Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    26/03/2018    3 recensioni
Maine, 1833
Lucius Bradbury è a capo di una fiorente compagnia navale nelle selvagge terre del Nord degli Stati Uniti e porta avanti i suoi affari grazie all'appoggio del fidato amico, e nativo americano, Albert Greyhawk. Quando giungono a Bass Harbour gli amici di una vita, Lucius è messo di fronte a una realtà di cui, fino a quel momento, non si era reso conto; possibile che la sua amicizia con Lorainne Phillips si fosse trasformata in amore?
Possibile che, grazie a quelle lettere scambiate negli anni, la sua amicizia con lei si fosse trasformata in un legame più profondo? Ed era poi vero che tutto era nato grazie alle lettere?
Quando Lucius si trova innanzi a Lorainne dopo anni di separazione, questi e mille altri dubbi sorgono nel suo animo... e non solo in quello del nobile scozzese.
Ma Lucius potrà permettersi di abbandonarsi alla passione, ammettendo con lei ogni cosa, pur sapendo che Lorainne se ne andrà entro qualche mese? (Seguito dei primi tre capitoli della Serie Legacy)
Genere: Commedia, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra, Secessione americana
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Brevi Cenni Storici
 
A iniziare dal Vermont nel 1777, la maggior parte degli stati a nord del fiume Ohio e della Linea Mason-Dixon abolirono la schiavitù. La schiavitù in Massachusetts venne abolita dalla magistratura. La Costituzione adottata nel 1780 dichiarò che "tutti gli uomini hanno gli stessi diritti", rendendo la schiavitù inapplicabile.

In molti Stati liberi l'emancipazione avvenne gradualmente. Gli schiavi spesso rimasero in schiavitù, ma i loro figli nacquero liberi. Vennero fatti accordi di transizione, in parte per evitare gli abusi. Lo stato di New York e la Pennsylvania avevano ancora alcuni schiavi nel censimento del 1840, e una dozzina di schiavi neri c'erano nel New Jersey nel 1860, tenuti come "apprendisti perpetui".

Alla Convenzione costituzionale di Fildelfia del 1787, i delegati discussero sulla schiavitù, accettando infine di consentire agli Stati di ammettere il commercio internazionale per almeno 20 anni. A quell'epoca, in tutti gli stati erano state emanate singole leggi che abolivano o limitavano fortemente l'acquisto o la vendita internazionale di schiavi. Con l'ordinanza del nordovest del 1787, il Congresso della confederazione proibì la schiavitù negli stati a nord-ovest del fiume Ohio.

L'importazione di schiavi negli Stati Uniti venne ufficialmente vietata il 1º gennaio 1808. Nessuna sanzione venne però decisa per il commercio degli schiavi all'interno della nazione.

Nel 1830, il Congresso approvò l'Indian Removal Act, che autorizzava il presidente a negoziare trattati che scambiavano territori tribali indiani negli Stati dell'est per terre ad ovest del Mississippi. Nel 1834, un "territorio indiano" speciale venne stabilito in quella che oggi è la parte orientale dello Stato dell'Oklahoma.

Complessivamente, le tribù native americane firmarono 94 trattati durante i due mandati di Jackson, cedendo migliaia di chilometri quadrati al governo federale.

I Cherokee, le cui terre nella parte occidentale della Carolina del Nord e nella Georgia erano garantite da trattati fin dal 1791, affrontarono l'espulsione dai loro territori quando una fazione dei Cherokee firmò il trattato di New Echota nel 1835, ottenendo soldi in cambio della loro terra.

Nonostante le proteste del governo Cherokee eletto e di molti sostenitori bianchi, i Cherokee furono costretti a compiere un lungo e crudele viaggio verso il "territorio indiano" nel 1838. Molti morirono per malattie e privazioni in quello che divenne noto come il "Sentiero delle lacrime".

 
 
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§


Passione d'oltremare
 

 
Passione d'oltremare
 
 
Capitolo 1.
 
 
Baia di Bass Harbour, Maine – Agosto 1833
 
 
Il vento di bolina schiaffeggiava le vele quadre della nave, producendo schiocchi simili a fruste, mentre questa costeggiava a gran velocità la baia a imbuto che li avrebbe presto condotti a destino.

Gli imponenti cantieri navali verso i quali il veliero si stava dirigendo, ben visibili dal mascone di prua, spinsero Violet a sorridere estasiata al marito, che si trovava al suo fianco.

“Ci siamo quasi” mormorò lieta la nobildonna, prima di prendere in braccio il suo piccolo Jeffery per mostrargli una visuale della costa.

Il primogenito di Andrew Spencer e sua moglie Violet si aggrappò saldo al collo della madre e, a occhi sgranati, gridò eccitato: “Mamma! Terra!”

“Sì, tesoro, finalmente la terra, dopo tante settimane di mare” assentì la donna, dandogli un leggero bacio sulla chioma riccia e bionda.

Dal padre, Jeffery aveva ereditato i caratteristici occhi verde-oro dei Campbell, ma i capelli erano tutti della madre, biondi e chiarissimi, tali da farlo sembrare un angelo.

Scherzando, Maximilian, lo scapestrato ultimogenito degli Spencer, aveva però insinuato che i meravigliosi boccoli del piccolo Jeffery, fossero in qualche modo merito suo. Potendo vantare su un’eguale chioma ricciuta – pur se castana – Max aveva giocato spesse volte su quella somiglianza, cercando invano di fare arrabbiare simpaticamente il fratello.

Andrew, però, non dava mai peso alle parole sibilline del fratello, e Violet si limitava a riderne allegramente. C’era troppo affetto, tra di loro, perché Andrew si abbassasse a rispondere alle burle del fratello minore.

Passi balzellanti alle loro spalle spinsero il trio a volgere lo sguardo e, senza grandi sorprese, giunse loro accanto Sarah Phillips, allegra e spensierata, seguita a breve distanza dal fidanzato, lord Samuel Westwood.

La coppia avrebbe convolato a nozze l’anno venturo e, per festeggiare il loro fidanzamento, avevano voluto unirsi ad Andrew e Violet, diretti nel Maine per fare visita all’amico Lucius Bradbury.

Mentre il vento giocava con i capelli sciolti e morbidamente setosi di Sarah, la giovane poggiò una mano di piatto sulla fronte, aggrottò quest’ultima con fare pensoso e borbottò: “Non arriveremo che stasera, vero? Speravo di potermi fare un bagno vero, finalmente.”

Samuel sorrise indulgente al borbottio della fidanzata e Violet, nel fissare serafica la sorella minore, replicò: “Tesoro, non puoi dire di non essere stata avvertita. I viaggi transoceanici sono molto lunghi e abbastanza disagevoli… soprattutto se si viaggia su una nave che non è adibita a trasporto passeggeri.”

“Tutto questo, perché siete voluti partire da Aberdeen con una delle navi di Cornelius che era diretta qui, invece di prendere un bastimento a Southampton, su cui avremmo potuto viaggiare più comodamente” fece notare Sarah, vagamente piccata.

“Nostro padre è stato fin troppo accomodante, permettendo di farti viaggiare col tuo fidanzato, Sarah. Non essere così permalosa e sii grata che ti sia stata fornita questa opportunità” le fece notare Violet, cercando nel contempo con lo sguardo la figura di Lorainne, l’altra sua sorella.

Paul, ultimogenito dei Phillips, era rimasto a terra, a causa dei suoi studi a Eton, ma Anthony gli aveva promesso un bonus per il suo Grand Tour, quando fosse venuto il momento.

Di che bonus si trattasse, nessuno lo sapeva. Il loro comune genitore era stato ermetico, su questo.

Sarah seguì lo sguardo curioso della sorella, comprendendo bene chi stesse cercando, e borbottò per diretta conseguenza: “Non sono permalosa, ma onesta. Ed è inutile che cerchi Lory. E’ in cabina a piangersi addosso.”

“Sarah…” la richiamò dolcemente Samuel, sfiorandole una spalla con la mano.

Lei sospirò a quel tocco, gli sorrise brevemente e, un po’ a fatica, ritrattò con maggiore tatto.

“D’accordo, non si sta piangendo addosso. Sta soltanto rileggendo le lettere di Michael. Ma è come se si piangesse addosso, davvero! E’ inutile che lei continui a rimuginarci sopra. E’ morto, e non potrà più tornare.”


Violet assentì grave, consegnò il piccolo Jeffery ad Andrew e disse: “Lo so, Sarah, hai perfettamente ragione. E’ passato quasi un anno da quell’incidente, ma sai che Lory teneva a lui.”

Sarah sbuffò nuovamente, stavolta con aria irritata, e mormorò contrariata: “Tenere a un uomo che si è rotto l’osso del collo per raggiungere le stanze di un’altra… davvero bella pensata.”

Violet fece tanto d’occhi, a quelle parole caustiche ed Andrew, tossicchiando imbarazzato, borbottò: “Sarah, ti prego…”

“Non gliel’hai detto?!” esalò quest’ultima, fissando livida il cognato.

“Detto, cosa?” sottolineò a quel punto Violet, squadrandoli a turno con espressione dura e desiderosa di risposte.

Samuel tossicchiò a disagio e trascinò via una brontolante Sarah, che però accondiscese ad allontanarsi, così che la coppia potesse parlare agevolmente della faccenda.

Faccenda che Violet riassunse con un lapidario: “Ancora, Andy? Siamo tornati ai vecchi schemi?”

Stringendosi maggiormente al petto Jeffery, muto di fronte al livore della madre, Andrew replicò combattuto: “No, Lettie… niente ritorno al passato. Ma ammettiamolo, non è una cosa facile da sbandierare ai quattro venti. E aiuterebbe Lory, sapere che quel debosciato di Michael è morto a causa di una donna che non era lei?”

“Forse. O forse no, ma aveva… avevamo il diritto di sapere” brontolò Violet, prima di aggiungere con occhi spalancati e increduli: “Perché Sarah lo sa?”

“Ti pare che Samuel sia in grado di negarle qualcosa?” si lagnò suo malgrado Andrew, scuotendo esasperato il capo.

Storcendo appena la bocca, Violet borbottò: “No, in effetti… gliel’ha cavato con le pinze, almeno?”

“Quasi. Tutto sommato, Samuel ha resistito parecchio, se si considera che Sarah lo sa soltanto da due mesi, e il resto di noi lo sa da quando avvenne il fattaccio.”

Violet tornò ad assottigliare lo sguardo, a quella notizia e Andrew, sospirando nuovamente e sentendosi stranamente a corto d’aria, dichiarò: “Non mi scuserò, Lettie. Volevamo proteggervi, e non penso sia stato un errore. All’epoca, Lory era troppo coinvolta per poter sopportare anche questa notizia, e tu…”

Violet, a quel punto, gli sfiorò un braccio comprensiva, mormorando: “Stavo perdendo il bambino, lo so.”

“Non potevo darti anche questo peso da portare, visto che stavi già così male” sussurrò Andrew, con sguardo perso nel vuoto.

Portare a termine la gravidanza di Jeffery era stato difficoltoso ma, con il secondo figlio, tutto era andato di male in peggio nel giro di pochissimo tempo.

Memore del proprio aborto, Kathleen aveva compreso subito la situazione e, fattone menzione sia al figlio che a Myriam, avevano costantemente tenuto d’occhio Violet.

Niente aveva potuto procrastinare l’inevitabile, però e, quando il peggio era avvenuto, nessuno se n’era stupito.

Il dolore, in ogni caso, era stato terribile e difficile da gestire e, pur se era passato diverso tempo, ripensare a quei momenti procurava in Andrew dei tremiti involontari quanto violenti. Aveva spinto per intraprendere il viaggio verso l’America anche per quel motivo.

In primo luogo, Violet aveva bisogno di distrarsi e, in seconda istanza, sapeva quanto alla moglie mancasse l’amico, e sperava che vedere Lucius potesse scacciare gli ultimi demoni dal suo animo.

Al viaggio avrebbe voluto partecipare anche Max, se Sophie non fosse stata in procinto di partorire il loro primogenito.

Allo stesso modo,  i loro cugini Deanna e John erano stati impossibilitati a salpare per fare visita al fratello di lei, Julian, impegnato come operaio presso i cantieri di Lucius da alcuni anni.

I gemellini della coppia prendevano tutte le loro attenzioni e forze, e un viaggio per mare sarebbe risultato davvero troppo, per loro.

“Jeff, perché non rimani qui con il papà a guardare un altro po’ il mare? Io vado un attimo da zia Lory” disse a quel punto Violet, levandosi in punta di piedi per dare un bacio sulla guancia al piccolo.

Lui assentì, poggiando il capo contro la spalla del padre e Andrew, nel vederla allontanarsi, mormorò: “Lettie, senti…”

Bloccandosi a metà di un passo, lei assentì comprensiva e il marito, nel sorriderle, asserì: “Sai che ti amo, vero?”

“Sì… e scusami se ho dubitato di te.”

“Non scusarti mai. Non ce ne sarà mai bisogno” replicò lui, ammiccando mentre lei raggiungeva la sorella sottocoperta.

“Mamma tritte?”

“Un po’. Ma le passerà” dichiarò Andrew, tornando a osservare l’orizzonte frastagliato e le onde spumeggianti mentre si abbattevano contro le scogliere a picco sull’oceano.

Avrebbe preferito risparmiare alla moglie anche quel disagio, ma era ormai tempo che anche lei sapesse chi era stato realmente Michael Donahey, l’uomo di cui Lorainne era stata innamorata.
 
***

… E’ davvero straziante essere distante da voi, Lorainne, ma posso giurarvi che, non appena i miei impegni nell’Essex saranno terminati, vi raggiungerò a York e chiederò a vostro padre il permesso di sposarvi. Non dubitate di questo e pensatemi spesso, così sentirò di avervi vicina con lo spirito, mia…
 
Bloccando la lettura quando udì bussare alla porta della sua stanza, Lorainne levò il capo e disse con tono mogio: “Avanti.”

Violet entrò subito dopo e nel vederla seduta sul pagliericcio, le lettere sparse sul letto e gli occhi umidi di pianto, sentì il cuore andarle a pezzi per il dolore.

Se ciò che era venuta a sapere era vero, Lory stava soffrendo per un uomo che non meritava neppure una delle lacrime che ella aveva versato fino a quel momento.

Cercando di non far trasparire il proprio malessere, Violet si stampò in viso un sorriso artificioso e disse: “Abbiamo avvistato la terraferma. Ti va di fare un giro in coperta?”

Lorainne sorrise appena, e il suo volto già naturalmente bello, prese vita.

Gli scuri capelli bruni incorniciavano un incarnato chiaro e occhi grigiazzurri, eredità del nonno, ma il viso ovale e grazioso era in tutto simile a quello della loro nonna.

Sarah aveva preso maggiormente dalla loro madre, così come il carattere, che assomigliava molto a Myriam da giovane… cosa che angustiava non poco quest’ultima.

Nel riporre la lettera che teneva in mano sul copriletto di cotone grezzo, Lory mormorò: “Il piede felpato di Sarah si sente da qua. E’ infuriata con me?”

“Un po’ in ansia, se vogliamo. C’è un bel sole, e ti farebbe bene prenderne un poco… mi sembri pallida” dichiarò con un sorriso Violet, poggiandosi contro lo scrittoio per scrutarla con attenzione.

Lorainne passò lo sguardo dalla sorella maggiore alle lettere e, nel sorridere contrita, dichiarò: “Mi sento così sciocca…”

“Perché mai dovresti pensarlo?”

La sorella minore, però, non rispose e, nell’afferrare un po’ di lettere tra le dita, le accartocciò leggermente e domandò a Lettie: “Le hai mai lette? Te le mostrai mai?”

“No, tesoro” scosse il capo Violet, sorridendole mesta.

Sospirando, Lorainne lasciò ricadere in grembo la mano con le lettere, asserendo roca: “Forse, se le avessi mostrate a Sarah, o a te, avreste visto qualcosa…”

Irrigidendosi un poco, Lettie mormorò: “Che cosa, tesoro?”

“Un segnale, un inciampo nel suo dire che potesse essermi sfuggito. Qualcosa che mi mettesse in guardia sul suo… reale intento” gracidò Lorainne, gettando a terra le epistole con rabbia malcelata.

Sorpresa, Violet la raggiunse sul letto e la strinse a sé, mormorando: “Tu sai, tesoro?”

“Che mi sono ingannata riguardo a un uomo che si dilettava nel prendermi in giro? Che Michael mi ha illusa, dicendo di amarmi e capirmi, quando voleva solo avere l’ennesima tacca sulla sua pistola? Che lady Bethany Corsby era la sua amante e che, per andare da lei, si è ammazzato?” ironizzò aspra Lorainne, coprendosi il viso con le mani.

“Oh, Lory…” sussurrò Violet, attirando a sé il capo della sorella perché lo poggiasse contro la sua spalla. “Da chi l’hai saputo?”

“Da lady Corsby stessa” disse a sorpresa Lorainne, scioccando non poco Violet. “Una sera, durante una delle tante feste indette da lord Dunstan Cartwright, a Londra, mi si avvicinò, visibilmente ubriaca, e mi scaricò addosso tutto il suo livore. Mi spiegò tutto, ridendo della mia aria sconvolta e del mio dolore… e alla fine, pianse.”

“Evidentemente, lo amava davvero, nonostante tutto” chiosò Violet, senza alcun sentimento nella voce. Anche solo la comprensione sarebbe stata di troppo, in quel caso.

“Personalmente, non mi importa molto, visto quanto quell’uomo si è preso gioco di me, usando le mie stesse debolezze contro la sottoscritta… scusa, non so essere altruista come te” sospirò Lory, cercando di sorridere nonostante tutto.

Violet allora rise un poco, replicando: “Tesoro, fai benissimo a pensarla così. Sono io che dovrei imparare a non scusare tutti sempre e comunque.”

“Fa male in ogni caso… anche se lo odio” ammise a quel punto Lorainne, mordendosi il labbro inferiore per non piangere nuovamente. “Pensavo davvero che mi apprezzasse. Non credevo di essere così superficiale da non capire l’animo delle persone. Da accontentarmi di una persona che fingeva di comprendere le mie aspettative, i miei desideri e i miei sogni.”

“E’ normale che sia così, Lory. Tutti possiamo sbagliare. Per questo, rileggi le lettere?” le domandò allora Lettie.

“Voglio capire dove ho sbagliato.”

“Non è necessariamente detto che tu abbia sbagliato. Tu ti sei fidata, e lui ha tradito la tua fiducia… e, oserei dire, ha pagato con gli interessi questa sua scempiaggine.”

Risollevandosi di colpo, Lorainne fissò la sorella con autentica sorpresa e, nell’asciugarsi una lacrima vagante, asserì: “Lettie, è la cosa più cattiva che ti ho sentito dire dacché sono nata!”

“Potrei fare di peggio, ora che so la verità” le promise lei, sorridendo fiera.

Lorainne, allora, la abbracciò con forza e, nel ridere contro la sua spalla, la ringraziò, aggiungendo in un mormorio: “Leggeresti per me le lettere, però? Giusto per stare tranquille?”

“Le leggerò, se questo servirà a convincerti che nulla avrebbe potuto aiutarti a capire la sua doppiezza. A volte, niente può evitarci di cadere.”

“Grazie comunque, sorellona” mormorò Lory, sospirando di sollievo. “In ogni caso.”

Violet si limitò a stringerla a sé, coccolandola come avrebbe fatto con il suo Jeffery ma, dentro di sé, bruciò di rabbia come poche altre volte le era capitato.

Non fosse stato già morto, avrebbe pensato lei stessa a punire lord Michael Donahey. E, per una volta, ci avrebbe messo tutta la rabbia che le fosse riuscito di trovare dentro al cuore.
Un vero peccato non poter mettere in pratica quella sua rarissima vena di furia cieca.
 
***

Se i cantieri Bradbury erano sembrati enormi, in lontananza, quando imboccarono la darsena del loro porto privato, Violet rimase debitamente meravigliata.

Il patriarca di casa Bradbury, Cornelius, avrebbe potuto essere più che orgoglioso di suo figlio, visto ciò che era riuscito a fare in cinque anni di attività.

Ovviamente, i neonati Stati Uniti erano un mercato più che florido e con pochissima concorrenza, ma ciò che aveva saputo mettere in piedi Lucius aveva del grandioso.

Da quel che poté notare l’occhio attento di Violet, sotto la luce morente del sole, almeno tre golette erano in fase di costruzione, e ciò teneva impegnati non meno di cento addetti ai lavori.

Quando, infine, gettarono l’ancora e fecero scendere la passerella, Violet notò come, sul molo, lavorassero non solo operai bianchi, ma di tutte le razze.

Sapeva bene o male come stessero evolvendosi le cose, in quel paese dalle molteplici culture, ma era ugualmente sorpresa di vedere degli operai dalla pelle scura.

Chissà se Lucius si era abbassato a prendere degli schiavi, perché lavorassero nei suoi cantieri?

Violet dubitava che l’amico avesse ceduto a quella pratica orrenda, ma non sapeva dire come funzionassero le cose, da quelle parti.

Preferì quindi non costruirsi nella mente nessun pregiudizio e, quando il capitano discese con i documenti da consegnare a Lucius, Violet e famiglia si accodarono a lui.

Dabbasso, sul molo in selciato, trovarono ad attenderli un uomo assai singolare, dalla pelle bronzea e lunghi capelli nerissimi, stretti in una coda di cavallo da un nastro di pelle bruna.

Pur se l’abbigliamento era tipicamente inglese, con camicia di lino, panciotto di seta e pantaloni lunghi su scarpini lucidi, l’uomo sembrava totalmente fuori posto, abbigliato a quel modo.

Che fosse un nativo di quei luoghi?

Lucius ne aveva parlato a tutti loro, in una delle sue lettere. Ricordava bene quando Lory, eccitata e piena di aspettativa, aveva aperto la missiva proveniente dagli Stati Uniti, in cui Lucius aveva parlato di un uomo al suo servizio di nome Albert.


Che fosse lui, dunque, questo fantomatico Albert?

Con un leggero inchino, l’uomo infine parlò con un inglese dall’accento piuttosto marcato, ma assai comprensibile.

“Benvenuti alla Baia di Bass Harbour. Io sono Albert Greyhawk, attendente personale di lord Bradbury. Egli vi attende a Liberty House, che sorge sull’imbocco della baia, dove potrete riposarvi e rifocillarvi. Sarà mio pregio accompagnarvi in calesse fino alla villa.”

Il capitano salutò l’uomo come se nulla fosse, denotando tra loro una profonda familiarità e, dopo un rapido scambio di battute, si allontanò per raggiungere una casupola a due piani, poco distante dal molo.

Evidentemente, la presenza di quel nativo al cantiere doveva essere fatto noto a tutti.

 Andrew, in ogni caso, mettendo a parole la curiosità di tutti, si affiancò all’uomo dai lunghi capelli neri e domandò con cortesia: “Perdonate la sfacciataggine, Mr Greyhawk, ma… voi siete un nativo americano, vero?”

“Ciò che dite corrisponde al vero, milord. Lavoro per lord Bradbury da circa quattro anni” assentì serafico l’uomo, dal fisico e portamento degni di un guerriero d’altri tempi.

Anche con quegli abiti inglesi e la sua parlata cortese, quell’uomo dava l’idea di essere abituato ad ampi spazi aperti, cieli sconfinati e una vita fatta di cose semplici.

Annuendo vagamente impressionato, Andrew allora gli allungò la mano per presentarsi.

“Andrew Spencer. Molto piacere di fare la vostra conoscenza” disse il giovane conte, prima di ammiccare in direzione del figlio, e aggiungere: “Questo è mio figlio,  Jeffery Simon Spencer.”

Dopo un istante di tentennamento, Albert strinse quella mano protesa e dichiarò: “Piacere mio. Avete un bellissimo figlio.”

Jeffery sorrise imbarazzato e nascose il viso contro la spalla del padre, che rise divertito.

Albert sorrise appena, di fronte al suo imbarazzo e, con voce vagamente contrita, asserì: “A Liberty House vive anche mia moglie. Non abbiatene a male, se sarà un po’ fredda, all’inizio. Non ha un buon rapporto con …beh, con le persone dalla pelle bianca. Non vorrei che il bambino si spaventasse.”

Sollevando un sopracciglio per l’interesse, Andrew replicò cauto: “Se la metà delle cose che abbiamo saputo in Inghilterra risponde al vero, sarei stupito del contrario.”

Fu a quel punto che anche Albert si dimostrò sorpreso, e domandò: “Ciò che avviene qui, è risaputo anche nel vostro paese?”

“Credo neppure una decima parte, e noi ne veniamo messi al corrente soprattutto da Lucius, il vostro titolare…” gli spiegò Andrew, spiacente di essere così deficitario in materia. “… perciò, temo che anche noi conosciamo ben poco della realtà dei fatti, ma ciò di cui siamo a conoscenza è assai triste, e ben poco edificante. Se vorrete essere così gentile da aggiornarci, eviteremo di commettere degli errori senza saperlo.”

Albert lanciò un’occhiata alle alte navi in costruzione alla loro destra, esalò un sospiro sconfortato e infine mormorò: “Per ogni uomo bianco onesto, ve ne sono dieci che tentano di farci del male, in questa splendida e martoriata terra. Questa, è la realtà dei fatti. Vi sono altresì grato per la vostra gentilezza, ma non vi sarà bisogno di nessun trattamento speciale. Mia moglie deve imparare a scrutare il mondo con occhi non velati dall’odio.”

I garzoni che stavano portando i loro bagagli fino al calesse assentirono leggermente a quelle parole e, a parte qualche borbottio comprensivo, si astennero dal fare commenti.

Andrew, a quel punto, si domandò se a loro volta fossero stati testimoni di azioni ai danni della popolazione nativa, o di qualche uomo di colore. Poiché molti di loro superavano la trentina, poteva davvero darsi che avessero assistito a schermaglie tra esercito e tribù, o eventi altrettanto deprecabili.

“Allora, è una cosa positiva che io sappia sparare meglio di tutti gli uomini qui presenti” esordì Sarah, con gran spirito e voglia di battagliare.

Albert si volse a mezzo per scrutarla con autentica sorpresa e Lorainne, al fianco della sorella, sorrise comprensiva al nativo americano, asserendo: “Non vi stupite se mia sorella Sarah vi sembrerà allevata dai lupi. E’ uno spirito molto… vivace. Non tenetene conto, Mr Greyhawk.”

“Sapete davvero sparare, milady?” domandò allora Albert, sinceramente incuriosito.

Ammiccando con spavalderia, Sarah dichiarò: “Mettetemi alla prova quando volete, Mr Greyhawk. Non ho paura di fare brutta figura.”

Poi, con tono spiritoso, lanciò un’occhiata ammiccante alla sorella, e aggiunse: “Inoltre, mia sorella fa tanto l’innocentina, ma è ugualmente brava con le armi… e anche a tirare pugni, se occorre.”

A quel punto, Albert si lasciò andare a un risolino, mentre diversi garzoni sorridevano divertiti di quello scambio di battute, e dichiarò: “Non appena mia moglie Silver vi conoscerà, vorrà subito mettervi alla prova. Lei è abilissima con l’arco e le frecce e dubito crederà mai, se non vedendolo, che due nobili inglesi possano essere in grado di usare un’arma.”

Illuminandosi tutta, Sarah lanciò un’occhiata supplichevole a Samuel, mentre Lorainne scoppiava in una risata argentina e piena di divertimento.

Andrew, invece, esalò spazientito: “Siamo in vacanza, Sarah. Purché tu non ti rompi la testa, ti è permesso più o meno tutto. Ma non esagerare e, soprattutto, non infastidire le persone con le tue richieste. Se Mrs Greyhawk vorrà la tua compagnia, bene, altrimenti non se ne farà nulla.”

“La sua testa è troppo dura, perché si rompa” aggiunse pacifico Samuel, sorridendo amorevole alla sua fidanzata.

Scuotendo una mano come per non dare loro ascolto, Sarah domandò ad Albert: “Ditemi, Mr Greyhawk, vostra moglie si chiama così per qualche motivo particolare? E’ un nome molto bello, ma assai singolare.”

Andrew rise di quella domanda e, rivoltosi a un sempre più sorpreso Albert, dichiarò: “Vi avverto, messere, …queste gentildonne non sono esattamente timorate di Dio come potreste pensare. Sono nobili inglesi di nome e di fatto, ma sono anche donne assai curiose e un tantino viziate. Eccellono nello sciogliere la lingua anche dell’uomo più taciturno.”

Le tre sorelle sorrisero angeliche, a quel commento, e si esibirono in sguardi davvero colmi di candore.

“Comincio a crederlo” annuì cauto l’uomo, accennando un sorriso più tranquillo. “Per rispondere alla vostra domanda, miss Sarah, mia moglie si chiama così perché il suo nome, nella nostra lingua d’origine, è Stella d’Argento.”

Meraviglioso!” esclamò Sarah, battendo allegra le mani, e Lorainne assentì al pari di Violet. “Quindi, forse, anche il vostro cognome ha a che fare con il vostro nome nativo?”

Sorridendo divertito di fronte a tanta sincera curiosità, Albert assentì, spiegandole come lui, all’interno della tribù lakota oglala in cui era nato, fosse stato chiamato Falco Grigio.

A quel punto, Lorainne e Violet intervennero a loro volta con altre domande e, anche durante il viaggio in calesse, il terzo grado ebbe seguito, con gran divertimento degli uomini, e un vago sconcerto di Albert.

Quando infine raggiunsero Liberty House, il gruppo si trovò innanzi una graziosa villa a tre piani dalle pareti chiare, spioventi tetti ricoperti di coppi bruni e un’ampia balconata centrale a sovrastare l’entrata.

Un bel giardino ricolmo di piante si apriva a raggera sull’ingresso mentre, sul retro, era possibile intravedere un’ampia serra e la rimessa per cavalli e carrozze.

In lontananza, verso est, era invece ben visibile il limitare della scogliera, da cui giungeva il fragoroso sciabordio delle onde oceaniche.

Non appena furono discesi dal calesse, Albert li scortò fino all’entrata e aprì le porte per loro, dando il benvenuto agli ospiti all’interno della villa.

Dal fondo di un ampio ingresso in marmo chiaro e illuminato da un ampio lampadario a candele, giunse a grandi passi, in maniche di camicia e stivali da cavaliere, l’alta e slanciata figura di Lucius Bradbury.

Intento a frizionarsi il viso con un telo di lino, apparentemente accaldato e appena di ritorno da una galoppata, l’uomo sorrise da sotto una scura barba accuratamente tagliata ed esordì dicendo: “Finalmente, miei cari! Ben arrivati a casa mia!”

Allargando le braccia, si avvicinò per salutarli tutti e Violet, nell’allungare le mani verso di lui, esalò: “Cielo, Lucius! Quasi non ti avrei riconosciuto!”

Lui rise divertito, le baciò entrambi i dorsi delle mani prima di stringere quella protesa di Andrew.

“Forse, perché non sembro un azzimato e serioso lord inglese?” ironizzò poi Lucius, salutando Samuel, Sarah e Lorainne con strette di mano e baciamano eleganti quanto scherzosi.

“Può darsi. Hai un che di selvaggio che non guasta” sorrise Violet, ammiccando divertita all’amico. “Ti si addice, e rispecchia bene il luogo in cui hai deciso di vivere.”

“Buono a sapersi” dichiarò l’amico, facendo il solletico sotto il mento al piccolo Jeffery, che rise deliziato. “Spero che il viaggio sia andato bene.”

“Nessuna tempesta degna di tale nome, ma dovrò dire a tuo padre che le cuccette debbono essere migliorate” ironizzò Sarah, tutta giuliva.

“Gliene parlerò via lettera, Sarah, credimi sulla parola” assentì Lucius, prima di rivolgersi a Lory e domandare: “E tu, Lorainne, hai qualche rimostranza in merito? O preferisci scrivere a mio padre di tuo pugno? Sei molto brava nel redigere lettere, e credo che mio padre accetterebbe anche dei rimbrotti, se arrivassero da una nobildonna tuo pari.”

“Direi che non ho rimostranze da fargli, ma grazie per i complimenti. Contrariamente a Sarah, potrei dormire anche stesa su un sasso… pur se non è molto elegante da ammettere” sorrise divertita Lorainne.

Lucius rise di quel commento, e Lorainne non poté che trovare quella risata contagiosa quanto bella.

Era liberatoria, senza freni inibitori, esattamente come la ricordava.

Pur essendo sempre stato un uomo sopra le righe e anticonformista, a Lory sembrò che fosse assai cambiato, dai suoi giorni passati nella patria natia.

Certo, lei non lo aveva conosciuto bene come sua sorella Violet e, pur se usavano tutti un tono colloquiale, tra di loro, non li legava certo l’amicizia che c’era tra lui e Lettie.

Era però molto bello che Lucius si sentisse così a suo agio da lasciarsi andare a quel modo, e quella risata le permise di rilassarsi a sua volta.

Da quando era partita, l’assillo di quelle maledette lettere, oltre all’orribile segreto che celavano, le avevano impedito di godersi la traversata come sperato.

Giungendo lì, facendo la conoscenza con l’affascinante Mr Greyhawk e ora, rivedendo finalmente Lucius, Lorainne si sentì molto più propensa a credere che, dopotutto, anche lei avrebbe potuto divertirsi.

Anche se era stata ingannata, e il suo cuore calpestato, poteva ancora sorridere alla vita… e magari arrivare a ridere spensieratamente come Lucius.









Note: ed eccoci pronti a ripartire con un'altra avventura, stavolta al di là dell'oceano. Incontriamo molti degli attori visti nelle scorse storie, con alcune new entries, a cui se ne aggiungeranno altre. Giusto per darvi un'idea del quadro storico in cui ci muoviamo, ho messo una breve appendice all'inizio della storia, ma farò altri riferimenti anche durante il corso dell'avventura di Lucius.
Grazie a tutti/e coloro che vorranno dedicare un po' del loro tempo alla mia storia!
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark