Così dice il Ka.

È partito da Gilead-che-sarà da troppo tempo perché ne abbia tenuto il conto, ed è partito senza avere la Torre nel cuore: era il suo dinh, Jonathan Desclim, quello che la sognava tutte le notti. Il ka-tet era formato da tre membri e avevano a lungo camminato insieme prima che si spezzasse: ora Jonathan e Kit lo aspettano nella radura in fondo al sentiero da tempo, probabilmente chiedendosi perché ci metta tanto.

Jo e Kit sono stati uccisi in un’imboscata da un gruppo di Taheen, mentre Ariel era a caccia. Il Tocco gli aveva detto quello che stava accadendo, ma quando era riuscito a tornare all’accampamento, era troppo tardi. Aveva raggiunto il gruppo di Taheen all’alba del giorno dopo: per ciascuno dei suoi compagni, Ariel aveva mandato sotto terra dieci degli uomini-uccelli che li avevano attaccati, aveva recuperato le pistole degli amici ed era tornato a seppellirle con le loro salme.

Due giorni aveva passato prostrato sulle tombe, finché non aveva sentito un familiare formicolio diffondersi dalle dita fino alla nuca.

Commala commala come-come.

Il canto della Torre chiama la stirpe dell’Eld, e Ariel è di nuovo sul suo cammino, anche se sa che non è il suo Ka quello di raggiungere la meta. Lui deve solo provare, essere uno dei molti che daranno vita alle leggende e alle storie sulla Torre, uno dei molti la cui vita diventerà parte dei racconti da tramandare nelle sale del palazzo di Gilead che sarà, perché quando verrà Roland Deschain, egli possa sapere tutto quello che gli serve.

Ma attenzione, il pasto del pistolero è quasi terminato: torniamo da lui.

 

 

 

Mentre Ariel mangiava, l’uomo dietro al bancone aveva fatto il giro della stanza accendendo alcune torce e al gruppo precedente si erano aggiunti altri cinque o sei uomini. Quando l’ora di cena fu passata da almeno una mezz’ora, entrarono nella stanza anche delle donne con qualche bambino.

Uno dei più piccoli attraversò la porta trotterellando e, sfuggito dalle mani della madre, vagò per il locale salutando qua e là gli uomini seduti ai tavoli, fino a ritrovarsi vicino ad Ariel.

Scrutò lo straniero con aria dubbiosa, mentre il pistolero lo osservava a sua volta con l’ombra di un sorriso: il bambino arrivava con la testa al bordo del tavolo, e aveva mani e viso decisamente sporchi.

«Sei venuto a sentire Lydia?» chiese.

Ariel sorrise «Nay, piccolo. Sono venuto a mangiare»

Il bambino lanciò un’occhiata al piatto ormai vuoto del pistolero; poi spostò lo sguardo sul cinturone: «E quella è vera?» disse, indicando la pistola che spuntava dalla fondina.

«Aye» rispose Ariel «ma non è per te» continuò, coprendola con la mano.

«Tom! Non infastidire!» la voce allarmata raggiunse il pistolero e il bambino, facendo sussultare quest’ultimo. Un istante dopo, una donna dall’aria stanca apparve dietro di lui «Dico scusa, sai» esclamò rivolta ad Ariel «l’ho perso di vista».

Lui scosse la testa «Non ha fatto nulla di male» disse.

La donna fece un veloce inchino con la testa, poi indietreggiò trascinandosi dietro il piccolo.

Ariel tornò ad osservare la sala: erano appena entrati due uomini e una ragazza, portando quelli che sembravano un flauto sottile e uno strumento simile a una piccola chitarra.

Si diressero al bancone e chiesero qualcosa da bere; il barman li servì e parlando sottovoce indicò con il capo il tavolo a cui era seduto Ariel. Il pistolero finse di non accorgersene. Vide i tre che si voltavano verso di lui e confabulavano: l’uomo che stringeva il flauto nella mano destra buttò giù il suo boccale senza dire una parola, limitandosi a scuotere la testa con aria sconsolata. L’altro discuteva animatamente con la ragazza, che ribatteva piccata. Ariel non riusciva a distinguere le parole del discorso, ma aveva la netta sensazione di essere coinvolto.

A conferma di questo, dopo qualche istante la ragazza si allontanò dal bancone per dirigersi al suo tavolo: attraversò la stanza con aria impavida, ma quando Ariel girò lo sguardo su di lei rallentò il passo; sembrò esitare, per poi rendersi conto che era ormai troppo tardi per tornare indietro.

«Salute a te» disse «dico scusa se ti disturbo»

Ariel faticò a trattenere il sorriso di fronte alla sua espressione tesa «Non disturbi» rispose, portandosi una mano alla fronte. Era sinceramente sorpreso dall’ardire della ragazza, che vista da vicino era molto giovane, oltre che molto graziosa: lunghe trecce dorate le incorniciavano il viso e le sue guance erano infiammate di rosso. Lei sembrò un poco rassicurata dalla sua educazione e raddrizzò le spalle.  

«Il paese è deserto e il morale è basso» riprese «siamo abituati a suonare e ballare per intrattenerci tra di noi. Se però ti rechiamo disturbo, questa sera possiamo fare a meno» disse, a voce bassa.

Ariel sorrise «E’ passato molto tempo dall’ultima volta che ho sentito qualcuno suonare» rispose «Ma vi ascolterò con piacere».

Il volto della ragazza si rilassò e gli rivolse uno sguardo di gratitudine «Grazie-sai» disse, scappando al bancone prima che lui potesse rispondere.

La vide riferire la notizia ai compagni, che la accolsero con piacere. L’uomo con la chitarra si volse verso di lui e si toccò la fronte chinando la testa, in un gesto di muta gratitudine.

Ariel ricambiò, nascondendo una smorfia: troppo facile mandare avanti la ragazzina e poi ringraziare.

Li vide prendere posto sulla scala di legno che portava al piano di sopra: i due musicisti seduti sui gradini e la ragazza in piedi, poggiata alla parete.

Come ad un segnale convenuto, i bambini presenti si raccolsero attorno a loro, mentre gli adulti ruotavano sugli sgabelli, in modo da vederli. Ariel, seduto dalla parte opposta della stanza, si trovò ad osservare le schiene di tutti i presenti. Era una posizione che non gli dispiaceva: poteva guardare senza essere visto, ed era piacevolmente sorpreso di poter assistere a un concerto, per quanto popolare. L’ultima volta che aveva udito musica, era stato dal violino di Kit e molto tempo era passato da quando aveva seppellito lo strumento assieme al corpo dell’amico.

Quando la musica iniziò, i bambini presero a ballare. Il piccolo Tom era in prima fila.

La ragazza non cantò, si limitò a battere le mani a tempo con il flauto e a sorridere ai piccoli. La melodia era sconosciuta ad Ariel, ma vide che nella stanza qualcuno canticchiava.

Ariel iniziò ad arrotolarsi una sigaretta e si spostò al bancone. L’oste gli rivolse un cenno.

«Whiskey» disse Ariel «buono». Accese la sigaretta e girò lo sguardo verso i musicisti: la prima canzone era terminata e, alle prime note di quella seguente, la ragazza iniziò a cantare. Aveva una voce leggera e piacevole. Il ritmo della nuova canzone era incalzante, pensato per ballare: i bambini saltellavano e alcuni uomini cominciarono a picchiare il pavimento con i piedi.

Sul fondo del locale, Ariel riconobbe l’uomo anziano che l’aveva accolto in città: si era alzato e tendeva la mano a una donna decisamente più giovane di lui. Quella si schermì per un istante, ma attorno a lei si levò un coro di risate e fischi; ridendo e rispondendo qualcosa a chi l’aveva spinta in piedi, la donna accettò il braccio dell’anziano signore e cominciarono a ballare: tenevano le mani sui fianchi e giravano l’uno accanto all’altro, senza mai veramente toccarsi.

Ariel aggrottò le sopracciglia, cercando di riconoscere i passi; apparentemente, a Rud si ballava in modo diverso che a casa sua.

«Lydia è un piccolo miracolo» fece l’oste, versandogli da bere «senza di lei, penso che metà di noi sarebbe già partita per l’Ovest». 

«La ragazza che canta?» rispose Ariel.

L’uomo annuì: «Non sono rimasti molti giovani da quando gli uomini sono partiti per l’Ovest, ma lei fa il possibile perché il morale non si abbassi troppo»

«Qualcuno è tornato?»

L’oste fece una smorfia: «Nar, sai» disse «ma cerchiamo di non pensarci»

La canzone terminò in un’esplosione di applausi e fischi.

Quando Lydia attaccò con il canto seguente, Ariel dimenticò di pensare non solo agli uomini partiti verso Ovest: dimenticò tutto.

If at his counsel I should turn aside

into that ominous tract which, all agree,

hides the Dark Tower. Yet acquiescingly

I did turn as he pointed: neither pride

nor hope rekindling at the end descried,

so much as gladness that some end might be.

Nessuno dei presenti batteva più i piedi, ma tutti cantavano le parole in perfetta sincronia. Ariel ascoltò rapito la voce di Lydia, che spiccava sopra quella degli altri, raccontare della sua Torre. Dopo anni di vagabondaggio, il suo Ka cantava con la voce di una ragazzina, in una fumosa sala di un paese sperduto in mezzo al deserto. La sigaretta dimenticata arrivò a bruciargli le dita e Ariel la lasciò cadere nel bicchiere, dove era rimasto un dito di whiskey.

«Che canzone è?» chiese all’oste, conscio di aver parlato bruscamente.

L’uomo fece inconsciamente un passo indietro di fronte allo sguardo spiritato del pistolero.

«Questa? La canzone della Torre, una nenia di quelle antiche» rispose «anche i bambini la conoscono» indicò con un cenno i piccoli, che cantavano ignari: distese di fiori, cavalli del diavolo, il volto arrossato di Curthbert. Curthbert? Ariel scavò nella sua memoria, ma non c’erano pistoleri con quel nome tra i suoi compagni, né tra le leggende che conosceva.

Se Ariel avesse potuto sentire la voce del Ka, in quel momento avrebbe sentito forse una compassionevole risata. Non pensare, pistolero. Non è la tua storia questa. Non è la tua canzone.

Ma Ariel poteva sentire solo la voce di Lydia e quando arrivò all’ultima strofa, un sorriso amaro tirò le sue labbra:

There they stood, ranged along the hillsides, met

to view the last of me, a living frame

for one more picture! in a sheet of flame

I saw them and I knew them all. And yet

dauntless the slug-horn to my lips I set,

and blew. "Childe Roland to the Dark Tower came."

 

Aveva sperato per qualche folle istante che il nome del cavaliere fosse Ariel. Eppure, una parte di lui l’aveva sempre saputo: il suo Ka era cercare, mai arrivare. Sperò che Childe Roland, chiunque fosse, avesse più fortuna di lui. Cercò di mandare a mente alcune delle strofe, ma qualcosa gli diceva che il mattino dopo avrebbe dimenticato comunque tutto.

Lydia concluse la canzone con un’ultima lunga, vibrante nota. Ci fu qualche istante di silenzio, rotto infine da una voce roca:

«Davvero commovente, aye» rise il vecchio della finestra «Ma adesso facci ballare, Lydia, prima che gli occhi di questi vecchietti siano chiusi dall’alcool!»

Un coro di risate accolse la battuta e Lydia rispose con un leggero inchino «Sicuro, sai Collins» disse «Ma solo se vieni qui davanti! Come-commala!».

La chitarra e il flauto partirono ad un ritmo infuriato e un nuovo sorriso, stavolta sincero, entusiasta, si fece spazio sul viso di Ariel.

«Come-come Commala!»

Lydia cantò da sola forse la prima sillaba, poi la sua voce fu sepolta da quelle di tutti gli altri. Al battito dei piedi sul pavimento si aggiunse quello dei boccali sui tavoli.

Stavolta, quando le coppie si alzarono per ballare, Ariel riconobbe all’istante i passi: tacco e punta, tacco e punta, gamba destra in avanti, con la suola dello stivale che batteva sulle assi di legno.

Chi era seduto teneva il ritmo e gridava «Come!… come!…».

Gli occhi di Lydia ruotarono verso di lui nella stanza, mentre la ragazza batteva le mani e i piedi da sola, senza un compagno.

Ariel si accorse di essersi mosso solo quando fu davanti a lei. Pensi troppo piano e ti muovi troppo veloce, gli diceva Jo almeno una volta ogni due giorni. Stavolta però, Ariel aveva le sue buone ragioni: il canto era lungo, ma non sarebbe certo durato all’infinito. Inoltre, Lydia non sarebbe rimasta senza compagno a lungo.

Quando il pistolero raggiunse i musicisti, la stanza si bloccò: il flautista rimase con l’ultimo soffio incastrato in gola, i ballerini girarono le teste, pietrificati a metà di un passo; i bambini, in prima fila, lo fissavano con gli occhi spalancati.

Ariel, nel silenzio generale, tese la gamba destra in avanti e si chinò, in un movimento che Lydia aveva solo sentito descrivere: era il movimento che i suoi compagni di scuola, da piccoli, imitavano impacciati quando giocavano ai pistoleri; questa volta però l’aveva visto eseguito con grazia, con naturalezza. Il folken nella stanza trattenne il fiato.

«Oh, dei» soffiò una donna nascosta tra la folla.

Lydia arrossì, ma si esibì in un piccolo inchino e accettò la mano del pistolero.

Il silenzio durò ancora qualche istante, poi Ariel disse: «Vi dono la gioia…» non certissimo che fosse la formula corretta anche in quell’angolo del mondo. Il suo dubbio durò meno di un battito di ciglia:

«GRANDE GIOIA PROVIAMO, AYE» risposero in coro.

Lydia e Ariel si presero a braccetto e cominciarono a ballare: tacco e punta, tacco e punta, avanti.

Iniziarono piano, poi Lydia fece un sorriso divertito e accelerò leggermente. Ariel la seguì, sollevando un sopracciglio in un’espressione di sfida.

Altre coppie si unirono a loro e dopo un istante ricominciò anche la musica, anche se il suonatore di flauto faticava a trattenersi dal sorridere apertamente e le sue note non uscivano perfette.

Il folken riprese a cantare e il ritmo si fece sempre più veloce.

Come-come-commala

Rice come a-falla

Deep inna walla

Grass come-commala

Under the sky-o

Grass green n high-o

Girl n her fella

Lie down togetha

They slippy ‘ay slide-o

Under ‘ay sky-o

Come-come-commala

Rice come a-falla!

Sempre più veloce, finché Ariel non riuscì più a distinguere i suoi piedi che si muovevano. Lydia teneva il tempo alla perfezione, anche se aveva smesso di cantare e aveva iniziato a ridere, gettando la testa all’indietro: alcune ciocche di capelli le si erano attaccate alla fronte per il sudore, ma Ariel sapeva di non essere in condizioni migliori. Sentiva i polmoni bruciare.

Alcune coppie smisero di danzare quando, nelle ultime strofe, il ritmo della canzone diventò insostenibile. Sull’ultimo ritornello rimasero di nuovo solo Ariel e Lydia, a battere i piedi trattenendo il fiato per la concentrazione.

Il canto terminò con un urlò di tutto il popolo, poi la stanza si riempì di grida e applausi.

 

 

 

Come-commala, amici. Osservate il pistolero mentre smette di ballare e torna ad inchinarsi a Lydia tra i fischi entusiasti del folken. Osservatelo e guardatelo bene, perché il sorriso sul suo viso avrà durata breve e la sua via verso la radura è quasi al termine.

Aye, il Ka soffia e Ariel non potrà camminare ancora a lungo: la Torre Nera aspetta la stirpe dell’Eld tra parecchio tempo ancora.

Guardatelo bene però, perché in questo momento Ariel non pensa alla Torre, e i suoi occhi verdi gridano la pura gioia della commala.

«Grazie-sai» soffia Lydia, senza fiato.

Il nostro pistolero sorride: «Nay, grazie a te, miss» risponde.

Grazie a voi, per aver partecipato a questa festa improvvisata: non c’eravate col corpo, ma coloro che hanno il dono del Tocco, sono certa vi abbiano sentito.

Dico scusa se qualcosa di ciò che avete letto è suonato stonato alle vostre orecchie, ma pensate che molti anni ci separano da Roland di Gilead, che il nostro Vettore non è quello di Maturin, che Rud non è Tud né tantomeno il Calla: le tradizioni e danze cambiano, le canzoni che si sono imparate si dimenticano e i nomi si scordano. Solo il Ka soffia sempre.

Dico grazie per avermi ascoltato,

                                    Lunghi giorni e piacevoli notti a voi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Nda:

Naturalmente il medio-mondo, la commala, la stirpe dell’Eld e molto altro non appartengono a me, ma a Sai King. Le strofe del canto centrale sono prese da “Childe Roland to the Dark Tower Came”, di Robert Browning.

Ariel, invece, è interamente un mio personaggio: fate attenzione, se lo trasportate nella storia sbagliata senza il suo consenso (e il mio), spara.

Un ringraziamento a chi ha letto. Se lasciate una recensione ballo la commala anche io.

Grazie sai, lunghi giorni.

Chia

   
 
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