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Autore: Juliet1996    26/03/2018    1 recensioni
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ellen Pompeo, Patrick Dempsey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Potrò risultare una smodatissima visionaria (ammetto di esserne assolutamentamente consapevole), eppure l’esperienza onirica che ho vissuto all’incirca diciotto ore fa e che ho avvertito come clamorosamente verosimile mi ha fatto sperimentare, in un modo mai antecedentemente testato, un’empaticissima intesa con l’eroe solitario che Dostoevskij volle rendere protagonista del romanzo intitolato “Notti bianche”; quel sogno, infatti, l’ho percorso come si percorre un filo d’Arianna che dritta in paradiso ti ci porta nell'arco di un istante. Tuttavia, se ragionevolmente insegna la commedia shakespeariana (e cioè che la sfera fantastica, pur interessando l’inconscio, ha il compito di inoltrare allusivi messaggi al soggetto in stato di veglia), forse (ma solo forse) è giunto il momento che la sottoscritta cominci a porsi qualche domanda.

Ora però fate questo, cari lettori: cercate di acuire al massimo grado l’intensità delle vostre potenzialità immaginative (come io stessa faccio quando, tra le altre cose, sogno di essere, per colui al quale sto per fare riferimento, l’amore della sua vita) e sforzatevi di riprodurre nella vostra mente quello che ora mi accingo a descrivervi.

A Los Angeles è una splendida serata di primavera; il sole comincia lentamente a calare e la celeste tinta del cielo, in simultanea, viene con gradualità sostituita dai vespertini toni aranciati dei più classici tramonti della California. Siamo io, Patrick Dempsey e un ristorante chic ma non snob dove le luci sono rigorosamente soffuse e le persone parlano utilizzando un tono vocale  che definirei "equilibrato" (per intenderci, quel tono che consente in qualsiasi momento e a tutti coloro che si trovano nella medesima sala di sentire - e sentirlo bene - il tintinnio prodotto da due bicchieri che con delicatezza si uniscono nell’attuazione del gesto del brindisi). Lui adora portarmi a cena fuori ed io più ancora del fatto che lui adori farlo adoro che, poi, lo faccia (e spesso) per davvero. Il mio “Stranamore” indossa uno strepitoso abito blu, una camicia bianca ed una cravatta di colore azzurro che, proprio come tutti gli altri elementi che caratterizzano il suo out-fit, risalta in un modo indescrivibilmente incredibile i suoi occhi di mare senza scogli. Io, invece, ho optato per un nero vestitino da sera e per una stola di tonalità scura che con leggerezza cade sulle mie spalle coprendole; le unghie sono dipinte con un gel rosa confetto (il colore che in assoluto preferisco), il mio make-up è come al solito estremamente naturale e ho i capelli raccolti in uno chignon fissato con un fiocco ornato da brillanti. Non un singolo ciuffo che sia fuori posto, eppure la chioma perfetta - penso sul serio - pure in quel solo nostro e così intimamente magico momento non potrebbe che essere la sua. Ad un tratto quelle nostre mani perennemente a contatto si separano in un celere movimento che consente lui di alzarsi dalla sedia e di avvicinarsi a me per chiedermi di concedergli l’onore di un ballo sulle note di “Everything” di Michael Bublé (cantante che, personalmente, reputo di una raffinatezza rara); io accetto, e d’improvviso ci ritroviamo l’una tra le braccia dell’altro, cuore a cuore, stretti in una mescolanza di dolcezza e sentimento che mi lascia senza fiato e che mi rende una totale inetta, incapace di tutto tranne che di desiderarlo. L’atmosfera è da sogno e per le farfalle che abitano il mio stomaco, no, per debellarle non esiste ora e mai ci sarà insetticida sufficientemente potente. Lui sorride ed io penso a come uomini del genere in realtà non siano belli da morire quanto, invece, da vivere. E, mentre travolta da un turbine di otto trilioni di sfumature emozionali non riesco a pensare che a questo, lo rimiro; la verità è che una simile creatura non si guarda ma si contempla, in quanto la bellezza niente di differente potrebbe suscitare (di differente dalla contemplazione, s’intende).

Il sole mattutino che entra dalla portafinestra della camera da letto mi riporta sul pianeta Terra, facendomi struggere per il rammarico originato dall’essermi svegliata così presto (se mi fossi ricordata di schiacciare il tastino con rappresentata la freccetta diretta verso il basso su quel perbacco di telecomando e avessi, non diversamente dal solito, abbassato quelle accidentolina di tapparelle!). "Che occasione sprecata", penso. E, mesta e desolata, scelgo di restarmene un altro po’ sotto il piumone.

Patrick Dempsey è indubbiamente (e mica a torto, aggiungerei) uno degli uomini più venerati, antropomorficamente divinizzati ed addirittura mitizzati dell’intero globo terrestre; in sostanza, uno che genera idolatria nel mondo femminile in maniera realmente inconcepibile. E le ragioni che stanno a fondamento di questa intensissima forma di devozione, beh, per noi donne (e per me personalmente), sono così tante che, a confronto, l’infinito nulla è e nulla è destinato a restare. Il motivo tra tutti a mio avviso più significativo, però, resta quello concernente la sua capacità di far continuamente ed instancabilmente innamorare; perché con lui, infondo, è tutta questione di re-innamoramenti. Si tratta di un qualcosa che sovrasta “il colpo di fulmine”; lo senti nominare e ti prende il batticuore, lo vedi e t’innamori. O meglio, ti re-innamori, dal momento che con lui funziona così: ci si ritrova repentinamente catapultati in una dimensione mistico-platonica caratterizzata da un’inesauribile successione di prime volte in cui ogni prima volta finisce col risultare sorprendentemente più magica dell’ultima, di prima volta.

Ho adorato il ruolo che ha rivestito in “Enchanted” (quello di Robert Philip, disilluso e prosaico avvocato newyorkese che comunque, già all’inizio del film, riuscì a convincermi di come un finale appassionato e con lui protagonista sarebbe senza ombra di dubbio avvenuto), come anche quelli che ha ricoperto in “Tutta colpa dell’amore” prima e nel film “Un amore di testimone” nel 2008, ma allo stesso tempo attendo l’uscita di “Bridget Jones 3”, nel quale interpreterà uno tra i personaggi principali; lo apprezzo sia come attore (si tratta, non a caso, del mio preferito) di piccolo e grande schermo che in qualità di pilota automobilistico; ammiro la persona che risulta essere nel quotidiano, stimatissimo filantropo e figura attivamente impegnata nel sociale. È una ricca e nota star hollywoodiana che, però, non approfitta della propria posizione di privilegio per adagiarsi sugli allori né tantomeno si atteggia a divo ultra pretenzioso; rappresenta lo Zeus dell’Olimpo utopico di milioni di vittime del disincanto che (analogamente a me) continueranno a considerarlo un chimerico miraggio e quasi neanche se ne accorge, tanto nitida è la sua modestia. Insomma, il Patrick della della vita reale si identifica in gran misura con il nostro McDreamy, e questa identificazione si fa plausibile specialmente tramite l’allusione alla lotta in difesa dell’amore (e conseguentemente dell’unione familiare) come unica tipologia di battaglia legittima; è stata proprio l’intrinseca attitudine al romanticismo di cui soltanto lui è profondamente capace a permettere che venissimo ineluttabilmente stregate dal suo ineccepibile fascino in tutto e per tutto; è un inguaribile sentimentale e a noi, ancor più dei sentimentalismi, piacciono i sentimentali (se hanno occhi perfetti, viso perfetto, capelli perfetti, mani perfette, denti perfetti, poi, che dire... siamo più che a posto!); è un tipo che si commuove con estrema spontaneità (e quando accade è impossibile non rendersene conto: il naso gli arrossisce e in una frazione di secondo, mentre la sua magnificentissima fronte si corruga in un’espressione altrettanto magnificentissima, tu fai in tempo a svenire, riprendere i sensi, morire, ritornare alla vita, spegnerti di nuovo e rinvenire ancora). Quindi, o genere maschile, rassegnati, che quest’uomo il baffo lo fa, oltre che a voi, anche ai suoi più avvenenti colleghi; i principali sex-symbol in circolazione il signor Dempsey, non a caso, li ha belli che rottamati. In un’epoca di petti depilati, di risvoltini da querela, di borse da uomo e  di barbe glitterate, Patrick è uno a cui “People” vuole appioppare l’etichetta di “uomo più sexy del pianeta” e a lui niente, l’unica risposta che balza in mente è «Non mi interessa questo genere di titolo, ma grazie comunque». Ha tre figli (i quali, avendo pure una madre come Jillian Fink, non potrebbero che promettere bene), di cui due gemelli, con cui si comporta in maniera tale che, a definire “zelante” il suo atteggiamento, si defluirebbe nell’eufemismo più esasperato; e quando dimostra senso paterno, ecco, l’ormone femminile schizza al +34,9% che neanche la borsa di Tokyo. Patrick è il marito che ogni donna dovrebbe pretendere, è il galantuomo per eccellenza, è il genere di compagno che apre e richiude lo sportello dell’auto, quello che ritira i bimbi da scuola, il principe azzurro senza cavallo bianco ma con Porsche Cayenne (e a me, infondo, la caduta dal pony di mio papà che feci a sei anni qualche avanzo di turbamento non ha smesso di farlo percepire), Adamo, il maschio alfa (e noi tutte ci sentiamo una sua costola perché, uno che ti guarda come ti guarda lui, ti fa sentire la prima ed unica donna sulla faccia della terra). Se solo fosse conscio della mia esistenza e ricambiasse quel che provo, giuro, lo sposerei senza indugi e tentennamenti vari; abbiamo 11.231 giorni di differenza ma, si sa, l’età un numero è ed un numero continuerà ad essere. Per l’aggiunta, Capricorno (segno di terra, nonché il suo) e Bilancia (segno d’aria, alias il mio) compatibilissimi lo sono sempre stati.

La grande verità è che, in “Grey’s Anatomy”, diciamocelo, ha dato il meglio di sé; anzi, per l’esattezza, ha semplicemente (ed impeccabilmente) dato sé stesso, che il meglio già è. Abbiamo amato ed amiamo Derek per il fatto che gli basta aprire bocca per ammaliare l’universo (proferisce parola ed è poesia dell’ineffabile che rasenta il dantesco, che ti scuote ma con delicatezza e che si inarca tra silenzio e musica: l’espressione “lobectomia temporale”, ad esempio, se pronunciata da lui diviene automaticamente lirica); per il modo in cui, ripetutamente, ha ammesso di non potercela fare senza la sua “lei”; per le sue dichiarazioni da tenerone cronico; per la sua rituale ed immancabile asserzione pre-operatoria («Hello, everybody! It’s a beautiful day to save lifes; let’s have some fun!»), per la dolcezza con cui nell’ottava stagione, in un avvincente finale di puntata, accarezzò Meredith dicendole “Ti metterei un po’ di sale sul naso e ne mangerei un pezzetto!”; per come riconobbe di avere trovato “quella giusta” stringendosi a sua madre, dopo che questa gli diede conferma del suo incondizionato appoggio; per aver portato Cristina a pesca e per esserle stato accanto nel suo travagliato percorso di ripresa post-traumatica; per l’appartata roulotte in collina; per la villa costruita dal nulla e con una vista panoramica (oltre che mozzafiato) sulla città di Seattle; per aver lasciato perdere quell’odiosa ed insulsa civettuola di Rose; per avere vanificato i progetti del veterinario Finn e per avergli dato il benservito; per i suoi sacrifici e per la suggestione dei “cinque secondi quasi perfetti”; per il suo prendere a cuore ogni singolo caso egli si trovi a dover affrontare; per lo charme che gli è insito e per la maestria con cui stappa le bottiglie di champagne; per la sua collaborazione con il presidente degli USA; per il suo excursus sul bacio giusto; per avermi indotta a constatare come se ci fossi stata io, in piedi e di fronte a lui in quella casa di candele riprodotta in mezzo al terreno non ceduto ad Addison per contratto al momento del divorzio, al suo «Don’t move: wait for me!», avrei controbattuto con un «E quale sciocca si muoverebbe!?»; per aver dimostrato come gli ascensori, oggettivamente, siano stati inventati per permettere ai passionali di annusarsi; per le idee geniali che partorisce mentre sputa il dentifricio nel lavandino; per le sue bislacche doti da ballerino; per il suo essere la premura personificata a livelli esponenziali e per il suo poter aspettare rispettando; per l’abbraccio che l’ha nell’immediato fatto affezionare alla piccola (fortunatissima) Zola; per la cuffietta con i ferry-boat che adagiata sul suo capo si tramuta in quanto di più prossimo a Dio possa esistere se - insieme, certo, a poche altre cose - si escludono il caffè e la Sinfonia n°5 di Beethoven.

Ne sono pienamente convinta: Ellen Pompeo si deve per forza essere innamorata di Patrick Dempsey; o, meglio, re-innamorata. Perché con lui, infondo, è tutta questione di re-innamoramenti.

   
 
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