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Autore: Danail    29/03/2018    2 recensioni
Siamo in un mondo dove l'Impero Romano non è mai caduto, dove è stata scoperta una fonte magica di natura divina apparentemente inesauribile ed è stata, di conseguenza, riformata la casta sacerdotale. Cambiamento che si è propagato in tutta la società romana, che ne ha fatto il proprio caposaldo per poter sopravvivere.
Finché la fede verso gli dei è venuta meno, finché ai confini più lontani dell'Impero non sono state avvistate strane aberrazioni...
[Liberamente ispirato all'ambientazione Lex Arcana]
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rising Sun

-Attenta- le sussurrò Augustus, prendendola delicatamente per un braccio e abbassandosi con lei, quel tanto per nascondersi dietro la collinetta.
Lavinia non fece un fiato, seguì l’esploratore dietro il riparo di fortuna e portò istintivamente mano alle armi, lame eleganti e affilate nascoste sotto le vesti e restando in ascolto.
Che fosse l’essere che aveva visto nei presagi? Tese le orecchie: nelle vicinanze un sonoro grufolare, assieme a un sinistro sfrigolio, annunciò la presenza del cinghiale mutato.
Lavinia lanciò un’occhiata ad Augustus, che le rispose con un cenno d’intesa e preparando l’arco lungo.
Lavinia, allora, fece un respiro profondo, si concentrò per stimolare la magia e, al segnale del suo compagno, risalire con lui la collina per affrontare quell’aberrazione.


-Sai Augustus, in viaggio parlavamo del confine fra coraggio e stupidità. Ebbene, oggi hai capito com’è labile il confine e quanto avevo ragione, sì?- commentò sarcastica Lavinia mentre finiva di fasciare la ferita sul braccio del compagno, l’ultima delle tante che l’enorme cinghiale gli aveva inflitto con le sue cariche cieche e le sue scariche elettriche. In tutta risposta l’uomo mugugnò qualcosa, forse riguardo al degrado dell’ambiente o che, ai suoi tempi, l’Impero non aveva tutti questi problemi e che gli dei camminavano ancora fra gli uomini. La solita tiritera che ormai Lavinia conosceva bene.
-E tieniti i tuoi lamenti per dopo, lo sai che non ho più energie per curarti, per oggi. Piuttosto, alzati e muoviti: quel tesorino non si macellerà da solo!- esclamò poi la sacerdotessa alzandosi, seguita da un Augustus brontolante.
L’animale, un mastodontico esemplare maschio di
Sus Scrofa, aveva ormai smesso di sanguinare dalle numerosissime ferite inferte dai due: sul collo erano ben piantate due frecce, in corrispondenza della giugulare, mentre sui fianchi erano ben visibili le ampie zone di pelle ustionata, causate dalle fiamme di Lavinia che avevano bruciato completamente il pelo irsuto, compromettendo così la possibilità di rivendere la pelliccia.
Mentre s’arrampicava sull’animale, coltello alla mano, per cominciare a scuoiarlo, Lavinia osservava il suo esploratore estrarre le frecce dal collo del suo avversario ormai sconfitto. Lei aspettava.
Sentiva che Augustus covava confusione e rabbia, a quanto pare era il classico uomo che voleva avere il controllo su tutto. Comprensibile, data la sua professione.
E, difatti, la sua natura non tardò a emergere.
-
Lavinia. Tutti questi… mostri… che dovrebbero rappresentare? Mi spieghi una buona volta cosa sta succedendo? Finora sei stata la strana sacerdotessa di Apollo che mi ha assoldato a Coelum per esplorare quelle zone oscure dopo il Vallo d’Adriano –che gli dei lo abbiano in grazia- e ora? Ora mi ritrovo un porco troppo cresciuto che cerca di fulminarci? Donna, che succede?- sbottò dopo una ventina di minuti, appena dopo aver rimosso la zona di pelle a lui assegnata, non sorprendendo per nulla Lavinia che continuò il suo lavoro senza fare una piega.
Dopo aver finito con calma il suo lavoro e dopo esser scesa al suo fianco, la sacerdotessa cominciò a tagliare metodicamente la carne del cinghiale ormai privo del suo manto, separando i vari tagli con criteri noti solo a lei.
-
Vedi, amico mio, la comparsa di queste creature è collegata alla sparizione degli dei dalle nostre vite. Ma questo lo sai già, giusto?-.
Lavinia sentì l’esploratore mugugnare una risposta affermativa, per cui non distolse lo sguardo dal cinghiale.
-
Ebbene, gli dei non sono scomparsi così, senza un motivo. E non se ne sono andati solo quelli del nostro pantheon, no no. La scomparsa di massa ha coinvolto anche culti minori, fino addirittura a quelli mitraici. E sai perché, Augustus, gli dei non ci sono? Perché dormono profondamente e non accennano a volersi svegliare. O almeno, siamo noi che non vogliamo che si risveglino-.
Alla smorfia corrucciata di Augustus Lavinia fece un cenno con la mano insanguinata per rimandare le spiegazioni a un altro momento. Finirono di confezionare la carne per trasportarla e, quando si rimisero in viaggio, lasciandosi la carcassa buona solo per i lupi, il sole era già ben oltre lo zenit.
-
E quindi? Perché saremo noi a impedire il risveglio nei nostri dei?- chiese dopo un po’ Augustus, mentre s’inoltravano nel bosco alla ricerca del punto d’entrata.
-
Perché la gente ha perso la fede in loro. Ma, soprattutto, ha perso fede in ciò che loro rappresentano. Che senso ha per Apollo vivere se più nessuno crede più nell’arte e nella bellezza? Che motivo ha per Minerva di continuare a esistere se nessuno vuole più seguire i sentieri della conoscenza?-
Dopo quelle domande puramente retoriche seguì un breve silenzio, rotto soltanto dai rumori del bosco e dalle foglie spostate dall’esploratore, che cercava un sentiero che portasse più vicino al versante della montagna.
-
Per cui, sì, la gente non ha più fede, non porta più rispetto verso i più alti valori civili e morali e s’inbarbarisce. Gli dei lentamente decadono assieme alle loro virtù e, in risposta alla lenta corruzione dell’uomo e all’assopimento delle divinità, la Natura risponde con aberrazioni-.
Augustus non rispose subito: fece segno alla donna di fermarsi, in punta di piedi imboccò un sentiero secondario e avanzò in silenzio, ascoltando attentamente i suoni che gli animali della foresta.
Incuriosita, Lavinia osservava l’esploratore acquattarsi e saggiare il terreno con le dita delle mani, osservare il sottobosco e, infine, rialzarsi e sfoderare la spada.
-
Siamo vicini, proseguiamo di qua- spiegò lui, facendole cenno di seguirlo mentre tagliava via piante e arbusti con metodo.
Era quasi il crepuscolo e la spada era ormai tinta di verde quando sopraggiunsero davanti alla grotta, una grande voragine nera che s’apriva nel fianco aspro e roccioso della montagna.
-
E quindi, eccoci qui, sacerdotessa- commentò lui, pulendo l’arma su un lembo della maglia per poi riporla nel fodero.
-
Ti ringrazio per avermi accompagnata fino a qua. Adesso cosa vuoi fare, mi aspetterai qui? Cercherai un riparo? Ci metterò molto…-
-
Oh no no, ragazza, no- la interruppe lui con un gesto brusco del braccio.
-
Io verrò con te. No no, non lo faccio perché voglio più soldi: quelli te li puoi pure tenere. Ti seguo perché voglio vedere come si conclude tutta questa storia della mancanza di fede e del risveglio di Apollo. Perché è per questo che siamo qui, no? Per svegliarlo, giusto?- spiegò, vedendo lo sguardo stupito della rossa.
Lavinia lo squadrò da capo a piedi, a braccia conserte, chiedendosi se fosse il caso: Augustus era un uomo di mezz’età, cresciuto in mezzo alla natura ostile di quelle regioni, non sufficientemente istruito per comprendere quello che potrebbe avvenire una volta entrati.
-
Se te lo stai chiedendo, so che lì dentro potrebbe accadere qualsiasi cosa. Sai che me ne frega? Ho raggiunto quasi i cinquant’anni in mezzo ai boschi, morire vedendo un dio rinascere è la cosa migliore che potrebbe capitarmi. Su, muoviamoci!- l’anticipò lui, volgendosi poi verso la grotta senza aspettare risposta.
Lavinia sospirò, fece spallucce e lo seguì, evocando davanti a lei una manciata di lucine evanescenti per illuminare la strada.


L’odore di carne cotta per un attimo distolse l’attenzione di Lavinia dal dolore pulsante che dagli avambracci saliva fino alle scapole.
Inspirò ed espirò: i due lunghi e sottili tagli sulle braccia cominciavano già a sanguinare copiosamente, nessuna goccia di sangue doveva essere sprecata. Per cui, non perse tempo ad allungarli sopra le due ciotole contenenti i due pezzi di carne del cinghiare –cotti durante il lungo e tortuoso percorso- poste all’interno del pentacolo dipinto alla base della statua.
Augustus se ne stava in un angolino, rannicchiato in religioso silenzio, a osservare la sacerdotessa cantare una lenta nenia in una lingua che lui non poteva comprendere.
Lei, una volta entrati nella piccola caverna e poste le due torce negli anelli inchiodati alle pareti, gli aveva spiegato cosa sarebbe successo, per cui era preparato.
Distolse dunque lo sguardo dal corpo in trance della donna, onde evitare il sorgere di pensieri strani, per osservare nella penombra la statua: questa riprendeva il tragico finale del mito di Dafne e Apollo, secondo il quale la ninfa, per scampare alle attenzioni indesiderate e inopportune del dio, chiese disperata al padre di renderla pianta.
La scultura coglieva proprio il momento in cui Dafne cominciava a trasformarsi in un albero di alloro e Apollo, disperato, cercava inutilmente di acchiapparla ed evitare l'inevitabile.

Bella statua. Peccato che a commissionarla sia stato uno di quei cristianucoli da strapazzo” pensò con uno sbuffo indignato l'esploratore, intravedendo fra i gesti lenti e controllati di Lavinia la scritta alla base dell'opera.
Quisquis amans sequitur fugitivae gaudia formae fronde manus implet baccas seu carpit amaras
recitava infatti questa.
Non sanno proprio come prendere la vita questi ingenui” continuò mentre si stropicciava gli occhi: il fumo cominciava a essere invadente e gli dava leggermente alla testa.
Quando riuscì a rimettere a fuoco la figura di Lavinia, questa aveva di colpo terminato l'evocazione: non gesticolava più, non cantava più, sembrava essere tornata la donna lucida che Augustus aveva conosciuto in quello strano viaggio. Grazie a qualche sortilegio noto solo a lei, le ferite che s'era auto-inflitta si stavano rimarginano; l'esploratore rimase incantato per qualche istante nel vederla fasciarsi le braccia.
Lavinia se ne accorse: si girò e, rivolgendogli un sorriso, con un cenno lo invito a sedersi accanto a lei.
Appena l'uomo le si mise accanto, la sacerdotessa ricominciò a cantilenare nella stessa, misteriosa lingua di prima. Augustus alzò lo sguardo verso la statua, chiedendosi lo scopo di tutto quello.
Non riuscì nemmeno a formulare un'ipotesi che la scultura
si mosse.
Il marmo si fece gradualmente più caldo; lentamente s’incrinò e si piegò; il colore bianco sfumava verso il rosa.
Lavinia cantava.
Una leggera aura avvolse la statua, un sottile velo ultraterreno avvolse la fredda pietra, che prese a splendere.
Lavinia cantava.
Il mondo perfetto dello spirito e il mondo della triste materia si congiungevano attraverso la preghiera e l’arte,
-
Lavinia. Sei arrivata in tempo. La corruzione dilaga, la mancanza di fede mi sta uccidendo. Gli altri stanno per cadere...- sussurrò flebile lo spirito, che lentamente scendeva dalla statua verso Lavinia, prendendo gradualmente forma. La sacerdotessa, dopo aver congiunto le mani all'altezza del petto, stava per rispondergli, se non fosse per Augustus.
-Cosa significa tutto ciò? Gli Dei sono immortali, lo erano e lo saranno sempre! Non ha senso tutto ciò!- esclamò l’esploratore, interrompendo quell'assurda conversazione. Incredulo. spostanva lo sguardo da Lavinia a ciò che rimaneva dello spirito di Apollo che era emerso dalla statua. L’augure gli rispose con una breve risata amara, presa com’era nel fasciarsi le braccia ferite.
-
Come no? Noi possiamo morire! Certo, non come morite voi umani…- cominciò lo spettro, comparso ai piedi dell’opera come un adolescente con in testa una corona d’alloro e tra le braccia una cetra.
-
Noi scompariamo quando gli uomini non credono più in noi, quando la gente perde la fede in ciò che rappresentiamo. Che senso ha esistere se il concetto che ci ha fatti nascere non ha più valore? Così noi decadiamo, l’uomo si corrompe e la Natura risponde a tutto ciò con esseri aberranti.- concluse il dio, spostando poi l’attenzione sulla donna.
Lavinia, sentendo lo sguardo dell’esploratore su di sé, strinse le bende per continuare il discorso.
-
Vedi, amico mio, se Roma non è mai caduta ed è resistita per tutto questo tempo è anche grazie a persone come me o te che alimentano con la loro fede le divinità. Se no il nostro impero sarebbe caduto più di un millennio e mezzo fa. E ora che la fede ci sta abbandonando, compaiono mutanti al confine che attaccano i civili-.
Augustus annuì lentamente, indeciso.
-
E ora?- chiese lui, confuso. –Che si fa?-
-
Ora? Ora torneremo fra la gente, ridaremo importanza alle virtù che ogni divinità rappresenta- rispose mesto Apollo, osservando triste la sua statua, che beffardamente rimarcava la sua attuale impotenza.
-
Se te lo stai chiedendo, sì. Altri miei fratelli e sorelle sono partiti per questa missione- lo anticipò Lavinia, alzandosi in piedi.
-
Su Augustus, in piedi e facci strada. Si torna a Roma- L’esploratore le rivolse uno sguardo insicuro prima di rispondere. Ormai ogni sua certezza, maturata nel corso della sua lunga vita, cominciava a vacillare.
-
Ma… Cosa dobbiamo fare?- domandò mentre ripercorreva il ripido sentiero verso l’uscita.
-
Riportiamo la fede nel cuore degli uomini!- ululò lo spirito del dio, trasformatosi immediatamente in lupo prima di sfrecciare sul sentiero verso il fuori, verso la luce.

   
 
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