Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    25/03/2018    14 recensioni
L'Ordine Templare sta attraversando una profonda crisi: i possedimenti in Terra Santa sono perduti, e la sua funzione di difensore della fede sta venendo meno.
Da una delle ultime zone di combattimento contro gli infedeli, un cavaliere viene richiamato in Francia, destinato a una commenda apparentemente tranquilla e pacifica. Allo stesso tempo, un cavaliere Teutonico non particolarmente ligio agli ordini viene inviato al castello di Metz, poco lontano dalla commenda in questione, e un giovane nobile di un feudo nei dintorni desidera disperatamente entrare nell'Ordine Templare. I destini di questi tre personaggi si incroceranno con quello del celebre ordine del Tempio, ed essi saranno testimoni degli eventi terribili che cominciarono con la fatidica data del 13 ottobre 1307.
Seconda classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP.
Prima classificata al contest "Raccontami una Storia" indetto da milla4 sul forum di EFP
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti/e! Ecco l’ultimo capitolo dell’orrendo mappazzone.
Grazie a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di seguirmi in questo delirio nonostante la sua lunghezza. Un ringraziamento in particolare va a chi mi ha lasciato un parere, ovvero Saelde_und_Ehre, John Spangler, mystery_koopa, Enchalott, alessandroago_94, evelyn80, Yonoi, Syila, queenjane, _Polx_, molang e innominetuo.






Capitolo 5

La stanza era piccola e quasi buia, vi regnava un odore di cuoio, ferro e grasso rancido. Dal soffitto basso pendeva una piccola lanterna a olio, che gettava tutt’intorno una luce fioca e tremolante.
Due uomini sedevano uno di fronte all’altro a un vecchio tavolo sbilenco, con il piano segnato da punte di lama e macchie di unto.
L’orologio del campanile batté il dodicesimo colpo.
Ci siamo,” disse Renard Desprez, capitano della milizia reale a Metz. L’uomo che sedeva di fronte a lui, il sergente anziano Antoine Coutier, annuì lentamente, e in tono grave proclamò: “È l’ora.”
Il capitano annuì a sua volta, poi si girò a fissare lo sguardo su uno stipo chiuso a chiave. Fece l’atto di alzarsi per raggiungerlo, ma all’ultimo desistette.
Di nuovo i due uomini si scambiarono uno sguardo teso.
Lo stanno aprendo in tutto il regno, signore,” osservò poi il sergente. Anche lui si girò verso lo stipo, come per suggerire al suo superiore cosa fare.
Lo so,” rispose l’altro, che comunque ancora non si risolveva a muoversi. “La mezzanotte fra il dodici e il tredici di ottobre, gli ordini erano chiari.”
Direi ce ci siamo, signore.”
Il capitano non rispose, e nella stanza calò un silenzio carico di inquietudine. In lontananza si percepì flebile il richiamo di una sentinella, da qualche parte un gatto gnaulò in tono spettrale.
Gli ordini sono ordini,” sospirò alla fine Desprez. Si alzò facendo cigolare la sedia, quindi estrasse dalla camicia una chiave che portava al collo e la infilò nella serratura del piccolo armadio.
Trasse dal mobile un rotolo pesante e coperto di sigilli, e per un po’ si limitò a fissarvi sopra lo sguardo, come se i suoi occhi avessero avuto il potere di penetrare gli strati di pergamena e leggerne direttamente il contenuto, prima che esso divenisse manifesto a chiunque e fosse necessario ottemperare a ciò che ordinava. Infine con un sospiro tornò al tavolo e si sedette. Estrasse dalla cintura il pugnale e con la punta della lama fece leva sotto il primo dei sigilli, che si spaccò con un crepitio da vecchio osso.
Gli altri seguirono la stessa sorte, e il rotolo si aprì docile, rivelando un testo fitto e disposto su due colonne.
Il capitano vi fissò sopra lo sguardo, e dapprima sollevò le sopracciglia stupefatto, quindi le aggrottò in una torva maschera di disappunto. “Per la lancia di San Giorgio,” borbottò. La sua espressione si fece se possibile ancora più cupa.
Il sergente si piegò appena in avanti. A bassa voce chiese: “Che cosa dice, signore?”
Te lo leggo,” fu la risposta, quindi il capitano si schiarì la voce e cominciò a declamare: “Siamo venuti a sapere che i fratelli del Tempio, camuffando il lupo da agnello, nascondendosi dietro l’abito dell’Ordine, insultando miserabilmente la nostra religione, crocifiggono di nuovo Nostro Signore Gesù Cristo, e lo coprono di ingiurie più terribili di quelle che sopportò sulla croce. Quando nuovi fratelli entrano nell’Ordine, viene presentata loro la sua immagine: essi la rinnegano tre volte, e con orribile crudeltà le sputano tre volte in faccia; poi vengono condotti nudi di fronte a colui che li riceve o a un suo sostituto: egli, secondo l’odioso rito dell’Ordine, li bacia prima sul fondo della spina dorsale, poi sull’ombelico e infine sulla bocca, con profonda vergogna dell’umana dignità. Essi sono costretti, per i voti che pronunciano e senza timore di offendere la legge umana, a darsi l’un l’altro per effetto del terribile vizio del concubinaggio. Questa gente immonda ha abbandonato la fonte di acqua viva e l’ha sostituita con la statua del vitello d’oro, immolando vittime agli idoli. Vista la preventiva e diligente inchiesta fatta sulle dicerie del popolo dal nostro caro fratello in Cristo Guillaume de Paris, inquisitore degli eretici ed eletto dall’autorità apostolica, noi abbiamo decretato che tutti i membri dell’Ordine nel nostro regno siano arrestati, senza alcuna eccezione, fatti prigionieri e destinati al tribunale ecclesiastico [1]”
Il capitano smise di leggere e alzò gli occhi sul subalterno.
Questi scosse stupefatto la testa. “Ma che cazzo...” cominciò, poi si interruppe. “Scusate, signore,” borbottò.
L’altro fece un gesto come per dire che non importava, ma non aggiunse altro.
Fu il sergente Coutier che dopo un po’ disse: “Il problema, signore, è uno solo: e se quelli non vogliono farsi arrestare?”
C’è un ordine del re,” fu l’asciutta risposta.
Con tutto il rispetto, capitano, secondo voi quanti dei nostri uomini sarebbero necessari, per tenere testa a un Templare che non ha intenzione di obbedire all’ordine del re?”

Michel si bilanciò in spalla l’asta dell’alabarda, poi rabbrividì nella luce sbiadita dell’alba. “Dannata stagione,” brontolò. “Umida e fredda come un pesce morto.” Si voltò verso il commilitone Bertrand, che con espressione turbata guardava gli altri soldati uscire dalle camerate e allinearsi nel cortile, poi in tono trionfante lo apostrofò: “Hai visto che avevo ragione?”
L’altro si voltò verso di lui. “Su cosa?”
Quelli là sono da arrestare tutti. Te l’avevo detto, io, che erano dei poco di buono.” E al silenzio del primo insisté: “Eretici e sodomiti. Avevo ragione, vedi? E tu a ripetere come uno scemo: ma no, mio cugino dice che sono bravi, che danno molte elemosine… Te lo dico io che elemosine danno!” Fece un gesto osceno.
Adesso non ricominciare,” brontolò Bertrand.
Io dico solo quel che è vero. Se il re ha deciso di farli arrestare, ci sarà un motivo, no?”
L’altro grugnì qualcosa di inintelligibile.
Non sai cosa rispondere, eh?” lo provocò Michel. “Il re non è mica stupido, l’ha capito benissimo che questi qua sono tanto marci dentro quanto sono bianchi fuori.”

§

Sugli spalti del castello di Metz, Fratello Friedrich girava avanti e indietro come un animale in gabbia. Di tanto in tanto si fermava, appoggiava le mani sulle merlature e si sporgeva come se avesse voluto balzare giù, poi riprendeva il suo nervoso camminare.
A distanza di sicurezza, le guardie lo fissavano mute.
Appoggiato a un muro con le braccia conserte sul petto, fratello Adalbert seguiva il suo irrequieto passeggiare con una sorta di rassegnata indulgenza.
La vuoi piantare?” disse dopo un po’.
L’altro si fermò sui due piedi, quindi gli rivolse uno sguardo cupo. “Hai sentito cosa stanno facendo?” si limitò a ringhiare.
Dipende. Di cosa stai parlando?”
Arrestano i Templari.”
Chi li arresta?”
La milizia reale.”
Fratello Adalbert sollevò stupito le sopracciglia. “E tu come fai a saperlo?”
L’ha detto sorella Bertha [2] al rientro dal mercato. Ha detto che tutta la città è bloccata per questo motivo, e che ci consigliano di non uscire da qui, per non essere confusi con i cavalieri del Tempio.”
L’altro scrollò le spalle. “Lo sai anche tu quanto parla sorella Bertha.”
Ha detto che all’alba sono entrati nella magione templare e hanno portato via tutti,” replicò fratello Friedrich, poi tornò a sporgersi dal bastione, e per un po’ rimase a scrutare la città stringendo gli occhi come un astore.
Fritz?” lo richiamò dopo un po’ fratello Adalbert.
L’altro si girò torvo. “Che c’è?”
Il primo aprì la bocca per rispondere, ma in quel momento sbucò da una strada laterale un carro coperto trainato da una pariglia di cavalli. A cassetta c’erano due soldati della milizia reale.
Il veicolo curvò per immettersi nella strada che costeggiava le mura, e attraverso la grata che ne chiudeva la parte posteriore, i due videro al suo interno dei mantelli bianchi con la croce scarlatta sulla spalla.
Si scambiarono un’occhiata perplessa.
Donnerwetter, non è possibile,” disse alla fine fratello Adalbert. “Perché mai dovrebbero fare una cosa del genere?”
È quello che voglio scoprire,” disse in tono duro fratello Friedrich. Si girò come per andarsene.
L’altro lo fermò afferrandolo per una spalla. “Aspetta. Cosa vuoi fare?”
Vado a parlare col priore, ovviamente. Lui saprà cosa sta succedendo.”
Ne saprà quanto noi, immagino.”
Fratello Friedrich si liberò dalla presa con una brusca scrollata, poi rispose: “Ma può informarsi, a lui spiegheranno perché stanno arrestando i Templari.”
Potrebbero anche dirgli che non sono faccende che riguardano i tedeschi.”
Oppure noi potremmo essere i prossimi, e in ogni caso voglio capire perché arrestano i cavalieri del Tempio. Voglio sapere cosa sta succedendo.”
Fritz...”
Vado a parlare col priore,” fu la risposta. Un attimo dopo, il cavaliere scomparve nella tromba delle scale.
Fratello Adalbert alzò gli occhi al cielo.

Fratello Luitpold, priore del castello di Metz, sollevò lo sguardo dalla lettera che stava scrivendo. Sulla soglia del suo studio era comparso fratello Otto, un ministeriale che aveva mansioni di segretario.
Ebbene, che c’è?” gli chiese.
L’altro si inchinò. “Un cavaliere chiede di vedervi, signore.”
Il priore aggrottò le sopracciglia. “Un cavaliere? E chi sarebbe?”
Fratello Friedrich, signore.”
All’udire quel nome, fratello Luitpold alzò gli occhi al cielo con un sospiro. “Cosa vuole ancora?”
Non lo so, signore. Sembra molto inquieto.”
Il giorno che non sarà inquieto sarà morto, pensò tra sé e sé il priore, che ben conosceva ormai le intemperanze del subalterno, poi a voce alta disse: “Fa passare, sentiamo cosa vuole questa volta.”
Trascorse qualche minuto, poi Fratello Friedrich entrò a grandi passi e si fermò a guatarlo come avrebbe fatto un toro prima di incornare un rivale. “Priore,” ringhiò a denti stretti.
Che cosa c’è, fratello?” chiese l’altro in tono neutro.
Stanno arrestando i cavalieri del Tempio,” fu la secca risposta. “Voi per caso sapete per quale motivo?”
La notizia suonò talmente inaspettata che fratello Luitpold aggrottò le sopracciglia e semplicemente replicò: “Cosa?”
Il cavaliere emise uno sbuffo di impazienza. Si erse in tutta la sua notevole altezza e lentamente scandì: “Stanno arrestando i cavalieri del Tempio.”
Voi come fate a saperlo?”
Li ho visti. Vengono portati via dalla milizia del re.”
Chissà cosa avrete visto. E poi, comunque, non sono faccende che riguardano il nostro Ordine.”
Gli occhi di fratello Friedrich parvero mandare lampi. “Sono fratelli cavalieri!” replicò brusco. “Voglio sapere cosa sta succedendo, datemi il permesso di uscire.”
L’altro lo fissò con durezza. “Assolutamente no. Voi rimarrete qui e non farete nessuna delle azioni dissennate che di certo avete in mente. Non voglio che replichiate l’incidente di Ritterswerder.”
Con quell’incidente, priore, ho salvato il castello,” ringhiò il cavaliere fissandolo come se avesse voluto incenerirlo. Fratello Luitpold lo vide stringere i pugni con tale forza che le nocche sbiancarono.
Basta così,” disse allora, raddrizzandosi con fare autorevole sulla sedia. “Voi non andrete da nessuna parte. Obbedirete ai miei ordini, tanto per cambiare, e ve ne starete qui. Se vi vedo anche solo avvicinarvi al portone, giuro che questa volta vi faccio perdere l’abito per sempre [3].”
Sono fratelli cavalieri,” ripeté il più giovane imperterrito. “Dobbiamo aiutarli.”
Fratello Luitpold emise un sospiro. “Prima dobbiamo capire cosa sta succedendo,” replicò in tono esasperato, “dobbiamo capire se è vero che il re li sta facendo arrestare, e perché, magari. Lo sapete anche voi che girano voci strane sul Tempio.”
Sono false.”
L’altro alzò gli occhi al cielo. “Mi informerò. In ogni caso, poiché la carità e l’aiuto non si negano ai fratelli, se i cavalieri del Tempio verranno qui, li accoglieremo.” fece una pausa, poi in tono ammonitore aggiunse: “Ma vi proibisco formalmente di uscire dalle mura del castello e prendere iniziative personali.”
Fratello Friedrich si limitò ad annuire torvo, quindi rimase immobile al centro della stanza.
Che cosa c’è ancora?” gli chiese il priore dopo un po’.
Mi concedete mandare un messaggio alla commenda di Vaux?”
Prima devo informarmi su ciò che sta accadendo. E ora andate.”

§

Fratello Roland sussultò e aprì gli occhi. Fece girare lo sguardo tutt’intorno: nel debole chiarore che precede l’alba, intravedeva solo le vaghe sagome dei suoi confratelli addormentati. Si passò una mano sul viso, e la ritrasse umida di sudore. Eppure non era caldo, in camerata. Cominciava anzi la stagione in cui la coperta bastava appena per non sentire freddo la notte.
Si mise a sedere e di nuovo si guardò intorno. Gwenel dormiva rannicchiato, con la coperta tirata fin sulla testa: probabilmente non si era ancora abituato ai rigori della vita monastica. Fratello Séverin, invece, disteso sulla schiena russava beatamente con la coperta a mezzo corpo. Gli altri erano bozzoli bianchi che si perdevano nella penombra.
Attento a non fare rumore si alzò in piedi, recuperò l’involto dei vestiti e uscì dalla stanza. Guardò fuori: era ancora presto per la Prima [4], eppure avvertiva una strana inquietudine, un senso di urgenza tormentosa. Inspirò ed espirò lentamente cercando di fare il vuoto in testa: era la stessa sensazione che lo prendeva prima delle battaglie.
Sentì un fruscio provenire dalla camerata. “Gwenel?” chiese a bassa voce.
Non gli giunse risposta.
Si affacciò alla porta. “Gwenel?” ripeté, ma il ragazzo dormiva immobile. Rimase per un po’ fermo a guardare, ma non vide alcun movimento.
Tornò sui suoi passi, finì di vestirsi e uscì all’aperto. L’aria del mattino era immobile, umida. Non si udiva il minimo rumore, gli uccelli tacevano.
Si guardò intorno, la sensazione che stesse per succedere qualcosa era più opprimente che mai.
Improvvisamente, dei colpi sul portone lo fecero sussultare. Uno stormo di corvi si alzò in volo gracchiando, i cani della commenda cominciarono a latrare.
Aprite!” urlò una voce dall’esterno. “Aprite, in nome del re!”
Istintivamente, fratello Roland portò la mano al fianco, solo per rendersi conto che non si era ancora affibbiato la spada.
Subito dopo, successero molte cose: i colpi contro il portone si ripeterono, più imperiosi di prima, e di nuovo qualcuno urlò: “In nome del re, vi ordino di aprire!”
Il fratello portinaio uscì di corsa da un edificio e si precipitò a tirare i catenacci, ma nello stesso momento anche fratello Geoffroy uscì dal capitolo e urlò: “Non farlo!”
Fratello Roland lo fissò: era scarmigliato, sommariamente vestito e aveva il volto di un pallore spettrale.
Attirati dalle urla, anche gli altri fratelli cavalieri uscirono dal dormitorio, e così fecero i fratelli di mestiere e i garzoni. “Che cosa sta succedendo?” chiese qualcuno.
Non aprite!” ripeté fratello Geoffroy, poi raggiunse la porta, e a voce alta chiese: “Chi è che vuole entrare?”
Aprite, in nome del re! Abbiamo un mandato di arresto!”
Un mandato di arresto? Per chi?”
Tutti i cavalieri del Tempio sono in arresto, per ordine del re, e la commenda è sotto sequestro con tutto ciò che contiene. Consegnatevi spontaneamente, oppure saremo costretti a entrare con la forza.”
Cosa? Ma...”
Un colpo violento fece scricchiolare l’anta di legno.
Aprite o sfondiamo la porta!” urlò la voce dall’esterno.
Fratello Geoffroy arretrò, si volse verso i fratelli cavalieri. “Alle stalle!” ordinò. “Sellate e andatevene! Aprite il cancello che dà sui campi e passate da lì.”
Gli altri si guardarono l’un l’altro stupefatti, ma non si mossero.
Andate!” ripeté il commendatario, con la voce incrinata da una nota stridula di paura.
Fratello Roland lo fissò ed ebbe la sensazione che egli sapesse perfettamente cosa stava succedendo. “Muoviamoci!” urlò ai frastornati confratelli, “Prendete le armi! Possiamo difenderci!” Afferrò fratello Séverin per un braccio e lo sospinse verso il dormitorio.
I cani continuavano a latrare, qua e là si sentivano mormorii preoccupati. I servi e i fratelli di mestiere si dileguavano alla ricerca di nascondigli.
In quel momento, fratello Geoffroy lo raggiunse. “È il momento,” ansimò con sguardo spiritato, stringendogli un braccio come se avesse voluto conficcarvi le dita. Sul volto livido gli scendevano grosse gocce di sudore.
Che cosa sta succedendo?” chiese fratello Roland.
Vieni con me!” disse l’altro per tutta risposta, quindi lo trascinò all’interno del Capitolo. Raggiunse la porta che conduceva al Tempio Nero, con mani tremanti estrasse la chiave che portava al collo e fece scattare la serratura. “Il Codice Ombra deve essere portato in salvo a tutti i costi,” gli disse. “Questo è il motivo per cui sei stato chiamato qui, e il motivo per cui sei stato introdotto ai primi segreti gnostici.”
Ma cosa sta succedendo?”
Accuse di eresia! Sapevamo che sarebbe successo.”
Fratello Roland lo fissò stupefatto. “Eresia?”
Sì, tutto è partito da quella maledetta abitudine dell’inconvenientia. Ma ora non c’è tempo di spiegarti, devi salvare il libro.”
Dove lo devo portare?” gli chiese il più giovane. “E gli altri? Che sarà di loro?”
Il sapere è più importante.”
Più importante dei fratelli cavalieri?” ribatté l’altro con una punta di durezza nella voce.
Fratello Geoffroy non rispose: stava già scendendo verso il Tempio Nero.
Quando furono giù, scomparve nelle tenebre muovendosi con la sicurezza dell’abitudine, quindi ricomparve con il libro ancora avvolto nel panno bianco e glielo mise in braccio. “Portalo via,” gli ordinò. “Portalo a Sainte-Ruffine, da fratello Urbain. Lui saprà cosa farne.”
Ma gli altri?” Fratello Roland non si risolveva ad andarsene in quel modo.
Fa’ quello che ti dico!” gli ingiunse il commendatario. “Ogni minuto di ritardo può essere quello fatale!”
Corsero su. Nel frattempo i colpi al portone erano aumentati di intensità e frequenza, e già intorno ai cardini cominciavano a cadere calcinacci.
Fratello Roland si guardò intorno: fratello Séverin e fratello Philippe avevano indossato l’usbergo.
Gli altri?” chiese.
Gwenel è dentro,” rispose fratello Séverin indicando il dormitorio.
Arretrate,” ordinò fratello Roland, con il pesante libro stretto al petto, “ci attesteremo vicino alle scuderie. Chiamate gli altri.”
Guardò verso il dormitorio, e con sollievo vide affacciarsi Gwenel. “Porta la mia spada!” gli urlò. Il ragazzo tornò dentro.
Che cosa sta succedendo?” gli chiese fratello Philippe.
Niente di buono,” rispose, “preparatevi a difendervi.” Si guardò intorno. “Fratello Olivier?”
Come in risposta alla sua domanda, in quel momento il confratello apparve, armato di tutto punto, ma senza il mantello dell’Ordine, né la croce vermiglia sul petto. Andò alla porta e afferrò il catenaccio.
Ma che fa?” trasecolò fratello Séverin.
Fratello Olivier fece scattare il primo dei chiavistelli. Il fratello portinaio si era già dileguato, ma il commendatario si fece avanti per fermarlo.
In un attimo, l’altro si sfilò il pugnale dalla cintura e glielo conficcò nel petto fino all’elsa, lo rigirò e lo estrasse, quindi spinse via l’uomo morente con indifferenza, e tirò i catenacci uno dopo l’altro.
Le due ante si spalancarono, e una moltitudine di sbirri armati fino ai denti si riversò nel cortile.
Fratello Roland fu il primo a riprendersi. “Indietro!” urlò, “Alle scuderie!” Adocchiò Gwenel e gli disse: “Corri!”
Il ragazzo lo raggiunse. “La tua spada.”
L’altro se l’affibbiò in cintura. “Ora va’ con gli altri alle scuderie, svelto! Sellate i cavalli.”
E tu?”
Muoviti!”
I soldati avanzarono. Fratello Roland impegnò in combattimento un paio di essi, ma gli altri gli dilagarono intorno come un’onda di piena, e dopo poco il Templare dovette arretrare per non venire accerchiato.
Si unì ai compagni. “Non facciamoci circondare,” ordinò conciso.
Fissò i soldati in avvicinamento. Armigeri di paese, perlopiù. Nessuno di loro valeva il decimo di un cavaliere, ma anche un cinghiale alla fine soccombe, in una muta di cani.
Appoggiò il libro e lo coprì con un mucchio di paglia, poi si mise in guardia. “Fratello Olivier è un traditore,” informò secco gli altri, “fratello Geoffroy è morto. Non fateli avvicinare e cerchiamo di andarcene da qui.”
Per dirigersi dove, poi, era un problema che avrebbe affrontato dopo. “Non fateli avvicinare,” ripeté. “L’alternativa è finire nelle prigioni del re.”
Ma non abbiamo fatto niente,” si lamentò una voce smarrita alle sue spalle.
Meno chiacchiere, e ammazza tutto quello che si avvicina,” ribatté brusco fratello Roland.
Si scatenarono numerosi scontri. Come sempre capitava durante la battaglie, il Templare fece il vuoto in mente e lasciò che fossero l’istinto e l’esperienza a guidarlo.
Vide Gwenel abbattere un soldato con un fendente, e fratello Séverin spingerne via un altro come se fosse stato uno straccio vecchio. Fratello Philippe arretrò incalzato da un armigero, ma riuscì a sottrarre bersaglio e a contrattaccare. Poi si udì uno schiocco, e i Templari videro un dardo che finiva di vibrare conficcato nella parete di legno.
Hanno le balestre!” esclamò fratello Séverin.
A quelle parole fecero seguito un secondo e un terzo schiocco, poi si udì un grido, e fratello Philippe rovinò al suolo. La spada gli scivolò di mano e cadde con un sinistro clangore. Subito dopo anche fratello Séverin, a sua volta colpito da un dardo, stramazzò con un lamento.
Fratello Roland a quel punto si lanciò in avanti a testa bassa. Abbandonate tecnica e strategia, cercava solo di fare il vuoto intorno a sé, nella speranza di costringere la milizia ad arretrare quel tanto che avrebbe permesso a lui e Gwenel di montare a cavallo e abbandonare la commenda.
Era impegnato in un ennesimo assalto, quando una voce fredda lo apostrofò: “Ora basta, per favore.”
L’assurdità di quel richiamo costrinse fratello Roland a fermarsi.
Il Templare si voltò ansante e si trovò davanti fratello Olivier che stringeva contro di sé fratello Gwenel, e intanto gli puntava il pugnale alla gola.
Giù la spada, per favore,” ordinò gelido.
Fratello Roland rimase immobile.
Giù la spada,” ripeté allora l’altro. Premette leggermente la lama, e lungo il collo del ragazzo scese adagio una goccia di sangue.
L’arma cadde a terra.
Molto bene,” apprezzò fratello Olivier. “Vedo che sai anche ragionare, quando vuoi.” Poi, a voce più alta: “Guardie!”
Due robusti soldati si avvicinarono a fratello Roland e lo presero per le braccia. Questi alzò sul confratello uno sguardo di fuoco. “Traditore,” ringhiò.
L’altro assunse un’espressione di sufficienza, quindi rispose. “Al contrario, direi. Mai si vide fedeltà più incrollabile della mia.”
Fratello Roland si limitò a fissarlo cupo. L'altro spinse via Gwenel, che venne subito afferrato da due guardie, poi disse: “Sono tre lunghi anni che mi sorbisco tutte le idiozie del Tempio facendo finta di essere uno di voi.”
Che significa?”
Il re ha infiltrato spie nell’Ordine, e ovviamente nessuno si è mai accorto di nulla. Per tutto questo tempo, io e tanti altri abbiamo raccolto informazioni e le abbiamo riferite a chi di dovere, ed ecco che ora esse vengono messe a frutto.” Fece una pausa, poi con un sorrisetto soggiunse: “Nascondere la Regola [5] non è servito a gran che, non ti pare?”
L’altro ignorò l’osservazione. “Quindi non sei un cavaliere?” si limitò a chiedere.
Il primo fece una risata sprezzante. “Non ho nulla a che fare con idioti della vostra risma, capaci solo di masticare giaculatorie e vendere polli. Sono il capitano Olivier D’Airelle della milizia reale.”
Fratello Roland incupì lo sguardo e tese i muscoli.
Non fare stupidaggini,” lo ammonì il capitano, “Ti ricordo che non ci metto nulla a tagliare la gola al tuo amichetto.”
Si vede proprio che non sei uno di noi,” fu la sdegnosa replica, “altrimenti sapresti che un cavaliere del Tempio non teme la morte.”
Detto questo, con uno strattone liberò un braccio dalla presa degli armigeri, estrasse il pugnale di uno di essi e lo usò per colpire quello che gli stava tenendo l’altro braccio. Vide che qualcuno sollevava la balestra, quindi afferrò un’altra guardia e se ne fece scudo, poi ne gettò il corpo contro il capitano, facendolo cadere a terra. Subito dopo prese Gwenel per la tunica e lo tirò a sé.
Corsero alle scuderie, estrasse il libro dal mucchio di paglia, poi montarono in sella ai due cavalli già sellati e si allontanarono al galoppo, inseguiti dai rabbiosi sibili dei dardi.

§

Dal folto di una macchia, fratello Roland scrutava Sainte-Ruffine. Era ormai mattino inoltrato, ma non si vedeva alcun segno delle milizie reali. La vita della commenda, anzi, sembrava procedere nel solito modo.
Torna a casa tua, Gwenel,” disse senza distogliere lo sguardo dal gruppo di edifici.
Il ragazzo lo fissò stupefatto. “Cosa?”
Jussy non è lontano. Rientra a casa tua, riprendi la vita di prima. Non è troppo tardi.”
Il ragazzo spronò il cavallo fino ad affiancarsi a lui, quindi rispose: “No, io voglio rimanere con te. Andremo insieme a Jussy, se vuoi.”
Il maggiore scosse la testa. “Non lascerò il Tempio.”
Allora non lo lascerò neppure io.”
Fratello Roland si voltò fino a fissarlo negli occhi. “Tu devi andartene,” gli disse. “Non so cosa stia accadendo, perché ci mettano in prigione, ma una cosa mi è ben chiara: non voglio che questo succeda a te. Quindi vattene, per favore.”
E tu?”
Devo compiere un’ultima missione.”
Gwenel chinò la testa. Si girò nella direzione in cui si trovava Jussy, poi tornò a rivolgere lo sguardo verso di lui. “La compiremo insieme,” disse. Gli rivolse un pallido sorriso.
Gwenel...”
Neppure io voglio lasciare il Tempio.” Si morse il labbro inferiore, poi a voce più bassa soggiunse: “E non voglio lasciare te. Compiremo l'ultima missione, e se Dio riterrà di chiamarci a sé, moriremo come cavalieri.”
Fratello Roland non rispose. Come spiegare a quel ragazzo così pieno di entusiasmo e coraggio che la morte era forse la migliore delle prospettive che li attendevano? Sarebbe stato dolce, anzi, morire in combattimento, con la croce di sangue sul petto.
Più probabilmente, ciò che li attendeva era un'odiosa prigionia, trascinati nel fango, accusati di ogni nefandezza, destinati a subire gli interrogatori dell'Inquisizione.
Non lo sfiorò neppure l'idea che l'Inquisizione avrebbe anche potuto giudicare l'Ordine innocente. Primo, perché non accadeva quasi mai che l'Inquisizione abbandonasse la preda che aveva ghermito. Secondo, perché capiva che un'accusa di quel genere, proveniente addirittura dal re, non aveva alcun bisogno di essere provata. Era la fine dell'Ordine, e loro ci erano capitati in mezzo.
Fece scivolare la mano alla bisaccia della sella e le sue dita incontrarono la sagoma del libro che vi aveva riposto. Trasse un lungo respiro, poi disse: “Andiamo, Gwenel.”
In fondo era bello, nella tempesta che si stava preparando, guardare al proprio fianco e incontrare lo sguardo limpido di un amico.

Sporchi, esausti e insanguinati com'erano, quando entrarono nel cortile della commenda fecero calare un costernato silenzio. I pochi fratelli di mestiere che non erano nei campi rimasero a fissarli stupefatti, e per parecchio tempo nessuno ebbe il coraggio di proferire parola.
Solo un fratello cavaliere, che si affacciò a un certo punto da una porta, si avvicinò e sconcertato chiese: “Che cosa vi è successo, fratelli?”
Fratello Roland si voltò a fissarlo: faccia pulita, abito candido, l'espressione di chi non si capacita di ciò che sta vedendo.
Smontò da cavallo. “Non sai niente, fratello?”
A che proposito?”
Roland rinunciò a rispondere. “Devo parlare immediatamente con fratello Urbain,” disse.
Ora sta lavorando, gli farò presente che... qual è il vostro nome, fratello?”
Fratello Roland, mi conosce già.”
L'altro annuì con un sorriso volenteroso. “Glielo farò presente senz'altro,” gli assicurò. “E ora, se volete entrare per ristorarvi un po'...”
Fratello Roland lo afferrò bruscamente per un braccio, e strinse la presa fino a strappargli uno stupefatto gemito di dolore. “Devo parlare con fratello Urbain adesso,” ripeté con minacciosa lentezza. “È cosa della massima importanza.”
Di fronte a quel cipiglio, l'altro non ebbe il coraggio di ribattere, e si limitò a fargli strada. Seguito da Gwenel che portava l'involto con il libro, fratello Roland fu condotto nella chiesa, e da lì a una stanza della sacrestia dalle pareti coperte di librerie alte fino al soffitto. Affogate tra le scaffalature, le snelle bifore quasi scomparivano, e la luce proveniva perlopiù da alcune candele.
Al centro della stanza si trovava un tavolo, al quale fratello Urbain sedeva, curvo su un tomo dalle pagine coperte di scrittura e strane immagini.
Al loro arrivo, egli si alzò con inaspettata energia, aggirò il tavolo e li raggiunse, scrutandoli attento. Il suo sguardo li percorse rapido, infine si fissò sull'involto che il ragazzo teneva fra le braccia. “Il libro?” chiese.
Fratello Roland ebbe di nuovo l'impressione che il suo interlocutore fosse perfettamente al corrente di ciò che era accaduto, tuttavia gli domandò: “Sapete cosa sta succedendo, signore?”
Qui siamo al sicuro,” fu la risposta, proferita con uno strano tono sbrigativo. “Siamo al sicuro, per ora.” Scrutò di nuovo l'involto. “Il libro?” ripeté.
Fratello Roland fece cenno al compagno di consegnarlo. Fratello Urbain glielo strappò letteralmente di mano, quindi fissò torvo Gwenel. “Non l'avrai guardato, spero,” ringhiò diffidente.
No, signore,” fu la candida risposta del ragazzo.
Meglio così,” brontolò sbrigativo l'altro. “E sia ringraziato Dio, che ha guidato la scelta di fratello Geoffroy su un uomo ardimentoso e fedele.” Passò le dita sull'involto, dando l'idea di riconoscere attraverso la stoffa ogni chiodo e ogni piega della rilegatura, quindi andò a riporlo in una cassapanca.
Fatto questo, si rialzò a fissare i due Templari.
Fratello Roland gli restituì lo sguardo, quindi chiese: “Che sarà di noi, signore?”
Di noi, di noi...” borbottò l'altro, come in risposta a una domanda molto sciocca e anche un po' impertinente. “Intendi di te e del tuo confratello, oppure di tutti noi?”
Entrambe le cose, signore.”
Fiat voluntas Dei,” si limitò a proferire fratello Urbain. “E ora lasciatemi,” aggiunse poi in tono infastidito, “Fratello Louis vi aiuterà a sistemarvi.”

Fratello Gwenel si mise sulle spalle il mantello – un mantello pulito e intatto, che il guardarobiere di Sainte-Ruffine gli aveva consegnato al posto del suo – e uscì dall'edificio del refettorio. La notte era fredda, le stelle erano nascoste da uno strato di nubi. Vide passare un paio di fratelli di mestiere che trasportavano un calderone fumante, dalla fucina proveniva il battere ritmico e musicale del martello.
Sospirò e mosse qualche svogliato passo, mentre un'angosciante sensazione di irrealtà lo pervadeva: com'era possibile che a poche miglia di distanza li avessero quasi uccisi, e lì invece tutto fosse come al solito?
Non c'erano le milizie del re, a Sainte-Ruffine? Non era arrivato fin lì l'ordine di arresto?
O forse quello di Vaux era stato solo una specie di strano incubo?
Di nuovo si voltò verso la direzione in cui si trovava Jussy: a qualche ora di cavallo da lì c'era la sua vita precedente. Gli sarebbe bastato davvero poco per farvi ritorno, e poi avrebbe potuto dimenticarsi dell'Ordine come avrebbe fatto con una brutta avventura fortunatamente finita bene.
Ripensò all'abito, al senso di appartenenza. Fino ad allora, non si era mai sentito veramente a casa da nessuna parte. Aveva sempre cercato qualcos'altro, qualcosa che spesso non riusciva bene a definire neppure lui, qualcosa di più.
Non era certo di averlo trovato nell'Ordine, ma al contrario era certo che ormai la sua vita precedente, quella del figlio minore di un piccolo feudatario, non rivestiva più per lui alcun interesse.
Si voltò verso l'edificio, e sorrise quando vide comparire sulla porta la sagoma imponente di fratello Roland. Questi rimase un po' fermo sulla soglia, con un atteggiamento che a Gwenel ricordò quello di un lupo intento a fiutare l'aria, poi si avvide di lui e risoluto lo raggiunse. “Come stai?” gli chiese quando furono vicini. Il ragazzo vide che pur nella scarsa luce lo stava scrutando attento.
Bene, sono solo un po' stanco.”
Hai mangiato a sufficienza?”
Sì, non preoccuparti,” gli assicurò il ragazzo. Rimase per un po' in silenzio, poi timidamente chiese: “Roland, posso farti una domanda?”
L'altro assentì. “Dimmi.”
Perché sta succedendo tutto questo?”
Fratello Roland trasse un lungo sospiro, infine in tono grave rispose: “Lo sa Dio.”
Di che cosa siamo accusati?”
L'altro scrollò le spalle. “Di tutto e di niente.” Fece una lunga pausa, poi soggiunse: “Non dobbiamo più esistere, questo è il punto.”
Che significa?”
Dove va un cacciatore, se non c'è più selvaggina? Dove va un cerusico, se non ci sono più ammalati?”
Il ragazzo alzò gli occhi su di lui: ormai il suo viso era solo una vaga sagoma bianca nella quale tuttavia si coglieva il baluginare dello sguardo. “Non ti capisco,” sussurrò.
La risposta giunse carica di amarezza: “Dove va il guardiano, se non c'è più nulla a cui fare la guardia?”

§

Fratello Roland si rigirava inquieto sul pagliericcio. Lui e Gwenel erano in una stanza al piano di sopra del dormitorio, di quelle dove normalmente venivano alloggiati gli ospiti.
L'ambiente era piccolo e sobriamente arredato, ma rispetto all'essenzialità delle camerate appariva addirittura opulento. Il fatto che non ci fosse la lucerna accesa [6] suscitava nel Templare una strana inquietudine, come se il venire meno di quella consolidata usanza rappresentasse il primo segno della rovina incombente.
Si alzò adagio, attento a non far cigolare il letto, e poi uscì in corridoio. Era completamente vestito, e aveva impedito anche a Gwenel di spogliarsi: non si fidava di quella strana calma, e voleva essere pronto a ogni evenienza.
Camminò un po' su e giù, poi si sedette accanto a una finestra. Nel frattempo la luna era uscita dalle nubi, e la sua luce fredda delineava i contorni delle cose.
Lasciò vagare lo sguardo sulla commenda addormentata e per un po' rimase così, semplicemente assorto nei suoi pensieri, ad ascoltare un vago lamento di gufo lontano.

Non sapeva quanto tempo fosse passato quando notò dei movimenti nel cortile: un uomo magro, molto alto e vestito di scuro attraversò lo spiazzo con una strana andatura un po' curva e si diresse verso il portone. Per un po' rimase in ascolto di qualcosa, poi si guardò intorno, e infine protese una mano che nella luce fredda della luna sembrava quella di uno scheletro, afferrò i catenacci e uno dopo l'altro li fece scorrere nelle loro guide.
Fratello Roland aggrottò le sopracciglia e rimase a osservare. Aveva fatto fatica per via degli abiti borghesi, ma l'andatura gli era risultata inconfondibile: si trattava di fratello Urbain.
Sotto i suoi occhi stupiti, egli schiuse la porta quel tanto da consentire il passaggio di una persona, e pochi istanti dopo, qualcuno si infilò effettivamente dentro: era un uomo della milizia alto e snello, molto probabilmente giovane, dal portamento elastico e marziale.
I due parlarono rapidamente fra loro, poi il nuovo arrivato aprì maggiormente il portone, e da esso sgusciarono dentro numerosi soldati. Fratello Roland notò che avevano annerito con la fuliggine le lame delle alabarde e gli elmi, per evitare che brillassero sotto la luna.
Gli uomini si mossero verso l’edificio che lui e Gwenel occupavano.
A quella vista, egli tornò rapidamente in camera e scosse il ragazzo, che sbatté gli occhi, poi mormorò: “Cosa succede?”
Zitto e seguimi,” rispose fratello Roland sottovoce.
Ma cosa...?”
Andiamo.”
Si mossero cauti, mantenendosi rasenti ai muri. Dal piano inferiore cominciavano a provenire grida soffocate, tramestio e clangore di armi.
Cosa succede?” ripeté il ragazzo allarmato.
I soldati del re.”
Gwenel non replicò, e i due procedettero guidati dalla luce incerta che filtrava dalle finestre. Trovarono infine una scala che portava verso il basso.
Fratello Roland fece segno di attendere e per un po' rimase in ascolto, poi cominciò a scendere adagio, un gradino dopo l'altro, fermandosi su ognuno ad ascoltare.
I rumori che provenivano dal basso si facevano sempre più intensi e inquietanti: ora si udivano grida di dolore e invocazioni, frammiste al rumore di suppellettili infrante e di metallo che cozzava contro altro metallo. Evidentemente, pur sorpreso nel sonno, qualche fratello stava cercando di difendersi.
Fratello Roland fece mente locale: non avrebbe avuto alcun senso scendere ad aiutare i confratelli. Non aveva più una spada, tanto per cominciare: la sua era rimasta sul selciato di Vaux quando il capitano D'Airelle gliel'aveva fatta buttare. Non sapeva poi quanti fossero laggiù, e in che ambiente si muovessero.
L'unica cosa che verosimilmente avrebbe ottenuto, sarebbe stata spingere fra le braccia della milizia se stesso e Gwenel.
Percepì sulla nuca lo sguardo acuto del ragazzo. Si girò e nel buio colse il brillio liquido dei suoi occhi azzurri. “Cosa facciamo?” mormorò Gwenel.
Dobbiamo andarcene.”
Ma... i fratelli?”
Fratello Roland scosse la testa. “Non possiamo fare più niente per loro.”
Da sotto provenne il rumore di qualcosa di fragile che andava in frantumi, e poi di legno spaccato. Una voce gridò 'per l'amor di Dio', ma subito dopo si udì un tonfo ed essa si spense in un gemito.
Continuarono a scendere, raggiungendo infine un vestibolo sul quale si aprivano alcune porte. Da una di esse proveniva un tremulo chiarore, che lambiva le pareti come una risacca.
Di nuovo fratello Roland fece cenno al ragazzo di aspettare, poi avanzò lentamente e tenendosi a ridosso dello stipite azzardò un'occhiata al di là.
La stanza era una camerata rettangolare, in quel momento ingombra di soldati. I letti erano per la maggior parte rovesciati e privi delle coperte, che erano sparse in giro. Uno era addirittura rotto, come se ci fosse finito sopra qualcosa di molto pesante. Il contenuto dei pagliericci squarciati fluttuava ovunque.
Sorpresi con ogni evidenza nel sonno, i cavalieri, perlopiù con solo la camicia e le brache addosso, avevano le mani legate dietro la schiena ed erano addossati contro una parete. Uno di essi giaceva immobile, con un rivolo di sangue che da una ferita alla testa dilagava lentamente sul pavimento.
Vide uno dei soldati avvicinarsi a un prigioniero che per età avrebbe potuto forse essere suo padre, con una venerabile barba bianca, spintonarlo e strappargli via la sottile cintura [7] che la Regola imponeva durante la notte. “E questa cos'è, pezzo di merda?” gridò poi, colpendolo in faccia con un manrovescio. “Che cos'è? Te la intendi con Satana? Hai stretto un patto con lui?”
Il Templare dovette faticare per impedirsi di correre in aiuto del confratello: c'erano almeno venti guardie nella stanza, sarebbe stato solo un inutile suicidio.
Si fece avanti a quel punto l'uomo che aveva visto alla porta, quello snello e dal portamento marziale. “Basta, Laurent,” ordinò in tono vagamente annoiato, “non rubiamo il mestiere al tribunale dell'Inquisizione.”
Scusate, signore.”
Fratello Roland si sentì invadere dall'ira: avrebbe riconosciuto quella voce sprezzante fra mille. Rimase tuttavia immobile a seguire le mosse di quello che fino a poco prima aveva creduto un fratello e compagno d'armi.
Il capitano D'Airelle diede qualche conciso ordine, e i soldati cominciarono a spingere fuori i Templari prigionieri. Fratello Roland non poté fare a meno di pensare ai rigori della stagione, e a come quei poveretti avrebbero potuto affrontarli con l'abbigliamento sommario che indossavano.
Strinse i denti e i pugni in modo spasmodico, costringendosi più che mai a rimanere immobile.
La stanza, nel frattempo, si era vuotata. Il capitano fece per andarsene a sua volta, ma sopraggiunse fratello Urbain a fermarlo.
Siamo d'accordo allora?” chiese il nuovo arrivato.
Potete andarvene,” concesse l'altro.
Il primo non si mosse.
Ebbene?” lo incalzò il capitano.
Ecco...” cominciò fratello Urbain, “L'accordo comprendeva anche altro... se ben ricordate.” Gli scoccò un'occhiata dubbiosa.
D'Airelle assunse l'espressione di chi si è appena ricordato di una commissione un po' fastidiosa da portare a termine. “Ah, già.” rispose, e non aggiunse altro, limitandosi a fissare l'interlocutore con sguardo neutro.
Il libro,” gli ricordò dopo un po' fratello Urbain.
L'altro annuì grave, quindi lo corresse: “I libri.”
Di nuovo tra i due calò un silenzio carico di tensione. “Io vi ho aperto la porta, vi ho consegnato i miei confratelli risparmiando sangue e fatica ai vostri soldati,” ringhiò fratello Urbain. Fissò torvo il militare. “Gli accordi erano chiari: a me sarebbe rimasto il libro.”
Gli accordi erano altrettanto chiari per me,” replicò D'Airelle. “Potete tenere tutta la vostra biblioteca, oltre alla vita e alla libertà personale naturalmente, ma il Codice Ombra va al tribunale dell'Inquisizione.”
A quelle parole, l'altro si erse costernato. “Ma il Codice è la summa del nostro sapere,” replicò agitato, “È tutto quello che abbiamo raccolto in decenni di studio.”
Mettiamola così,” fu la risposta, pronunciata quasi in tono di sarcastica degnazione: “Conservando la vita, potrete acquisire nuovo sapere. Senza la vita, godere del sapere accumulato vi sarà impossibile.”
A quel punto, fratello Roland arretrò silenziosamente: aveva sentito abbastanza. Se non poteva liberare i poveretti che aveva visto spingere via come bestie, poteva almeno privare il tribunale dell'Inquisizione di un'arma.
Raggiunse Gwenel. “Cerchiamo un’uscita,” sussurrò.
Cosa sta succedendo di là?”
Dobbiamo portare via il libro,” disse fratello Roland per tutta risposta.
Il ragazzo si limitò ad annuire.
L’altro considerò che probabilmente i soldati stavano tornando tutti nel cortile, e una volta svuotata dei suoi occupanti la camerata, non avevano motivi per rimanere nell’edificio. Posò l’orecchio contro una porta chiusa, rimase in ascolto per un po’ e poi provò ad abbassare la maniglia, che cedette docilmente. Alla scarsa luce del vestibolo videro che si trattava del refettorio, arredato con lunghi tavoli già coperti delle tovaglie bianche per il pasto del mattino. Più oltre, nella parete di fondo, intravidero un’altra porta. “Quella darà sulle cucine,” disse il Templare, “e le cucine comunicano sempre con l’esterno.”
Attraversarono rapidi la sala.
Oltre la porta c’era in effetti una cucina. La bocca del forno aperta e un pasticcio crudo abbandonato su un tavolo fecero capire ai due che i fratelli di mestiere si erano allontanati in tutta fretta.
Percepirono un soffio d’aria fredda, e si accorsero che in effetti c’era una porta socchiusa. “Laggiù,” disse fratello Roland.
Sbucarono in un cortile ingombro di ceste vuote e cataste di legna da ardere, nel quale nulla si mosse, a parte un gatto che al loro apparire fuggì via. I due si guardarono intorno, e subito individuarono la mole imponente della chiesa.
Muoviamoci,” disse il maggiore.
Ma non hai neanche una spada, e fuori è pieno di soldati.”
E i soldati hanno armi, giusto?”
Sì, ma...”
Andiamo.”

Fratello Roland scivolò silenzioso lungo il muro dell’edificio. Più avanti, di spalle rispetto a lui, un soldato appoggiato all’alabarda fissava distrattamente i suoi commilitoni che facevano salire i prigionieri sui carri.
Il Templare si avvicinò adagio. Recitò mentalmente una preghiera, per la salvezza dei suoi poveri confratelli, principalmente, ma anche per l’anima del soldato. Quando l’ebbe terminata, fece un cenno a Gwenel, poi balzò in avanti, e prima che l’armigero riuscisse a rendersi conto di quello che stava succedendo, gli aveva già rotto l’osso del collo.
Mentre accompagnava la caduta del corpo perché non facesse rumore, il ragazzo afferrò l’alabarda.
Trascinarono il cadavere in una zona buia.
Ora ho un’arma,” sussurrò fratello Roland, afferrando l'asta che Gwenel reggeva ancora tra le mani. La soppesò provandone il bilanciamento, eseguì un paio di affondi, poi disse: “Andiamo alla chiesa. Dobbiamo portare via quel libro.”
Come faremo a entrare?”
In quel momento, videro passare una figura vestita di nero, alta e curva. Roland si appiattì contro la parete e spinse Gwenel a fare altrettanto. “È quel traditore,” sussurrò con voce appena udibile.
Fratello Urbain si guardò fugacemente intorno, poi, constatato di essere solo, estrasse dall'abito una chiave che teneva legata al collo. Andò al portone della chiesa, la infilò nella toppa e fece scattare la serratura, poi sgusciò dentro e accostò l'anta dietro di sé. Non si udì alcun rumore di chiavistelli.
Bene, andiamo,” disse fratello Roland. Si mossero cauti ai margini del sagrato, quindi salirono i tre scalini che conducevano al portone e silenziosamente scivolarono dentro.
All'interno l'aria era fredda, e aveva un vago odore di incenso e di fiori appassiti. L'oscurità era completa, a parte un vago chiarore da un lato dell'abside.
I Templari vi si diressero, e videro che la luce proveniva da una porta socchiusa, oltre la quale c'era un corridoio rischiarato da una piccola candela. Si udiva un frenetico tramestio.
Avanzarono cauti, badando a non fare alcun rumore. Fratello Roland, che procedeva per primo, si trovò a un certo punto sulla soglia dello studio tappezzato di libri nel quale il traditore li aveva ricevuti. Questi era chino su una cassapanca e vi stava rovistando dentro.
Sul tavolo erano ammucchiati alla rinfusa dei volumi, tutti dello stesso colore e di dimensioni simili.
Il Templare si fece avanti e beffardo chiese: “Vuoi tradire di nuovo, cane?”
L'altro sussultò e scattò in piedi con tale rapidità che perse l'equilibrio e dovette appoggiarsi con una mano a uno degli scaffali.
Non contento di aver condannato a morte i tuoi fratelli per i tuoi sporchi interessi, vuoi far credere al capitano che gli hai consegnato il Codice Ombra mentre in realtà gli stai dando tutt'altro?”
Fratello Urbain lo fissò con occhi grifagni. “Che cosa vuoi?” lo apostrofò. “Come osi entrare qui dentro senza il mio permesso?”
Per tutta risposa, il Templare recitò: “Or io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio. Ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio [8].”
Fratello Urbain assottigliò lo sguardo e sibilò: “Ma guarda un po', l'asino che vuol farsi dottore. Tu pensa a eseguire gli ordini, e non chiederti perché ti vengono impartiti, tanto non capiresti.”
L'altro fece un passo avanti. Si fece scivolare l'alabarda dalla spalla e la impugnò. “Sei un lurido traditore,” gli disse per tutta risposta. “Il male che hai fatto forse non si può riparare, ma almeno eviterò che tu ne faccia ancora.”
Ah, davvero?” lo provocò fratello Urbain, nello sguardo una luce sprezzante e gelida. “Hai la presunzione di avere gli strumenti per combattere il male? Tu non sei nessuno, sei solo un piccolo uomo aggrappato alle sue misere cognizioni da chierico di campagna. Anche se quel povero ingenuo di fratello Geoffroy ha voluto cominciare a istruirti, tu non sai ancora niente, i tuoi occhi sono ciechi, le tue orecchie sorde. La tua mente è piccola, attaccata alle minuzie di tutti i giorni.” Fece una pausa, in cui rimase a fissarlo vagamente ansante, poi in tono più basso, addirittura amaro, riprese: “Che cos'è la tua miserabile esistenza, o quella dei tuoi fratelli, paragonata al sapere? Gli uomini si possono rifare, sono meri ammassi di carne imperfetta, ma il sapere... il sapere è Dio! Il sapere è perfezione dello spirito, è vita eterna, è...”
Non fece in tempo a finire la frase. Fratello Roland spinse in avanti l'alabarda e lo passò da parte a parte, quindi estrasse la lama e si preparò a colpirlo di nuovo, ma in quel momento si udì il passo di svariate persone in rapido avvicinamento.
Roland!” esclamò Gwenel.
L'altro fece scorrere lo sguardo sui libri sparsi, ma non riconobbe fra essi il Codice Ombra. Prima che avesse il tempo di cercare altrove, però, irruppero nella stanza il capitano D'Airelle e alcuni soldati. “Ma guarda chi si vede,” disse questi ironico. “Pensavamo di trovare quel vecchio avvoltoio, ed ecco che invece spunta fuori il buon Roland. Butta quel bastone, prima di farti male.”
Vieni a prenderlo,” fu la risposta.
Il capitano fece una breve risata. “Cosa vuoi fare con un'alabarda qui dentro?”
Passarti da parte a parte come ho fatto con lo schifoso che è sul pavimento.”
Ma ti devi avvicinare, prima, non ti pare? E intanto i miei uomini ti hanno già abbattuto come un bue al macello.”
Vediamo chi sarà il bue al macello,” replicò brusco fratello Roland, poi cercò lo sguardo di Gwenel e gridò: “Non nobis, domine!”

Il grido di guerra colpì Gwenel come una sferzata: egli d'impulso strinse la spada che aveva in pugno e si gettò sul più vicino dei nemici. Lo trapassò con una punta alla gola, poi ritrasse la lama e colpì un altro con un fendente rovescio.
Vide fratello Roland far girare l’alabarda talmente in fretta che la lama emise un sordo sibilo, poi si abbatté contro uno dei soldati tagliandolo praticamente in due, e infine esaurì la sua forza contro uno scaffale, facendone schizzare via grosse schegge.
Il Templare abbandonò l’ingombrante asta, raccolse il pugnale di un caduto e incalzò un altro dei soldati, che arretrando nel luogo angusto travolse quello che si trovava dietro di lui. Egli in un attimo gli fu addosso, lo trafisse al petto, estrasse la lama e squarciò la gola al secondo, poi balzò da una parte per evitare l’assalto del capitano D’Airelle, rotolò all’indietro, ma perse l’equilibrio, e l’altro ne approfittò per farsi più vicino.
Gwenel vide la scena, e corse verso i due. Si buttò in avanti con una punta, ma l’altro lo vide arrivare, si girò fulmineo, prese ferro deviando il colpo, e subito dopo rispose con un tondo rovescio. Il ragazzo tentò di sottrarsi, ma non fu abbastanza veloce, e il morso della lama sulla spalla gli strappò un gemito di dolore.
Gwenel!” urlò fratello Roland.
Sto bene,” gli assicurò il ragazzo. Tentò di incalzare l’avversario, ma questi rispose tirando a sua volta una punta, che gli trafisse il fianco.
Ecco cosa succede a combattere senza usbergo,” disse il capitano in tono sarcastico. Avrebbe voluto aggiungere una risatina, che però fratello Roland gli fece morire in gola con un violento assalto.
Sotto gli occhi di Gwenel, che era scivolato alla base di una parete col respiro mozzo dal dolore, il Templare riuscì a oltrepassare la guardia di quello che era stato il suo confratello. L’altro, consapevole del pericolo, tentò di arretrare, ma il primo lo afferrò per una spalla. “Dove vai?” ringhio. Ora, sotto misura e con un pugnale in mano, era lui ad essere in vantaggio.
Il capitano abbandonò la spada ed estrasse a sua volta la daga.
La vista annebbiata, Gwenel li vedeva girarsi intorno come animali rabbiosi, colpendosi fulminei, e un attimo dopo allontanandosi per sottrarsi ai colpi dell’altro. Li vide studiarsi in un teso silenzio per lunghi istanti, e poi balzare l’uno contro l’altro.
Sentì entrambi gemere più volte di dolore, e presto la tunica bianca di fratello Roland fu rigata di sangue.
Il ragazzo cercò di alzarsi per aiutarlo, ma era come se il suo corpo non volesse obbedirgli, ed egli era costretto a fissare, impotente, i due uomini che si scontravano all’ultimo sangue.
Alla fine crollarono a terra ancora avvinghiati, rotolarono ringhiando e gemendo di dolore, colpendosi come forsennati.
Poi lo scontro si fermò. Il capitano della milizia emise un ultimo lamento, poi si afflosciò come uno straccio vecchio e rimase supino, con gli occhi vitrei fissi al soffitto.
Fratello Roland, abbandonato prono su di lui, ansava pesantemente.
Gwenel si sollevò in ginocchio alla meglio, lo raggiunse, lo rivoltò sulla schiena e a fatica trattenne un grido d’orrore: il suo confratello aveva un pugnale piantato nel petto fino all’elsa. Subito lo afferrò per estrarlo, ma l’altro lo fermò. “Lascia...” gli disse con voce incerta.
Ma Roland,” protestò il ragazzo, e già sentiva le lacrime pungergli gli occhi, “Devo curarti, e poi dobbiamo andare via.” Deglutì. “Devo tamponare la ferita.”
È troppo tardi,” mormorò l’altro. “Devi andare tu, io non potrei seguirti. Prendi il libro che è nella cassapanca, e portalo al sicuro, non deve cadere nelle mani degli inquisitori.”
Ma io...” Gwenel si rese conto di avere la voce rotta e le lacrime che gli scorrevano lungo le guance. “Ma io non posso… senza di te.”
Devi andare. Sei un cavaliere del Tempio, e questo è l’ultimo ordine che ti do.”
L’altro si asciugò gli occhi con la manica, poi tentò di farlo alzare. “Roland, per favore,” lo implorò.
Il maggiore sollevò con fatica la mano e la pose sulla sua, poi strinse debolmente la presa. “Va’,” mormorò, “porta al sicuro il libro, mettilo dove nessuno possa trovarlo. Ho fiducia in te.”
Roland...” ripeté il ragazzo, ma non gli giunse più alcuna risposta.
Si alzò malfermo, stremato, attraversato da fitte di dolore lancinante. Come in sogno andò alla cassapanca, e ne estrasse l’involto bianco. Si girò un’ultima volta verso fratello Roland: il cavaliere giaceva immobile, e già il pallore della morte si era diffuso sul suo volto severo. La sua espressione indomita si era fatta nella morte remota e carica di dignità.
Addio, Roland,” singhiozzò, poi corse fuori.
Si allontanò nel buio, dolorante, sanguinante, accecato dalle lacrime. Si tenne lontano dal bagliore delle fiaccole e nessuno lo vide, forse perché Dio, consapevole del suo strazio, aveva steso una mano pietosa su di lui. Fuggì verso la campagna brulla. Corse malfermo fino a che le luci di Sainte-Ruffine non scomparvero, e a quel punto, ormai sul fare dell’alba, si lasciò cadere nel letto di un canale secco, dove si nascose tra le radici dei salici.

§

Fratello Adalbert fissò perplesso fratello Friedrich. “Dove vai?” gli chiese.
A Vaux,” rispose l’altro. Controllò il sottopancia del destriero da guerra bardato di tutto punto, con tanto di gualdrappa.
Il primo lo fissò poco convinto. “Il priore ti ha dato il permesso?”
Ha detto che posso accertarmi di come stanno le cose.”
Di persona?”
Fratello Friedrich alzò le spalle. “Non l’ha specificato.”
Fritz, sta attento,” lo ammonì fratello Adalbert. “È la volta che fratello Luitpold ti manda davvero a badare i polli.”
L’altro si voltò a fissarlo negli occhi e in tono grave rispose: “Voglio andare a controllare, ho un brutto presentimento.”
E ci vai in armi?”
Così non c’è rischio che mi scambino per un Templare.” Montò in sella.
Fratello Adalbert prese il cavallo per le redini. “Fritz, senti...”
Sì?”
Aspettami, vengo anch’io.”

§

Gwenel riaprì gli occhi tremante di freddo e torturato da una sete atroce. Il cielo era di nuovo coperto, per cui faceva fatica a rendersi conto dell’orario. Provò a muoversi, e il suo corpo gli rimandò fitte di dolore talmente intense che gli fecero correre dei brividi sottopelle.
Abbassò gli occhi sull’involto di tela bianca che stringeva ancora fra le braccia, e le lacrime minacciarono di ricominciare a scendergli lungo le guance.
Si rialzò adagio, serrando i denti per trattenere i gemiti. La manica destra dell’abito era dura di sangue secco, e così il fianco sinistro. Con gesti esitanti prese un lembo del mantello e lo strappò per confezionare bende di fortuna, che poi strinse sulle ferite.
Fatto questo, sporse cauto la testa dal letto del canale: la campagna era deserta, gli alberi ormai spogli protendevano rami neri verso il cielo. I lunghi solchi paralleli dei campi arati si perdevano in un orizzonte nebbioso.
Dove portare il libro?
Non aveva soldi, era ferito, era esausto, indossava abiti che potevano comportare il suo arresto immediato, che cosa poteva fare?
Si sedette di nuovo. Scartò subito l’idea di raggiungere Jussy: forse ce l’avrebbe fatta, in fondo non era lontano, ma non voleva esporre la sua famiglia a inutili rischi. Tutti sapevano che il figlio minore del barone de Jussy era entrato nell’Ordine del Tempio, e quello era il primo posto dove le milizie del re sarebbero andate a cercarlo, una volta accertato che non era fra i Templari arrestati a Vaux.
Le milizie del re,” ripeté a mezza voce.
Il re di Francia non aveva alcun potere sui tedeschi.
Guardò di nuovo fuori dal canalone, e rimase a scrutare fino a che non fu certo che non ci fosse nessuno. Dopo di che si inerpicò fuori a fatica, e con il libro stretto al petto prese a camminare in direzione di Metz.
Era quasi grato alla stanchezza e al dolore fisico, perché essi lo distoglievano al pensiero di fratello Roland.

Raggiunse finalmente la strada per Metz. Aveva fatto larghi giri per evitare masserie e villaggi, perché temeva che i contadini, riconoscendo la sua croce scarlatta, l’avrebbero denunciato agli sbirri. Aveva anche pensato di indossare la tunica alla rovescia, in modo che il simbolo dell’Ordine non si vedesse, ma non era sicuro di riuscire, ferito e dolorante com’era, a togliersela, rovesciarla e indossarla di nuovo. Senza contare che andando in giro sporco, insanguinato e con gli abiti a brandelli avrebbe in ogni caso attirato l’attenzione.
Si nascose in una macchia sul ciglio della strada e per un po’ rimase immobile in ascolto, poi, quando fu certo che non ci fosse nessuno, riprese la marcia in direzione della città.
Guardò il cielo: ormai doveva essere primo pomeriggio. Avrebbe dovuto trovare un nascondiglio nei dintorni della città, per entrarvi verso sera, protetto dalla luce fioca del crepuscolo.
In quel momento, cominciò a sentire alle sue spalle un abbaiare di grossi cani.
Si irrigidì in ascolto, i muscoli già tesi e pronti alla fuga, e dopo un po’ si sovrapposero ai latrati delle urla di incitamento. “Hanno trovato la pista!” gridò qualcuno.
Cominciò a correre con tutta la velocità che le sue gambe doloranti gli consentivano.
L’abbaiare aumentò.
Eccolo là!” sentì urlare alle sue spalle.
Deve avere un libro!” disse qualcun altro. “Non rovinate il libro!”
Gwenel continuò a correre senza voltarsi indietro, ansante, con il cuore che sembrava volergli balzare fuori dalla gola a ogni battito.
Qualcuno lo afferrò per il mantello e lo fece cadere all’indietro, il ragazzo rotolò via, si rialzò e riprese la fuga, solo per vedersi correre incontro altri due armigeri. Tutt’intorno c’era il latrare furioso dei mastini, che tiravano le catene bramosi di avventarglisi addosso.
Riuscì a riguadagnare la strada, ma un dolore lancinante alla schiena gli strappò un grido di dolore. Crollò in avanti, si sollevò sui gomiti in un ultimo tentativo di trascinarsi via, ma ecco che a un tratto le grida di incitamento e trionfo dei suoi aguzzini cessarono per lasciare il posto a un silenzio attonito, nel quale si udì poi poderoso galoppo.
Incapace di alzarsi, Gwenel sentiva vibrare il terreno come percosso da qualcosa di molto pesante.
Alzò gli occhi ormai annebbiati: contro il cielo si stagliava un cavaliere in armi. Questi montava un destriero dalla gualdrappa bianca, e portava un Grande Elmo ornato di ali bianche e nere.
Si sentì invadere da una sensazione di sollievo. “Dio, ti ringrazio,” mormorò, e poi perse la cognizione delle cose.

§

Vestito di una semplice tunica lunga e di una sopraveste pesante, Gwenel sedeva nel piccolo cortile sull’acqua. In piedi accanto a lui, Fratello Friedrich reggeva un involto di tela un tempo bianca, incrostato di sangue secco e sporcizia. “Era questo che volevate?” gli chiese.
Il ragazzo annuì. Era ancora smagrito e pallido, ma ormai, dopo alcun settimane trascorse nell’ospedale teutonico, stava cominciando a riprendersi. “Sono felice che l’abbiate salvato.”
L’altro sorrise. “Non avrei potuto fare altrimenti: anche nell’incoscienza continuavate a stringerlo così forte che hanno faticato a togliervelo quando è stato il momento di medicarvi.” Lo appoggiò sulla panca.
Mi dispiace,” rispose Gwenel. Fece scorrere le dita sull’involto come se lo stesse accarezzando. Un velo di malinconia gli incupì i lineamenti.
L’importante è che ora stiate meglio,” rispose il tedesco, mettendogli una mano sulla spalla.
Il ragazzo si limitò a emettere un sospiro.
Lo so,” assentì l’altro, stringendo appena la presa, “Perdere fratello Roland è stato un duro colpo per tutti. Ma almeno è caduto da eroe, prima che trascinassero nel fango l’Ordine che aveva giurato di servire.”
Gwenel deglutì, faticando a trattenere le lacrime come ogni volta che si parlava di lui, poi disse: “Non credo che avrebbe voluto vedere quello che sta succedendo adesso.”
Fratello Friedrich stava per rispondere quando sopraggiunse fratello Adalbert.
I tre si scambiarono alcuni convenevoli, poi il nuovo arrivato adocchiò l’involto di tela e chiese: “Finalmente possiamo sapere cosa c’è dentro?”
Il più giovane abbassò lo sguardo. “È un libro.”
Un libro?” fece eco l’altro, subito interessato.
Sì, un libro che fratello Roland mi ha ordinato di proteggere a costo della vita.”
Cosa che peraltro stavate per fare,” rispose fratello Adalbert. Poi, dopo una pausa: “Possiamo vederlo?”
Il ragazzo spostò alternativamente lo sguardo dall’uno all’altro dei due Teutonici. Doveva a loro se era vivo, in salute e al sicuro. Ricordava la stima che entrambi avevano per fratello Roland, e quella che il suo mentore aveva sempre nutrito nei loro confronti.
Sollevò l’involto e lo porse a fratello Adalbert.
Questi lo prese e ne estrasse un libro dalla semplice rilegatura di pelle marrone. “Non ha titolo,” disse perplesso, rigirandoselo fra le mani. Lo appoggiò sulla panca, e con fratello Friedrich che guardava da sopra la sua spalla, lo aprì a caso e cominciò a sfogliarlo. Comparvero strane figure di corpi umani con fiori dai molti petali lungo la spina dorsale, simboli alchemici, testi scritti con alfabeti sconosciuti, l'Albero Sefirotico, principi ermetici e gnostici.
Che cos’è?” chiese fratello Adalbert. Teneva la voce bassa, come se non volesse farsi sentire.
Fratello Roland ha detto di nasconderlo e non farlo vedere mai più a nessuno,” disse Gwenel per tutta risposta.
Lo credo bene,” intervenne fratello Friedrich. Sfogliò anche lui qualche pagina del misterioso libro, e si fermò sull’immagine del vessillo bianco e nero dell’Ordine. “Qui parla del Beauceant,” disse rivolto a Gwenel, poi lesse: “Il dualismo espresso da questo emblema rappresenta le due forze cosmiche opposte e complementari, la lotta tra il Bene e il Male, il costante dinamismo dei due principi fondamentali che muove e governa il mondo.” Richiuse il volume, lo scrutò per un po’ con le sopracciglia aggrottate, infine disse: “Lo metteremo nella biblioteca, lì sarà al sicuro. Nessuno può cercare qualcosa di cui non conosce l’esistenza.”
Vi ringrazio, fratello Friedrich,” rispose Gwenel.
Fratello Roland è morto per difenderlo,” commentò l’altro, come per sottolineare l’importanza del volume, ma il più giovane con voce pacata rispose: “Io credo che fratello Roland sia morto per difendere la sua idea di Tempio, in realtà.”
Fratello Friedrich si voltò a fissarlo. “Che intendete dire?”
Avrebbe potuto lasciare il libro a Sainte-Ruffine e far perdere le sue tracce senza alcuna fatica, ma ha preferito sacrificare la vita per portarlo in salvo a tutti i costi.” Fece una pausa, durante la quale si passò una mano sugli occhi, poi proseguì: “Io credo che lui abbia voluto dimostrare che nonostante il fango e le accuse infamanti, gli ideali di eroismo e sacrificio del Tempio sono rimasti puri.”
Nessuno rispose, e sul gruppetto calò un silenzio solenne.
Soffiò a quel punto un refolo di vento freddo, che sibilò tra i rami ormai spogli dei salici. Ancora debole per le ferite ricevute, il ragazzo rabbrividì.
Il Teutonico si tolse il mantello e glielo pose sulle spalle. “Ecco, va meglio così?”
L’altro lo fissò stupefatto. “Ma… fratello Friedrich...”
Puoi tenerlo. Sei uno di noi, ora.”










[1] Testo originale dell’ordine di arresto dei Templari, probabilmente redatto da Guillaume de Nogaret.
[2] Nell’Ordine Teutonico c’erano anche delle sorelle, che avevano principalmente il compito di assistere i malati negli ospedali.
[3] Perdere l’abito (ovvero perdere il diritto di portare il mantello bianco con la croce dell’Ordine) era una pena che veniva applicata per gravi infrazioni della Regola, e di solito durava per un periodo limitato di tempo, durante il quale il fratello decaduto subiva varie umiliazioni, come ad esempio quella di mangiare per terra e non a tavola con gli altri. Perdere l’abito per sempre significava essere espulsi dall’Ordine (e trascorrere il resto della propria vita in convento, o nei casi gravi imprigionato).
[4] Preghiera che viene recitata verso le 06.00 del mattino.
[5] Il testo che raccoglieva tutte le regole e le usanze del Tempio era posseduto solo dal Gran Maestro e da alcuni alti dignitari, per evitare che potesse essere letto da estranei. Tutte le norme di comportamento all’interno delle commende e delle magioni erano tramandate oralmente.
[6] Nelle camerate dei Templari era d'uso tenere una lanterna accesa tutta la notte.
[7] Poco più di una cordicella che tutti i Templari portavano sotto i vestiti. Aveva la funzione di impedire che durante la notte la camicia si arrotolasse lasciando il torso scoperto. Nel corso dei processi fu considerata un simbolo di idolatria e stregoneria.
[8] Lc. 12:8-9







PICCOLO ANGOLO DELL’AUTORE: lo so, non pago di avervi trifolato le gonadi con questa storia praticamente infinita, ho anche la pretesa di scrivervi un pensierino di chiusura. Non odiatemi, giuro che sarò breve.
Questa è la mia versione del “mito” dei Templari. Mito che nella realtà non è mai esistito, ma è stato essenzialmente creato ad arte dall’Inquisizione quando le circostanze storico-politiche hanno reso necessaria l’eliminazione dell’Ordine.
I riferimenti al Tempio Nero e al Codice Ombra prendono spunto da dati storici, ma la forza mitopoietica dell’Ordine è tale che non sapremo mai con quali e quante discipline misteriose i Templari vennero in contatto, e cosa effettivamente acquisirono da esse.
Tutti questi segreti – che forse segreti non sono mai stati – sono perduti per sempre, e rimane a colmare i vuoti solo la fantasia degli scrittori (o degli scribacchini, come nel mio caso).
Detto ciò, io vi ringrazio di nuovo, perché sono i lettori che rendono le storie vive, e voi avete fatto vivere la mia storia.
   
 
Leggi le 14 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned